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Analisi matematica Roberto, Lecture notes of Mathematics

Io sono un gatto tu un criceto io sono un pirla tu sei un San Bernardo

Typology: Lecture notes

2018/2019

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Download Analisi matematica Roberto and more Lecture notes Mathematics in PDF only on Docsity! Analisi 2 Roberto Monti Appunti del Corso - Versione Finale del 13 Febbraio 2013 CAPITOLO 1 Programma Convergenza uniforme: Sup-norma. Teorema dello scambio dei limiti, conti- nuità del limite uniforme. Teorema di Dini. Criterio di Abel-Dirichlet per la conver- genza uniforme di serie. Convergenza uniforme e differenziabilità, scambio di limite e derivata, scambio di somma e derivata. Convergenza uniforme e integrale di Riemann, scambio di limite e integrale. Spazi metrici. Continuazione: Tutte le norme in Rn sono equivalenti. Lo spazio C(K) è completo. Spazio delle trasformazioni lineari e continue, norma di un operatore, caratterizzazione della continuità. Funzioni Lipschitziane. Teoremi di punto fisso ed applicazioni. Curve in Rn. Curve regolari. Vettore tangente. Lunghezza e curve rettificabili. Teorema di rettificabilità. Riparametrizzazione a lunghezza d’arco. Calcolo differenziale in Rn. Derivate parziali e direzionali. Funzioni differen- ziabili. Differenziale della funzione composta. Teoremi del valor medio. Funzioni di classe C1. Punti critici e punti di max/min locale. Teorema di Rademacher. Derivate di ordine superiore. Teorema di Schwarz. Formula di Taylor. Equazioni differenziali ordinarie. Equazioni lineari del primo ordine. Equa- zioni a variabili separabili. Problema di Cauchy. Esistenza e unicità locale della soluzione con ipotesi Lipschitz. Soluzioni massimali. Lemma di Gronwall e soluzioni globali. Studio qualitativo. Cenni alle equazioni alle derivate parziali. Teorema di Dini. Diffeomorfismi e diffeomorfismi locali. Teorema di invertibi- lità locale. Teorema della funzione implicita. Sottovarietà differenziabili di Rn. Equazione locale e parametrizzazioni. Sot- tovarietà. Teorema di equivalenza. Spazio tangente e spazio normale. 5 CAPITOLO 2 Convergenza uniforme 1. Convergenza uniforme e continuità Siano X un insieme ed f : X → R una funzione. Definiamo la “sup-norma” di f su X ‖f‖∞ = sup x∈X |f(x)|. La “sup-norma” verifica le seguenti proprietà elementari: 1) Si ha ‖f‖∞ <∞ se e solo se f è limitata su X. 2) Vale la subadditività: ‖f + g‖∞ = sup x∈X |f(x) + g(x)| ≤ sup x∈X |f(x)|+ |g(x)| ≤ sup x∈X |f(x)|+ sup x∈X |g(x)| = ‖f‖∞ + ‖g‖∞. 3) Sia fn : X → R, n ∈ N, una successione di funzioni. La successione (fn)n∈N converge uniformemente su X alla funzione f : X → R se lim n→∞ ‖fn − f‖∞ = 0. Per questo motivo, la “norma” ‖ · ‖∞ si chiama anche “norma della conver- genza uniforme”. 4) Sia X uno spazio metrico compatto e sia f ∈ C(X). Per il Teorema di Weierstrass, la funzione x 7→ |f(x)| assume massimo su K. Dunque, nella definizione di sup-norma il sup può essere sostituito con un max: ‖f‖∞ = sup x∈X |f(x)| = max x∈X |f(x)|. È immediato controllare che lo spazio vettoriale C(X) è normato da ‖ · ‖∞. Vedremo nel Teorema 2.1 che C(X) è uno spazio di Banach. Esempio 1.1 (Palla nella norma ‖ · ‖∞). Ad esempio, nel caso X = [0, 1] per ogni f ∈ C([0, 1]) ed r > 0, la palla Br(f) = {g ∈ C([0, 1]) : ‖g − f‖∞ < r } = { g ∈ C([0, 1]) : |f(x)− g(x)| < r per ogni x ∈ [0, 1] } è l’insieme delle funzioni continue g il cui grafico è contenuto nella striscia di spessore 2r attorno al grafico di f . Teorema 1.2 (Scambio dei limiti). Siano (X, d) uno spazio metrico ed f, fn : X → R, n ∈ N, funzioni. Supponiamo che: (i) lim n→∞ ‖fn − f‖∞ = 0; 7 10 2. CONVERGENZA UNIFORME Dim. Poniamo An = ∞∑ k=n ak cosicchè lim n→∞ An = 0, per la convergenza della serie. Dati n, p ∈ N, usando la formula di somma per parti si trova n+p∑ k=n akfk(x) = Anfn(x)− An+p+1fn+p(x) + n+p∑ k=n+1 Ak ( fk(x)− fk−1(x) ) . Fissato ε > 0 esiste n̄ ∈ N tale che per n ≥ n̄ si ha |An| ≤ ε e quindi per ogni p ∈ N si ottiene sup x∈X ∣∣∣ n+p∑ k=n akfk(x) ∣∣∣ ≤ ε(2C +D). Poichè la successione delle somme parziali della serie in esame è uniformemente di Cauchy su X, la serie converge uniformemente su X.  Esempio 2.3 (Criterio di Abel). Se la serie di potenze complessa ∞∑ n=0 bnz n converge nel punto z0 ∈ C, allora converge uniformemente sul segmento [0, z0] = {xz0 ∈ C : 0 ≤ x ≤ 1}. Per x ∈ [0, 1] si consideri la serie di funzioni ∞∑ n=0 bnz n 0x n = ∞∑ n=0 anfn(x), an = bnz n 0 , fn(x) = x n. La successione di funzioni fn(x) = x n è uniformemente limitata su [0, 1] e inoltre ∞∑ n=0 |fn+1(x)− fn(x)| = ∞∑ n=0 (1− x)xn = { 1 se x ∈ [0, 1) 0 se x = 1. La convergenza uniforme sul segmento segue dal Teorema 2.2. 3. Convergenza uniforme e differenziabilità Nel seguente teorema proveremo che se una successione di funzioni derivabili converge in un punto e le derivate convergono uniformemente, allora la successione converge uniformemente. Teorema 3.1. Sia fn : [0, 1] → R, n ∈ N, una successione di funzioni derivabili. Supponiamo che: i) Esista x0 ∈ [0, 1] tale che la successione ( fn(x0) ) n∈N converge. ii) La successione di funzioni (f ′n)n∈N converge uniformemente ad una funzione g : [0, 1]→ R. Allora la successione (fn)n∈N converge uniformemente su [0, 1] ad una funzione f : [0, 1]→ R, f è derivabile ed f ′(x) = g(x) per ogni x ∈ [0, 1]. Dim. Proviamo innanzi tutto che la successione (fn)n∈N converge uniformemente. Sarà sufficiente verificare che la successione è uniformemente di Cauchy. Dati n,m ∈ N, per il Teorema di Lagrange per ogni x ∈ [0, 1] esiste ξ ∈ [x0, x] tale che fn(x)− fm(x) = fn(x0)− fm(x0) + ( f ′n(ξ)− f ′m(ξ) ) (x− x0). 3. CONVERGENZA UNIFORME E DIFFERENZIABILITÀ 11 Dunque, per ogni ε > 0 esiste n̄ ∈ N tale che per ogni n,m ≥ n̄ si ha ‖fn − fm‖∞ ≤ |fn(x0)− fm(x0)|+ ‖f ′n − f ′m‖∞. In conclusione, (fn)n∈N converge uniformemente su [0, 1] ad una funzione f ∈ C([0, 1]). Sia ora x̄ ∈ [0, 1] un punto generico, e definiamo le funzioni gn : [0, 1]→ R gn(x) =  fn(x)− fn(x̄)x− x̄ se x 6= x̄f ′n(x̄) se x = x̄. Per la derivabilità di ciascuna fn, le funzioni gn sono continue. Proviamo che la successione (gn)n∈N è uniformemente di Cauchy. Per x 6= x̄ abbiamo gn(x)− gm(x) = fn(x)− fn(x̄)− (fm(x)− fm(x̄)) x− x̄ = h(x)− h(x̄) x− x̄ , dove abbiamo posto h = fn − fm, che è continua su [0, 1] e derivabile per x 6= x̄. Per il Teorema di Lagrange esiste ξ ∈ [x, x̄] tale che h(x)− h(x̄) = h′(ξ)(x− x̄), e dunque gn(x)− gm(x) = h′(ξ) = f ′n(ξ)− f ′m(ξ). Si deduce che ‖gn−gm‖∞ ≤ ‖f ′n−f ′m‖∞ e dunque (gn)n∈N è uniformemente di Cauchy dal momento che lo è (f ′n)n∈N. La conclusione è che la successione (gn)n∈N converge uniformemente. Proviamo che f è derivabile e che f ′ = g. Per il Teorema sullo scambio dei limiti si ha lim n→∞ lim x→x̄ fn(x)− fn(x̄) x− x̄ = lim x→x̄ lim n→∞ fn(x)− fn(x̄) x− x̄ , e dunque g(x̄) = lim n→∞ f ′n(x̄) = lim n→∞ lim x→x̄ fn(x)− fn(x̄) x− x̄ = lim x→x̄ lim n→∞ fn(x)− fn(x̄) x− x̄ = lim x→x̄ f(x)− f(x̄) x− x̄ = f ′(x̄).  Riassumiamo il Teorema 3.1 nel seguente corollario. Corollario 3.2 (Scambio di derivata e limite). Sia (fn)n∈N una successione di funzioni derivabili su [0, 1]. Supponiamo che (fn)n∈N converga puntualmente e che (f ′n)n∈N converga uniformemente. Allora, per ogni x ∈ [0, 1] si ha d dx lim n→∞ fn(x) = lim n→∞ d dx fn(x). Applicando il Teorema 3.1 alla successione delle somme parziali, si prova il se- guente teorema sulla derivazione sotto segno di serie. Teorema 3.3 (Scambio di derivata e somma). Sia fn : [0, 1] → R, n ∈ N, una successione di funzioni derivabili. Supponiamo che: i) Esiste un punto x0 ∈ [0, 1] tale che converga la serie ∞∑ n=1 fn(x0); 12 2. CONVERGENZA UNIFORME ii) La serie delle derivate ∞∑ n=1 f ′n(x) converge uniformemente su [0, 1]. Allora la serie di funzioni ∞∑ n=1 fn(x) converge uniformemente su [0, 1], definisce una funzione derivabile, ed inoltre d dx ∞∑ n=1 fn(x) = ∞∑ n=1 d dx fn(x). Osservazione 3.4. La scelta di lavorare sull’intervallo [0, 1] fatta in questa sezio- ne è di pura comodità. I teoremi valgono per qualsiasi intervallo (limitato o illimitato, aperto o chiuso) di R. 4. Convergenza uniforme e integrale di Riemann Vedremo ora che con la convergenza uniforme è possibile portare il limite sotto segno di integrale. Il Teorema 4.1, tuttavia è di uso limitato. Teoremi di passaggio al limite sotto segno di integrale molto più efficienti sono: 1) il Teorema della convergen- za dominata; 2) il Teorema della convergenza monotona (o di Beppo Levi). Questi teoremi richiedono la teoria dell’integrale di Lebesgue e verranno visti nella parte B del corso. Teorema 4.1 (Scambio di limite e integrale). Sia fn : [0, 1] → R, n ∈ N, una successione di funzioni Riemann-integrabili e sia f : [0, 1] → R una funzione. Se fn → f uniformemente su [0, 1] per n→∞, allora f è Riemann-integrabile e inoltre (4.2) lim n→∞ ∫ 1 0 fn(x)dx = ∫ 1 0 lim n→∞ fn(x)dx. Dim. Proviamo preliminarmente che la funzione f è limitata. Infatti, fissato ε > 0, per la convergenza uniforme esiste n̄ ∈ N tale che per ogni n ≥ n̄ si ha sup x∈[0,1] |fn(x)− f(x)| ≤ ε, e dunque per ogni x ∈ [0, 1] si ha |f(x)| ≤ |fn(x)− f(x)|+ |fn(x)| ≤ ε+ sup x∈[0,1] |fn(x)|. Questo prova la limitatezza di f . Proviamo ora che f è Riemann-integrabile. Sia ε > 0 fissato, e mostriamo che esiste una scomposizione σ = {0 = x0 < x1 < . . . < xm = 1} dell’intervallo [0, 1], per m ∈ N opportuno, tale che S(f, σ)− s(f, σ) ≤ ε, dove S(f, σ) = m∑ i=1 |Ii| sup x∈Ii f(x) e s(f, σ) = m∑ i=1 |Ii| inf x∈Ii f(x), sono le somme superiori e inferiori di f relativamente a σ, Ii = [xi−1, xi] e |Ii| = xi − xi−1. 5. ESERCIZI 15 dove 0 < R ≤ ∞ è il raggio di convergenza della serie di potenze. Provare che f ∈ C∞(−R,R). Verificare inoltre che an = f (n)(0) n! , n ∈ N. Esercizio 13. Per ogni x ∈ (−1, 1) calcolare la somma della serie ∞∑ n=1 n2xn. Esercizio 14. Sia f : R→ R la funzione f(x) = ∞∑ n=1 (−1)n 2 √ n+ cosx , x ∈ R. Provare che f ∈ C∞(R). Esercizio 15. Si consideri la successione di funzioni fn : Rn → R, n ∈ N, fn(x) = (x2 − 1)n n , x ∈ R. i) Provare che la serie di funzioni ∞∑ n=1 fn(x) converge uniformemente per x ∈ [−1, 1]. ii) Verificare che d dx ∞∑ n=1 fn(x) = ∞∑ n=1 d dx fn(x) per ogni x ∈ [−1, 1]. 5.3. Convergenza uniforme e integrale. Esercizio 16. Costruire una funzione f : [0, 1]→ R tale che: 1) f è Riemann-integrabile. 2) Detto A = { x ∈ [0, 1] : f non è continua in x } l’insieme dei punti di discontinuità di f , si ha Ā = [0, 1]. Esercizio 17. Studiare la convergenza puntuale e uniforme della successione di funzioni fn(x) = ( 1 n + sin2 x )n , x ∈ R. Calcolare quindi il limite lim n→∞ ∫ π 0 fn(x) dx. 16 2. CONVERGENZA UNIFORME Esercizio 18. i) Provare che lim n→∞ ∫ 1 0 (1− t2)ndt = 0. ii) Si consideri la successione di funzioni fn : [−1, 1]→ R, n ∈ N, fn(x) = ∫ x 0 (1− t2)ndt∫ 1 0 (1− t2)ndt , x ∈ [−1, 1]. Calcolare il limite puntuale f(x) = lim n→∞ fn(x), x ∈ [−1, 1], e discutere la convergenza uniforme. Esercizio 19. Per ogni x ∈ [−1, 1) calcolare la somma della serie ∞∑ n=0 xn 2n+ 1 . Esercizio 20. Si consideri la successione di funzioni fn : R→ R, n ∈ N, fn(x) = ∫ n 1 n ny2 + x2 dy, x ∈ R. i) Calcolare il limite puntuale f(x) = lim n→∞ fn(x), x ∈ R. ii) Studiare la convergenza uniforme nel limite precedente. CAPITOLO 3 Spazi metrici. Continuazione 1. Spazi di Banach di dimensione finita Sia (V, ‖ · ‖V ) uno spazio normato reale di dimensione finita n ≥ 1. Fissiamo una base v1, . . . , vn di V . La trasformazione ϕ : Rn → V ϕ(x) = n∑ i=1 xivi, x = (x1, . . . , xn) ∈ Rn, è un isomorfismo vettoriale. Definiamo su Rn la norma ‖x‖ = ‖ϕ(x)‖V , x ∈ Rn. Verificare che ‖·‖ sia una norma su Rn è un facile esercizio. Gli spazi normati (Rn, ‖·‖) e (V, ‖ · ‖V ) sono isomorfi come spazi vettoriali e isometrici, con isometria ϕ, come spazi metrici. Nel seguito, non è dunque restrittivo limitare la discussione ad Rn. Proposizione 1.1. Due norme ‖ · ‖1 e ‖ · ‖2 su Rn sono equivalenti. Ovvero, esistono due costanti 0 < C1 ≤ C2 <∞ tali che per ogni x ∈ Rn si ha (1.3) C1‖x‖1 ≤ ‖x‖2 ≤ C2‖x‖1. Dim. Senza perdere di generalità, possiamo supporre che ‖x‖1 = |x| = ( n∑ i=1 x2i )1/2 , x ∈ Rn. Affermiamo che la funzione f : Rn → [0,∞), f(x) = ‖x‖2, è continua rispetto alla distanza standard di Rn. Infatti, dalla subadditività della norma segue segue |f(x+ h)− f(x)| = ∣∣‖x+ h‖2 − ‖x‖2∣∣ ≤ ‖h‖2, x, h ∈ Rn. D’altra parte, indicando con e1, . . . , en la base canonica di Rn, si ha ‖h‖2 = ∥∥∥ n∑ i=1 hiei ∥∥∥ 2 ≤ n∑ i=1 |hi|‖ei‖2 ≤M n∑ i=1 |hi|, con M = max{‖e1‖2, . . . , ‖en‖2}. Dunque, per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che |h| < δ implica ‖h‖2 < ε, e quindi anche |f(x + h) − f(x)| < ε. In effetti abbiamo provato che f è uniformemente continua. La sfera unitaria K = {x ∈ Rn : |x| = 1} è un insieme compatto, e quindi per il Teorema di Weierstrass la funzione f : K → [0,∞) ammette massimo e minimo: esistono y, z ∈ K tali che 0 < C1 = ‖y‖2 ≤ ‖x‖2 ≤ ‖z‖2 = C2 <∞, x ∈ K. La disuguaglianza generele (1.3) segue per omogeneità.  17 20 3. SPAZI METRICI. CONTINUAZIONE Per n ∈ N sia fn ∈ C([0, 1]) la funzione cos̀ı definita fn(x) =  0 x ∈ [0, 1/2]n(x− 1/2) x ∈ [1/2, 1/2 + 1/n]1 x ∈ [1/2 + 1/n, 1]. La successione (fn)n∈N è di Cauchy. Infatti, dati m,n ∈ N con m ≥ n risulta d(fm, fn) = ∫ 1 0 |fn − fm|dx ≤ ∫ 1/2+1/n 1/2 (|fn|+ |fm|)dx ≤ 2 n . La candidata funzione limite è la funzione f(x) = { 0 x ∈ [0, 1/2] 1 x ∈ (1/2, 1]. In effetti, la funzione f è Riemann-integrabile su [0, 1] e risulta lim n→∞ ∫ 1 0 |fn(x)− f(x)|dx = 0, ma f non è in C([0, 1]) perchè ha un punto di discontinuità. Dunque la successione (fn)n∈N non converge ad un elemento di X. D’altra parte, sappiamo che ogni spazio metrico ammette un completamento, e ci si può dunque chiedere qual è il completamento di (C([0, 1]), ‖ · ‖1). Per rispondere occorre sviluppare la teoria dell’integrale di Lebesgue (seconda parte del corso). Il completamento è l’insieme delle funzioni Lebesgue-integrabili su [0, 1]. 2.4. Funzioni Lipschitziane. Sia A ⊂ Rn un insieme. Per ogni funzione f : A→ R definiamo Lip(f) = inf { L > 0 : |f(x)− f(y)| |x− y| ≤ L, x, y ∈ A, x 6= y } , e diciamo che f è Lipschitziana su A se Lip(f) <∞. Posto L = Lip(f) avremo allora |f(x)− f(y)| ≤ L|x− y|, x, y ∈ A. Dunque, le funzioni Lipschitziane sono uniformemente continue. L’insieme Lip(A) delle funzioni Lipschitziane su A a valori in Rm è un sottospazio vattoriale di C(A). Un corollario del Teorema di Ascoli-Arzelà è il seguente fatto. Supponiamo che A ⊂ Rn sia compatto. Allora l’insieme{ f ∈ C(A) : ‖f‖∞ ≤ 1 e Lip(f) ≤ 1 } è un sottoinsieme compatto di C(A) munito della norma della convergenza uniforme. 3. Teoremi di punto fisso Sia X un insieme e sia T : X → X una funzione da X in se stesso. Siamo inte- ressati all’esistenza di soluzioni x ∈ X dell’equazione T (x) = x. Un simile elemento x ∈ X si dice punto fisso di T . 3. TEOREMI DI PUNTO FISSO 21 3.1. Teorema delle contrazioni. Definizione 3.1 (Contrazione). Sia (X, d) uno spazio metrico. Un’applicazione T : X → X è una contrazione se esiste un numero 0 < λ < 1 tale che d(T (x), T (y)) ≤ λd(x, y) per ogni x, y ∈ X. Le contrazioni sono Lipschitziane e dunque uniformemente continue. Teorema 3.2 (Banach). Sia (X, d) uno spazio metrico completo e sia T : X → X una contrazione. Allora esiste un unico punto x ∈ X tale che x = T (x). Dim. Sia x0 ∈ X un qualsiasi punto e si definisca la successione xn = T n(x0) = T ◦ . . . ◦T (x0), n-volte. Proviamo che la successione (xn)n∈N è di Cauchy. Infatti, per la disuguaglianza triangolare si ha per ogni n, k ∈ N d(xn+k, xn) ≤ k∑ h=1 d(xn+h, xn+h−1) = k∑ h=1 d(T n+h(x0), T n+h−1(x0)) ≤ d(T (x0), x0) k∑ h=1 λn+h−1 ≤ λnd(T (x0), x0) ∞∑ h=1 λh−1. La serie converge e λn → 0 per n→∞, dal momento che λ < 1. Poichè X è completo, esiste un punto x ∈ X tale che x = lim n→∞ T n(x0). Proviamo che x = T (x). La funzione T : X → X è continua e quindi abbiamo x = lim n→∞ T n(x0) = lim n→∞ T (T n−1(x0)) = T ( lim n→∞ T n−1(x0)) = T (x). Proviamo infine che il punto fisso è unico. Sia x̄ ∈ X tale che x̄ = T (x̄). Allora abbiamo d(x, x̄) = d(T (x), T (x̄)) ≤ λd(x, x̄) ⇒ d(x, x̄) = 0, perchè λ < 1, e quindi x = x̄.  La dimostrazione del Teorema di Banach è costruttiva e può essere implementata in un calcolatore. Teorema 3.3. Sia (X, d) uno spazio metrico completo e sia T : X → X un’ap- plicazione tale che per qualche n ∈ N l’iterazione T n è una contrazione. Allora esiste un unico x ∈ X tale che x = T (x). Dim. Per il Teorema di Banach esiste un unico x ∈ X tale che T n(x) = x. Allora, per qualche 0 ≤ λ < 1, si ha d(x, T (x)) = d(T n(x), T (T n(x))) = d(T n(x), T n(T (x))) ≤ λd(x, T (x)), e quindi d(x, T (x)) = 0, che è equivalente a T (x) = x. Supponiamo che esista un secondo punto fisso y ∈ X, con y = T (y). Allora si ha anche y = T n(y) e pertanto x = y, dall’unicità del punto fisso di T n.  22 3. SPAZI METRICI. CONTINUAZIONE 3.2. Teoremi di Brouwer e di Schauder. Teorema 3.4 (Brouwer). SiaK ⊂ Rn, n ≥ 1, una palla chiusa in e sia T : K → K continua. Allora esiste x ∈ K tale che T (x) = x. In questi casi, il punto fisso tipicamente non è unico. Per n = 1 il teorema precedente ha una dimostrazione elementare. Per n = 2, la dimostrazione migliore è si basa sulla nozione di omotopia. Per n ≥ 3, esistono dimostrazioni basate sull’omologia. Per una dimostrazione analitica, si veda Evans, Partial Differential Equations, p.441. Il Teorema di Brouwer si estende alla dimensione infinita. Teorema 3.5 (Schauder). Sia (X, ‖ · ‖) uno spazio di Banach e sia K ⊂ X un insieme non-vuoto, chiuso e convesso. Sia T : K → K un’applicazione tale che: i) T è continua; ii) T (K) ⊂ K è compatto. Allora esiste x ∈ K tale che T (x) = x. Per una dimostrazione, si veda Evans, Partial Differential Equations, p.502. 4. Trasformazioni lineari e continue Siano (X, ‖ · ‖X) e (Y, ‖ · ‖Y ) due spazi normati reali. Per ogni trasformazione (operatore) lineare T : X → Y definiamo ‖T‖ = sup ‖x‖X≤1 ‖Tx‖Y . Se ‖T‖ <∞ diremo che T è una trasformazione limitata e chiameremo ‖T‖ la norma di T . Indichiamo con L(X, Y ) = { T : X → Y | lineare e limitata } , l’insieme delle trasformazioni lineari e limitate da X a Y . Con le naturali operazioni di somma fra applicazioni e di moltiplicazione per uno scalare, L(X, Y ) è uno spazio vettoriale reale. Osserviamo che dalla definizione di ‖T‖ segue immediatamente la disuguaglianza (4.6) ‖Tx‖Y ≤ ‖T‖‖x‖X , x ∈ X. Proviamo che ‖ · ‖ è una norma: i) Se T = 0 è l’applicazione nulla, allora ‖T‖ = 0. Se viceversa ‖T‖ = 0 allora dalla (4.6) segue che ‖Tx‖Y = 0 per ogni x ∈ X, e quindi T = 0. ii) Per ogni λ ∈ R si ha ‖λT‖ = sup ‖x‖X≤1 ‖(λT )x‖Y = sup ‖x‖X≤1 ‖λ(Tx)‖Y = |λ| sup ‖x‖X≤1 ‖Tx‖Y = |λ|‖T‖. iii) Infine verifichiamo la subadditività. Se T, S ∈ L(X, Y ) allora ‖T + S‖ = sup ‖x‖X≤1 ‖(S + T )x‖Y = sup ‖x‖X≤1 ‖Sx+ Tx‖Y ≤ sup ‖x‖X≤1 ‖Sx‖Y + ‖Tx‖Y ≤ ‖S‖+ ‖T‖. Proposizione 4.1. Sia T : X → Y lineare. Sono equivalenti le seguenti afferma- zioni: 6. INSIEMI CONNESSI 25 iii)⇒ iv). Proviamo che X è completo. Sia (xn)n∈N una successione di Cauchy. Per ipotesi esiste una sottosuccessione (xnk)k∈N che converge ad un punto x ∈ X. Ma allora, fissato ε > 0 esistono n̄, k̄ ∈ N tali che d(x, xn) ≤ d(x, xnk) + d(xnk , xn) ≤ 2ε non appena k ≥ k̄ e n, nk ≥ n̄. Questo prova che xn → x in X per n→∞. Proviamo che X è totalmente limitato. Supponiamo per assurdo che esista r > 0 tale che non ci sia un ricoprimento finito di X con palle di raggio r. Prendiamo x1 ∈ X, x2 ∈ X \ Br(x1) e per induzione xn ∈ X \ n−1⋃ i=1 Br(xi). La successione (xn)n∈N verifica d(xn, xm) ≥ r per ogni n 6= m, e dunque non può avere sottosuccessioni convergenti. iv)⇒ i). Questa è la parte più significativa della dimostrazione. Supponiamo per assurdo che X non sia compatto. Allora c’è un ricoprimento aperto di X, sia esso {Aα}α∈A, che non ha alcun sottoricoprimento finito. Per la totale limitatezza, esistono palle B11 , . . . , B 1 n1 di raggio 1 tali che X =⋃n1 i=1B 1 i . Senza perdere di generalità possiamo supporre qui e nel seguito che le palle siano chiuse. In particolare, esiste una palla B1i1 , 1 ≤ i1 ≤ n1, che non è ricoperta da un numero finito di aperti Aα. L’insieme B 1 i1 è totalmente limitato, e quindi esistono palle B21 , . . . , B 2 n2 relative a B1i1 di raggio 1/2 tali che B 1 i1 ⊂ ⋃n2 i=1B 2 i . Esiste un insieme B2i2 che non può essere ricoperto da un numero finito di insiemi aperti Aα. Ora procediamo per induzione. Per ogni k ∈ N esiste una palla chiusa Bkik relativa a Bk−1ik−1 , con raggio 1/k che non può essere ricoperta con un numero finito di insiemi aperti Aα. Poichè X è completo, la successione decrescente di insiemi chiusi (Bkik)k∈N ha intersezione non vuota. Dunque esiste x ∈ ⋂∞ k=1B k ik . D’altra parte, x ∈ Aα per qualche α ∈ A ed esiste dunque r > 0 tale che Br(x) ⊂ Aα. Se ora k ∈ N è tale che 1/k < r/2 allora Bkik ⊂ Br(x) ⊂ Aα. Questa è una contraddizione, perchè B k ik non può essere ricoperto da un numero finito di insiemi Aα.  6. Insiemi connessi Questi argomenti verrano illustrati nel corso di Geometria 2, nel contesto degli spazi topologici. Definizione 6.1 (Spazio connesso). Uno spazio metrico (X, d) si dice connesso se la scomposizione X = A1 ∪ A2 con A1, A2 aperti tali che A1 ∩ A2 = ∅ implica che A1 = ∅ oppure A2 = ∅. Se X non è connesso allora esistono due insiemi aperti disgiunti e non-vuoti A1 e A2 tali che X = A1∪A2. Quindi A1 = X\A2 e A2 = X\A1 sono contemporaneamente aperti e chiusi. Se X è connesso ∅ e X sono gli unici insiemi ad essere sia aperti che chiusi. Sia (X, d) uno spazio metrico e sia Y ⊂ X un suo sottoinsieme. Allora (Y, d) è ancora uno spazio metrico che avrà la sua topologia τ(Y ), che si dice topologia indotta da X su Y o topologia relativa. 26 3. SPAZI METRICI. CONTINUAZIONE Esercizio 21. Sia Y ⊂ X con la topologia relativa. Provare che un insieme A ⊂ Y è aperto in Y se e solo se esiste un insieme aperto B ⊂ X tale che A = Y ∩B. Esempio 6.2. Sia X = R e Y = [0, 1]. L’insieme [0, 1/2) ⊂ [0, 1] è relativamente aperto in [0, 1] in quanto [0, 1/2) = [0, 1] ∩ (−∞, 1/2). Definizione 6.3. Sia (X, d) uno spazio metrico. Un sottoinsieme Y ⊂ X si dice connesso se è connesso rispetto alla topologia indotta. Precisamente, se Y = (Y ∩ A1) ∪ (Y ∩ A2) con A1, A2 aperti di X e unione disgiunta, allora Y ∩ A1 = ∅ oppure Y ∩ A2 = ∅. Esempio 6.4. Sia R munito della distanza Euclidea. 1) L’insieme A ⊂ R, A = [−2,−1] ∪ [1, 2] non è connesso in R. Infatti la seguente unione è disgiunta: A = (A ∩ (−3, 0)) ∪ (A ∩ (0, 3)). 2) L’intervallo I = [0, 1] ⊂ R è connesso. Proviamo questo fatto. Siano A1, A2 aperti di R tali che: I = (I ∩ A1) ∪ (I ∩ A2). con unione disgiunta. Supponiamo ad esempio che 0 ∈ A1. Definiamo x̄ = sup { x ∈ [0, 1] : [0, x) ⊂ I ∩ A1 } . Deve essere 0 < x̄ ≤ 1. Se fosse x̄ ∈ A2 allora x̄ − ε ∈ I ∩ A2 per qualche ε > 0 ma allora I ∩A1 ∩A2 6= ∅. Questo non è possibile. Quindi x̄ ∈ I ∩A1. Se x̄ < 1 allora esiste δ > 0 tale che x̄ + ε ∈ A1 ∩ I per ogni 0 < ε < δ. Dunque [x̄, δ) ⊂ A1 e questo contraddice la definizione di x̄. Quindi x̄ = 1 e dunque I ⊂ A1 e quindi I ∩ A2 = ∅. Altrimenti (I ∩ A1) ∩ (I ∩ A2) 6= ∅. Teorema 6.5. Siano (X, dX) e (Y, dY ) due spazi metrici e sia f : X → Y continua. Se X è connesso allora f(X) ⊂ Y è connesso. Dim. Siano A1, A2 ⊂ Y insiemi aperti tali che f(X) = (f(X) ∩ A1) ∪ (f(X) ∩ A2) con unione disgiunta. Allora X = f−1(f(X)) = f−1((f(X) ∩ A1) ∪ (f(X) ∩ A2)) = f−1(f(X) ∩ A1) ∪ f−1(f(X) ∩ A2)) = (X ∩ f−1(A1)) ∪ (X ∩ f−1(A2)) = f−1(A1) ∪ f−1(A2). L’ultima unione è disgiunta e gli insiemi f−1(A1), f −1(A2) sono aperti. Siccome X è connesso deve essere f−1(A1) = ∅ oppure f−1(A2) = ∅. Dunque, si ha f(X)∩A1 = ∅ oppure f(X) ∩ A2 = ∅.  Definizione 6.6 (Spazio connesso per archi). Uno spazio metrico (X, d) si dice connesso per archi se per ogni coppia di punti x, y ∈ X esiste una curva continua γ : [0, 1]→ X tale che γ(0) = x e γ(1) = y. Teorema 6.7. Se uno spazio metrico (X, d) è connesso per archi allora è connesso. 6. INSIEMI CONNESSI 27 Dim. Supponiamo per assurdo che X non sia connesso. Allora esistono due aperti A1, A2 disgiunti e non vuoti tali che X = A1 ∪ A2. Siano x ∈ A1 e y ∈ A2, e sia γ : [0, 1]→ X una curva continua tale che γ(0) = x e γ(1) = y. Ma allora [0, 1] = ([0, 1] ∩ γ−1(A1)) ∪ ([0, 1] ∩ γ−1(A2)) con unione disgiunta e γ−1(A1)) e γ −1(A2) aperti non vuoti in [0, 1]. Questo è assurdo.  Esercizio 22. Si consideri il seguente sottoinsieme del piano: A = { (x, sin(1/x)) ∈ R2 : x ∈ (0, 1] } ∪ { (0, y) ∈ R2 : y ∈ [−1, 1] } con la topologia indotta dal piano. Provare che A è connesso ma non è connesso per archi. Esempio 6.8. 1) Rn è connesso per ogni n ≥ 1. 2) Rn \ {0} è connesso per n ≥ 2 ma non è connesso per n = 1. 3) Rn \ {x ∈ Rn : xn = 0} non è connesso, n ≥ 1. 4) Rn \ {x ∈ Rn : |x| = 1} non è connesso, n ≥ 1. Teorema 6.9. Sia A ⊂ Rn un aperto connesso (non vuoto). Allora A è connesso per archi. Dim. Dimostreremo un’affermazione più precisa: A è connesso per curve poligo- nali. Sia x0 ∈ A un punto scelto a nostro piacere. Definiamo il seguente insieme A1 = { x ∈ A : x si connette a x0 con una curva poligonale contenuta in A } . Proviamo che A1 è aperto. Infatti, se x ∈ A1 ⊂ A allora esiste ε > 0 tale che Bε(x) ⊂ A, in quanto A è aperto. Ogni punto di y ∈ Bε(x) si collega al centro x con un segmento contenuto in A. Dunque y si collega a x0 con una curva poligonale contenuta in A, ovvero Bε(x) ⊂ A1. Sia A2 = A \ A1. Proviamo che anche A2 è aperto. Se x ∈ A2 ⊂ A allora esiste ε > 0 tale che Bε(x) ⊂ A. Affermiamo che Bε(x) ⊂ A2. Se cos̀ı non fosse troveremmo y ∈ Bε(x)∩A1. Il punto x0 si collega a y con una curva poligonale in A ed y si collega ad x con un segmento contenuto in A. Quindi x ∈ A1, che non è possibile. Questo argomento prova che A2 è aperto. Allora abbiamo X = A1 ∪ A2 con A1 e A2 aperti ed unione disgiunta. Siccome X è connesso, uno degli aperti deve essere vuoto. Siccome A1 6= ∅ allora A2 = ∅. Questo termina la dimostrazione.  Teorema 6.10 (Valori intermedi). Sia A ⊂ Rn un aperto connesso e sia f : A→ R una funzione continua. Allora per ogni t ∈ (infA f, supA f) esiste un punto x ∈ A tale che f(x) = t. Dim. Siano x0, x1 ∈ A tali che f(x0) < t < f(x1). Sia γ : [0, 1] → A una curva continua tale che γ(0) = x0 e γ(1) = x1. La composizione ϕ(s) = f(γ(s)), s ∈ [0, 1], è continua. Per il Teorema dei valori intermedi in una dimensione esiste s ∈ (0, 1) tale che ϕ(s) = t. Il punto x = γ(s) ∈ A verifica la tesi del teorema.  30 3. SPAZI METRICI. CONTINUAZIONE Esercizio 35. Sia X = { f ∈ C1([−π, π]) : f(−π) = f(π) } munito della norma ‖ · ‖∞. Sia T : X → R la trasformazione T (f) = ∞∑ n=1 1√ n ∫ π −π f(x) sin(nx) dx. Provare che la serie che definisce T (f) converge e che T è lineare. Esercizio 36. Siano X e Y spazi normati. Provare che se Y è completo, allora anche L(X, Y ) è completo, con la norma operatoriale. Esercizio 37. Sia X = C([0, 1]) munito della sup-norma, e sia k : [0, 1]× [0, 1]→ R una funzione continua. Definiamo l’applicazione T : X → X T (f)(s) = ∫ 1 0 k(s, t)f(t) dt, f ∈ X. i) Provare che s 7→ T (f)(s) è continua su [0, 1]. ii) Provare che T ∈ L(X,X). iii) Dare condizioni su k affinchè T sia una contrazione. 7.4. Altri esercizi. Esercizio 38. Sia A ⊂ Rn un insieme non-vuoto e definiamo la funzione distanza f(x) = dist(x,A) = inf y∈A |x− y|, x ∈ Rn. Provare che f è 1-Lipschitziana. Esercizio 39. Sia A ⊂ Rn un insieme chiuso e sia x ∈ Rn. Un punto x̄ ∈ A si dice proiezione metrica di x ∈ Rn su A se |x − x̄| = dist(x,A). Provare che ogni punto x ∈ Rn ha almeno una proiezione metrica. Provare che se A è convesso allora la proiezione metrica è unica. Esercizio 40. Sia f ∈ C1(R) e consideriamo il sottografico A = { (x, y) ∈ R2 : y ≤ f(x) } . È vero che ogni p ∈ ∂A è proiezione metrica di almeno un punto q ∈ R2 \ A? Rispondere alla stessa domanda con f ∈ C2(R). Esercizio 41. Per ogni x ∈ Rn sia A(x) = (aij(x))i,j=1,...,n una matrice n × n simmetrica tale che x 7→ A(x) sia continua, ovvero x 7→ aij(x) è continua per ogni i, j = 1, ..., n. Siano λ1(x) ≤ ... ≤ λn(x) ∈ R gli autovalori di A(x). Per ogni vettore v ∈ Rn e per ogni x ∈ Rn vale λ1(x)|v|2 ≤ 〈A(x)v, v〉 ≤ λn(x)|v|2. Supponiamo che λ1 ≥ 0. Per ogni curva γ ∈ C1([0, 1];Rn), o più in generale C1 a tratti su [0, 1], definiamo la lunghezza `(γ) = ∫ 1 0 〈A(γ(t))γ̇(t), γ̇(t)〉1/2dt. Quando A(x) è la matrice identità si ottiene la lunghezza Euclidea di γ. Dati due punti x, y ∈ Rn definiamo d(x, y) = inf { `(γ) : γ : [0, 1]→ Rn C1 a tratti con γ(0) = x e γ(1) = y } . 7. ESERCIZI 31 1) Supponiamo che esista m > 0 tale che λ1(x) ≥ m per ogni x ∈ Rn. Provare che (Rn, d) è uno spazio metrico. 2) Supponiamo in aggiunta che esista M > 0 tale che λn(x) ≤ M per ogni x ∈ Rn. Provare che (Rn, d) è uno spazio metrico completo. Lo spazio metrico (Rn, d) è un esempio di “varietà Riemanniana”. 2. FUNZIONI A VALORI VETTORIALI 35 Inoltre, quando v2 6= 0 si ha ∂f ∂v (0) = lim t→0 v21v2 t2v41 + v 2 2 = v21 v2 . Osserviamo che il limite ottenuto non è un’espressione lineare in v. La funzione f , dunque, ha derivata direzionale in 0 in ogni direzione. Tuttavia, f non è continua in 0, dal momento che per ogni m ∈ R risulta lim t→0 f(t,mt2) = m 1 +m2 e il valore del limite dipende dall’apertura della parabola. Nel grafico di f gr(f) = { (x, y, f(x, y)) ∈ R3 : (x, y) ∈ R2 } c’è uno “strappo” nel punto 0 ∈ gr(f). Questo impedisce l’esistenza di un “piano tangente” al grafico, comunque si intenda la nozione di “piano tangente”. In conclusione, la nozione di funzione derivabile è naturale ed utile. Tuttavia è insoddisfacente per almeno due motivi: per n ≥ 2 la derivabilità (anche in tutte le direzioni) non implica la continuità; sempre per n ≥ 2 la derivabilità non implica l’esistenza di un piano tangente al grafico della funzione. 2. Funzioni a valori vettoriali Sia A ⊂ Rn un insieme aperto e consideriamo una funzione f : A → Rm, m ≥ 1. Avremo f = (f1, . . . , fm) dove fj : A→ R, j = 1, . . . ,m, sono le funzioni coordinate di f . D’ora in avanti, ci atterremo alla convenzione di rappresentare f come un vettore colonna (2.8) f =  f1... fm  . Diciamo che f è derivabile in un punto x ∈ A se ciascuna coordinata f1, . . . , fm è derivabile in x. In questo caso, scriveremo ∂f ∂xi (x) =  ∂f1 ∂xi (x) ... ∂fm ∂xi (x)  , i = 1, . . . , n. Definizione 2.1 (Matrice Jacobiana). Sia A ⊂ Rn un aperto e sia f : A → Rm una funzione derivabile nel punto x ∈ A. La matrice Jf (x) = Jf(x) =  ∂f1 ∂x1 (x) . . . ∂f1 ∂xn (x) ... . . . ... ∂fm ∂x1 (x) . . . ∂fm ∂xn (x)  =  ∇f1(x)... ∇fm(x)  si dice matrice Jacobiana di f in x. La matrice Jf(x) ha m righe and n colonne. 36 4. CALCOLO DIFFERENZIALE IN PIÙ VARIABILI Il significato geometrico della matrice Jacobiana è più recondito. Ritorneremo su questo punto nel Capitolo 7. 3. Richiami di algebra lineare Sia T : Rn → Rm una trasformazione lineare, T ∈ L(Rn;Rm). Fissiamo le basi e1, . . . , en base canonica di Rn, e1, . . . , em base canonica di Rm. Siano Tij ∈ R, i = 1, . . . ,m e j = 1, . . . , n, i numeri reali definiti tramite la seguente relazione T ej = m∑ i=1 Tijei, j = 1, . . . , n. Esiste una corrispondenza biunivoca fra la trasformazione lineare T e la matrice (Tij)i=1,...,m j=1,...,n . Scriviamo il punto x ∈ Rn come vettore colonna x =  x1... xn  ∈ Rn. Avremo allora, con la notazione di prodotto righe-colonne, T (x) = Tx =  T11 . . . T1n... . . . ... Tm1 . . . Tmn  x1... xn  =  n∑ j=1 T1jxj ... n∑ j=1 Tmjxj  ∈ Rn. La corrispondenza fra T e la matrice (Tij)i=1,...,m j=1,...,n dipende dalla scelta delle basi canoniche su Rn ed Rm. 4. Funzioni differenziabili In questa sezione introduciamo la definizione di funzione differenziabile. Definizione 4.1 (Differenziale). Sia A ⊂ Rn, n ≥ 1, un insieme aperto. Una funzione f : A → Rm, m ≥ 1, si dice differenziabile (o Fréchet-differenziabile) in un punto x0 ∈ A se esiste una trasformazione lineare T ∈ L(Rn,Rm) tale che (4.9) lim x→x0 f(x)− f(x0)− T (x− x0) |x− x0| = 0. Chiameremo la trasformazione lineare df(x0) = T il differenziale di f in x0. 4. FUNZIONI DIFFERENZIABILI 37 Osservazione 4.2. Lasciamo al lettore il compito di verificare le seguenti affer- mazioni. 1. Unicità del differenziale. Se il differenziale esiste allora esso è unico. Precisa- mente, se T, T̂ ∈ L(Rn,Rm) sono trasformazioni lineari che verificano (4.9) (per lo stesso punto x0), allora T = T̂ . Infatti, per ogni v ∈ Rn si ha Tv = lim t→0+ f(x0 + tv)− f(x0) t e l’unicità di T segue dall’unicità del limite. 2. Caso n = 1. Quando n = 1 (e indipendentemente da m ≥ 1), le nozioni di derivabilità e differenziabilità coincidono e inoltre df(x0) = f ′(x0) come vettori di Rm. La verifica di queste affermazioni è lasciata come esercizio. 3. Differenziale di una trasformazione lineare. Se f : Rn → Rm è lineare, allora df(x0) = f ∈ L(Rn,Rm) in ogni punto x0 ∈ Rn. Questo segue in modo elementare dal fatto che per ogni x ∈ Rn si ha f(x)− f(x0)− df(x0)(x− x0) = f(x)− f(x0)− f(x− x0) = 0. 4. Caso vettoriale. Una funzione f a valori in Rm è differenziabile se e solo se le sue m coordinate sono differenziabili. La Definizione 4.1 ha una generalizzazione naturale nell’ambito degli spazi nor- mati. Definizione 4.3. Siano (X, ‖·‖X) e (Y, ‖·‖Y ) due spazi normati, e sia A ⊂ X un aperto. Una funzione f : A → Y si dice Fréchet-differenziabile in un punto x0 ∈ A se esiste una trasformazione lineare e continua T ∈ L(X, Y ) tale che (4.10) lim x→x0 ‖f(x)− f(x0)− T (x− x0)‖Y ‖x− x0‖Y = 0. La trasformazione lineare df(x0) = T si chiama il differenziale di f in x0. Il differenziale è per definizione una trasformazione lineare e continua. Teorema 4.4 (Caratterizzazione della differenziabilità). Sia f : A → Rm una funzione con A ⊂ Rn insieme aperto e x0 ∈ A. Sono equivalenti le seguenti afferma- zioni: A) La funzione f è differenziabile in x0. B) Esistono una trasformazione lineare T ∈ L(Rn,Rm) ed una funzione Ex0 : A→ Rm tali che f(x) = f(x0) + T (x− x0) + Ex0(x) per x ∈ A e Ex0(x) = o(|x− x0|), x→ x0. Dim. A)⇒B). Scegliamo T = df(x0) e definiamo Ex0(x) = f(x)−f(x0)−T (x−x0). La funzione Ex0 verifica la proprietà richiesta lim x→x0 Ex0(x) |x− x0| = lim x→x0 f(x)− f(x0)− T (x− x0) |x− x0| = 0, in quanto f è differenziabile. 40 4. CALCOLO DIFFERENZIALE IN PIÙ VARIABILI Definizione 4.9 (Piano tangente ad un grafico). Sia f : A → R differenziabile in un punto x0 ∈ A. Sappiamo allora che si ha lo sviluppo f(x) = f(x0) + 〈∇f(x0), x− x0〉+ Ex0(x), dove Ex0(x) = o(|x− x0|) per x→ x0. Consideriamo la parte lineare dello sviluppo ϕ(x) = f(x0) + 〈∇f(x0), x− x0〉, x ∈ Rn. La funzione ϕ : Rn → R è affine, verifica ϕ(x0) = f(x0) e |f(x)− ϕ(x)| = o(|x− x0|) per x→ x0. Il suo grafico gr(ϕ) = { (x, ϕ(x)) ∈ Rn+1 : x ∈ Rn } è un piano affine n-dimensionale che si dice piano tangente (affine) al grafico di f nel punto (x0, f(x0)) ∈ gr(f). Esempio 4.10. Sia f : Rn → R la funzione f(x) = √ 1 + |x|2 e consideriamo la superficie n-dimensionale M = gr(f) = { (x, f(x)) ∈ Rn+1 : x ∈ Rn } . M è la falda superiore di un iperboloide di rotazione n-dimensionale. Calcoliamo il piano tangente ad M nel punto (x0, f(x0)) ∈ gr(f). Il gradiente di f in x0 è ∇f(x0) = x0√ 1 + |x0|2 . Il piano tangente (affine) è il grafico della funzione ϕ(x) = f(x0) + 〈∇f(x0), x− x0〉 = √ 1 + |x0|2 + 〈x0, x− x0〉√ 1 + |x0|2 = 1 + 〈x0, x〉√ 1 + |x0|2 , e precisamente gr(ϕ) = { (x, xn+1) ∈ Rn+1 : xn+1 = 1 + 〈x0, x〉√ 1 + |x0|2 } . 5. Differenziale della funzione composta In questa sezione proviamo la formula per il differenziale della funzione composta. Nel caso di somma e prodotto di funzioni si hanno i seguenti fatti. 1. Differenziale della somma. Se f, g : A→ Rm, A ⊂ Rn aperto, sono differenzia- bili in un punto x0 ∈ A allora anche la funzione somma f + g è differenziabile in x0 e inoltre d(f + g)(x0) = df(x0) + dg(x0). La verifica è elementare. 2. Differenziale del prodotto. Siano f, g : A → R, A ⊂ Rn aperto, funzioni diffe- renziabili in un punto x0 ∈ A. Allora anche la funzione prodotto f ·g è differenziabile in x0 e inoltre d(f · g)(x0) = f(x0)dg(x0) + g(x0)df(x0). La verifica è elementare e si ottiene moltiplicando gli sviluppi f(x) = f(x0) + df(x0)(x− x0) + Fx0(x) g(x) = g(x0) + dg(x0)(x− x0) +Gx0(x), 5. DIFFERENZIALE DELLA FUNZIONE COMPOSTA 41 con Fx0(x) = o(|x− x0|) e Gx0(x) = o(|x− x0|) per x→ x0. Teorema 5.1 (Differenziale della funzione composta). Sia A ⊂ Rn un insieme aperto e sia f : A → Rm una funzione differenziabile nel punto x0 ∈ A. Sia poi B ⊂ Rm un insieme aperto tale che f(A) ⊂ B e sia g : B → Rk una funzione differenziabile nel punto f(x0) ∈ B. Allora la funzione composta g ◦ f : A → Rk è differenziabile nel punto x0 e inoltre (5.14) d(g ◦ f)(x0) = dg(f(x0)) ◦ df(x0). Equivalentemente, le matrici Jacobiane verificano (5.15) Jg◦f (x0)︸ ︷︷ ︸ k×n = Jg(f(x0))︸ ︷︷ ︸ k×m Jf (x0)︸ ︷︷ ︸ m×n , con la notazione di prodotto fra matrici righe×colonne. Dim. Per il Teorema 4.4, avremo f(x) = f(x0) + T (x− x0) + Fx0(x), x ∈ A, con T = df(x0) ∈ L(Rn,Rm) ed Fx0 : A → Rm tale che Fx0(x) = o(|x − x0|) per x→ x0. Inoltre, posto y0 = f(x0), avremo g(y) = g(y0) + S(y − y0) +Gy0(y), y ∈ B, con S = dg(y0) ∈ L(Rm,Rk) ed Gy0 : B → Rk tale che Gy0(y) = o(|y − y0|) per y → y0. Componendo f con g si trova g(f(x)) = g(f(x0)) + S(f(x)− f(x0)) +Gf(x0)(f(x)) = g(f(x0)) + S(T (x− x0) + Fx0(x)) +Gf(x0)(f(x)) = g(f(x0)) + S(T (x− x0)) + S(Fx0(x)) +Gf(x0)(f(x)). Abbiamo usato la linearità di S. Chiaramente si ha S ◦ T ∈ L(Rn;Rk). Consideriamo la funzione Hx0 : A→ Rk Hx0(x) = S(Fx0(x)) +Gf(x0)(f(x)). Da un lato avremo, per x→ x0, S(Fx0(x)) = o(|x− x0|), e dall’altro, siccome x → x0 implica f(x) → f(x0) (la differenziabilità implica la continuità), per f(x) 6= f(x0) avremo Gf(x0)(f(x)) |x− x0| = |T (x− x0) + Ex0(x)| |x− x0| Gf(x0)(f(x)) |f(x)− f(x0)| = o(|x− x0|), x→ x0. Quando f(x) = f(x0), è semplicemente Gf(x0)(f(x)) = 0. In conclusione, Hx0(x) = o(|x − x0|) per x → x0. Per il Teorema 4.4, g ◦ f è differenziabile in x0 con differenziale d(g ◦ f)(x0) = S ◦ T = dg(f(x0)) ◦ df(x0). 42 4. CALCOLO DIFFERENZIALE IN PIÙ VARIABILI Esempio 5.2 (Derivata di una funzione lungo una curva). Sia γ : [0, 1]→ Rn una curva derivabile (equivalentemente, differenziabile) in tutti i punti. Coerentemente con la convenzione fissata in (2.8), pensiamo γ come un vettore colonna γ(t) =  γ1(t)... γn(t)  , t ∈ [0, 1]. Sia poi f : Rn → R una funzione differenziabile (in tutti i punti lungo la curva). Allora avremo d dt f(γ(t)) = Jf◦γ(t) = Jf (γ(t))Jγ(t) = ( ∂f ∂x1 (γ(t)) · · · ∂f ∂xn (γ(t)) ) γ̇1(t)... γ̇n(t)  = n∑ i=1 ∂f ∂xi (γ(t))γ̇i(t). Con una notazione più compatta possiamo anche scrivere (5.16) d dt f(γ(t)) = 〈∇f(γ(t)), γ̇(t)〉, t ∈ [0, 1]. Esempio 5.3. Esplicitiamo la formula (5.15) del Teorema 5.1. Siano f : Rn → Rm e g : Rm → Rk due funzioni differenziabili. La composizione G = g ◦ f ha k componenti G = (G1, . . . , Gk), da pensare come vettore colonna. La formula (5.15), ovvero JG(x) = Jg(f(x)) Jf(x), si legge nel seguente modo: ∂G1 ∂x1 . . . ∂G1 ∂xn ... . . . ... ∂Gk ∂x1 . . . ∂Gk ∂xn  =  ∂g1 ∂y1 . . . ∂g1 ∂ym ... . . . ... ∂gk ∂y1 . . . ∂gk ∂ym   ∂f1 ∂x1 . . . ∂f1 ∂xn ... . . . ... ∂fm ∂x1 . . . ∂fm ∂xn  , dove le derivate parziali di g vanno calcolate nel punto f(x), quelle di f e G nel punto x. Alla riga i ∈ {1, . . . , k} e colonna j ∈ {1, . . . , n} della matrice JG(x) si trova l’entrata ∂Gi ∂xj (x) = m∑ `=1 ∂gi ∂y` (f(x)) ∂f` ∂xj (x). 6. Teoremi del valor medio In questa sezione estendiamo il Teorema di Lagrange al caso multidimensionale. Teorema 6.1. Sia f : A→ R una funzione differenziabile nell’aperto A ⊂ Rn, e siano x, y ∈ A punti tali che [x, y] := { tx + (1 − t)y ∈ Rn : t ∈ [0, 1] } ⊂ A. Allora esiste un punto z ∈ [x, y] tale che (6.17) f(x)− f(y) = 〈∇f(z), x− y〉. 8. TEOREMA DI RADEMACHER 45 dove le quantità hj/|h| rimangono limitate, mentre per la continuità delle derivate parziali si ha per ogni j = 1, . . . , n: lim h→0 [ ∂f ∂xj ( x0 + j−1∑ i=1 hiei + h ∗ jej ) − ∂f ∂xj (x0) ] = 0, e la tesi (7.20) segue.  Osservazione 7.3. Riassumiamo la situazione: f ∈ C1(A) ⇒ f differenziabile in A ⇒ f derivabile e continua in A. Tuttavia, f può essere differenziabile in ogni punto di A senza che sia f ∈ C1(A). Questo fatto è già vero in dimensione n = 1. 8. Teorema di Rademacher In questa sezione accenniamo ad alcuni teoremi sulla differenziabilità delle funzioni Lipschitziane. Premettiamo la nozione di insieme di misura nulla in Rn. Un plurirettangolo di Rn è un insieme della forma Q = [a1, b1]× . . .× [an, bn] ⊂ Rn, con −∞ < ai ≤ bi <∞ per ogni i = 1, . . . , n. La misura (o volume) del plurirettan- golo Q è il numero reale |Q| = (b1 − a1) · . . . · (bn − an). Definizione 8.1 (Insieme di misura nulla). Diremo che un insieme A ⊂ Rn, n ≥ 1, ha misura nulla in Rn e scriveremo |A| = 0, se per ogni ε > 0 esiste una successione Qk, k ∈ N, di plurirettangoli di Rn tali che A ⊂ ∞⋃ k=1 Qk, e ∞∑ k=1 |Qk| ≤ ε. La definizione può essere equivalentemente data usando ricoprimenti di soli cubi oppure di palle. Esempio 8.2. Mostriamo che Qn ⊂ Rn ha misura nulla. Essendo l’insieme numerabile, si ha Qn = { qk ∈ Qn : k ∈ N } . Per ogni k ∈ N, sia Qk il cubo con faccie parallele agli iperpiani coordinati, centrato in qk e di lato ε 1/n/2k/n. Chiaramente Qn ⊂ ∞⋃ k=1 Qk, e ∞∑ k=1 |Qk| = ∞∑ k=1 ε 2k = ε. Osserviamo, tuttavia, che esistono insiemi di misura nulla con la cardinalità del continuo. Teorema 8.3 (Lebesgue). Sia f : [0, 1] → R una funzione monotona. Allora esiste un insieme A ⊂ [0, 1] di misura nulla in R, |A| = 0, tale che f è derivabile in tutti i punti di [0, 1] \ A. 46 4. CALCOLO DIFFERENZIALE IN PIÙ VARIABILI La dimostrazione del Teorema di Lebesgue è impegnativa ed è il punto di par- tenza di vari risultati di Analisi Reale e Teoria della Misura. Si veda ad esempio Kolmogorov-Fomin, Elementi di teoria delle funzioni e di analisi funzionale, Mir 1980, p.319. Per le funzioni Lipschitziane (e più in generale per le funzioni a variazione limitata) vale il teorema di Jordan. Teorema 8.4. Sia f : [0, 1] → R una funzione Lipschitziana (più in generale: una funzione a variazione limitata). Allora esistono due funzioni ϕ, ψ : [0, 1] → R monotone tali che f = ϕ− ψ. Siccome l’unione di due insiemi di misura nulla ha ancora misura nulla, dal Teo- rema di Lebesgue segue che le funzioni Lipschitiane sono derivabili al di fuori di un insieme di misura nulla. L’estensione di questo teorema al caso di funzioni di più variabili è nota come Teorema di Rademacher. Teorema 8.5 (Rademacher). Sia f : Rn → Rm, n,m ≥ 1, una funzione Lip- schitziana. Allora esiste un insieme A ⊂ Rn di misura nulla, |A| = 0, tale che f è differenziabile in tutti i punti di Rn \ A. La dimostrazione si basa sul risultato unidimensionale n = 1. Si veda Evans- Gariepy, Measure Theory and Fine Properties of Functions, p.81 (ed anche p.235, per una dimostrazione basata sulla teoria degli Spazi di Sobolev). Esempio 8.6. Sia K ⊂ Rn un chiuso. La funzione distanza f(x) = dist(x,K) è 1-Lipschitziana. Dunque, è differenziabile al di fuori di un insieme di misura nulla. 9. Derivate di ordine superiore. Teorema di Schwarz Sia A ⊂ Rn un insieme aperto e sia f : A → R una funzione derivabile, ovvero con tutte le derivate parziali ∂f ∂xi : A→ R, i = 1, . . . , n. Possiamo allora definire, se esistono, le derivate parziali di ordine 2 ∂ ∂xj ∂f ∂xi = ∂2f ∂xj∂xi = DjDif = fxixj , i, j = 1, . . . , n. Nel caso di indici uguali, scriveremo ∂2f ∂xi∂xi = ∂2f ∂x2i . In generale, l’ordine in cui sono calcolate le derivate parziali è rilevante. Esempio 9.1. Calcoliamo le derivate parziali seconde miste in 0 della funzione f : R2 → R, f(x, y) =  xyx 2 − y2 x2 + y2 , se x2 + y2 6= 0, 0, altrimenti. Se x2 + y2 6= 0, la derivata parziale di f in x è fx(x, y) = x4y + 4x2y3 − y5 (x2 + y2)2 , 9. DERIVATE DI ORDINE SUPERIORE. TEOREMA DI SCHWARZ 47 mentre fx(0, 0) = 0. Di conseguenza, fxy(0, 0) = lim y→0 fx(0, y)− fx(0, 0) y = −1. D’altra parte, per un evidente argomento di simmetria, si ha fyx(0, 0) = 1. Dunque, entrambe le derivate parziali miste in 0 esistono, ma sono diverse: fxy(0) = −1 6= 1 = fyx(0). Se le derivate parziali seconde miste sono continue, tuttavia, allora coincidono. Precisamente, si ha il seguente teorema: Teorema 9.2 (Schwarz). Sia f : R2 → R una funzione con le derivate parziali seconde miste definite in un intorno di 0 ∈ R2 e continue nel punto 0. Allora si ha fxy(0) = fyx(0). Dim. Definiamo la funzione ∆(h, k) = f(h, k)− f(h, 0)− f(0, k) + f(0, 0) = F (h, k)− F (0, k), h, k ∈ R, dove F (h, k) = f(h, k) − f(h, 0). Per il Teorema di Lagrange (o del valor medio) esiste h∗ ∈ (0, h) tale che F (h, k)− F (0, k) = Fx(h∗, k)h = ( fx(h ∗, k)− fx(h∗, 0) ) h. Di nuovo per il Teorema del valor medio, esiste k̂ ∈ (0, k) tale che fx(h∗, k) − fx(h ∗, 0) = fxy(h ∗, k̂)k. Scegliendo k = h, facendo il limite h → 0 e usando la continuità della funzione (x, y)→ fxy(x, y) in 0 ∈ R2, si trova lim h→0 ∆(h, h) h2 = lim h→0 fxy(h ∗, ĥ) = fxy(0). In modo analogo, partendo da ∆(h, k) = f(h, k)− f(0, k)− f(h, 0) + f(0, 0) = G(h, k)−G(h, 0), dove G(h, k) = f(h, k) − f(0, k), si trova per un opportuno k∗ ∈ (0, k) e per un opportuno ĥ ∈ (0, h) ∆(h, k) = Gy(h, k ∗)k = k ( fy(h, k ∗)− fy(0, k∗) ) = khfyx(ĥ, k ∗), e dunque lim h→0 ∆(h, h) h2 = lim h→0 fyx(ĥ, h ∗) = fyx(0). La tesi segue dall’unicità del limite.  Definizione 9.3. Sia A ⊂ Rn un insieme aperto. Definiamo C2(A) come l’insieme di tutte le funzioni f ∈ C1(A) tali che esistono e sono continue in A tutte le derivate parziali del secondo ordine DiDjf = ∂2f ∂xi∂xj ∈ C(A), i, j = 1, . . . , n. 50 4. CALCOLO DIFFERENZIALE IN PIÙ VARIABILI Ora, se v ∈ Rn con v 6= 0, avremo 〈B v |v| , v |v| 〉 ≥ m, da cui segue la tesi per un generico v.  Osservazione 10.7. Siano λ1 ≤ . . . ≤ λn gli autovalori della matrice simmetrica B. Dal corso di Geometria 2 sappiamo che B ≥ 0 se e solo se λ1 ≥ 0 e che B > 0 se e solo se λ1 > 0. In effetti, risulta λ1 = m = min |v|=1 〈Bv, v〉. Teorema 10.8 (Condizioni necessarie di estremalità). Sia x0 ∈ A, con A ⊂ Rn aperto, un punto di minimo locale di una funzione f ∈ C2(A). Allora: i) ∇f(x0) = 0 (condizione necessaria del primo ordine). ii) Hf(x0) ≥ 0 (condizione necessaria del secondo ordine). Dim. i) Esiste r > 0 tale Br(x0) ⊂ A ed f(x) ≥ f(x0) per x ∈ Br(x0). Per t ∈ R con |t| < r avremo x0 + tei ∈ Br(x0); inoltre, f(x0 + tei)− f(x0) t ≥ 0 per t > 0, e f(x0 + tei)− f(x0) t ≤ 0 per t < 0. Passando al limite per t→ 0 si ottengono le disuguaglianze fxi(x0) = lim t→0+ f(x0 + tei)− f(x0) t ≥ 0, fxi(x0) = lim t→0− f(x0 + tei)− f(x0) t ≤ 0, da cui si deduce che fxi(x0) = 0 per ogni i = 1, . . . , n. ii) Dalla formula di Taylor del secondo ordine con resto di Peano e dal fatto che ∇f(x0) = 0, per ogni v ∈ Rn e per ogni t ∈ R sufficientemente piccolo si ha la disuguaglianza 0 ≤ f(x0 + tv)− f(x0) = t2 2 〈Hf(x0)v, v〉+ o(t2). Dividendo per t2 > 0 e facendo poi il limite per t→ 0 si deduce che 〈Hf(x0)v, v〉 ≥ 0.  Teorema 10.9 (Condizioni sufficienti per la minimalità locale). Siano x0 ∈ A, A ⊂ Rn aperto, ed f ∈ C2(A). Supponiamo che: i) ∇f(x0) = 0; ii) Hf(x0) > 0. Allora x0 è un punto di minimo locale stretto di f . 11. FUNZIONI CONVESSE 51 Dim. Sia r > 0 tale che Br(x0) ⊂ A, da fissare in modo definitivo in seguito. La funzione f ha lo sviluppo di Taylor f(x) = f(x0) + 1 2 〈Hf(x0)(x− x0), x− x0〉+ o(|x− x0|2), x→ x0. Abbiamo usato il fatto che ∇f(x0) = 0. Sia m > 0 la costante data dal Lemma 10.6. Allora 1 2 〈Hf(x0)(x− x0), x− x0〉+ o(|x− x0|2) ≥ |x− x0|2 (m 2 + o(1) ) , dove o(1) è una funzione in x infinitesima per x → x0. Dunque esiste r > 0 tale che per x ∈ Br(x0) m 2 + o(1) ≥ m 4 . Di conseguenza, se 0 < |x− x0| < r si ha f(x)− f(x0) ≥ |x− x0|2 (m 2 + o(1) ) ≥ m 4 |x− x0|2 > 0. Questo prova che x0 è un punto di minimo locale stretto.  11. Funzioni convesse Un insieme A ⊂ Rn si dice convesso se per ogni coppia di punti x, y ∈ A si ha [x, y] = { tx+ (1− t)y ∈ Rn : t ∈ [0, 1] } ⊂ A. Una funzione f : A→ R si dice convessa se per ogni x, y ∈ A e t ∈ [0, 1] si ha f(tx+ (1− t)y) ≤ tf(x) + (1− t)f(y). La funzione si dice strettamente convessa se per ogni x, y ∈ A con x 6= y, e per ogni t ∈ (0, 1) si ha la disuguaglianza stretta f(tx+ (1− t)y) < tf(x) + (1− t)f(y). La nozione di insieme convesso si formula in modo naturale negli spazi vettoriali. La nozione di funzione convessa si formula in modo naturale per funzioni a valori reali definite in un insieme convesso di uno spazio vettoriale. Omettiamo la dimostrazione della seguente proposizione. Proposizione 11.1. Sia A ⊂ Rn un insieme convesso e sia f : A → R una funzione. Sono equivalenti le seguenti affermazioni: A) f è convessa; B) l’epigrafico di f epi(f) = { (x, xn+1) ∈ Rn+1 : x ∈ A, xn+1 > f(x) } è un insieme convesso in Rn+1. Anche la dimostrazione del seguente fatto è omessa. Proposizione 11.2. Siano A ⊂ Rn un insieme convesso ed f ∈ C(A) una funzione continua. Sono equivalenti le seguenti affermazioni: A) f è convessa; 52 4. CALCOLO DIFFERENZIALE IN PIÙ VARIABILI B) Per ogni coppia di punti x, y ∈ A si ha f ( x+ y 2 ) ≤ 1 2 f(x) + 1 2 f(y). La dimostrazione della parte non banale B)⇒A) si basa sull’approssimazione di un generico t ∈ [0, 1] con successioni “diadiche” e su un’applicazione iterata della convessità del punto medio. Richiamiamo, infine, il seguente teorema sulle funzioni convesse in dimensione n = 1. Proposizione 11.3. Sia ϕ : I → R, con I = [a, b] ⊂ R intervallo, una funzione convessa. Allora: i) Per ogni y ∈ I, la funzione (11.22) x 7→ ϕ(x)− ϕ(y) x− y , x ∈ I \ {y}, è crescente. ii) Per ogni a < α < β < b, ϕ è Lipschitziana su [α, β]. Vogliamo estendere questo teorema a dimensione generica n ≥ 1. Per ogni r > 0 definiamo il cubo chiuso centrato in 0 ∈ Rn di semilato r > 0 Qr = { x ∈ Rn : |xi| ≤ r, i = 1, . . . , n } . Teorema 11.4. Siano 0 < r < R e sia f : QR → R una funzione convessa, QR ⊂ Rn, n ≥ 1. Allora esiste una costante L ≥ 0 tale che per ogni x, y ∈ Qr si ha |f(x)− f(y)| ≤ L|x− y|. Dim. Diamo la dimostrazione nel caso n = 2. Dalla Proposizione 11.3, parte ii), segue che f ∈ C(∂Qr) e quindi esiste finito il minimo m = min x∈∂Qr f(x) ∈ R. Inoltre, detti qi, i = 1, 2, 3, 4, i quattro vertici del quadrato QR (i “punti estremali” di QR), dalla convessità di f segue che per ogni x ∈ QR si ha f(x) ≤ max{f(qi) : i = 1, 2, 3, 4}. Dunque esiste finito anche il seguente massimo M = max x∈∂QR f(x) = max{f(qi) : i = 1, 2, 3, 4}. Dati x, y ∈ Qr con x 6= y, consideriamo la semiretta Lxy = { y + t(x − y) ∈ Rn : t ≥ 0 } . Siano x̄ ∈ ∂QR e ȳ ∈ ∂Qr punti tali che Lxy ∩ ∂QR = {x̄}, Lxy ∩ ∂Qr = {ȳ}. Il punto x̄ è definito in modo unico. Il punto ȳ è definito in modo unico se x, y non sono su uno stesso lato di ∂Qr. Usando due volte la monotonia (11.22), deduciamo che f(x)− f(y) |x− y| ≤ f(x̄)− f(y) |x̄− y| ≤ f(x̄)− f(ȳ) |x̄− ȳ| ≤ M −m R− r = L. 12. ESERCIZI 55 12. Esercizi 12.1. Differenziabilità. Funzioni C1. Esercizio 43. In dipendenza da α ∈ R si consideri la funzione f : R2 → R f(x, y) =  (2x2 + y2)α sin ( 1√ x2+y2 ) (x, y) 6= (0, 0) 0 (x, y) = (0, 0). 1) Studiare la continuità e la differenziabilità di f al variare di α. 2) Stabilire se esistono α tali che f sia differenziabile su R2 ma non di classe C1(R2). Esercizio 44. Sia f : R2 → R la funzione f(x, y) =  x 2y6 x6 + y8 (x, y) 6= (0, 0), 0 (x, y) = (0, 0). 1) Provare che f è continua su R2. 2) Stabilire se f è differenziabile in (0, 0). Esercizio 45. Sia f : R2 → R la funzione f(x, y) =  x 3y2 x4 + y6 (x, y) 6= (0, 0), 0 (x, y) = (0, 0). 1) Provare che f è continua su R2. 2) Stabilire se f è differenziabile in (0, 0). Esercizio 46. Costruire una funzione f : Rn → R, n ≥ 2, tale che: i) La derivata dirizionale fv(0) esiste finita per ogni v ∈ Rn; ii) La trasformazione v 7→ fv(0) è lineare; iii) f non è differenziabile in 0. Esercizio 47. Costruire un esempio di funzione f : Rn → R, n ≥ 2, tale che: i) Per ogni v ∈ Rn con |v| = 1 esiste la derivata direzionale fv(0) e si ha f(tv) = f(0) + tfv(0) + Ev(t), t ∈ R, con |Ev(t)| ≤ E(t) per una funzione E(t) = o(t) per t→ 0. ii) f non è differenziabile in 0. Esercizio 48. Una funzione f : Rn \ {0} → R si dice (positivamente) omogenea di grado α ∈ R se f(tx) = tαf(x) per ogni x 6= 0 e t > 0. Provare che se f ∈ C1(Rn \ {0}) è omogenea di grado α allora le sue derivate parziali sono omogenee di grado α − 1. Verificare inoltre la formula di Eulero, per x 6= 0, 〈∇f(x), x〉 = αf(x). 56 4. CALCOLO DIFFERENZIALE IN PIÙ VARIABILI Esercizio 49. Sia A = {(x, y) ∈ R2 : y > 0} e sia f ∈ C(Ā) ∩ C1(A) una funzione con derivate parziali fx ed fy uniformemente continue su A. Provare che esistono finite anche le seguenti derivate parziali al bordo ∂f ∂x (x, 0) = lim t→0 f(x+ t, 0)− f(x, 0) t e ∂f ∂y+ (x, 0) = lim t→0+ f(x, t)− f(x, 0) t . Esercizio 50. (1) Sia f : R2 → R la seguente funzione: f(x, y) = { xy sin ( 1 xy ) xy 6= 0, 0 xy = 0. Provare che f è continua in R2 ma non è derivabile nel punto (1, 0). (2) Sia f : R2 → R la seguente funzione: f(x, y) = { x2y2 sin ( 1 xy ) xy 6= 0, 0 xy = 0. Provare che f è differenziabile in ogni punto di R2 ma non è di classe C1(R2). Esercizio 51. Sia X = C([0, 1]) munito della sup-norma, e consideriamo l’appli- cazione F : X → R F (ϕ) = ∫ 1 0 ϕ(t)2dt. Provare che F è differenziabile in ogni punto ϕ ∈ X e calcolare il differenziale dF (ϕ) ∈ L(X;R). 12.2. Funzioni C2. Esercizio 52. Sia f : R2 → R la funzione f(x, y) =  xy(x 2 − y2) x2 + y2 (x, y) 6= (0, 0), 0 (x, y) = (0, 0). i) Stabilire se f ∈ C1(R2); ii) Stabilire se f ∈ C2(R2). Esercizio 53. Sia f : A→ R, A = {(x, y) ∈ R2 : x2 + y2 < 1}, la funzione f(x, y) = { xy(− log(x2 + y2))1/2, 0 < x2 + y2 < 1, 0 (x, y) = (0, 0). i) Provare che f ∈ C1(A); ii) Provare che esistono fxx, fyy ∈ C(A); iii) Stabilire se f ∈ C2(A). Esercizio 54. Sia u : Rn → R la funzione u(x) = |x|. Provare che per x 6= 0 si ha detD2u(x) = 0. 12. ESERCIZI 57 Esercizio 55. Sia ∆ : C2(Rn) → C(Rn) l’operatore differenziale del secondo ordine (operatore di Laplace) ∆ = n∑ i=1 ∂2 ∂x2i . Verificare che la funzione u(x) = |x|2−n, x 6= 0, verifica ∆u(x) = 0 per ogni x ∈ Rn, x 6= 0. A patto che n ≥ 3. La funzione u si dice soluzione fondamentale dell’equazione di Laplace. 12.3. Massimi/minimi. Esercizio 56. Al variare del parametro α ∈ R si consideri la funzione f : R2 → R f(x, y) = x3 − y3 + 3αxy. Determinare i punti critici di f ed eventuali punti di minimo/massimo locale/globale. Esercizio 57. Siano K = {(x, y) ∈ R2 : 0 ≤ x ≤ π, 0 ≤ y ≤ 2π} ed f : K → R f(x, y) = sin(2x) cos(y). i) Provare che f assume massimo e minimo su K; ii) Calcolare i punti critici di f in K e classificarli; iii) Tracciare un grafico qualitativo di f ; iv) Determinare l’insieme immagine f(K). Esercizio 58. Sia α > 0 un parametro fissato e consideriamo l’insieme A = { (x, y) ∈ R2 : |x| ≤ 1 α2 + y2 } . Provare che la funzione f(x, y) = 2xy assume massimo su A e calcolarlo. Esercizio 59. Sia A ⊂ R2 il più grande insieme su cui la funzione f(x, y) = |x2 − 2x| − log(y2 + x) + log x è ben definita. i) Calcolare i punti di estremo di f in A e classificarli; ii) Stabilire se f ha punti di sella in A. Esercizio 60. Per α > 1 sia K ⊂ R2 il triangolo chiuso di vertici (0, 0), (α + 1, 0), (0, α + 1) e sia f : K → R la funzione f(x, y) = xα + yα + (2 + α− x− y)α. Calcolare l’immagine f(K) ⊂ R. CAPITOLO 5 Equazioni differenziali ordinarie 1. Introduzione Sia Ω ⊂ Rn+2, n ∈ N, un insieme aperto e sia F : Ω→ R una funzione continua. Un’equazione della forma (1.23) F (x, y, y′, . . . , y(n)) = 0 si dice equazione differenziale ordinaria di ordine n. Qui, x è una variabile reale, y è una funzione incognita a valori reali e y′, . . . , y(n) sono le sue derivate. Una funzione ϕ ∈ Cn(I) si dice soluzione dell’equazione differenziale (1.23) se: i) I ⊂ R è un intervallo; ii) (x, ϕ(x), . . . , ϕ(n)(x)) ∈ Ω per ogni x ∈ I; iii) F (x, ϕ(x), . . . , ϕ(n)(x)) = 0 per ogni x ∈ I. Le questioni più importanti sulle equazioni differenziali ordinarie sono: 1) L’esistenza di soluzioni. 2) L’unicità delle soluzioni, una volta fissate opportune condizioni iniziali o dati al bordo. 3) La regolarità delle soluzioni, ad esempio la dipendenza dai dati iniziali o dalla F , la stabilità per tempi grandi, etc. 4) Il calcolo esplicito delle soluzioni. L’esistenza di soluzioni si prova con teoremi di punto fisso, con tecniche di ap- prossimazione e compattezza, con metodi variazionali, con teoremi della funzione implicita, con strumenti di Analisi Funzionale. Il problema dell’unicità è tipicamente più difficile. Solo in situazioni speciali è possibile calcolare le soluzioni in modo esplicito. Osservazione 1.1 (Equazioni in forma normale). Nel caso che F (x, y, y′, . . . , y(n)) = y(n) − f(x, y, y′, . . . , y(n−1)) per qualche funzione f : A→ R con A ⊂ Rn+1 aperto, l’equazione (1.23) diventa (1.24) y(n) = f(x, y, y′, . . . , y(n−1)). Un’equazione della forma (1.24) si dice in forma normale. Osservazione 1.2 (Equazioni di ordine n e sistemi di n equazioni). Trasformiamo l’equazione (1.24) in un sistema di equazioni. Se introduciamo le nuove funzioni incognite zi = y (i−1), i = 1, . . . , n 61 62 5. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE allora avremo z′i = y (i) = zi+1 per i = 1, . . . , n−1, mentre z′n = y(n) = f(x, z1, z2, . . . , zn). Quindi l’equazione differenziale di ordine n (1.24) è equivalente al sistema di equazioni differenziali di ordine 1 (1.25)  z′1 = z2 z′2 = z3 ... z′n = f(x, z1, z2, . . . , zn). La discussione dei sistemi di ordine 1 è più generale della discussione delle equazioni di ordine n. 2. Equazioni differenziali lineari del primo ordine Sia I ⊂ R un intervallo (ad esempio aperto) e siano a, b ∈ C(I) due funzioni continue. Un’equazione differenziale della forma (2.26) y′ + a(x)y = b(x), x ∈ I, si dice equazione lineare del primo ordine. Fissati x0 ∈ I e y0 ∈ R, possiamo prescrivere il valore della soluzione nel punto x0: (2.27) y(x0) = y0. Il problema di risolvere l’equazione differenziale (2.26) con la condizione iniziale (2.27) si chiama Problema di Cauchy. L’incognita del problema è una funzione y ∈ C1(I). Dedurremo la formula risolutiva dell’equazione differenziale, e più in generale del Problema di Cauchy, con un argomento euristico. Consideriamo preliminarmente il caso b = 0: (2.28) y′ + a(x)y = 0, x ∈ I. In questo caso, l’equazione differenziale si dice omogenea. Supponendo y 6= 0, ad esempio y > 0, l’equazione differenziale (2.28) si può riscrivere nella forma y′/y = −a(x). Una primitiva della funzione y′/y è log y. Dunque, indicando con A una primitiva di a, ovvero A′(x) = a(x) per ogni x ∈ I, abbiamo −A = log y + d, per qualche costante d ∈ R. Segue che y = exp(−d−A) e ponendo c = e−d troviamo la soluzione (2.29) y(x) = ce−A(x), x ∈ I. Questa funzione risolve l’equazione omogenea per ogni c ∈ R (in altri termini la limitazione y > 0 può essere lasciata cadere). Ora cerchiamo una soluzione della forma (2.29) per l’equazione non omogenea (2.26), dove ora c ∈ C1(I) è una funzione incognita che deve essere determinata. Questo metodo si chiama “variazione della costante”. Inserendo y′ = c′e−A − ace−A nell’equazione (2.26) otteniamo c′e−A = b, ovvero c′ = beA. 3. EQUAZIONI DIFFERENZIALI A VARIABILI SEPARABILI 65 Osserviamo preliminarmente che se g(y0) = 0 allora la funzione costante y(x) = y0, x ∈ I, è certamente una soluzione dell’equazione differenziale (3.32) che verifica la condizione iniziale. Siccome vogliamo dividere per g, supponiamo che g(y0) 6= 0. Allora risulta g 6= 0 in un intervallo aperto J1 ⊂ J che contiene y0. Possiamo allora dividere e separare le variabili. L’equazione differenziale si riscrive nel seguente modo: (3.34) y′(x) g(y(x)) = f(x), dove x varia in un intorno I1 ⊂ I del punto x0 tale che y(x) ∈ J1 per ogni x ∈ I1. Sia G ∈ C1(J1) una primitiva di 1/g(y) (nella variabile y), definita nell’intervallo J1 dove risulta g 6= 0. La funzione G è strettamente monotona, perchè G′(y) 6= 0, e pertanto G è invertibile. Sia poi F ∈ C1(I) una primitiva di f . Integrando l’equazione differenziale (3.34) si ottiene (3.35) G(y(x)) = F (x) + C, x ∈ I1. Qui, C ∈ R è una costante che può essere determinata tramite la condizione iniziale, e precisamente C = G(y0)− F (x0). La soluzione del Problema di Cauchy è dunque (3.36) y(x) = G−1(F (x)− F (x0) +G(y0)), x ∈ I1, dove G−1 : G(J1) → J1 è la funzione inversa di G. L’intervallo I1 ⊂ I è in generale più piccolo di I. Il precedente argomento rileva due tipi di soluzione dell’equazione differenziale (3.32): le soluzioni costanti e le soluzioni per cui g(y) 6= 0. Potrebbero, tuttavia, esser- ci altre soluzioni. Se g 6= 0 su J , l’argomento prova che la soluzione è necessariamente della forma (3.36). Teorema 3.1. Siano I, J ⊂ R due intervalli aperti, x0 ∈ I e y0 ∈ J , e siano f ∈ C(I), g ∈ C(J) tali che g 6= 0 su J . Allora il Problema di Cauchy (3.32)+(3.33) ha una soluzione unica y ∈ C1(I1) data dalla formula (3.36), per qualche intervallo aperto I1 ⊂ I contenente x0. La dimostrazione del teorema è contenuta nell’argomento precedente. Esempio 3.2. Cerchiamo la soluzione del Problema di Cauchy seguente (3.37)  y′ = 1 + 2x cos y y(0) = π. L’equazione differenziale è a variabili separabili y′ = f(x)g(y) con f(x) = 1 + 2x e g(y) = 1/ cos y. In particolare, g è definita per cos y 6= 0, ovvero per y 6= π/2 + kπ con k ∈ Z. Siccome vogliamo che g sia definita su un intervallo, tenuto conto della condizione iniziale dovremo considerare g : (π/2, 3π/2)→ R. Chiaramente g 6= 0. Separando le variabili otteniamo y′ cos y = 1 + 2x, e integrando troviamo la soluzione generale in forma implicita dell’equazione differenziale sin y = x+ x2 + C, 66 5. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE dove C ∈ R è una costante che si determina con la condizione iniziale y(0) = π, ovvero C = sin y(0) = 0. Ora dobbiamo invertire la relazione sin y = x + x2. Osserviamo che l’inversione “meccanica” z(x) = arcsin(x+ x2) non fornisce la soluzione del problema (3.37) perchè z(0) = arcsin(0) = 0 e la condizione iniziale non è verificata. Per determinare la soluzione corretta osserviamo che la funzione arcsin è l’inversa della funzione sin ristretta all’intervallo [−π/2, π/2]. Nel nostro caso, tuttavia, y prende valori in un intorno di π. Allora, ponendo w(x) = y(x)− π, abbiamo w(0) = y(0)−π = 0 e sinw = sin(y−π) = − sin y = −(x+x2). Siccome w assume valori in un intorno di 0, è ora lecito invertire la funzione seno e otteniamo w = − arcsin(x+ x2) e quindi y(x) = π − arcsin(x+ x2). Questa è la soluzione del problema, che è definita nell’intervallo aperto I1 = { x ∈ R : x+ x2 < 1 } . Dalla formula esplicita della soluzione, o anche direttamente dall’equazione differen- ziale si deduce che la soluzione y è decrescente in un intorno di x = 0. In effetti, y′(x) < 0 se e solo se 1 + 2x > 0, ovvero x > −1/2 ∈ I1. Esempio 3.3 (Esempio di Peano). Si consideri il problema di Cauchy (3.38) { y′(x) = 2 √ |y(x)|, x ∈ R, y(0) = 0 Osserviamo che la funzione f(y) = 2 √ |y| non è Lipschitziana in un intorno di y = 0. La funzione identicamente nulla y = 0 è una soluzione. Questa, tuttavia, non è l’unica soluzione. Una seconda soluzione può essere trovata separando le variabili: 2 = y′/ √ |y|. Integrando tale equazione sull’intervallo fra 0 e x ∈ R troviamo 2x = ∫ x 0 y′(t)√ |y(t)| dt = ∫ y(x) 0 1√ |z| dz = { 2 √ y(x), se y(x) > 0 −2 √ −y(x), se y(x) < 0. Nel cambiamento di variabili z = y(t) abbiamo usato la condizione iniziale y(0) = 0. In questo modo, troviamo la soluzione y ∈ C1(R) y(x) = { x2 if x ≥ 0, −x2 if x < 0. D’altra parte, per ogni coppia di numeri reali α ≤ 0 ≤ β, la funzione yαβ(x) =  (x− β) 2 if x ≥ β, 0 if α < x < β, −(x− α)2 if x ≤ α è di classe C1(R) e risolve il Problema di Cauchy (3.38). Dunque c’è un “continuo” di soluzioni noto come il “pennello di Peano”. Fra tutte queste soluzioni se ne possono selezionare due speciali: quella massima, che è y+(x) = 0 per x ≤ 0 e y(x) = x2 per x ≥ 0; e quella minima, che è y−(x) = −x2 5. PROBLEMA DI CAUCHY: ESISTENZA E UNICITÀ LOCALE DI SOLUZIONI NELL’IPOTESI LIPSCHITZ67 per x ≤ 0 e y(x) = 0 per x ≥ 0. Per ogni punto del piano (x0, y0) ∈ R2 tale che y−(x0) ≤ y0 ≤ y+(x0) esiste una soluzione y del Problema di Cauchy (3.38) tale che y(x0) = y0. Il “pennello di Peano” ricopre tutta la regione del piano compresa fra la soluzione massima e quella minima. 4. Altre classi di equazioni Esempio 4.1 (Equazioni di tipo omogeneo). Un’equazione differenziale con la seguente struttura y′ = f (y x ) si dice di tipo omogeneo. Qui, f : I → R è una funzione (continua) su un intervallo I ⊂ R. Con il cambiamento di variabile funzionale y = xz, dove z è la nuova funzione incognita, si ottiene y′ = z+xz′ e l’equazione differenziale si trasforma nella equazione a variabili separabili xz′ + z = f(z). Esempio 4.2 (Equazione di Bernoulli). Un’equazione differenziale con la struttura (4.39) y′ + a(x)y = b(x)yα, x ∈ I, dove α è un parametro reale tale che α 6= 0, 1 si dice di Bernoulli. Ponendo y = z 1 1−α , y′ = 1 1− α z α 1−α z′, l’equazione si trasforma nella seguente equazione lineare z′ + (1− α)a(x)z = (1− α)b(x). Esempio 4.3 (Dinamica delle popolazioni). Supponiamo che una certa popola- zione p > 0 evolva secondo la legge (4.40) ṗ(t) = γp(t) { 1− (p(t) K )ϑ} , t ∈ R, dove ṗ(t) = dp(t) dt e t ∈ R è la variabile temporale. Qui, γ, ϑ,K > 0 sono parametri fissati. L’equazione (4.40) è un tipico esempio di equazione di popolazione. L’equazione è di Bernoulli e può essere integrata esplicitamente. 5. Problema di Cauchy: Esistenza e unicità locale di soluzioni nell’ipotesi Lipschitz In Rn+1 = R × Rn, n ≥ 1, introduciamo le coordinate x ∈ R and y ∈ Rn. Sia poi Ω ⊂ Rn+1 un insieme aperto e sia f ∈ C(Ω;Rn) una funzione continua. Dato un punto (x0, y0) ∈ Ω consideriamo il Problema di Cauchy (5.41) { y′ = f(x, y) y(x0) = y0. Abbiamo un sistema di n equazioni differenziali del primo ordine con la condizione iniziale y(x0) = y0. Una funzione y ∈ C1(I;Rn) si dice soluzione del problema se: i) I ⊂ R è un intervallo (aperto) tale che x0 ∈ I; 70 5. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE Osservazione 5.3. Sia f ∈ C(Ω;Rn) una funzione tale che esistano continue le derivate parziali ∂fi ∂yj ∈ C(Ω), i, j = 1, . . . , n. Allora la funzione f è localmente di Lipschitz in y. Supponiamo ad esempio che sia Ω = Rn+1 e consideriamo un compatto K = [a, b] × {y ∈ Rn : |y − y0| ≤ r} per qualche −∞ < a < b < ∞, y0 ∈ Rn ed r > 0. Se (x, y1), (x, y2) ∈ K allora per il Teorema del valor medio esiste t∗ ∈ [0, 1] tale che fi(x, y1)− fi(x, y2) = 〈∇yfi(x, y1 + t∗(y2 − y1)), y2 − y1〉 ≤ |∇yfi(x, y1 + t∗(y2 − y1))||y2 − y1| ≤M |y2 − y1|, dove ∇y indica il gradiente nelle sole variabili y e M = max (x,y)∈K |∇yfi(x, y)| <∞, e l’affermazione segue. 6. Soluzioni massimali e criterio di prolungamento Sia f ∈ C(Ω;Rn) una funzione che verifica la condizione di Lipschitz (5.47) e sia (x0, y0) ∈ Ω. Proposizione 6.1. Nelle ipotesi del Teorema 5.2, siano I1 e I2 due intervalli aperti contenenti x0 e supponiamo che y1 ∈ C1(I1;Rn) e y2 ∈ C1(I2;Rn) siano soluzioni del Problema di Cauchy (5.41). Allora abbiamo y1 = y2 su I1 ∩ I2. Dim. L’insieme A = {x ∈ I1∩ I2 : y1(x) = y2(x)} è relativamente chiuso in I1∩ I2 in quanto y1 e y2 sono continue. Mostriamo che A è anche aperto in I1 ∩ I2. Dal momento che I1 ∩ I2 è connesso, seguirà che A = I1 ∩ I2. Siano dunque x̄0 ∈ A e ȳ0 = y1(x̄0) = y2(x̄0). Per il Teorema 5.2 esiste un δ > 0 tale che il Problema di Cauchy (6.48) { y′ = f(x, y) y(x̄0) = ȳ0 ha una soluzione unica y ∈ C1(I;Rn) con I = [x̄0 − δ, x̄0 + δ]. Per δ > 0 piccolo, si ha I ⊂ I1 ∩ I2. Segue allora che y = y1 = y2 in I, e perciò I ⊂ A.  Sia A l’insieme di tutte le coppie (J, yJ) dove J ⊂ R è un intervallo aperto che contiene x0 e yJ ∈ C1(J ;Rn) è una soluzione del Problema di Cauchy (5.41). Per il Teorema 5.2, abbiamo A 6= ∅. Sia I ⊂ R l’intervallo I = ⋃ J , dove l’unione è fatta su tutti gli intervalli J tali che (J, yJ) ∈ A. Sia y ∈ C1(I;Rn) la funzione definita da (6.49) y(x) = yJ(x) se x ∈ J. La funzione y è ben definita in quanto per la Proposizione 6.1 si ha yJ = yJ ′ su J ∩J ′. Inoltre, y è una soluzione del Problem di Cauchy (5.41). Definizione 6.2 (Soluzione massimale). La funzione y definita in (6.49) si chiama soluzione massimale del Problema di Cauchy (5.41). 6. SOLUZIONI MASSIMALI E CRITERIO DI PROLUNGAMENTO 71 Teorema 6.3 (Criterio di prolungamento). Siano I = (a0, b0) ⊂ R un intervallo aperto con −∞ < a0 < b0 < ∞, Ω = I × Rn, e sia f ∈ C(Ω;Rn) una funzione che verifica la proprietà di Lipschitz locale in y. Se y ∈ C1((a, b);Rn) è la soluzione massimale del Problema di Cauchy (5.41), per qualche intervallo (a, b) ⊂ (a0, b0), allora deve valere almeno una delle seguenti due affermazioni (o entrambe): i) b = b0; oppure: ii) lim x↑b |y(x)| =∞. C’è un’affermazione analoga relativa al punto a. Dim. Per assurdo, supponiamo che b < b0 e che esista una successione xk ∈ (a, b), k ∈ N, tale che lim k→∞ xk = b e sup k∈N |y(xk)| ≤M0, per qualche costante finita M0 < ∞. Ponendo ȳk = y(xk) ∈ Rn ed eventualmente estraendo una sottosuccessione possiamo supporre che lim k→∞ ȳk = ȳ0 per qualche ȳ0 ∈ Rn. Studiamo il seguente Problema di Cauchy (6.50) { z′(x) = f(x, z(x)) z(xk) = ȳk. Fissiamo un compatto H ⊂ Ω tale che (b, ȳ0) ∈ int(H) e poniamo M = max (x,y)∈H |f(x, y)| <∞. Per un opportuno ε > 0 e per ogni k ∈ N sufficientemente grande, l’insieme compatto K = [xk, 2b− xk]× {y ∈ Rn : |y − ȳk| ≤ ε} è contenuto in H. Consideriamo lo spazio funzionale X = { z ∈ C([xk, 2b− xk];Rn) : z(xk) = ȳk, ‖z − ȳk‖ ≤ ε } . Se k ∈ N è sufficientemente grande, abbiamo anche 2(b − xk)M ≤ ε. Quindi, l’operatore integrale Tz(x) = ȳk + ∫ x xk f(t, z(t))dt trasforma X in se stesso, ovvero T : X → X. Come nella dimostrazione del Teorema 5.2, un’opportuna iterazione di T è una contrazione su X e pertanto per il Teorema 3.3 esiste un’unica soluzione z ∈ C1([xk, 2b−xk];Rn) del Problema di Cauchy (6.50). D’altra parte, la funzione y risolve il medesimo Problema di Cauchy sull’intervallo [xk, b) e per l’unicità deve essere y = z su [xk, b). Questo prova che y può essere prolungata come soluzione del Problema di Cauchy (5.41) oltre b. Questo contraddice la massimalità di y.  72 5. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE 7. Lemma di Gronwall e soluzioni globali In questa sezione proviamo un teorema di esistenza globale delle soluzioni di equa- zioni differenziali nel caso che la funzione f verifichi una condizione di crescita al più lineare, si veda (7.53). A tale scopo occorre la seguente proposizione, nota come Lemma di Gronwall. Lemma 7.1. Siano I ⊂ R un intervallo, x0 ∈ I e ϕ ∈ C(I) una funzione continua non negativa, ϕ ≥ 0. Se esistono α, β ∈ R, con α, β ≥ 0, tali che (7.51) ϕ(x) ≤ α + β ∫ x x0 ϕ(t) dt, per ogni x ∈ I con x ≥ x0, allora (7.52) ϕ(x) ≤ αeβ(x−x0) per ogni x ∈ I con x ≥ x0. Dim. Sia Φ : I → R la funzione Φ(x) = α + β ∫ x x0 ϕ(t) dt, x ∈ I. Risulta Φ ∈ C1(I) ed inoltre Φ′(x) = βϕ(x) per ogni x ∈ I, per il Teorema fonda- mentale del calcolo. Dalla (7.51) segue che Φ′(x) ≤ βΦ(x) per x ∈ I, dal momento che β ≥ 0. La funzione Ψ(x) = e−β(x−x0)Φ(x) verifica allora Ψ′(x) = −βe−β(x−x0)Φ(x) + e−β(x−x0)Φ′(x) = e−β(x−x0) ( − βΦ(x) + Φ′(x) ) ≤ 0 e Ψ(x0) = Φ(x0) = α. Segue che Ψ(x) ≤ α per x ≥ x0, ovvero Φ(x) ≤ αeβ(x−x0) per ogni x ∈ I con x ≥ x0. Questo implica (7.52), dal momento che ϕ(x) ≤ Φ(x), per la (7.51).  Teorema 7.2 (Soluzioni globali). Siano I = (a0, b0) con −∞ ≤ a0 < b0 ≤ ∞, Ω = I × Rn, e sia f ∈ C(Ω;Rn) una funzione continua con la proprietà di Lipschitz locale in y (5.47). Supponiamo che per ogni compatto K ⊂ I esista una costante C ≥ 0 tale che (7.53) |f(x, y)| ≤ C(1 + |y|), per ogni x ∈ K e y ∈ Rn. Allora il Problema di Cauchy (5.41), con x0 ∈ I e y0 ∈ Rn, ha un’unica soluzione globale definita su tutto I. Dim. Sia y ∈ C1(J ;Rn) la soluzione massimale del Problema di Cauchy (5.41), con J = (a, b) ⊂ I. Supponiamo per assurdo che b < b0. Allora, per il Teorema 6.3 si ha (7.54) lim x↑b |y(x)| =∞. Siano K = [x0, b] e C > 0 tali che valga la (7.53). Dall’identità y(x) = y0 + ∫ x x0 f(t, y(t))dt, x ∈ J, 8. EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI DEL SECONDO ORDINE 75 Prova della suriettività: dato (y0, y ′ 0) ∈ R2, dal Teorema 8.1 segue l’esistenza di y ∈ S tale che T (y) = (y0, y′0). Dunque, lo spazio vettoriale S ha una base vettoriale composta da due soluzioni. Consideriamo due soluzioni y1, y2 ∈ S (non necessariamente linearmente indipenden- ti). Formiamo la matrice Wronskiana Wy1,y2(x) = ( y1(x) y2(x) y′2(x) y ′ 2(x) ) , e il determinante Wronskiano w(x) = det ( y1(x) y2(x) y′2(x) y ′ 2(x) ) = y1(x)y ′ 2(x)− y2(x)y′1(x). Chiaramente risulta w ∈ C1(I) e inoltre w′ = y′1y ′ 2 − y′2y′1 + y1y′′2 − y2y′′1 = y1(−a(x)y′2 − b(x)y2)− y2(−a(x)y′1 − b(x)y1) = −a(x)w. Integrando l’equazione differenziale scopriamo che il determinante Wronskiano ha la forma w(x) = w(x0) exp ( − ∫ x x0 a(t)dt ) , x ∈ I. In particolare, se w(x0) = 0 in un punto x0 ∈ I allora w = 0 in tutti i punti. Proposizione 8.3. Siano y1, y2 ∈ S soluzioni dell’equazione omogenea e sia w = detWy1,y2 il corrispondente determinante Wronskiano. Allora: (A) y1, y2 sono linearmente dipendenti se e solo se esiste x0 ∈ I tale che w(x0) = 0 (equivalentemente se e solo se w = 0 su I); (B) y1, y2 sono linearmente indipendenti se e solo se esiste x1 ∈ I tale che w(x1) 6= 0 (equivalentemente se e solo so w 6= 0 su I). Dim. Proviamo (A). Se y1, y2 sono linearmente dipendenti allora esistono (α, β) 6= (0, 0), α, β ∈ R, tali che αy1 + βy2 = 0 su I. Derivando vale anche αy′1 + βy′2 = 0 su I, e dunque ( y1 y2 y′2 y ′ 2 )( α β ) = ( 0 0 ) . Segue che w = 0 su tutto I. Supponiamo ora che w(x0) = 0 in un punto x0 ∈ I. Allora, esistono (α, β) 6= (0, 0) tali che ( y1(x0) y2(x0) y′2(x0) y ′ 2(x0) )( α β ) = ( 0 0 ) . La funzione z = αy1 + βy2 è in S e verifica z(x0) = 0 e z ′(x0) = 0. Dall’unicità della soluzione per il Problema di Cauchy segue che z = 0 e quindi y1, y2 sono linermente dipendenti. L’affermazione (B) segue da (A) per negazione. 76 5. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE 8.1. Metodo della variazione delle costanti. In questa sezione illustriamo il metodo per calcolare una soluzione dell’equazione non omogenea (8.56) y′′ + a(x)y + b(x)y = f(x), x ∈ I, una volta si sappia risolvere l’equazione omogenea corrispondente. Sia y1, y2 una base di soluzioni per l’equazione omogenea y′′+a(x)y+b(x)y = 0. Cerchiamo una soluzione del tipo (8.57) y = c1y1 + c2y2 dove c1, c2 : I → R sono funzioni da determinare. Derivando la relazione si ottiene y′ = c′1y1 + c1y ′ 1 + c ′ 2y2 + c2y ′ 2. Imponendo la condizione (8.58) c′1y1 + c ′ 2y2 = 0 l’espressione precedente si riduce alla seguente y′ = c1y ′ 1 + c2y ′ 2. Derivando nuovamente si ottiene y′′ = c′1y ′ 1 + c1y ′′ 1 + c ′ 2y ′ 2 + c2y ′′ 2 . Sostituendo nell’equazione differenziale di partenza, dopo qualche calcolo, si arriva alla seguente equazione c1(y ′′ 1 + ay ′ 1 + by1) + c2(y ′′ 2 + ay ′ 2 + by2) + c ′ 1y ′ 1 + c ′ 2y ′ 2 = f. Usando il fatto che y1, y2 risolvono l’equazione omogenea si ottiene la seconda condi- zione (8.59) c′1y ′ 1 + c ′ 2y ′ 2 = f. Mettendo a sistema le condizioni (8.58) e (8.59) si arriva al sistema( y1 y2 y′1 y ′ 2 )( c′1 c′2 ) = ( 0 f ) . Nel sistema è apparsa la matrice Wronskiana di y1, y2. Per la Proposizione 8.3, questa matrice è invertibile in ogni punto x ∈ I. Questo permette di risolvere il sistema in c′1 e c ′ 2: ( c′1 c′2 ) = ( y1 y2 y′1 y ′ 2 )−1( 0 f ) . Le due equazioni del sistema possono essere integrate. Questo procedimento determi- na c1 e c2 a meno di due costanti addittive che appaiono nel processo di integrazione. Una volta sostituite c1 e c2 nella (8.57), le due costanti possono essere determinate con delle eventuali condizioni iniziali. 8. EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI DEL SECONDO ORDINE 77 8.2. Equazioni lineari del secondo ordine a coefficienti costanti. Consi- deriamo un’equazione differenziale del tipo (8.60) y′′ + ay′ + by = 0 dove a, b ∈ R sono costanti. Si cercano soluzioni della forma y(x) = eλx, dove λ ∈ C è un parametro complesso. Sostituendo le derivate y′ = λeλx e y′′ = λ2eλx nell’equazione differenziale si ottiene l’equazione eλx(λ2 + aλ+ b) = 0. Siccome eλx 6= 0, tale equazione è verificata se e solo se λ verifica l’equazione caratte- ristica: λ2 + aλ+ b = 0. Sia ∆ = a2 − 4b il discriminante dell’equazione. Si possono presentare tre casi. 1) ∆ > 0. L’equazione caratteristica ha due soluzioni reali distinte λ1 = −a− √ ∆ 2 e λ2 = −a+ √ ∆ 2 . In questo caso, la soluzione generale y di (8.60) è una combinazione lineare delle soluzioni y1(x) = e λ1x e y2(x) = e λ2x, che sono linearmente indipendenti: y(x) = c1e λ1x + c2e λ2x, x ∈ R dove c1, c2 ∈ R. 2) ∆ < 0. L’equazione caratteristica ha due soluzioni complesse coniugate λ1 = −a+ i √ −∆ 2 = α + iβ e λ2 = −a− i √ −∆ 2 = α− iβ dove si è posto α = −a/2 e β = √ −∆/2. Le funzioni z1(x) = e (α+iβ)x = eαxeiβx = eαx(cos βx+ i sin βx) z2(x) = e (α−iβ)x = eαxe−iβx = eαx(cos βx− i sin βx) sono soluzioni a valori complessi dell’equazione differenziale. Dunque, le funzioni y1(x) = z1(x) + z2(x) 2 = eαx cos βx y2(x) = z1(x)− z2(x) 2i = eαx sin βx sono soluzioni a valori reali dell’equazione differenziale. Le funzioni y1 e y2 sono linearmente indipendenti e dunque la soluzione generale dell’equazione differenziale è della forma y(x) = (c1 cos βx+ c2 sin βx)e αx con c1, c2 ∈ R. 80 5. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE Dim. Formiamo la differenza fra le soluzioni yξη(x)− yx0y0(x) = η − y0 + ∫ x ξ f(t, yξη(t))dt− ∫ x x0 f(t, yx0y0(t))dt = η − y0 + ∫ x0 ξ f(t, yξη(t))dt+ ∫ x x0 {f(t, yξη(t))− f(t, yx0y0(t))}dt. Per la disuguaglianza triangolare si ha (ad esempio con ξ ≤ x0 ≤ x) |yξη(x)− yx0y0(x)| ≤ |η − y0|+ ∫ x0 ξ |f(t, yξη(t))|dt+ ∫ x x0 |f(t, yξη(t))− f(t, yx0y0(t))|dt ≤ |η − y0|+M |ξ − x0|+ L ∫ x x0 |yξη(t)− yx0y0(t)|dt. Ora il Lemma di Gronwall implica che |yξη(x)− yx0y0(x)| ≤ (|η − y0|+M |ξ − x0|)eL|x−x0|, per ogni x ∈ I, e la convergenza uniforme segue.  Vogliamo definire il “flusso” indotto dall’equazione differenziale. Siano I = [x0 − δ, x0 + δ] e B = Br(x0, y0), come sopra. Definiamo la funzione Φ : I × B → Ω ⊂ Rn ponendo (9.66) Φ(x, ξ, η) = yξη(x). Proviamo che Φ è continua su I×B, ad esempio che è continua nel punto (x0, ξ0, η0) ∈ I ×B. Fissiamo ε > 0 e stimiamo la differenza |Φ(x, ξ, η)− Φ(x0, ξ0, η0)| ≤ |Φ(x, ξ, η)− Φ(x, ξ0, η0)|+ |Φ(x, ξ0, η0)− Φ(x0, ξ0, η0)|. Per il Teorema di Kamke esiste δ1 > 0 indipendente da x ∈ I tale che |Φ(x, ξ, η)− Φ(x, ξ0, η0)| ≤ ε/2 per ogni ξ, η tali che |ξ − ξ0| ≤ δ1 e |η − η0| ≤ δ1. Inoltre esiste δ2 > 0 tale che |Φ(x, ξ0, η0)− Φ(x0, ξ0, η0)| ≤ ε/2 per ogni x ∈ I tale che |x− x0| ≤ δ2. Infatti la funzione x 7→ Φ(x, ξ0, η0) è continua. Questo prova la continuità di Φ. 9.2. Dipendenza C1 della soluzione dai dati. Sia Ω ⊂ Rn+1 un insieme aperto e sia f ∈ C(Ω;Rn) una funzione tale che esistano continue le derivate parziali (9.67) ∂f(x, y) ∂yi ∈ C(Ω;Rn), i = 1, . . . , n. In particolare, f è localmente di Lipschitz in y. Sia Φ : I ×B → Ω il “flusso” definito in (9.66). Vogliamo provare che sotto l’ipotesi (9.67) Φ è di classe C1. Prima di enunciare il risultato, calcoliamo in modo formale le derivate di yξη. Innanzitutto si ha ∂ ∂x ∂ ∂ξ yξη(x) = ∂ ∂ξ ∂ ∂x yξη(x) = ∂ ∂ξ f(x, yξη(x)) = ∂f ∂y (x, yξη(x)) ∂ ∂ξ yξη(x). 9. REGOLARITÀ DELLA SOLUZIONE RISPETTO AI DATI INIZIALI 81 In questo conto stiamo supponendo che sia lecito scambiare le derivate ∂ ∂x e ∂ ∂ξ . Con ∂f/∂y abbiamo indicato la matrice Jacobiana di f relativa alle variabili y. Calcoliamo ora ∂yξη/∂ξ(x) nel punto x = ξ. Dal fatto che yξη(ξ) = η per ogni ξ ∈ I, segue che la derivata della funzione ξ 7→ yξη(ξ) si annulla identicamente. Dunque, per la regola della derivata della funzione composta, si ottiene 0 = ∂yξη ∂ξ (ξ) + ∂yξη(x) ∂x ∣∣∣∣ x=ξ = ∂yξη ∂ξ (ξ) + f(ξ, yξη(ξ)). In definitiva, la funzione ψξη : I → Rn ψξη(x) = ∂yξη(x) ∂ξ , x ∈ I, è la soluzione del Problema di Cauchy lineare (9.68) { ψ′(x) = Fξη(x)ψ(x) ψ(ξ) = −f(ξ, yξη(ξ)), dove Fξη ∈ C(I;Mn(R)) è la funzione a valori matrici n× n (9.69) Fξη(x) = ∂f ∂y (x, yξη(x)). Il Problema (9.68) ha una soluzione unica definita su I. Calcoliamo le derivate di yξη rispetto alle variabili η. Per ogni i = 1, . . . , n si ha ∂ ∂x ∂ ∂ηi yξη(x) = ∂ ∂ηi ∂ ∂x yξη(x) = ∂ ∂ηi f(x, yξη(x)) = ∂f ∂y (x, yξη(x)) ∂ ∂ηi yξη(x). Inoltre, dall’identità yξη(ξ) = η valida per ξ ∈ I si ottiene ∂yξη ∂ηi (ξ) = ei = (0, . . . , 1, . . . , 0). In definitiva, la funzione ϕξη,i : I → Rn ϕξη,i(x) = ∂yξη ∂ηi (x) è la soluzione del Problema di Cauchy lineare (9.70) { ϕ′i(x) = Fξη(x)ϕi(x), x ∈ I, ϕi(ξ) = ei. Teorema 9.2. Siano Ω ⊂ Rn+1 un insieme aperto, (x0, y0) ∈ Ω ed f ∈ C(Ω;Rn) sia una funzione che verifica (9.67). Per δ > 0 siano I = [x0 − δ, x0 + δ] e B = {y ∈ Rn : |y − y0| ≤ δ}. Allora esiste δ > 0 tale che la funzione Φ : I × I ×B → Rn Φ(x, ξ, η) = yξη(x), dove yξη ∈ C1(I;Rn) è la soluzione del Problema (9.64), è di classe C1(I× I×B;Rn). Inoltre, ∂Φ(x, ξ, η) ∂ξ = ψξη(x) e ∂Φ(x, ξ, η) ∂ηi = ϕξη,i(x), i = 1, . . . , n, dove ψξη e ϕξη,i sono le soluzioni dei Problemi di Cauchy (9.68) e (9.70). 82 5. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE Dim.1 Per δ > 0 sufficientemente piccolo, la funzione Φ è ben definita ed è continua per il Teorema 9.1 e l’osservazione che lo segue. Proviamo che Φ è differenziabile con continuità in η. È sufficiente considerare il caso n = 1, ovvero η è unodimensionale. Per x, ξ ∈ I, η ∈ B e h ∈ R con 0 < |h| ≤ h0 sufficientemente piccolo yξ,η+h(x)− yξη(x) h = 1 h [ η + h+ ∫ x ξ f(t, yξ,η+h(t)) dt− η − ∫ x ξ f(t, yξη(t)) dt ] = 1 + ∫ x ξ f(t, yξ,η+h(t))− f(t, yξη(t)) h dt = 1 + ∫ x ξ yξ,η+h(t)− yξη(t) h ∂f ∂y (t, ȳh(t)) dt. (9.71) Nell’ultima riga abbiamo usato il Teorema del valor medio che fornisce un ȳh(t) ∈ (yξ,η+h(t), yξη(t)) tale che f(t, yξ,η+h(t))− f(t, yξη(t)) = ( yξ,η+h(t)− yξη(t) )∂f ∂y (t, ȳh(t)). Sia ϕ ∈ C1(I;R) la soluzione del Problema di Cauchy (9.70). Lasciamo cadere l’indice i, in quanto n = 1. Lasciamo anche cadere la dipendenza da ξ ed η nelle notazioni. La condizione iniziale è ϕ(ξ) = 1. Dunque ϕ risolve l’equazione integrale (9.72) ϕ(x) = 1 + ∫ x ξ ϕ(t) ∂f ∂y (t, yξη(t)) dt. Sottraendo (9.72) da (9.71) otteniamo R(x, h) : = yξ,η+h(x)− yξη(x) h − ϕ(x) = ∫ x ξ ( yξ,η+h(t)− yξη(t) h ∂f ∂y (t, ȳh(t))− ϕ(t) ∂f ∂y (t, yξη(t)) ) dt, (9.73) dove abbiamo tolto gli indici ξ ed η. Affermiamo che esiste una costante C > 0 tale che per ogni ε > 0 esiste h̄ > 0 tale che |R(x, h)| ≤ Cε per ogni 0 < |h| ≤ h̄ e per tutti gli x ∈ I. La costante C non dipende da x, ξ, η. Questo proverà che (9.74) lim h→0 yξ,η+h(x)− yξη(x) h = ϕ(x), con convergenza uniforme in x, ξ, η. In particolare, la convergenza uniforme implica che ∂Φ(x, ξ, η) ∂η esiste continua. 1Tutta questa dimostrazione è esclusa dal programma. Visto in classe solo l’enunciato di una versione semplificata del Teorema 9.2. 10. ESERCIZI 85 Dim. L’affermazione i) segue dal Teorema di 9.2. L’affermazione iii) segue dall’unicità della soluzione per il Problema di Cauchy.  10. Esercizi 10.1. Equazioni del primo ordine. Esercizio 75. Calcolare la soluzione generale delle seguenti equazioni differen- ziali: i) y′ = y cosx 1 + sin x + sinx; ii) y′ = 3 x y + x2 + 1, x > 0. Esercizio 76. Calcolare la soluzione dei seguenti Problemi di Cauchy i) { y′ = y 1 + ex + e−x y(0) = 0. iii) { y′ = y2 log(x+ 3) y(−2) = −1 2 . Risposte: ii) y = ( x− (x+ 3) log(x+ 3) )−1 . Esercizio 77. Si consideri l’equazione differenziale y′ = (y2 − y) log(2 + x). i) Determinare il suo integrale generale. ii) Risolvere il problema di Cauchy con dato y(−1) = 1/2. Esercizio 78. Si consideri l’equazione differenziale y′ = (y − 1)(y − 4)cosx sinx . i) Trovare tutte le soluzioni costanti. ii) Calcolare la soluzione generale dell’equazione in forma implicita. iii) Calcolare in forma esplicita la soluzione del problema di Cauchy con dato iniziale y(3π/2) = 5. Esercizio 79. Sia f : R → R una funzione continua tale che f(0) = 0, f(t) > 0 se t 6= 0, e ∫ 1 0 dt f(t) =∞. Provare che y = 0 è l’unica soluzione del Problema di Cauchy{ y′ = f(y) y(0) = 0. Esercizio 80. Calcolare la soluzione del seguente Problema di Cauchy{ y′ = π cos(xy) x2 y(1) = π. Esercizio 81. Calcolare la soluzione y ∈ C1(a, b), −∞ ≤ a < 1 < b ≤ ∞, del Problema di Cauchy { y′ = y − x y + x , y(1) = 0, e disegnare un grafico qualitativo di y. Calcolare b e mostrare che a > −1 2 e−π/2. 86 5. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE Esercizio 82. Calcolare la soluzione del Problema di Cauchy{ y′ = sin(x+ y + 3) y(0) = −3. Esercizio 83. Calcolare la soluzione generale della seguente equazione differen- ziale y′ = y − x 2 y . Esercizio 84. Calcolare la soluzione del seguente Problema di Cauchy{ y′ = y(y − 1)(x+ 1), x ∈ R, y(0) = 1 2 . Risposta: y(x) = (1 + e 1 2 x2+x)−1, x ∈ R. Esercizio 85. Si consideri l’equazione differenziale (1− cos y)y′ = x sinx sin y. i) Determinare tutte le soluzioni costanti; ii) Calcolare (in forma implicita) l’integrale generale; iii) Calcolare la soluzione dell’equazione che verifica la condizione iniziale y(0) = 5 2 π. Risposte: i) y = kπ con k ∈ Z. ii) cos y = 2ex cosx−sinx−C − 1 con C ∈ R. iii) y(x) = 2π + arccos ( ex cosx−sinx − 1 ) . Esercizio 86. Calcolare la soluzione del Problema di Cauchy y′ = x2 + y2 xy , x > 1 y( √ 2) = √ 2 log 2. Esercizio 87. Dimostrare che esiste un’unica soluzione y ∈ C1(R) del problema differenziale { (y′(x))2 = 1 + √ |y(x)|, x ∈ R, y(0) = 0, y′(0) = 1. Esercizio 88. Consideriamo il seguente Problema di Cauchy{ y′ = √ x+ √ |y|, x ≥ 0 y(0) = 0. i) Dimostrare che ogni soluzione y verifica y(x) ≥ 2 3 x3/2 per x ≥ 0. ii) Usando il Teorema delle contrazioni provare che esiste un’unica soluzione locale del problema. iii) Provare che la soluzione è definita su tutto [0,∞). iv) Dimostrare che lim x→∞ y(x) x2 = 1 4 , and lim x→0+ y(x) x3/2 = 2 3 . 10. ESERCIZI 87 Esercizio 89. Dimostrare che esistono soluzioni periodiche y ∈ C1(R) dell’equa- zione differenziale y′(x) = 2 sin y(x) + sin x, x ∈ R. Esercizio 90. Si consideri l’equazione differenziale x3y′ − 2y + 2x = 0. Provare che: i) Ogni soluzione y ∈ C1(R \ {0}) si estende ad una funzione in C1(R); ii) L’equazione non ha soluzioni analitiche definite in un intorno di x = 0. Esercizio 91. per α > 0 e λ ∈ R, si consideri il problema differenziale y′ = y sin y 1 + xα , x > 0, lim x→∞ y(x) = λ. Per dati α e λ, studiare esistenza e unicità di soluzioni y ∈ C1(0,∞) del problema. 10.2. Equazioni del secondo ordine. Esercizio 92. Siano α, β ∈ R e sia y ∈ C∞(R) la soluzione del problema di Cauchy y′′ + 2y′ + 2y = te−t, y(0) = α, y′(0) = β. 1) Calcolare la soluzione y. 2) Determinare tutti gli α, β ∈ R per i quali esiste finito il limite lim x→0 y(t) t . Esercizio 93. Calcolare la soluzione generale della seguente equazione differen- ziale y′′ + 4y = x2e2x, x ∈ R. Esercizio 94. Calcolare la soluzione del seguente Problema di Cauchy y ′′ − 2y′ + y = x(1 + ex), x ∈ R, y(0) = 0 y′(0) = 0. Esercizio 95. Siano y1, y2 ∈ C2(R) soluzioni dell’equazione ay′′ + by′ + cy = 0, in R, dove a, b, c sono funzioni continue in R con a(x) 6= 0 per ogni x ∈ R, e sia w ∈ C1(R) la funzione w(x) = det ∣∣∣∣ y1(x) y2(x)y′1(x) y′2(x) ∣∣∣∣ . Provare che esiste una costante C ∈ R tale che w(x) = C exp ( − ∫ x 0 b(t) a(t) dt ) , x ∈ R. 90 5. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE è l’unica soluzione del Problema di Cauchy ϕ′′(r) + n− 1 r ϕ′(r) = −n(n− 2)ϕ(r) n+2 n−2 , r > 0, ϕ(0) = λ 2−n 2 ϕ′(0) = 0. Esercizio 108. Sia ϕ ∈ C2(0,∞) con ϕ ≥ 0 una soluzione dell’equazione (∗) ϕ′′(r) + n− 1 r ϕ′(r) = −n(n− 2)ϕ(r) n+2 n−2 , r > 0, e sia ψ ∈ C2(R) la funzione definita da ϕ(r) = r 2−n2 ψ(− log r). Tale sostituzione si chiama sostituzione di Fowler-Emder. i) Provare che esiste una costante C ∈ R tale che (∗∗) ψ′(t)2 = (n− 2)2 ( 1 4 ψ(t)2 − ψ(t) 2n n−2 ) + C, t ∈ R. ii) Assumendo ϕ limitata vicino r = 0, provare che deve essere C = 0. iii) Sia ϕ ∈ C2([0,∞)), ϕ ≥ 0, una soluzione di (∗) e sia ϑ ∈ C2(0,∞) la funzione definita da ϕ(r) = (rϑ(r)) 2−n 2 . Usando (∗∗) con C = 0, provare che ϑ risolve l’equazione di Eulero r2ϑ′′ + rϑ′ − ϑ = 0, e quindi determinare ϕ. 10.3. Analisi qualitativa. Esercizio 109. Dimostrare che esiste un’unica soluzione y ∈ C1(R) del Problema di Cauchy { y′ = sin (x y ) y(0) = 1. Provare che y è pari e che lim x→∞ y(x) =∞. Esercizio 110. Si consideri il Problema di Cauchy{ y′ = (y2 − 1)(y2 + x2) y(0) = y0, dove y0 ∈ R è un parametro reale. i) Dimostrare che il problema ha un’unica soluzione massimale; ii) Provare che per y0 = 0 si ha y(x) = −x3/3 +O(x5) per x→ 0; iii) Provare che per |y0| < 1 la soluzione è definita su tutto R; iv) Provare che per y0 > 1 la soluzione non è definita su tutto R. Esercizio 111. Dimostrare che la soluzione del Problema di Cauchy{ y′ = −(x+ 1)y2 + x y(−1) = 1 è definita su tutto R. 10. ESERCIZI 91 Esercizio 112. Si consideri il Problema di Cauchy y′ = 1 y − 1 x y(1) = 1. i) Provare che il problema ha una soluzione unica definita sull’intervallo (0,∞). ii) Disegnare un grafico qualitativo della soluzione. Esercizio 113. Per y0 ∈ R sia y la soluzione massimale del Problema di Cauchy{ y′ = x sin y y(0) = y0. i) Mostrare che il problema ha un’unica soluzione definita su tutto R; ii) Provare che il seguente limite esiste λ = lim x→∞ y(x), e calcolarlo in funzione di y0. iii) Mostrare che per ogni n ∈ N si ha y(x) = λ+ o(1/xn) per x→∞, ovvero lim x→∞ xn(y(x)− λ) = 0. Esercizio 114. Dato un numero reale y0 6= 0, si consideri il Problema di Cauchy y′ = 1 x2 + y2 y(0) = y0. Dimostrare che: i) Le soluzioni sono globalmente definite su R; ii) I limiti L− = lim x→−∞ y(x) e L+ = lim x→+∞ y(x) esistono finiti; iii) Stimare L+ ed L− in relazione a y0. Esercizio 115. Si consideri il Problema di Cauchy{ y′ = √ y2 + x2 + 1 y(0) = 0. i) Provare che il problema ha un’unica soluzione locale y ∈ C1(−δ, δ) per qualche δ > 0; ii) Provare che la soluzione è una funzione dispari: y(−x) = −y(x) per ogni x; iii) Provare che la soluzione è convessa per x ≥ 0; iv) Provare che la soluzione è definita per ogni x ∈ R (usare il Teorema di esistenza globale non ancora dimostrato in classe); v) Provare che y(x) ≥ sinh(x) per ogni x ≥ 0. 92 5. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE 10.4. Sistemi e flussi. Esercizio 116. Sia f ∈ C1(R) una funzione tale che f(1) = 0 e sia 0 < x0 < 1 un numero reale. Provare che il Problema di Cauchy x′ = xf(x2 + y2)− y y′ = yf(x2 + y2) + x x(0) = x0 y(0) = 0 ha un’unica soluzione che è definita su tutto R. Esercizio 117. sia A la matrice 2× 2 A = ( 0 1 −1 0 ) . Calcolare la soluzione generale del sistema di equazioni differenziali y′ = Ay. Esercizio 118. Per 0 < T ≤ ∞ ai consideri lo spazio vettoriale X = { b ∈ C([0, T );Rn) : b è limitata } munito della norma ‖b‖∞ = sup x∈[0,T ) |b(x)|. Siano A ∈Mn(R) e y0 ∈ Rn, e si consideri il Problema di Cauchy{ y′ = Ay + b in [0, T ) y(0) = y0. Si definisca T : X → C1([0, T );Rn) ponendo F (b) = y se y ∈ C1([0, T );Rn) è la soluzione del Problema di Cauchy con dato b. i) Dimostrare che per ogni 0 < T < ∞ esiste una costante 0 < CT < ∞ tale che (∗) ‖F (b1)− F (b2)‖∞ ≤ CT‖b1 − b2‖∞ per ogni b1, b2 ∈ X; ii) Dimostrare che la stima di continuità (∗) vale anche nel caso T =∞, a patto che gli autovalori della matrice A+ At siano strettamente positivi. Esercizio 119. Sia f ∈ C2(Rn) una funzione tale che: a) Gli insiemi {x ∈ Rn : f(x) ≤ λ} sono compatti per ogni λ ∈ R. b) ∇f(x) = 0 se e solo se x = 0. Si consideri il Problema di Cauchy{ γ̇(t) = −∇f(γ(t)), t ≥ 0, γ(0) = x0, dove x0 ∈ Rn. Dimostrare che: i) Il problema ha un’unica soluzione γx0 ∈ C2([0,∞)); ii) lim t→∞ γx0(t) = 0; iii) Nel caso f(x) = |x|2/2, calcolare il flusso Φ : [0,∞) × Rn → Rn, Φ(t, x0) = γx0(t). CAPITOLO 6 Teoremi di invertibilità locale e della funzione implicita 1. Teorema di invertibilità locale Sia A ∈ Mn(R) una matrice reale n × n e consideriamo la funzione lineare f : Rn → Rn, f(x) = Ax con x ∈ Rn. Il sistema di equazioni lineari (1.79) f(x) = b ha soluzione unica per ogni b ∈ Rn se e solo se det(A) 6= 0. In altri termini, f è iniettiva e suriettiva se e solo se det(A) 6= 0. Vogliamo generalizzare questi risultati di risolubilità a sistemi di equazioni (1.79) dove f : R → Rn è una funzione non lineare. Dobbiamo preliminarmente introdurre i concetti di diffeomorfismo e di diffeomor- fismo locale. Definizione 1.1 (Diffeomorfismo). Sia A ⊂ Rn un aperto. Una funzione f ∈ Ck(A;Rn), 1 ≤ k ≤ ∞, si dice diffeomorfismo di classe Ck se: i) f : A→ f(A) ⊂ Rn è iniettiva (e suriettiva); ii) f(A) ⊂ Rn è un insieme aperto; iii) La funzione inversa verifica f−1 ∈ Ck(f(A);A). Quando k = 0 la definizione di diffeomorfismo si riduce a quella di omeomorfismo. Siano A e B due spazi topologici. Una funzione f : A→ B si dice omeomorfismo se f è iniettiva e suriettiva, ed inoltre sia f che f−1 sono continue. In questo caso (ovvero se f è 1-1 e su), dire che f−1 sia continua equivale a dire che f trasforma aperti in aperti. Definizione 1.2 (Diffeomorfismo locale). Sia A ⊂ Rn un aperto. Una funzione f ∈ Ck(A;Rn), 1 ≤ k ≤ ∞, si dice un diffeomorsifmo locale di classe Ck se: i) f è aperta, e cioè trasforma insiemi aperti in aperti. ii) Per ogni punto x ∈ A esiste un δ > 0 tale che f : Bδ(x) → Rn è iniettiva e la funzione inversa verifica f−1 ∈ Ck(f(Bδ(x));Rn). In particolare, se f è un diffeomorfismo locale allora f(A) ⊂ Rn è aperto. Teorema 1.3 (Invertibilità locale). Sia A ⊂ Rn un insieme aperto e sia f ∈ Ck(A;Rn), 1 ≤ k ≤ ∞. Sono equivalenti le seguenti affermazioni: A) f è un diffeomorfismo locale di classe Ck; B) det(Jf (x0)) 6= 0 in ogni punto x0 ∈ A, dove Jf è la matrice Jacobiana di f . Esempio 1.4. Si consideri il seguente sistema di due equazioni nelle incognite x, y ∈ R (1.80) { x+ y sinx = b1 x2y + sin y = b2, 95 96 6. TEOREMI DI INVERTIBILITÀ LOCALE E DELLA FUNZIONE IMPLICITA dove b = (b1, b2) ∈ R2 è un dato assegnato. Certamente, quando b = 0 il sistema ha almeno la soluzione nulla x = y = 0. Proviamo il seguente fatto: esistono due numeri ε > 0 e δ > 0 tali che per ogni b ∈ Bε(0) esiste un’unica soluzione (x, y) ∈ Bδ(0) del sistema. Sia f : R2 → R2 la funzione f(x, y) = (x + y sinx, x2y + sin y). Risulta f ∈ C∞(R2;R2). La matrice Jacobiana di f è Jf (x, y) = ( 1 + y cosx sinx 2xy x2 + cos y ) . Nel punto (x, y) = (0, 0) = 0 si ha det Jf (0) = 1 e per continuità si deduce l’esistenza di un δ > 0 tale che det Jf (x, y) > 0 per ogni (x, y) ∈ Bδ(0). Dunque, f è un diffeomorfismo locale di classe C∞ su Bδ(0). Per il Teorema di invertibilità locale, pur di prendere δ > 0 ancora più piccolo, f è anche aperta ed iniettiva su Bδ(0). Dunque l’insieme f(Bδ(0)) ⊂ R2 è aperto e siccome 0 = f(0) ∈ f(Bδ(0)) allora esiste ε > 0 tale che Bε(0) ⊂ f(Bδ(0)). Se b ∈ Bε(0) allora esiste (x, y) ∈ Bδ(0) tale che f(x, y) = b e per l’iniettività di f il punto (x, y) è unico in Bδ(0).  Esempio 1.5. Sia f : R→ R la funzione f(x) = { x+ x2 sin ( 1/x ) , x 6= 0, 0 x = 0. Affermiamo che: i) f è derivabile in tutti i punti ed in particolare f ′(0) = 1; ii) f non è iniettiva in alcun intorno di x = 0. In effetti, f non è di classe C1(R) perchè f ′ non è continua. Le ipotesi del Teorema di invertibilità locale non sono verificate. Dalla definizione si calcola immediatamente f ′(0) = 1 e inoltre per x 6= 0 f ′(x) = 1 + 2x sin(1/x)− cos(1/x). Il limite di f ′(x) per x→ 0 non esiste. Nei punti xk = 1 2kπ , k ∈ Z, k 6= 0, si ha f ′(xk) = 0 ed f(xk) = xk. Per x 6= 0 la derivata seconda di f è f ′′(x) = 2 sin(1/x)− 2 x cos(1/x)− 1 x2 sin(1/x), e quindi per k > 0 si ha f ′′(xk) = − 2 xk < 0. I punti xk sono punti di massimo locale stretto e xk → 0 per k →∞. Quindi f non è iniettiva in alcun intorno di x = 0. Esercizio 124. Sia f : R2 → R2 la funzione f(x, y) = (x2 − y2, 2xy). 1. TEOREMA DI INVERTIBILITÀ LOCALE 97 i) Determinare il più grande aperto A ⊂ R2 tale che f sia un diffeomorfismo locale di classe C∞ su A. ii) Stabilire se f è un diffeomorfismo su A; iii) Dare esempi di insiemi aperti B ⊂ A massimali su cui f è un diffeomorfismo. Soluzione. i) La matrice Jacobiana di f è Jf (x, y) = ( 2x −2y 2y 2x ) , e dunque det Jf (x, y) = 4(x 2 + y2). Sull’insieme A = R2 \ {(0, 0)} il determinan- te Jacobiano non si annulla e dunque per il Teorema di invertibilità locale f è un diffeomorfismo locale (di classe C∞) su A. ii) f non è iniettiva su A in quanto f(−x,−y) = f(x, y). Dunque f non è un diffeomorfismo su A. iii) Un insieme aperto B ⊂ A su cui f è un diffeomorfismo non può contenere punti simmetrici rispetto all’origine. Fissato un punto (ξ, η) ∈ R2 cerchiamo delle soluzioni (x, y) ∈ R2 del sistema di equazioni f(x, y) = (ξ, η) con opportune restrizioni su (x, y) in modo tale che la soluzione sia unica. Il sistema di equazioni è x2 − y2 = ξ, 2xy = η. Dividiamo la seconda equazione per y. Per farlo occorre supporre y 6= 0. Si ottiene x = η/2y che sostituita nella prima equazione fornisce η2 4y2 − y2 = ξ. Riordinando e risolvendo in y2 si trovano le soluzioni y2 = −ξ ± √ ξ2 + η2 2 . La soluzione col segno − va scartata. L’equazione in y ha ora due soluzioni opposte. Scegliamo la soluzione positiva, ovvero richiediamo y > 0. Si trova y = √ −ξ + √ ξ2 + η2 2 . Dopo alcuni conti si ottiene allora anche x = sgn(η) √ ξ + √ ξ2 + η2 2 . In definitiva, con la restrizione y > 0 siamo stati in grado di trovare una soluzione (x, y) unica. Quindi, sull’insieme aperto B = {(x, y) ∈ R2 : y > 0}, il semipiano superiore, la funzione f è iniettiva e dunque un diffeomorfismo. Un aperto che contiene strettamente B contiene necessariamente punti simmetrici rispetto all’origine. Quindi B è massimale. 
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