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Caratteristiche del Neostandard Italiano: Semplificazioni e Nuove Espressioni, Summaries of Public finance

SociolinguisticaLinguistica comparataItalianistica

Le caratteristiche del cosiddetto italiano neostandard, o italiano dell'uso medio, che si distingue dalla norma tradizionale con semplificazioni nel sistema dei dimostrativi, l'uso enfatico di pronomi dativi, la prevalenza della paratassi, l'intensificazione dell'uso di superlativi e diminutivi, e l'emergere di nuove espressioni formulari. anche della fusione di tratti regionali e la formazione di standard regionali poco marcati.

What you will learn

  • Che cos'è il neostandard italiano?
  • Come il neostandard italiano si distingue dalla norma tradizionale?
  • Come si usano i pronomi dativi enfaticamente nel neostandard italiano?
  • Quali sono le caratteristiche principali del neostandard italiano?
  • Come si è evoluto il sistema dei dimostrativi in italiano neostandard?

Typology: Summaries

2019/2020

Uploaded on 11/01/2022

Pachina1990
Pachina1990 🇩🇿

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Download Caratteristiche del Neostandard Italiano: Semplificazioni e Nuove Espressioni and more Summaries Public finance in PDF only on Docsity! 1 Italiano dell'uso medio o italiano neostandard 1. Premessa. Le tendenze verso la ristandardizzazione In tutte le tradizioni linguistiche, accanto alla norma linguistica consacrata dalla tradizione, il cosiddetto standard (v.) guadagna spazio un uso più flessibile, proprio in particolare dei registri informali del parlato, che interpreta le esigenze comunicative di una fascia media di parlanti e che tende ad accogliere una serie di tratti e di innovazioni un tempo oggetto di sanzione negativa. La spinta alla riconfigurazione della norma, o ristandardizzazione, costituisce una dinamica costante e generale avvertibile in ogni lingua in qualsiasi fase storica. In determinati momenti, tuttavia (si pensi per esempio al ‘latino volgare’), il fenomeno conosce uno sviluppo accelerato che si traduce nella progressiva perdita di un modello di riferimento e si inserisce in “un processo di de-standardizzazione che coinvolge in questo momento molte lingue europee” (Radtke 2000, p. 109). 2. La condizione italiana In ambito italiano a questa varietà informale Francesco Sabatini (1985) ha assegnato il nome di italiano dell'uso medio, mentre Gaetano Berruto (1987) ha parlato di neostandard: con tali scelte terminologiche i due studiosi tendono a sottolineare rispettivamente l'ampia convergenza della comunità linguistica su questa modalità espressiva e la funzione di nuovo riferimento normativo che in prospettiva essa viene ad assumere1. In merito a tale varietà sembra in ogni caso condivisibile la seguente valutazione espressa da Alberto Sobrero: Il neo-standard "è diffuso nelle classi medio-alte e nella parte più acculturata della popolazione, ed è realizzato nel p a r l a t o più che nello scritto. L'etichetta di neo-standard si riferisce al fatto che su questo livello, oggi in piena evoluzione, troviamo un gran numero di forme che via via "risalgono" dai livelli inferiori (sub-standard): prima relegate nell'area delle forme "colloquiali" (o, come dicevano i vocabolari, "triviali"), ora si diffondono e sono accettate nella lingua nazionale. Lo standard così, a sua volta estende i propri confini" (Sobrero 1992, p. 5). In un successivo lavoro lo stesso Sobrero tracciava l’identikit, il profilo dei parlanti veicolatori del neostandard chiamando in causa “quella borghesia, anche colta, il cui comportamento fa da modello al comportamento delle classi inferiori …” ma soprattutto quella “élite mediatica che oggi guida i 1 Del "nuovo standard italiano ... in formazione" si occupa anche Mioni 1983, il quale adotta l'espressione italiano tendenziale per definire la varietà propria di quei parlanti, muniti di competenze di basso livello, che si sforzano di raggiungere le forme linguistiche proprie dello standard. Stando all'analisi di Alfonzetti 2002, p. 33 sarebbe pertanto impropria l'identificazione, invalsa in letteratura, dell'italiano tendenziale con l'italiano standard o dell'uso medio; l'espressione mira piuttosto a caratterizzare la ‘tendenza‘ dei parlanti semicolti ad approssimarsi alla norma di maggior prestigio. 2 comportamenti, linguistici e culturali, delle ultime e penultime generazioni di qualunque classe sociale: conduttori radiotelevisivi, cantanti, d.j., opinionisti a tempo pieno, personaggi vero-falsi della pubblicità. Coloro, insomma, che ‘fanno tendenza’” (Sobrero 2000, p. 9). Nonostante le riserve espresse da Arrigo Castellani, il quale non vede nell’insieme dei fatti addotti a sostegno dell’esistenza di una nuova grandezza espressiva “nulla che possa servire alla definizione d’una varietà nazionale d’italiano diversa dall’italiano normale o italiano senza aggettivi” (Castellani 1991, p. 256), si è ormai consolidata la diffusa convinzione che la fisionomia dell’italiano abbia conosciuto negli ultimi tempi una riconfigurazione tale da permettere il riconoscimento di un registro medio della lingua distinto dalla norma tramandata dalla tradizione. 3. Tratti caratterizzanti del neostandard Sulla base dei numerosi studi ormai disponibili, può essere elaborata una lista di tratti che sono da ritenere costitutivi del cosiddetto italiano dell'uso medio o “italiano parlato nazionale” o italiano neostandard. Sabatini aveva in un primo tempo (paragrafo 2 del saggio apparso nel 1985) elencato in tutto 35 tratti che successivamente (1990) avrebbe ridotto a 14. Circa i livelli di analisi interessati, la maggior parte di tali innovazioni appartengono al dominio morfosintattico, ma non mancano tratti fonici né peculiarità lessicali. FONETICA Qual sarà il riflesso della costruzione di un nuovo standard a livello di realizzazioni foniche? Va innanzitutto rilevato che la crescente mobilità e il venir meno dello stigma connesso con la provenienza territoriale del parlante ha fatto sì che si siano consolidati nella pronuncia dei “veri e propri standard regionali”, ossia delle “varietà di italiano che pur avendo ancora tratti regionali riconoscibili, per lo più basati sul dialetto locale, sono comunemente usate anche dai parlanti più colti, non sono sanzionate come lingua non corretta e valgono da norme di realizzazione coesistenti” (Berruto 2013, p. 48). Non si tratta beninteso di lingue regionali fortemente caratterizzate, come poteva essere in passato; piuttosto presso le nuove generazioni di parlanti si avverte “una fusione di tratti regionali diversi, con una progressiva attenuazione della marcatezza regionale”; da questi presupposti consegue “la formazione di un ‘italiano regionale composito’, e, concomitantemente, di standard regionali poco marcati” (Berruto 2013, p. 50). Appartengono al parlato neostandard una serie di opzioni che risolvono alcune variabili foniche in direzione divergente da quella prevista in sede normativa: ad esempio la sonorizzazione della s intervocalica, che nello standard ha una ben definita distribuzione diatopica, si è estesa oltre i limiti che le sarebbero propri. Come è noto, la varietà standard a base toscana è l’unica che opponga funzionalmente /s/ a /z/ in posizione intervocalica. Si tratta in realtà di una opposizione dal ‘rendimento 5 frequenza nel parlato informale le forme abbreviate ‘sto (‘sta, ‘sti, ‘ste) dell’aggettivo dimostrativo questo ecc.: tale variante, “estremamente diffusa nella lingua parlata, è evitata nei testi scritti e nelle varietà formali”. • Si va inoltre diffondendo l’uso di dimostrativi usati in funzione di pronomi personali, spesso con una sfumatura negativa. Ora questo mi si presenta, e cosa gli dico? Quelli non ne vogliono sapere). Selezione di congiunzioni L'italiano dell'uso medio tende a semplificare il ricco patrimonio di congiunzioni proprio dell'uso letterario, incanalando le scelte verso un numero limitato di opzioni. Si osserva ad esempio la specializzazione di “mentre” con valore avversativo a scapito di quello temporale; la prevalenza, tra le concessive, di anche se rispetto a sebbene e quantunque; la diffusione, tra le causali, di dato che, dal momento che (in netto regresso il poiché) e, tra le interrogative, di come mai e com'è che in sostituzione di perché (in frasi quali "Com’è che non mi hai salutato?"; esempio segnalato da Sobrero 2003, p. 273). Semplificazione e riconfigurazione del sistema verbale Il neostandard è caratterizzato dalla riorganizzazione nell'uso dei tempi e dei modi del verbo rispetto allo standard. • Cominciando dai t e m p i v e r b a l i , si assiste a un rimodellamento che porta a un sistema di base semplificato ridotto al presente, al passato perfettivo (che può essere, a seconda dei condizionamenti diatopici, il passato prossimo o il passato remoto), all'imperfetto e al trapassato prossimo utilizzato come ‘tempo anaforico’ (è quanto fa notare Berretta 1993, p. 209). In particolare è degno di nota il fatto che il presente indicativo vada ad occupare sempre più lo spazio proprio del futuro: L'estate prossima vado in vacanza al mare Vengo domani Dal canto suo il futuro viene impiegato “per indicare azioni su cui si fanno delle ipotesi e sulle quali si hanno dei dubbi” (Coveri - Benucci - Diadori 1998, p. 157), acquisendo in tal modo un valore che è stato definito ‘epistemico’ collegato “con la natura ontologicamente indeterminata del futuro” (Bazzanella - Wiberg 2002, p. 55). È in particolare il futuro anteriore a caratterizzarsi “proprio per la specializzazione epistemica prevalente” (Bazzanella - Wiberg 2002, p. 57); ma non mancano esempi anche per il futuro semplice: Avrà trovato un ingorgo, per questo non è ancora arrivato Luisa non risponde, sarà uscita 6 Ora saranno le tre Anche l’imperfetto, al di là della funzione propriamente temporale, viene sovraesteso ad usi controfattuali: l’imperfetto di cortesia: volevo un chilo di pane l’imperfetto nelle ipotetiche dell’irrealtà; se venivi prima era meglio l’imperfetto per indicare il futuro nel passato (mi ha detto che veniva)2. • Per quanto riguarda poi i m o d i , la tendenza più significativa è quella che conduce alla sostituzione del congiuntivo con l’indicativo. La ritroviamo ad esempio nel cosiddetto ‘imperfetto ipotetico’ o anche ‘imperfetto dei mondi possibili’ (proposizioni ipotetiche dell'irrealtà): Se lo sapevo, non ci venivo (= "Se l'avessi saputo non ci sarei venuto") Se arrivavamo prima, non perdevamo il treno (= "Se fossimo arrivati prima, non avremmo perso il treno") Analoga preferenza verso l’indicativo a scapito del congiuntivo si coglie nelle frasi completive dipendenti da verbi di opinione, o da verbi di sapere e dire Penso che ormai non viene più nelle interrogative indirette o dubitative: Mi chiedo come può essere accaduto (= “come possa essere accaduto”) Non so se è arrivato (= “on so se sia arrivato”) nelle relative con antecedenti al superlativo relativo È la persona più intrigante che ho conosciuto nella mia vita (= "che io abbia conosciuto") e nelle cosiddette relative restrittive: C’è qualcuno che mi può dare un consiglio? Circa l’asserita precarietà del congiuntivo va ricordato che il giudizio non è così semplice né scontato: in proposito cfr. Sgroi 2013. Si va diffondendo da alcuni anni l’uso stilistico dell’imperfetto congiuntivo con valore esortativo in una frase principale per il congiuntivo presente. Un tempo marcato geograficamente come tratto popolare e regionale dell’italiano centro- meridionale, oggi va diffondendosi anche in parlanti non provenienti da 2 Attingiamo l’esemplificazione da Sobrero 2003, p. 273. Lo studioso aggiunge l’imperfetto ludico, o dei mondi possibili, tipico dei giochi infantili (io ero un marziano, tu un terrestre) che tuttavia andrebbe considerato, più che un tratto del neostandard, una peculiarità nell’interazione tra bambini, “nelle messe in scene e nell’assegnazione di ruoli dei partecipanti a un gioco” (Wiberg 2010). 7 quell’area. votino = votassero (in Sgroi 2022) • Anche l a d i a t e s i è sensibile al neostandard attraverso la tendenza alla sostituzione del passivo con le corrispondenti forme attive. Il ci ‘attualizzante’ Questo tratto si ritrova in quelle forme verbali (specialmente averci) in cui la funzione del clitico è ‘desemantizzata’, ha perso cioè l'originario significato locativo Non ci ho tempo ci ho in vista un affare importante ci ho voglia di uscire noi non ci abbiamo la televisione Il che polivalente Nelle interazioni colloquiali la congiunzione che estende il suo impiego a tutta una serie di funzioni che in una lingua più sostenuta più sostenuta vengono invece assolte da altri connettivi specializzati muniti di maggior precisione. • Il che opera come generico introduttore di frase subordinata (che ‘complementatore’ o connettivo generico) con valore causale, consecutivo, temporale, finale ecc. non tardare che (= perché) la cena è pronta mangia che ti fa bene aspetta che salgo in macchina aspetta che te lo spiego divenne tifoso che aveva appena sei anni • Nell'ambito del pronome relativo, una forma invariante che tende a sostituire i tipi, propri dei casi obliqui, introdotti da articolo (il quale, i quali) o preposizione (di cui, del quale, dei quali ecc.). Quel mio amico che gli hanno rubato la macchina Il giorno che ti ho incontrato La penna che io scrivo è nera È un tipo che è meglio non fidarsi Ho visto un lago che (dentro) c'erano tanti pesci La casa che ci sei stato ieri Interrogativa multipla (doppia interrogativa) 10 Non bevo il latte Il latte, non lo bevo Non lo bevo, il latte Come si vede, per ciascuna delle due dislocazioni l’elemento dislocato viene ripreso e richiamato mediante un pronome atono o clitico (nel caso specifico lo) rispettivamente anaforico e cataforico. • Dislocazione a sinistra Si ha la cosiddetta ‘dislocazione a sinistra’ quando un elemento frasale, diverso dal soggetto, va ad occupare la posizione iniziale in maniera tale da acquistare un particolare rilievo. Ad essere tematizzato (si dice anche topicalizzato)4 è spesso l'oggetto diretto, come vediamo negli esempi a) - e); ma non mancano casi (caratterizzati da "un valore più marcatamente colloquiale", Bonomi 2003, p. 154), in cui la dislocazione investe un complemento indiretto, come possiamo osservare in f) - i). a) I debiti, bisogna pagarli ≠ Bisogna pagare i debiti b) Questi giorni, li ricorderò per sempre ≠ ricorderò per sempre questi giorni c) Questo libro, non lo avevo mai letto ≠ Non avevo mai letto questo libro d) Gli occhiali, li ho trovati sul tavolo ≠ Ho trovato gli occhiali sul tavolo) e) Il giornale, lo compro io ≠ Io compro il giornale f) A Marco io (gli) ho regalato una cravatta g) Di questo è meglio se ne riparliamo più tardi h) Di mafia a Milano se ne parlava i) A Padova io ci vado spesso Come si vede dagli esempi, la dislocazione a sinistra può comportare la ripresa pronominale, ossia la ripresa a n a f o r i c a pleonastica dell'elemento dislocato mediante un pronome oggetto (lo, li: esempi a-e) o un pronome dativo (gli: esempio f), o attraverso particelle quali ci e ne: esempi g-i). Costruzioni a tema sospeso Una particolare variante delle dislocazioni a sinistra è costituita dalle cosiddette costruzioni a ‘tema sospeso’5, così chiamate perché l’elemento nominale ’tematizzato’ (cioè messo in rilievo) collocato in posizione iniziale è autonomo, ossia sintatticamente slegato, e richiamato all’interno della frase seguente da un pronome, in genere atono. Antonio, non lo vedo da tempo Le lezioni, le comincio la prossima settimana Gianni, non gli ho detto nulla 4 A proposito di questa terminologia, bisogna partire dal presupposto che, nelle frasi standard, il soggetto costituisce il tema dell'enunciato, ossia l'elemento dato per noto; mentre il predicato rappresenta l'elemento nuovo o rema. Sinonimi anglofoni sono rispettivamente topic (= tema; da qui topicalizzazione, elemento topicalizzato) e comment (= rema). 5 Il tipo terminologico ‘tema sospeso’ si legge in Benincà 1988, p. 131; tradizionalmente, con riferimento alla lingua latina, si parlava di nominativus pendens. 11 Furti, ne ho subiti tanti Uscire, non se ne parla Diligente, non lo è mai stato “È anche possibile, infine, che la ripresa anaforica manchi del tutto; in casi come questi, il legame tra l’elemento anteposto e la frase seguente resta del tutto implicito”6 e affidato al testo (in questo caso si parla propriamente di tema libero). La ferita, mi tolgono i punti domani Lo psichiatra, ho un'alta considerazione7 Dislocazione a destra È praticata anche l’alternativa della ‘dislocazione a destra’, in cui l'elemento posto in rilievo è collocato dalla parte opposta della frase, cioè a destra, in maniera tale da costruire una sequenza rema > tema diversa dall’ordine non marcato tema > rema. Il tema rappresenta (Blasco Ferrer 2015, pp. 29-30 Il tratto caratterizzante della costruzione è “la doppia presenza dello stesso costituente” una prima volta anticipato pleonasticamente sotto forma pronominale (anticipazione c a t a f o r i c a ) e poi ribadito da un gruppo nominale pieno isolato a destra “al di fuori del nucleo frasale” (si cita da Berruto 2012a [1986], p 233). a) la accompagno io, la bambina a scuola b) l'ho comprato, il giornale c) non la voglio, la pizza d) le mangio, le mele e) lo vuole un caffè? f) eccolo che arriva, il ritardatario g) Non ne voglio parlare più, di questa storia Da questa esemplificazione emerge che il costituente più frequentemente dislocato “a destra”, almeno nella lingua italiana, è l’oggetto diretto (primi cinque enunciati;) ma si possono riportare anche esempi in cui abbiamo a che fare con il soggetto (f). o un complemento indiretto (g). Lorenzetti 2002, p. 84 fa osservare che il costituente relegato in fondo alla frase occupa una posizione tutto sommato non diversa da quella consueta, quella cioè “che avrebbe avuto nella frase ‘normale’”: in casi del genere (si vedano gli ess. a-e) la stessa espressione dislocazione a destra perderebbe il suo senso: 6 La formulazione appartiene a C. E. Roggia, voce tema sospeso dell’Enciclopedia dell’Italiano (2010). Tra i vari studi che si sono occupati di tale costruzione cfr. Berretta 1995/2003, pp. 179-181). 7 Esempio addotto da Metzeltin 1997. 12 • Frase scissa Si denominano ‘scisse’ quelle particolari frasi la cui struttura è divisa in due parti, la prima costituita da una enunciazione contenente il verbo “essere” e la seconda da una pseudorelativa (esplicita o implicita). Le frasi scisse obbediscono a una strategia sintattica diretta a evidenziare “il punto di maggiore salienza comunicativa della frase, l'elemento su cui si concentra maggiormente l'interesse del parlante e che fornisce la massima quantità di informazione nuova” (G. Berruto, Corso elementare di linguistica generale, p. 77); il segmento frasale “che il parlante ritiene essenziale per l’interlocutore” (Panunzio 2010) e su cui focalizza l'attenzione si definisce focus informativo. è Gianni che ha fatto le fotocopie = Gianni ha fatto le fotocopie sono soprattutto gli uomini a praticare questo sport = Soprattutto gli uomini praticano questo sport è il tuo gatto a miagolare = il tuo gatto miagola Una particolare tipologia di frase scissa è la frase scissa temporale è da un'ora che cerco di chiamarti = cerco di chiamarti da un'ora è la prima volta che ti vedo preoccupato = ti vedo preoccupato per la prima volta • Frase pseudoscissa Si possono formare anche delle cosiddette frasi ‘pseudoscisse’ che si differenziano dalle precedenti per il fatto che la porzione di testo contenente il verbo “essere” è collocata dopo la pseudorelativa (cfr. Berretta 1995/2003). ad inaugurare la fiera è intervenuto il ministro Quello che miagola è il tuo gatto Tali frasi si differenziano dalle precedenti per il fatto che non si produce una vera e propria scissione sintattica e che, diversamente da quanto succede nelle frasi scisse, l’elemento focalizzato occupa qui la posizione finale. Per i riflessi pragmatici cfr. Berretta 2002. Strutture presentative Si intende per struttura presentativa una sottospecie di frase scissa per effetto della quale l'enunciato si distribuisce in due segmenti, il primo dei quali guadagna particolare focalizzazione. Se ne conoscono diverse varianti: c'è presentativo Il primo segmento frasale è isolato dal contesto e incastonato nella struttura c'è ... che; il secondo consiste in una frase introdotta da che, da considerarsi come una ‘pseudorelativa’. c'è Mario che ti aspetta = Mario ti aspetta c'è uno studente che chiede informazioni = uno studente chiede informazioni c'è un tale che mi vuole vendere uno stereo = un tale mi vuole vendere uno stereo 15 parlato e si è anche affacciato nella scrittura giornalistica andando ad occupare lo spazio del tradizionale eccetera. - uso dell’avverbio assolutamente con valore positivo Lo standard ammette l’impiego dell’avverbio assolutamente solo con valore negativo in contesti quali: "sono assolutamente contrario" o in risposte negative del tipo "ne vuoi?", "no, assolutamente". Negli ultimi tempi, per contro, si va imponendo lo stravolgimento semantico di questa forma avverbiale che nell’uso ormai corrente viene utilizzato come formula affermativa: "Ti piace?"; "assolutamente sì". Si tratta di un modulo espressivo anglicizzante (calcato su “Absolutely!”, “Positively yes!”, ecc.) che, osserva Maria Luisa Altieri Biagi, “forse ha avuto la sua incubazione nell’ambiente lombardo dei giovani manager”: un’altra via di penetrazione potrebbe essere stata il parlato del doppiaggio cinematografico e televisivo. Con la stessa valenza positiva troviamo assolutamente anteposto ad aggettivi: È assolutamente meraviglioso! È assolutamente fantastico! Sei assolutamente elegante! (esempi tratti da Alfieri-Contarino-Motta 2003, p. 127). Conclusioni Cercando di proporre un primo bilancio, possiamo far nostre, in particolare per le dinamiche che toccano la morfologia, le considerazioni di Grandi 2019, stando al quale “se c’è una tendenza tipologica soggiacente ai processi che caratterizzano la ristandardizzazione dell’italiano, questa è identificabile con una sostanziale semplificazione dei paradigmi e una riduzione delle alternative disponibili nei segmenti del sistema più articolati, come la coniugazione del verbo o il sistema dei pronomi”. Quanto a un giudizio sui contraccolpi di tali innovazioni sull’impianto complessivo della lingua italiana, ritengo tuttora valide e condivisibili, sia pure a distanza di tempo, le considerazioni di Lepschy che qui riportiamo. Di primo acchito, si potrebbe avere la sensazione che la norma sia cambiata drammaticamente nell’italiano contemporaneo: che ci sia stato un irrompere di anarchiche e difformi espressioni del parlato all’interno degli spazi armonici e ben regolati della tradizione scritta; che al modello dell’italiano nazionale si sia gradualmente sostituita una plurivoca dissonanza di usi regionali; che contro gli ideali elevati e discreti della lingua letteraria sia prevalsa la volgarità bassa ed incolta degli idiomi popolari. Di fatto sarebbe interessante sapere su che cosa esattamente si fondi questa sensazione, e che parte possa avere nel determinarla la pletora di rubriche su giornali e riviste, di libri, guide, manuali e prontuari dedicati a deplorare la lingua corrotta e ad esaltare quella corretta. Una riflessione 16 che vada appena un po’ sotto la superficie pare indicare che la situazione è diversa e alquanto più stabile (Lepschy 1989, p. 9).
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