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Per l’Emulazione - riflessione sulle possibili applicazioni nel processo creativo, Essays (university) of Architecture

Il concetto di emulazione come strumento tra imitazione ed invenzione nell’apprendimento e nella pratica artistico-architettonica

Typology: Essays (university)

2018/2019

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laura-merlin 🇨🇭

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Download Per l’Emulazione - riflessione sulle possibili applicazioni nel processo creativo and more Essays (university) Architecture in PDF only on Docsity! Università della Svizzera Italiana Accademia di Architettura di Mendrisio Architectural Theory: from Vitruvius until Today Prof. Sonja Hildebrand AA 2017/2018 Semestre primaverile Per l’emulazione Il concetto di emulazione come strumento tra imitazione ed invenzione nell’apprendimento e nella pratica artistico-architettonica Studente: Laura Merlin Matricola 14-982-755 1 Indice Sommario Introduzione 1. Imitazione 1. La mimesis e l’Idea di Bello 2. Emulazione 3. Invenzione Conclusione Bibliografia 2 3 4 5 6 9 11 12 14 Dopo il Medioevo e fino al XVIII secolo, la prima Europa moderna sostenne un ideale di arte ben articolato, basato su un sistema di formazione che portava l’artista su un percorso chiaro dall’imitazione all’invenzione, attraverso l’emulazione. Questo addestramento dipendeva quindi dall'ambiziosa competizione tra rivali moderni ed antichi, riconoscendo sia il valore pedagogico dell'imitazione che il valore artistico dell'invenzione. Il sistema derivava dall'antica teoria retorica, ovvero alla peculiare importazione di un tipo di conoscenza in un'altra disciplina, con un conseguente progresso del principiante fino al maestro. In effetti, il modo più comune di produzione artistica, in uno dei periodi più grandi della creatività umana, era l'emulazione, sia durante l'apprendistato che la pratica professionale stessa. L'emulazione tracciava così un rapporto complesso con i problemi di continuità tra la tradizione, da una parte, e la novità inventiva dall'altra, partecipando con ciascuno eppure mantenendo una posizione unica tra loro. 1. Imitazione “Tutte le arti (…) utilizzano un modello sensibile, imitano forme e movimenti corporei e trasferiscono nel loro ambito le proporzioni visibili.” 3 Nel mondo classico, tutta l'arte era intesa come mimetica, nel senso di imitare (o ripresentare) la Natura - sia in senso letterale, documentario (in pittura e scultura), sia nella rappresentazione della logica sottostante alla Natura (in geometria e architettura). La formazione artistica imitativa può essere suddivisa in tre aspetti: replica diretta di un modello specifico o ciò che di solito si intende con copiare (copia); imitazione mirata dello stile e della tecnica di una specifica cultura o gruppo di artisti (come i veneziani del XVI secolo o la scuola dei Carracci); e immersione nella mente di un'epoca ben definita (come l'antichità classica o il Rinascimento). Il primo quindi riguarda quasi esclusivamente i media visivi, la loro manipolazione e la comprensione delle forme da rappresentare (come l'anatomia, la figura classica idealizzata o gli ordini classici dell'architettura); la seconda riguarda sia l'immersione in esempi visivi - sia originali che riproduttivi - e la sperimentazione creativa con i loro metodi di lavoro; mentre l'ultimo di questi tre è fortemente orientato verso la ricerca, la lettura e l'immersione nella cultura del modello. Plotino, Enneadi, V. 9.11 (cfr. D. Babut, Sur la notion d’ «Imitation» dans les doctrines esthétiques des la 3 Grèce classique, in «Revue d’Etudes Grec, XCVIII, 1985, pp. 72-92) 5 Quindi l'imitazione nelle arti visive può significare molte cose, dalla semplice copia di un'opera di un altro artista, a ciò che era classicamente noto come mimesis . 4 L'imitazione nel senso più ovvio costituiva la base per l'addestramento nell'atelier di un artista; gli artisti imparavano a copiare non solo il lavoro del loro maestro, ma anche i suoi modi. Questa capacità di catturare un modo di lavorare portava naturalmente alla fase successiva, l'emulazione, in cui si lavorava "alla maniera di" qualcun altro, ma sempre con 5 l’intento di superarlo: in altre parole, produrre un’opera sotto l'influenza di un maestro, ma come dimostrazione della propria maestria. La mimesis e l’Idea di Bello “Col calcolo si corregge l’errore della vista (…) la vista vuole un effetto gradevole e se noi non soddisfacessimo il suo gusto col rispetto delle proporzioni e correggendo leggermente le misure così da compensare equilibratamente eventuali difetti , a chi guarda si presenterebbe un’immagine rozza e sgraziata.” 6 I disegni della realtà degli antichi maestri si distinguono dal realismo moderno per una sorta di “filtro” dell’ideale, interposto tra l'artista ed il soggetto rappresentato. In quel velo vi è l'essenza di ciò che rende un esercizio figurativo “classico”, presumendo infatti un ideale, una nozione del meglio o del perfetto, del quale la forma di fronte allo sguardo dell'artista è una manifestazione imperfetta. Efficace per la documentazione di ciò che si vede, questo sussiste anche nel mondo dell'invenzione, dove il lavoro immaginato raggiunge un ideale per il quale non può esserci un tipo riconosciuto. In questo caso l'artista partecipa al divino, immaginando una forma di bellezza ideale che non esisteva fino a quel momento. Questo è il senso in cui il Vasari intendeva Michelangelo come "divino": egli poteva infatti immaginare nuove forme di bellezza all’altezza di ciò che era noto della bellezza nell'antichità . 7 Che di per sé può essere dalla semplice rappresentazione di qualcosa in un'altra forma, alla rappresentazione 4 di qualcosa di più profondo - come la logica - della cosa imitata. Chiara Visentin, L’equivoco dell’eclettismo. Imitazione e memoria in architettura, Bologna 20035 Vitruvio, De Architectura, trad. Cesare Cesariano, Vita e Pensiero editore, Milano, 2002, p. 136 Giorgio Vasari, Michelangelo Buonarroti Fiorentino, Pittore Scultore et Architetto, in Le Vite de’ Più 7 Eccellenti Architetti, Pittori, et Scultori Italiani, da Cimabue, Insino a’ Tempi Nostri (1550), a cura di L. Bellosi e A. Rossi, Einaudi Tascabili, 1986, Volume II 6 “Il più alto ed eterno intelletto, autore della natura, nel modellare le sue meravigliose opere ha guardato profondamente dentro di sé e ha costituito le prime forme, chiamate Idee, in modo tale che ogni specie fosse espressa da quell'idea originale, dando forma al meraviglioso contesto delle cose create. (...) Pittori e scultori, imitando il primo creatore, formano anche nelle loro menti un esempio di bellezza superiore, e nel contemplarlo emanano natura con linea e colore impeccabili.” 8 La comprensione popolare dell'arte figurativa attribuisce un grande valore alla verosimiglianza: a quanto qualcosa (un dipinto, un disegno, ...) assomiglia (o quanto si immagina che assomigli) la cosa rappresentata. Insieme a queste aspettative sull'accuratezza vi è una comprensione implicita che il grande risultato dell'arte antica è radicato nel principio di ciò che si potrebbe chiamare “trascrizione”: la documentazione diretta in un altro mezzo di ciò che l'artista ha di fronte a se stesso. Alla base di tutto c'è la convinzione che la bellezza risieda proprio in questo: la rappresentazione accurata delle cose reali (che si presume siano belle in se stesse o rese tali nella loro rappresentazione). Mentre alcune affermazioni dei Maestri, e dei loro critici contemporanei, sottolineano l'importanza del disegno, della pittura o della scultura ispirati alla realtà, un corollario critico per il successo di questo aspetto è proprio il ruolo della Bellezza come Idea, indipendente dalle cose e distaccatamente esistente nella mente: in altre parole, un ideale da perseguire, esistente al di fuori del tempo o della contingenza, le cui manifestazioni nel mondo fenomenico (e nella produzione artistica) sono implicitamente imperfette. “Ora ascolta cos’è l’idea, cioè che cosa essa è per Platone: «l’idea è l’esemplare eterno di tutte le cose che nascono in natura». Alla definizione, perché appaia più chiara, aggiungerò una spiegazione. Voglio fare il tuo ritratto: ho come modello te, di cui la mia mente coglie un aspetto che vuol fissare nell’opera: quella figura che mi guida e mi ammaestra, e da cui traggo la mia imitazione, è l’idea. Ebbene, la natura ha tali modelli in numero infinito: uomo, pesce, albero e a loro immagine foggia tutte le cose che essa deve creare (…). L’idea è il modello (…) è non solo fuori dell’opera, ma prima dell’opera.” 9 Traduzione propria di Giovanni Pietro Bellori, Vite de' Pittori, Scultori e Architecti Moderni, 16728 Seneca, Lucio Annea, Lettere a Lucilio, trad. Giuseppe Monti, Rizzoli, Milano, 1974, pp.19-219 7 Un processo consapevolmente emulativo si è evoluto in concerto con un approccio sempre più accademico al fare arte nel XVI secolo; già nel XV secolo Leon Battista Alberti, infatti, instaurò un rapporto con il passato in maniera umile ed ottimista. Mentre il suo trattato sulla pittura era consapevolmente una novità, il suo trattato sull'architettura era in consapevole rivalità con il solo trattato architettonico superstite dell'antichità, quello di Vitruvio. Il trattato di Alberti tenta quindi di superare quello di Vitruvio con la sua logica più ampia, la sua base in argomentazioni retoriche e geometriche, procedendo dal concetto astratto della geometria allo specifico con materiali e la costruzione. Seppure Alberti si lamentasse di ciò che era andato perduto dalla caduta dell'Impero Romano, era ottimista riguardo alla capacità della sua stessa cultura di recuperare e migliorare ciò che era stato appreso e realizzato nel millennio successivo. Per Alberti era essenziale non solo sapere ciò che i più grandi tra gli antichi avevano fatto, ma come lo avevano fatto; solo in questo modo l'artista moderno avrebbe potuto eguagliare o superare le conquiste passate. La condizione moderna, per lui, aveva separato la propria cultura dalla continuità con i modelli antichi e, così liberata, le aveva fornito i mezzi per superarli. Apprezzando e sostenendo perciò l'invenzione, Alberti lodava così l'idea poetica nel terzo libro del suo De Pictura: “Conciosia che ella [l’invenzione poetica] ha questa forza, che ella sola inventione senza la Pittura, diletta.” 13 e così nel De Re Aedificatoria: “Conciosia che gli altri approvatissimi Architettori, par che habbino con il fatto acconsentito, che quello scompartimento, o Dorico, o Ionico, o Corinthio, o Toscano, sia più di tutti gli altri commodissimo; non che quasi forzati da leggi doniamo accostarci a loro, in trasportare in questa nostra opera i loro disegni; ma doviamo sforzarci (ammaestrati da loro) di mettere innanzi nuove cose trovate da noi per vedere se gli si può acquistar pari, o maggiori lodi di loro.” 14 Leon Battista Alberti, trad. a cura di Cosimo Bartoli (1782), Della Architettura, Della Pittura e Della Statua, 13 Dedalo, Roma, 2009, p.315 Leon Battista Alberti, trad. a cura di Cosimo Bartoli (1782), Della Architettura, Della Pittura e Della Statua, 14 Dedalo, Roma, 2009, p.19 10 Formato nell'antica retorica, Alberti si aspettava perciò che l'architetto moderno potesse inventare in un nuovo ordine senza rovesciare il canone architettonico, suggerendo di operare all'interno della stessa struttura degli antichi - quindi rivaleggiandoli alle proprie condizioni, non inventando termini completamente nuovi; in altre parole, emulandoli. L'emulazione non preclude infatti l'invenzione, ma la inquadra in relazione ad un particolare modello o maestro. 3. Invenzione Il concetto di invenzione può essere altrettanto stimolante da comprendere oggi, nonostante sia molto più vicino all’idea rinascimentale che all’odierna concezione di "creazione". La parola invenzione, infatti, conserva ancora il suo significato latino originario: quello della scoperta o del ritrovamento. L’invenzione artistica, dunque, si riferisce principalmente alla scoperta di idee. L'invenzione, quindi, ha a che fare più con il significato che con il significante. Mentre l'imitazione e l'emulazione riguardano principalmente la forma, o il mezzo per trasmettere idee, l'invenzione invece è per lo più inerente al contenuto stesso, o ai fini nei quali viene espressa l'emulazione. Nel considerare l'emulazione è importante sottolineare che era principalmente un mezzo, e non il fine ultimo dell'attività di un artista. Per inventare, quindi, occorrevano sia le risorse dell'emulatore compiuto sia un profondo repertorio di idee - idee sui temi che hanno interessato l'umanità sin dalle prime civiltà: la conoscenza di noi stessi rivelata attraverso il nostro rapporto con la Natura, il nostro rapporto l'uno con l'altro, e il nostro rapporto con il divino. Si pensava che la mente inventiva fosse, almeno dai tempi di Platone , in uno stato 15 di follia. La pazzia delle Muse era una condizione desiderabile per liberare una delle regole nascoste, ma solo dopo che le si aveva padroneggiate. Il controllo del proprio mestiere era un prerequisito per arrendersi a quella pazzia. La resa era chiamata furor poeticus, furia poetica, ed era causata dalla saturazione nella maggior quantità possibile di conoscenza del soggetto in questione. Quella conoscenza doveva essere elaborata attraverso la memoria, tuttavia, al fine di passare a una fase inventiva. La memoria (o Mnemosyne) era la madre delle Muse, e il poeta inventivo, o artista poetico, doveva aver digerito la materia-prima Nel Fedro.15 11 della conoscenza per poter produrre nuove idee, presumendo così una padronanza del proprio medium (acquisito attraverso l'imitazione e l’emulazione). Seneca afferma infatti: “Il cibo che abbiamo mangiato, purché mantenga il suo carattere originale e galleggi nello stomaco come una massa, è un peso; passa nel tessuto e nel sangue solo quando è stato modificato dalla sua forma originale. Quindi è il cibo che nutre la nostra mente. (...) Dobbiamo digerirlo; altrimenti entrerà nella nostra memoria acquisita [memoria] e non passerà per diventare parte delle nostre capacità [ingenium].” 16 Era il potere irresistibile della memoria, del passato soffuso di cultura e assorbito nella propria essenza, che forniva la maggior parte di ciò che era necessario per inventare o creare. Sia in termini di standard che di idee (o modelli), gli antichi hanno servito quindi al Rinascimento spunti fertili verso nuove conquiste. Conclusione Tutti i grandi artisti e architetti del Rinascimento continuarono a sfidare se stessi e gli uni gli altri durante la loro carriera, e molti svilupparono i loro approcci all'arte ben dopo e al di fuori del loro apprendistato. In questo senso, tutti furono in qualche modo autodidatti dal momento che non avevano mai smesso di imparare e rivaleggiare con i loro mentori. La loro deferenza nei confronti dei maestri, reale e virtuale, assicurava infatti la continuità con ciò che era venuto prima, ma il loro ottimismo riguardo alla loro capacità di superarli prometteva una scala di risultati sempre crescenti. Raffaello, ad esempio, affascinato dal titanico Michelangelo, riprese la sua comprensione del corpo, in particolare del corpo maschile, con il suo potere anatomico e la sua eleganza. Tuttavia, poiché il Buonarroti si era concentrato quasi esclusivamente su quell'aspetto dell'arte, Raffaello vedeva la sua possibilità di rivalità nel padroneggiare tutte quelle cose che Michelangelo per lo più ignorava, infatti: “Raffaello, avendo compreso di non poter competere con Michelangelo nel ramo della pittura a cui aveva messo mano [la figura nuda], decise di emularlo e forse Seneca, Lucio Annea, Lettere a Lucilio, trad. Giuseppe Monti, Rizzoli, Milano, 1974, p. 8416 12
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