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Orientación Universidad
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Medea, Pasolini, Apuntes de Historia del Arte

Asignatura: Fonaments de les arts esceniques, Profesor: , ,, Carrera: Història de l'Art, Universidad: UB

Tipo: Apuntes

2015/2016

Subido el 24/10/2016

cecilia-aranyossy
cecilia-aranyossy 🇪🇸

4.1

(65)

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¡Descarga Medea, Pasolini y más Apuntes en PDF de Historia del Arte solo en Docsity! 1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA TUSCIA FACOLTÀ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE MODERNE CORSO DI LAUREA IN LETTERE MODERNE INDIRIZZO STAMPA-EDITORIA TESI DI LAUREA IN STORIA DEL TEATRO CLASSICO LA MEDEA DI PASOLINI IN RAPPORTO AL MODELLO EURIPIDEO CANDIDATA CHIARA SELVAGGINI-MATRICOLA 258 RELATORE CORRELATORE DOTT.SSA GRAZIA SOMMARIVA PROF. LUIGI MARTELLINI ANNO ACCADEMICO 2005/2006 2 A Giovanna 5 Infine, un rapido sguardo alla cinematografia pasoliniana, con particolare riguardo al periodo mitico-psicanalitico, ci permetterà di riflettere sulla concezione pasoliniana del cinema, nonché sulle principali caratteristiche del suo linguaggio e, in particolare, sul fondamentale rapporto di Pasolini con il mondo classico, in primo luogo con la tragedia greca. Vedremo come la riproposizione di tratti tipici della drammaturgia classica affiorino costantemente nel film, mediati però dalla grande capacità interpretativa del regista. L’analisi è stata condotta su una versione recentemente restaurata e digitalizzata della Medea∗, che permette, tra l’altro, di apprezzare accanto al sonoro dell’edizione italiana (nella quale Maria Callas fu doppiata da Rita Savagnone), la colonna audio per le edizioni straniere doppiate dalla Callas stessa (cfr. capitolo V). Vedremo quali furono i motivi per cui Pasolini scelse Maria Callas per interpretare il ruolo di Medea e quali le cause che lo spinsero al doppiaggio, per quanto concerne la versione italiana, nonostante la magnifica voce e la grande capacità interpretativa dell’attrice. ∗ Medea + Le Mura di Sana’a, produzione RARO VIDEO, distribuzione Medusa Video, 2004. 6 Vorrei concludere questa breve presentazione con un particolare ringraziamento alla Dott.ssa Grazia Sommariva e al Prof. Luigi Martellini per l’indispensabile collaborazione e la costante disponibilità dimostrata nella realizzazione del presente lavoro. 7 Capitolo I LA FIGURA DI MEDEA NEL MITO E NELLA TRAGEDIA CLASSICA § 1 Il mito di Medea Quello di Medea è uno dei miti più antichi che la tradizione ci abbia consegnato ma, paradossalmente, è forse il più ‘moderno’ e scabroso tra quelli conosciuti. Per il suo carattere misterioso e, per certi aspetti, demoniaco, il personaggio di Medea ha goduto di vastissima fortuna tanto in età antica quanto in età moderna e contemporanea. Questo grande interesse ha portato a numerose rivisitazioni del mito che acquista, di volta in volta, caratteri nuovi e originali, assecondando le inclinazioni degli autori. La Medea di Euripide1, rappresentata per la prima volta nel 431 a.C., è sicuramente la più famosa trattazione di questo mito ma non la più 1Euripide nacque intorno al 485 a.C. , ad Atene - forse nel demo di Flia - da Mnesarco (o Mnesarchide), ricco possidente terriero e da madre nobile. Iniziò la carriera di tragediografo nel 455 a.C., compose 22 o 23 tetralogie, cioè 88 o 92 drammi. Di questa produzione sono sopravvissute 18 tragedie intere, di cui una (il Reso) quasi sicuramente spuria, e il dramma satiresco il Ciclope. Negli agoni teatrali non ottenne un grande successo (ci giunge notizia di sole cinque vittorie). In tarda età si trasferì in Macedonia, presso il re Archelao, dove morì nel 406 a.C. 10 Giasone si sarebbe preso cura di loro, verranno uccisi dai familiari del re8. Si ricorda infine un’ulteriore versione che prevede l’uccisione dei bambini da parte dei Corinzi, recentemente ripresa da Christa Wolf nella sua Medea (1996). L’intento della scrittrice è probabilmente quello di presentare ai lettori una Medea non più assassina dei suoi figli, ma portatrice dei valori di un mondo matriarcale, pre-capitalista, che lotta strenuamente contro i Corinzi, rappresentanti della società patriarcale e capitalista9. Medea appare così senza colpa, vittima di una società in cui prevale la violenza e la spietatezza degli uomini. […] la Medea di Christa Wolf è forse, fra tutte, la più anomala oltre che la più innocente. Non uccide Apsirto né Glauce né elimina i figli, che anzi vengono fatti a pezzi dalla folla inferocita dei corinzii. […] Inoltre, Medea non è una maga: non conosce sortilegi né incantesimi. Opera secondo razionalità […] 10. Un’ulteriore novità che caratterizza la Medea di Euripide è la presenza del personaggio di Egeo, elemento che la accomuna alla Medea di Neofrone, probabilmente anteriore, e già presente in una tragedia dello stesso Euripide: Egeo. 8 Ibid., p. 31. 9 Cfr. F. TUSCANO, Il mito di Medea: dalla tradizione classica a Pasolini, in F. TUSCANO (a cura di), Pier Paolo Pasolini intellettuale del dissenso e sperimentatore linguistico, Assisi, Cittadella Editrice. 2005, pp. 164-165. 10 G. IERANÒ, Tre Medee del Novecento, in B. GENTILI, F. PERUSINO, op. cit., pp. 189-190. 11 La vicenda narra la storia di Medea, moglie di Egeo, che, ostile ai suoi figli di primo letto, tra cui Teseo, istiga il marito ad affidargli una prova molto rischiosa: l’uccisione del toro di Maratona. Il giovane supera la prova e Medea tenta quindi di ucciderlo con filtri magici per liberarsi di lui. Avendo scoperto i suoi intenti, Egeo caccia la moglie da Atene recuperando il dominio sulla città. Dai pochi frammenti della Medea di Neofrone in nostro possesso, si nota poi un altro dettaglio fondamentale nel dramma euripideo, l’invocazione al thymós: Sia. Che farai anima mia? Decidi bene, prima di errare e rendere nemici quanti hai più cari. Dove andrai, misero? […] Ahimè, è deciso. O figli, andate lontano dalla mia vista; ormai un’ira sanguinosa invade il mio grande cuore (fr. 2)11. La caratteristica più rilevante che Euripide conferisce alla sua Medea resta però la sua determinazione ad agire: [Medea] non è più soltanto la donna barbara e la maga, perciò capace di azioni efferate […] è in tutto un personaggio eroico, com’è reso evidente dal suo scontro con Giasone nel II episodio […]. Il drammaturgo la dota di audacia (tólme, thrásos), la fa temibile (deiné, ágria) come un guerriero omerico […]12. Sono questi gli attributi che rendono Medea una delle eroine più 11 G. AVEZZÙ, op. cit., p. 109. 12 Ibid., pp. 147-148. 12 ‘moderne’ della tradizione antica. Dopo Euripide furono molti gli scrittori che si cimentarono nella narrazione delle vicende della maga colchica, contribuendo a tratteggiarne un ritratto dettagliato e suggestivo. Apollonio Rodio, nelle Argonautiche, ci offre l’immagine di una Medea afflitta, dubbiosa, incerta sul suo futuro. Passando in rassegna le diverse possibilità di azione, si rende conto di trovarsi in una situazione di «amechaníe»13: L’amechaníe di Medea è mancanza di strumenti che offrano scampo da una scelta comunque perdente: le mancano vie d’uscita reali, che non comportino cioè un qualche inevitabile male a venire. Amechaníe non vale «mancanza (assoluta) di strumenti», bensì «mancanza di strumenti adeguati» […] Arti magiche e altre mechanaí, per quanto efficaci alla vendetta, non smentiscono né superano l’amechaníe, anzi, ne sono l’altra faccia14. Diversa è invece l’immagine che Ovidio (Metamorfosi) e Seneca (Medea) trasmettono dell’ eroina. Barbara terribile, presa dal furore della gelosia, donna crudele dominata dall’odio e dal desiderio di vendetta, Medea ha tutte le sembianze di un essere sinistro e demoniaco. In particolar modo la Medea senecana è una donna travolta dalle 13 M. R. FALIVENE, Medea nelle «Argonautiche» di Apollonio Rodio, in B. GENTILI - F. PERUSINO, op. cit., p. 111. 14 Ibid., p. 111. 15 solamente sofferenza. Caratteri analoghi sono propri della Medea di Corrado Alvaro (Lunga notte di Medea, 1950), rappresentata come una vittima della persecuzione razziale: Secondo me, ella uccide i figli per non esporli alla tragedia del vagabondaggio, della persecuzione, della fame: estingue il seme d’una maledizione sociale e di razza, li uccide in qualche modo per salvarli, in uno slancio di disperato amore materno […] Medea è la vittima tipica del passaggio d’una civiltà, quando la società umana, da primitiva e patriarcale ed eroica, diventa società politica retta da concetti politici18. Da queste affermazioni dell’autore risultano chiari gli elementi di contatto con la Medea pasoliniana (1970). Probabilmente, Corrado Alvaro fu una delle fonti di ispirazione di Pasolini nella realizzazione del suo film, ne è testimonianza la centralità del contrasto tra il mondo mitico, arcaico, sacro di Medea e quello politico e razionale di Giasone, nonché la decisiva umanizzazione della protagonista. Nel corso del Novecento il personaggio di Medea assume progressivamente caratteristiche sempre nuove, perdendo i tratti più terribili e feroci che la avevano caratterizzata in precedenza, e interpretando magnificamente le problematiche più ricorrenti del XX 18 Ibid., p. 163. 16 secolo. È proprio qui che si cela la grande ‘modernità’ di Medea. § 2 La Medea di Euripide La trama La vicenda è ambientata a Corinto, dove si sono stabiliti i due protagonisti della vicenda: Medea, figlia del re della Colchide, maga dagli straordinari poteri, e Giasone, eroe greco, giunto nella città per riconquistare il regno che gli spetta. Nel prologo della tragedia la nutrice informa gli spettatori sull’antefatto del dramma: Medea, dopo aver aiutato Giasone nella conquista del Vello d’oro da portare a Pelia in cambio del regno, giunge con lui a Corinto e qui viene abbandonata dal marito, che si appresta a sposare la figlia del re corinzio. Per il timore che la sua famiglia possa rimanere vittima dei sinistri poteri di Medea, Creonte le ordina di abbandonare la città, portando con sé i suoi due figli. Medea chiede a Creonte di concederle un solo giorno per organizzare la partenza e, avendolo ottenuto, inizia a progettare la sua atroce vendetta ai 17 danni di Giasone. L’incontro con Egeo, che si offre di ospitarla nella sua terra, facilita l’attuazione dei suoi piani. Fingendo di volersi riconciliare con Giasone, Medea chiede di evitare l’esilio almeno ai suoi figli e manda a questo scopo una veste e un diadema in dono a Glauce, oggetti che si riveleranno mortali non solo per la futura sposa ma anche per il padre, morto con lei nel tentativo di aiutarla. Ma Medea ha attuato solo in parte la sua vendetta: quello che le rimane da compiere è ciò che di più atroce si possa imputare ad una madre: l’uccisione dei suoi figli. Quando Giasone tornerà da lei per sfogare la sua rabbia per la morte di Glauce e di Creonte, vedrà Medea allontanarsi sul carro del Sole con i corpi dei figli privi di vita a cui egli non potrà dare neanche l’ultimo saluto. La critica Euripide fu un intellettuale appartato, non partecipò attivamente alla vita politica della città. E’ documentata la sua vicinanza con i Sofisti, di cui 20 accecamento che la trascina nell’azione criminosa22. Il tentativo di definire il corretto significato del termine thymós è da sempre il nodo cruciale dell’esegesi della Medea di Euripide. Il lungo monologo di Medea (vv.1019-1080), che rappresenta il suo devastante turbamento di fronte alla difficile decisione, risulta il più controverso e dibattuto. Molti critici, confrontatisi a tal proposito, hanno fornito molteplici interpretazioni che, pur divergendo per alcuni aspetti, sono tutte accomunate da un elemento di base: la convinzione di una profonda determinazione nell’agire di Medea. Lo stesso Euripide, attraverso le parole della protagonista, fa emergere le motivazioni della sua tragica decisione: Ma cosa mi succede? Voglio meritarmi il riso dei miei nemici lasciandoli impuniti? Bisogna sostenere questa prova. […] Per i dèmoni sotterranei dell’Ade , non sarà mai che io abbandoni i miei bambini ai nemici perché li oltraggino. È assoluta necessità che essi muoiano; e poiché è necessario, li uccideremo noi che li abbiamo generati23. Medea agisce quindi lucidamente, decide di mettere in atto ciò che ha progettato per motivi ben precisi: il timore della derisione da parte dei 22 B. GENTILI, La «Medea» di Euripide, in B. GENTILI - F. PERUSINO, op. cit., p. 37. 23 vv. 1049-1051, 1059-1063. 21 nemici, ma soprattutto l’angoscia per la futura sorte dei figli la portano a compiere l’assassinio. Da questo punto di vista, la Medea appare divisa in due parti ben distinte. Nella prima il proposito di vendetta è già apparso nella mente di Medea, ma il suo disegno non appare ancora chiaro; è offuscato da una forte emotività che si evidenzia anche nello stile: frasi brevi, spezzate, enunciati elementari, spesso giustapposti, rivelano la sua rabbia e il suo dolore24. Solo dopo l’incontro con Egeo inizia a profilarsi con estrema lucidità il tragico progetto. Medea sostiene con caparbietà il suo proposito che si manifesta attraverso un discorso chiaro e rigorosamente strutturato25. Rivolgendosi al coro, rivela freddamente il suo piano d’azione. Solo nel momento in cui parla dell’assassinio dei suoi figli, ella manifesta piangendo il suo amore per loro, ma nonostante questo la sua determinazione non vacilla neanche per un attimo: Ora, però, voglio porre fine a questo discorso; mi è venuto da piangere per l’entità dell’azione che poi devo compiere; ucciderò, infatti, i figli miei: non vi è alcuno che me li strapperà 26. 24 Cfr. EURIPIDE, op. cit., vv. 96-98, vv. 111-114, vv. 144-147. 25 vv. 764- 810. 26 vv. 790-793. 22 Diverse sono le motivazioni che spingono Medea a farsi assassina dei suoi figli, prima fra tutte il desiderio di vendicare l’ingiusto tradimento che è stata costretta a subire. In più passi del dramma, Giasone viene definito ádikos, ovvero «ingiusto», a lui viene attribuito il commettere ingiustizia, adikeîn. La tragedia consiste «nell’urto irrimediabile di due opposte mentalità, di due diversi e opposti sistemi di valori nei quali la nozione comune di giustizia, si determina in forme diverse e inconciliabili. L’omologia tra la díke di Medea e quella di Giasone sussiste solo a livello di significante, non di significato»27. Il binomio oppositivo díke/adikía costituisce l’asse portante di tutta la tragedia e l’importanza di questa norma violata da Giasone risulta evidente nell’incipit del lungo monologo di Medea, dove l’eroina dichiara di mettere in atto la sua vendetta proprio in nome della giustizia: O Zeus, o Giustizia figlia di Zeus, o luce del Sole, ora conseguirò, o amiche, una bella vittoria sui miei nemici e su questa via mi sono incamminata; ora ho la speranza che i miei nemici pagheranno il fio28. 27 B. GENTILI, La «Medea» di Euripide, in B. GENTILI - F.PERUSINO, op. cit., p. 35. 28 vv. 764-767. 25 Capitolo II IL CINEMA MITICO-PSICANALITICO DI PASOLINI § 1 Il cinema di Pasolini: caratteri generali Prima di affrontare un’analisi dettagliata della Medea, credo sia opportuno introdurre qualche cenno sulle principali caratteristiche del linguaggio cinematografico pasoliniano. L’autore stesso parla di «lingua scritta della realtà»32, ma cosa intende realmente con questa definizione? Per Pasolini il cinema non è una tecnica o un linguaggio specifico di una determinata lingua, ma è una lingua a se stante. Nella premessa in versi a Le regole di un’illusione afferma: Poi mi accorsi/che non si trattava di una tecnica letteraria, quasi/appartenente alla stessa lingua con cui si scrive:/ma era, essa stessa, una lingua…33 In effetti, Pasolini sostiene che «la realtà non sia, infine, che il cinema in natura»34, considerando il modo in cui tramite le inquadrature si riesce a riprodurre la realtà. 32 E. MAGRELLI (a cura di), Con Pier Paolo Pasolini, Roma, Bulzoni, 1977, p. 97. 33 P. P. PASOLINI, Le regole di un’illusione. I film, il cinema, Roma, Ass. «Fondo Pier Paolo Pasolini», 1991, p. 15. 34 P. P. PASOLINI, Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, Milano, Mondadori, 1999, p. 1505. 26 Ciò che il cinema rappresenta non è altro che la prima forma di linguaggio umano: l’azione, che porta l’uomo ad instaurare relazioni con gli altri e con la realtà che lo circonda. Il cinema rappresenta degli oggetti esistenti in natura che, grazie all’abilità del regista, possono divenire segni simbolici e metaforici. Le immagini, o im-segni35, come preferisce chiamarle Pasolini, fanno parte di un patrimonio visivo comune, determinando l’incontrastabile internazionalità del cinema. La scelta e la combinazione delle immagini, prelevate dal «sordo caos delle cose»36, non sono affatto casuali ma dipendono dalla soggettività del regista, conferendo all’opera cinematografica una duplice natura allo stesso tempo oggettiva e soggettiva. Gli oggetti che vengono rappresentati hanno, infatti, caratteristiche oggettive non modificabili dall’autore, ma la loro scelta e la loro giustapposizione possono comunicare significati del tutto nuovi, dipendenti unicamente dal regista. 35 Ibid., p. 1463. Il termine “im-segni” è utilizzato da Pasolini, in analogia con “lin-segni” (ovvero parole che assumono significati diversi in base al sistema di segni mimici a cui sono associate), per definire le immagini significanti attraverso cui si esprime il mondo della memoria e dei sogni. 36Ibid., p. 1. 27 Gli im-segni, di conseguenza, non sono contenuti in un dizionario, così come avviene per le parole di una lingua, ma fanno parte del mondo della memoria e dei sogni. Sono infiniti segni pre-grammaticali o pre- morfologici che determinano il carattere assolutamente irrazionalistico del cinema. Per questo motivo il lavoro del regista è molto più complesso rispetto a quello dello scrittore, che si limita a scegliere dall’elenco finito dei lin-segni37 contenuti in un dizionario, quelli più consoni alla sua espressione. Un’ulteriore difficoltà dell’autore cinematografico è l’impossibilità di rappresentare direttamente dei concetti astratti così come fa lo scrittore attraverso le parole. […] per ora il cinema è un linguaggio artistico non filosofico. Può essere parabola, mai espressione concettuale diretta38. Apparentemente il cinema sembra utilizzare il linguaggio della prosa ma, in realtà, non è così. Proprio per il suo carattere irrazionale e metaforico, il cinema contemporaneo a Pasolini sembra incamminarsi sulla strada di un 37 Ibid., p. 1462. 38 Ibid., p. 1468. 30 cui struttura «consiste proprio in questo: passaggio dallo stadio letterario a quello cinematografico»42. Il «cinema di poesia» si basa essenzialmente su particolari tratti stilistici, ad esempio lo spettatore deve avvertire la presenza della macchina da presa, in contrapposizione al cinema classico, cinema narrativo e di prosa, il cui scopo principale era quello di nascondere l’autore e offrire allo spettatore film che fossero il più possibile oggettivi. Attraverso il movimento della macchina e il tipo delle inquadrature, il regista riesce a comunicare allo spettatore molto più di quanto si possa pensare. § 2 Pasolini e il mito Fin dalla seconda metà degli anni Sessanta, il cinema di Pasolini subì una progressiva svolta, allontanandosi progressivamente dal realismo delle vicende proletarie che aveva animato la prima fase della sua produzione cinematografica (dall’esordio con Accattone nel 1961 a Uccellacci e uccellini del 1966), per rifugiarsi nel mito e nella 42 Ibid., p. 1501. 31 dimensione onirica che caratterizza il secondo ciclo di film, quello comunemente definito «mitico-psicanalitico»43 . Questo percorso a ritroso verso il passato mitico e incontaminato dall’ideologia borghese, culmina con i film Edipo re (1967), Teorema (1968), Porcile (1969) e, in particolare, Medea (1970). L’interesse di Pasolini per il mondo classico è documentato anche da numerose traduzioni e adattamenti che, come testimonia Todini44, iniziarono a prendere corpo già dal 1960 con la traduzione dell’Orestea e dell’Eneide. Nel 1963 Pasolini scrisse Il Vantone adattamento in romanesco sulla base del Miles Gloriosus plautino, e Il padre selvaggio. Del 1967 è il film Edipo re, mentre all’anno successivo risale Appunti per un’Orestiade africana. Ma è con Medea (1970) che Pasolini riesce ad esprimere a pieno il suo rapporto con il mito e con il passato arcaico. […] dietro il mito, come Pasolini dichiarò in molte interviste, si nascondeva la necessità, da parte dell’autore, di osservare sempre le cose e la realtà e di mostrarle come tali45. 43 G. FERRONI, Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Milano, Einaudi, 1991, p. 522. 44 U. TODINI, Un antico agli antipodi, in U. TODINI (a cura di) Pasolini e l’antico. I doni della ragione, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, p. 13. 45 L. MARTELLINI, Ritratto di Pasolini, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 135. 32 Il ritorno all’antico serve quindi, paradossalmente, ad instaurare un rapporto diretto con la realtà contemporanea fatta di continue contraddizioni. Il mito, come lo rielabora Pasolini, contiene in sé una casistica molto ampia, che consente di individuare le forze in gioco di una realtà che distrugge e si autodistrugge, come la nostra46. È il rapporto conflittuale con la realtà contemporanea che porta il poeta- regista a realizzare film basati su un’incomunicabilità insanabile, come Medea. Come teorizza Luigi Martellini47, i film pasoliniani appartenenti al cosiddetto ‘periodo classico’, sono caratterizzati da una dialettica di base che vede il contrapporsi ad una situazione iniziale (tesi) una situazione di antitesi, così come accade in Medea. In Medea […]: situazione di tesi (il mondo arcaico-barbarico-mitico-ieratico) e situazione di antitesi (il mondo moderno-razionale-pragmatico-laico-manie- ristico). Le due situazioni non raggiungevano la sintesi ma rimanevano opposizioni: una nostalgia degli antichi valori e del sacro da contrastare e un presente che ha distrutto il passato48. Pasolini, ovviamente, sa bene che un ritorno ad un passato mitico risulta 46 U. TODINI, Pasolini e la storia dell’antico, in U. TODINI, op. cit., p. 23. 47 L. MARTELLINI, op. cit., p.136. 48 Ibid., p. 136. 35 Capitolo III LA MEDEA DI PASOLINI Pier Paolo Pasolini è uno dei primi registi a portare sulla scena filmica il mito di Medea51 e lo fa applicando a pieno le teorie sul nuovo cinema che stava elaborando proprio in quegli anni. Medea fa parte di quello che, secondo una suddivisione convenzionale e per certi aspetti arbitraria, è detto “filone classico” del cinema pasoliniano: […] il mondo classico - il mito di Giasone e degli Argonauti fra l’altro - è utile a Pasolini per tutta una serie di riferimenti al mondo in cui oggi viviamo52. È in questo modo che Pasolini usa il mito: lo pone in correlazione con il mondo contemporaneo tracciando parallelismi e opposizioni che rivelano la grande modernità dell’antico. L’intera produzione pasoliniana può essere analizzata alla luce di costanti opposizioni che si generano tutte da un contrasto primario e biografico: quello tra l’amore nei confronti della figura materna e l’odio verso quella 51 Tutte le opere realizzate precedentemente sul mito di Medea non erano state veri e propri film e alcune sceneggiature scritte non erano mai state girate. Cfr. A. CAIAZZA, op. cit., p. 176, n. 13. 52 G. GAMBETTI, Introduzione a «Medea», in P. P. PASOLINI, Il Vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, Milano, Garzanti 2006, (1991¹), p. 460. 36 paterna. Il Passato, protagonista dei film ispirati al mito classico (Medea, Edipo re etc.), può essere ricondotto al primo polo, così come l’irrazionale e l’interesse per il Terzo mondo, da contrapporre ad un presente neocapitalistico, borghese, dominato dall’illuminismo, facente parte dell’autoritario mondo paterno. A questa stessa serie di dualismi è facilmente riconducibile anche il tema di fondo della Medea: l’inconciliabile scontro tra un mondo puro, primitivo, barbarico, dominato dall’irrazionalità rappresentato da Medea, e la dimensione di Giasone, contaminata dal progresso, dall’ambizione e dal pragmatismo. § 1 Medea: scheda tecnica Da Medea di Euripide Scritto e diretto da: Pier Paolo Pasolini Fotografia: Ennio Guarnieri Scenografo arredatore: Dante Ferretti Architetto: Nicola Tamburro Costumi: Piero Tosi 37 Commento musicale: brani folclorici, coordinati da Pier Paolo Pasolini con la collaborazione di Elsa Morante Montaggio: Nino Baragli Collaborazione alla regia: Sergio Citti Assistente alla regia: Carlo Caruncinio Interpreti e personaggi: Maria Callas (Medea), Laurent Terzieff (il Centauro), Massimo Girotti (Creonte), Giuseppe Gentile (Giasone). E inoltre Margareth Clementi, Sergio Tramonti, Anna Maria Chio. Produzione: San Marco Spa (Roma), Le Films Number One (Parigi), Janus Film und Ferneehen (Francoforte) Produttori: Franco Borsellini e Marina Cicogna Produttori associati: Pierre Kalfon, Klaus Heiwig Pellicola: Kodak Essimancolor Formato: 35mm, colore Macchina di ripresa: Arriflex Sviluppo e stampa: Technostampa Sincronizzazione: NIS Film Distribuzione: Euro International Films 40 Queste sono le parole che il Centauro rivolge a Giasone tredicenne: egli non ha ancora completamente abbandonato la sacralità dell’esistenza, la sua «conversione alla rovescia», dal sacro al profano, non è ancora av- venuta. Solo da adulto Giasone approderà alla completa razionalità, resa evidente dall’evoluzione dell’aspetto del Centauro, divenuto centauro-padre, ormai completamente antropomorfo, e dalle sue affermazioni: Ciò che l’uomo, scoprendo l’agricoltura, ha veduto nei cereali, ciò che ha imparato da questo rapporto, ciò che ha inteso dall’esempio dei semi che perdono la loro forma sotto terra per poi rinascere, tutto questo ha rappresentato la lezione definitiva. La resurrezione mio caro. Ma ora questa lezione definitiva non serve più. Ciò che tu vedi nei cereali, ciò che intendi dal rinascere dei semi è per te senza significato, come un lontano ricordo che non ti riguarda più. Infatti non c’è nessun Dio56. Figura 1 Giasone e il Centauro. 56 Ibid., pp. 545-546. 41 SCENA II: SACRIFICIO NELLA COLCHIDE Il riferimento ai rituali primitivi legati al mondo dell’agricoltura è essenziale per introdurre la scena successiva: il sacrificio nella Colchide, officiato da Medea, maga e sacerdotessa, il cui mondo fa il suo ingresso sulla scena in tutta la sua sacralità: Dà vita al seme e rinasci con il seme57. Figura 2 Primissimo piano di Medea. Queste sono le uniche parole dell’intera sequenza: pronunciate da Medea, sintetizzano il profondo significato attribuito al sacrificio umano dalle popolazioni arcaiche. 57 Ibid., p. 546. 42 La scena si apre con i preparativi al rito: la popolazione si riunisce per assistervi, la vittima viene cosparsa di oli colorati e sorridente si appresta ad essere sacrificata. Il suo è un sorriso motivato: la sua morte non è legata al completo annientamento ma alla rinascita. Il giovane viene ucciso per soffocamento, fatto a pezzi e le sue membra sotterrate nei campi come azione propiziatrice legata alla fertilità. I suoi resti vengono bruciati e le ceneri cosparse al vento. Il rito termina con una cerimonia orgiastica, in cui si assiste ad una fittizia detronizzazione della famiglia regnante: lo sputo contro il re e la regina, la fustigazione di Absirto e il finto sacrificio di Medea ne sono i momenti principali. Figura 3 Vittima sacrificale. 45 evidenzia solo a livello semantico (scontro inconciliabile tra due opposte mentalità) ma anche strutturale, esprimendosi attraverso il montaggio alternato. Le spietate scorrerie compiute dagli Argonauti risultano infatti in netto contrasto con le immagini successive, rappresentanti le attività metodiche e rituali di un mondo primitivo e mitico. In concomitanza ritorna anche la musica ‘sacra’61 che aveva fatto da sottofondo nel momento del sacrificio e che sottolinea in tutto il film la presenza di Medea e il suo legame con la Colchide. SCENA IV: IL FURTO DEL VELLO A questo punto Medea chiede alle sue ancelle di prepararla per andare a pregare al tempio dove è custodito il Vello d’oro, ma prima di accedervi deve sottoporsi ad un rito di purificazione passando attraverso le fiamme. Come vedremo, il fuoco sarà una costante dell’intero film e assumerà via via significati sempre nuovi. 61 Con musica ‘sacra’ si intende la musica che viene usata nel corso dell’intero film per caratterizzare il personaggio di Medea. Tale accompagnamento è stato da taluni definito, anche se impropriamente, ‘gregoriano’, proprio per il riferimento al mondo magico-sacrale di Medea. In realtà, la colonna sonora, come vedremo nei prossimi capitoli, è costituita da canti etnici orientali che contribuiscono, grazie all’abilità di Pasolini, a sottolineare il netto contrapporsi del mondo di Medea a quello di Giasone. 46 Finalmente Medea arriva al tempio e qui ha la prima visione prima di cadere a terra svenuta. A questo punto la musica che l’aveva accompa- gnata fino a questo momento tace bruscamente: Medea ha visto per la prima volta Giasone, egli è entrato a far parte del suo mondo e ha improvvisamente interrotto il rapporto magico-sacrale che ella aveva con la sua terra. Medea a questo punto tenta di rubare il Vello ma vedendo che le forze non le bastano chiama in suo aiuto il fratello Absirto. Ella si reca all’accampamento degli Argonauti portando con sé la pelle dell’ariete con l’intenzione di consegnarla a Giasone. La musica che accompagna Medea si fa sempre più debole fino a scemare del tutto per tornare nel momento in cui il furto del Vello viene scoperto. SCENA V: MEDEA UCCIDE IL FRATELLO Iniziano le ricerche e Medea, per rallentare gli inseguitori, uccide il fratello abbandonando le sue membra lungo il suo percorso. Si è compiuta la terribile azione che era stata già preannunciata nella scena del sacrificio, quando, tramite delle inquadrature in campo controcampo, il regista aveva istituito un parallelismo tra la vittima e Absirto, quasi a 47 voler preannunciare la tragica fine di quest’ultimo. Gli Argonauti riescono a raggiungere la costa e salpano alla volta del regno di Pelia accompagnati da Medea. Giunti sulla spiaggia di Iolco, piazzano le loro tende, provocando la ribellione di Medea che inizia a comprendere la grande diversità che intercorre tra la sua realtà e quella degli Argonauti: Questo luogo sprofonderà perché senza sostegno! Aaaah! Non pregate Dio, perché benedica le vostre tende! Non ripetete il primo atto di Dio… Voi non cercate il centro… non segnate il centro. No! Cercate un albero, un palo, una pietra! Ah. Aaah! Parlami, terra, fammi sentire la tua voce! Non ricordo più la tua voce! Parlami sole! Dov’è il punto dove posso ascoltare la vostra voce? Parlami, terra, parlami, sole. Forse vi state perdendo per non tornare più? Non sento più quello che dite! Tu erba, parlami! Tu pietra, parlami! Dov’è il tuo senso, terra? Dove ti ritrovo? Dov’è il legame cheti legava al sole? Tocco la terra coi piedi e non la riconosco! Guardo il sole con gli occhi, e non lo riconosco62! Medea cerca di spiegare ai Greci che il luogo dove si alzano le tende è un luogo sacro e per questo si deve pregare la divinità, in modo che protegga l’accampamento. Si deve cercare un qualsiasi elemento naturale che possa divenire un ‘centro’, l’omphalós, luogo sacro dell’insedia- mento. 62 P. P. PASOLINI, Il Vangelo…, op. cit., pp. 548-549. 50 Anche Giasone, peraltro, è riuscito infine a comprendere, anche se solo in parte, il valore e la sacralità del Vello, e l’estraneità del mondo ‘civilizzato’ a quella cultura arcaica: E poi se vuoi che ti dica quella che secondo me è la verità, questa pelle di caprone, lontano dal suo paese, non ha più alcun significato66. Pronunciando questa battuta, Giasone dimostra di aver compreso a pieno i valori della cultura arcaica di Medea, ma il suo tono sprezzante ne denuncia, allo stesso tempo, la totale estraneità. I due poli della sacralità e del razionalismo non raggiungono mai una completa sintesi, ma convivono giustapposti, l’uno accanto all’altro, coesistendo come pure opposizioni. È proprio questo che emerge in modo chiaro nella scena successiva. SCENA VII: LE VISIONI DI MEDEA L’azione si sposta a Corinto, simbolo della civiltà e del razionalismo. Qui, nella splendida piazza dei Miracoli di Pisa, dove è ambientata la sequenza, Giasone incontra il Centauro Chirone, ma subito si rende conto che non è più una figura unica, è come se fosse sdoppiato, ma la 66 P.P. PASOLINI, Il Vangelo…, op. cit. p. 549. 51 sua non è una visione. L’unico a poter parlare con Giasone è il centauro- padre: GIASONE: È una visione? CENTAURO: Se lo è, sei tu che la produci. Noi due siamo infatti dentro di te. GIASONE: Ma io ho conosciuto un solo Centauro. CENTAURO: No! Ne hai conosciuti due: uno sacro, quando eri bambino, uno sconsacrato, quando sei diventato adulto. Ma ciò che è sacro si conserva accanto alla sua nuova forma sconsacrata. Ed eccoci qua, uno accanto all’altro67! Le parole del Centauro evidenziano come lo scopo di Pasolini non sia quello di annientare la nuova dimensione in cui Giasone vive da adulto in favore di un recupero totale di quella magico-sacrale in cui viveva da bambino. Figura 5 Il doppio Centauro che appare a Giasone nella piazza di Corinto. Il regista non auspica, infatti, un ritorno alla barbarie ma prende atto del 67 Ibid., p. 550. 52 dissidio insanabile esistente tra due mondi rappresentati dai due Centauri contemporaneamente sulla scena. Segue una delle scene più significative del film: Medea, dopo aver visto Giasone danzare nella piazza di Corinto insieme ad alcuni giovani, in una sorta di addio al celibato, subitamente comprende il suo destino di donna abbandonata68. Tornata nella sua casa di Corinto, ha una delle tante visioni che ricorrono nel film. Chiusa nella sua camera, ella scoppia in un pianto dirotto e improvvisamente riprende la musica etnica che non si era più sentita: Medea appare vestita con i suoi antichi abiti e, dopo un dialogo con il Sole, padre di suo padre, svela alla nutrice i suoi propositi di vendetta. Nulla riesce a dissuaderla, Giasone viene condotto da lei insieme ai loro due figli che sono incaricati di recare a Glauce una veste e un diadema come doni per le imminenti nozze. Si attua così in parte la vendetta auspicata da Medea. Indossati gli abiti avuti in dono, Glauce viene uccisa dai filtri venefici con i quali erano stati imbevuti e muore arsa dalle fiamme insieme al padre Creonte. 68 Il profondo disagio di Medea risiede nel brusco passaggio dalla società matriarcale della Colchide a quella greca, profondamente maschilista, in cui la donna gode di una considerazione pressoché nulla. 55 definitivamente. Come si chiarirà in seguito, c’è, in questa scena, il recupero del motivo del léchos che in Euripide è causa di contrapposizione etnica tra le donne greche e la barbara Medea. Si nota come sia Medea a prendere l’iniziativa e ad affermare strenuamente la sua volontà di fronte a Giasone. Allo stesso tempo, però, Pasolini si discosta dal modello greco, inserendo, come ha già fatto nel corso del film, un’esplicita scena di sesso, totalmente assente in Euripide. SCENA IX: MORTE DI GLAUCE E CREONTE La scena successiva si presenta come una ripetizione, quasi del tutto letterale, della visione precedente in cui Medea aveva prefigurato l’attuazione della sua vendetta, ma ora non è più soltanto un sogno, tutto si fa reale70. Medea chiama di nuovo i suoi figli, li manda da Glauce con i doni per il suo matrimonio, questa volta però, nella realtà, la morte della sposa non è causata dai filtri mortiferi di Medea (come avviene nella scena della visione) ma dalla sua stessa volontà che la porta, una volta indossati gli 70 In questo modo Pasolini ha splendidamente esplicitato come la vendetta di Medea non nasca da un raptus, ma sia stata lucidamente meditata. 56 abiti, a gettarsi dalle mura di Corinto, seguita dal padre Creonte71. Figura 6 Primo piano di Glauce un attimo prima di gettarsi dalle mura di Corinto. SCENA X: L’INFANTICIDIO Medea con estrema calma prepara i suoi figli per metterli a dormire, già pienamente consapevole del tragico destino che li attende. Dopo averli lavati e vestiti, li tiene in braccio per farli addormentare. La rapida inquadratura del coltello sintetizza in pochi secondi l’intero evento che, a differenza delle precedenti uccisioni, non viene rappresentato esplicitamente. Il bagno è visto come un rito di passaggio, i due bambini sono infatti vittime sacrificali come era già stato evocato nella visione di 71 Pasolini sembra dunque presentare il mito come rappresentazione leggendaria di cui fornisce una sorta di razionalizzazione. 57 Medea: prima di recarsi da Glauce, il pedagogo aveva ornato le loro teste con delle ghirlande di fiori, evocando un chiaro parallelismo con la vittima del sacrificio officiato nella Colchide. Figura 7 Medea fa il bagno ai figli poco prima dell’infanticidio. Alla scena dell’infanticidio seguono due inquadrature contigue della luna e del sole, simbolo del principio di ciclicità su cui è fondata la religione primitiva. Il sacrificio dei due bambini è visto quindi da Pasolini, come la morte (la luna) in funzione della resurrezione (il sole). Sarà proprio l’infanticidio che permetterà a Medea di recuperare pienamente l’appartenenza al suo mondo puro e primitivo. L’atto di Medea non è 60 Capitolo IV LA MEDEA DI PASOLINI E L’ARCHITESTO EURIPIDEO La Medea di Euripide è, verosimilmente, la principale fonte di ispirazione dell’omonimo film pasoliniano, ma, già ad una prima e sommaria analisi, si può facilmente dedurre come il regista non sia stato totalmente fedele al suo modello, pur avendone rispettato i tratti generali. Il confronto con la tragedia greca ci porta ad individuare numerose differenze, che sono, in primo luogo, di ordine strutturale. Nella Medea di Pasolini si nota un’evidente estensione temporale rispetto al modello greco75, voluta dal regista per poter includere nel suo racconto l’antefatto della vicenda, che assume un marcato peso semantico. Massimo Fusillo sottolinea bene le funzioni che l’antefatto assume nei confronti della vicenda narrata: Nel film pasoliniano l’estensione serve a espandere e a universalizzare le polarità psichiche, culturali e politiche, seguendone le tappe dalla preistoria (il progetto iniziale prevedeva di iniziare ancor più ab ovo) alla conclusione tragica nella loro totalità narrativa76. Nella Medea infatti si riscontrano, secondo quanto afferma Fusillo, tre 75 Ovviamente l’opera cinematografica è svincolata dalla norma di unità di luogo e di tempo, che è in genere rispettata nel teatro classico. 76 M. FUSILLO, op. cit., p. 138. 61 fondamentali problematiche che coinvolgono lo scontro tra primitivo e moderno, tra Es ed Ego, tra Oriente ed Occidente; corrispondenti rispettivamente ai temi culturali, psicanalitici e politici che animano l’intera opera e che, destinati ad emergere gradualmente nel film, sono già abilmente sintetizzati nell’antefatto. È la figura del Centauro che racchiude in sé il processo di trasformazione che conduce i personaggi all’abbandono del primo polo (inerente al mondo arcaico, considerato positivo), in vista del secondo (quello della razionalità, considerato invece negativo). La funzione della prima scena del film è facilmente paragonabile a quella della prima parte della tragedia, ma tutto questo, in Euripide, è molto più conciso. La tragedia inizia in medias res, Medea è già a Corinto e ciò che è avvenuto in precedenza viene narrato brevemente dalla nutrice nel prologo (vv. 1-48), la cui funzione non si limita, a presentare l’antefatto della vicenda, probabilmente noto al pubblico del tempo, ma ci informa anche della condizione attuale della protagonista e soprattutto illustra già la caratteristica portante dell’intero dramma: il piano di vendetta di Medea. 62 Soffermandosi sulle differenze strutturali, si nota come l’antefatto non sia l’unico episodio inserito da Pasolini nel film, indipendentemente dal modello euripideo. La scena del sacrificio nella Colchide è altrettanto assente nella tragedia77, ma risulta, paradossalmente, una delle parti fondamentali del film. La sua funzione è quella di introdurre lo spettatore nel mondo arcaico di Medea, per permettergli di comprendere a pieno il tema fondamentale del film, ovvero lo scontro inconciliabile tra due diverse culture, quella primitiva di Medea e quella moderna e razionale di Giasone. Il divario tra queste due diverse culture è, non solo spaziale ma anche temporale. La distanza fisica che divide i due protagonisti, e che implica una profonda diversità culturale, viene rapportata alla distanza temporale che intercorre tra un mondo antico, dominato dalla purezza arcaica del mito e uno moderno, corrotto dal pragmatismo razionale, tra una società matriarcale e una patriarcale. 77 Come sostiene Luigi Belloni, in Euripide si nota un forte ridimensionamento dell’aspetto magico del mito, che viene recuperato solo nel finale attraverso il deus ex machina. Afferma Belloni: «[…] quel Finale doveva sembrare anche al pubblico fuori della norma, e l’uso della mechane, poi, oltre ad essere ‘esterno’ alla drammaturgia peculiare di Medea, doveva richiamare alla memoria una presenza sovrumana che proprio il resto della tragedia euripidea aveva contribuito a emarginare». Cfr. L. BELLONI, Tre Medee: Euripide, Cherubini, Grillparzer, in «Lexis» XVI, 1998, p. 63. Questa tendenza a ridimensionare la magia è stata sviluppata da Pasolini, che presenta le scene di magia o come rituali antropologicamente riletti o, attraverso le visioni, come “deliri” di Medea. 65 realistico della scena: Medea indossa abiti greci ed è assente la musica etnica che aveva caratterizzato la sua precedente visione. Inoltre i bambini non vengono ornati con ghirlande di fiori e la vestizione di Glauce così come il suo suicidio assumono un carattere individuale e psicologicamente connotato; Glauce, infatti, non muore divorata dalle fiamme, ma si suicida gettandosi dalle mura di Corinto. Questa scena, come vedremo nel capitolo successivo, evidenzia una chiara ripresa, da parte di Pasolini, della versione adottata da Corrado Alvaro nel suo dramma Lunga notte di Medea. Ma come si pone effettivamente Pasolini nei confronti del testo euripideo? Come è stato già sottolineato, la sua opera non nasce da una fedeltà assoluta al modello greco, eppure, sono diversi i momenti in cui il dialogo tra i personaggi risulta essere una citazione, quasi letterale, dei versi euripidei78. Gran parte delle citazioni di Euripide si collocano nei momenti ‘onirici’ del film: questo elemento è fondamentale per comprendere il rapporto 78 Questo non ci sorprende, vista la familiarità di Pasolini con i testi classici dei quali fu eccellente e sensibile traduttore (vd. p. 25). 66 con il modello greco. Pasolini cerca di inserire le citazioni più significative nella dimensione del sogno, della visione, quasi come se volesse lasciare Euripide nell’atemporalità del mito. Allo stesso tempo, però, si attua un processo di modernizzazione del testo greco, attraverso una traduzione non sempre fedele. Secondo Luigi Torraca: Tra il testo, così come è stato scritto da Pasolini, e la sua realizzazione filmica si apre una forte frattura, dovuta evidentemente alle inevitabili necessità ed esigenze del linguaggio dell’immagine. […] Pasolini, meno sorretto da competenza filologica che illuminato da profondo spirito poetico, riesce a cogliere e a riproporre con talento non comune al lettore o allo spettatore moderno le più nascoste significanze del testo tradotto. Egli ha individuato quei passi che segnano il vertice poetico del dramma euripideo e li ha tradotti con sensibilità veramente congeniale col poeta antico79. Ci sono diversi passi della tragedia euripidea che Pasolini decide di inserire come delle vere e proprie citazioni, traducendoli direttamente dall’originale. La prima citazione di Euripide si ha quando Medea, dopo aver visto Giasone danzare nella piazza di Corinto con alcuni giovani e aver compreso la sua triste sorte, torna a casa e ha una delle sue numerose visioni. Il dialogo con il Sole, padre di suo padre, le dà forza e la spinge 79 L. TORRACA, op. cit., pp. 84-85. 67 a progettare la sua vendetta che ella subito rivela alle ancelle, che sembrano avere nel film il medesimo ruolo del coro nella tragedia. Confrontando le parole che Medea rivolge alla nutrice nel film pasoliniano si nota come esse ricalchino quasi letteralmente quelle dei versi euripidei: in Pasolini: MEDEA: O Dio, o giustizia cara a Dio, o luce del Sole! La vittoria che intravedo sopra i miei nemici, sarà splendida. Ormai vado diritta al segno, e infine mi vendicherò come devo80. In Euripide: MEDEA: O Zeus, o Giustizia figlia di Zeus, o luce del Sole, ora conseguirò, o amiche, una bella vittoria sui miei nemici e su questa via mi sono incamminata; ora ho la speranza che i miei nemici pagheranno il fio81. Paragonando le due versioni, si nota come la traduzione di Pasolini non sia letterale, ma abbia subito una sorta di modernizzazione, di adattamento ai tempi. L’autore traduce ‘Zeus’ con ‘Dio’, conformando la divinità pagana alla religione cristiana82. Mettendo a confronto i dialoghi definitivi di Medea e il precedente 80 P. P. PASOLINI, Il Vangelo…, op. cit., p. 552. 81 EURIPIDE, op. cit., traduzione di Ester Cerbo, vv. 764-766. 82 Come è peraltro uso di Pasolini, il quale, anche nelle traduzioni delle altre tragedie, attualizza molti termini antichi, traducendo, ad esempio, il termine greco ‘tempio’ con ‘chiesa’. 70 greca non sono presenti, per ovvi motivi, scene di sesso ma, nonostante questo, se ne parla molto. Pasolini riprende, in questa scena, il tema del léchos: è Medea a prendere l’iniziativa, conducendo Giasone nella sua camera, evidenziando la profonda differenza culturale che la distingue dalle altre donne greche. Un tale atteggiamento era impensabile per una donna greca, che aveva una posizione subalterna rispetto all’uomo ed era costretta a sottostare al suo volere. Era immorale che una donna ‘perbene’ si mostrasse interessata al sesso; inoltre Medea appariva scandalosa perché considerava la sua unione legittima, come un vero matrimonio. La lunga rhésis di Medea dei versi 214-266, è emblematica della situazione femminile in Grecia: MEDEA: […] Fra tutti quanti sono animati ed hanno un intelletto noi donne siamo la specie più sventurata; per prima cosa dobbiamo, con gran dispendio di beni, comprarci uno sposo e prenderci un padrone del nostro corpo. […] E in questo c’è un rischio gravissimo: se il marito lo si prende cattivo oppure buono. Per noi donne, infatti, la separazione è un disonore, né si può ripudiare lo sposo […]86 Sono molte le parti della tragedia in cui affiora il tema del léchos, del talamo nuziale abbandonato da Giasone, considerato come la causa 86 vv. 229-237. 71 prima dell’infelicità di Medea (v. 88, vv. 265-266, vv. 435-436, vv. 996- 999)87. La scena seguente, in ripresa del quarto episodio della tragedia euripidea, presenta l’attuazione della vendetta di Medea. Questa volta, però, come ho già detto in precedenza, non è solo una visione della protagonista, ma è qualcosa di estremamente realistico. Analizzando attentamente le scene seguenti, si nota come Pasolini non abbia applicato solo un’estensione temporale alla storia, ma abbia apportato anche dei tagli alla vicenda narrata da Euripide. L’assenza del personaggio di Egeo si fa indubbiamente sentire, e questo taglio, operato dal regista, risulta di indubbia valenza semantica. Nella tragedia la figura di Egeo e il suo dialogo con Medea, conferiscono sicurezza e determina- zione alla protagonista: è proprio perché Medea sa dove potersi rifugiare dopo l’esilio che acquista una maggiore forza nel compiere la sua 87 Afferma Belloni: «[…] l’adikía, l’ingiustizia d’amore commessa da Giasone situa nel léchos la ragione prima del dramma […]. Secondo un codice di comportamento [quello poetico espresso dalla lirica arcaica] ben definito nell’età arcaica, mai un partner, nel rapporto amoroso, avrebbe dovuto ricusare la reciprocità, e comunque sarebbe dovuto soccombere alla díke di Afrodite se fosse stato capace, responsabile di tanta renitenza». Cfr. L. BELLONI, art. cit., p. 64. Peraltro questo codice era in contrasto con la realtà sociale: occorre ricordare che per gli antichi il matrimonio era solo un mezzo per generare figli legittimi, le donne ‘oneste’ dovevano reprimere il sesso come gratificazione, mentre gli uomini lo cercavano fuori dall’ambito familiare. 72 spietata vendetta. Ma in Pasolini questo aspetto è del tutto assente e con esso manca l’idea di una possibile salvezza per Medea. Come sostiene Fusillo88, il motivo dell’incertezza e della sospensione viene riproposto da Pasolini anche nel finale. In Euripide, nonostante la tragicità dell’infanticidio, si ha la salvazione di Medea, che si allontana sul carro del Sole, protetta dal suo avo. In Pasolini questo non accade, il finale rimane in sospeso e l’ultima immagine del sole che sorge (esattamente uguale alla prima dei titoli di testa) sembra testimoniare l’intenzione del regista di realizzare un finale aperto in cui permanga il concetto di ciclicità rappresentato dal nuovo sorgere del sole. Soffermandoci sul finale, si può notare un’ulteriore differenza tra il film e il testo euripideo: l’ostacolo tra Giasone e Medea, che in Euripide è rappresentato da una porta chiusa, viene sostituito dalla barriera creata dalle fiamme. Come abbiamo già visto in precedenza, il fuoco assume un valore metaforico nel corso dell’intero film. All’inizio dell’ultima scena, in particolare, si vede Medea riaccendere il braciere ormai spento durante la notte. In concomitanza con questo gesto, si sente di nuovo la 88 M. FUSILLO, op. cit, p. 174-175. 75 recuperare quell’universo magico-sacrale di cui era stata privata a causa dell’unione con un uomo greco. 76 Capitolo V LA MEDEA DI PASOLINI FRA TRADIZIONE E CONTEMPORANEITÀ Soffermandoci sul rapporto tra la Medea e il suo principale modello, l’omonima tragedia euripidea, si può notare come la profonda conoscenza che Pasolini ha della classicità lo conduca ad instaurare con il teatro antico un rapporto che va ben oltre la semplice citazione. Attraverso il mezzo filmico, infatti, Pasolini sa riproporre allo spettatore moderno, in maniera del tutto originale, le principali convenzioni del teatro classico adattandole abilmente alle sue esigenze di regista. Spesso Pasolini usa la macchina da presa in modo particolare, riproponendo, nel corso dell’intero film, la visione attraverso le porte. Inquadrature di tal genere sono molto frequenti e, probabilmente hanno lo scopo di riprodurre la struttura della skené classica, sempre caratterizzata dalla presenza di porte. Spesso, infatti, nel teatro antico lo spettatore scorgeva attraverso la porta della skené particolari di un’azione che si era svolta dietro la skené stessa e che le convenzioni vietavano di rappresentare sul palcoscenico (ad 77 esempio i cadaveri di Agamennone e Cassandra nell’Orestea di Eschilo). *** Il profondo legame esistente tra la Medea pasoliniana e la tragedia classica non implica che Euripide sia stato l’unico modello a cui Pasolini fece riferimento nella realizzazione del film. Alcuni elementi in comune ci portano a confrontare l’opera pasoliniana con quella di un altro grande scrittore del Novecento italiano, Corrado Alvaro, che nella Lunga notte di Medea mette in scena il dramma interiore della protagonista, di fronte alla sua difficile scelta. Il dramma, rappresentato per la prima volta al Teatro Nuovo di Milano l’11 luglio del 1950, dimostra come il Novecento abbia «cercato nel mito greco lo specchio - o il correlativo oggettivo - delle sue tensioni e delle sue crisi»91. Dalle stesse parole dell’autore possiamo comprendere quale sia l’asse portante dell’intero dramma: Medea mi è parsa un’antenata di tante donne che hanno subito una persecuzione razziale […]. Secondo me, ella uccide i figli per non esporli alla tragedia del vagabondaggio, della persecuzione, della fame: estingue il seme di una maledizione sociale e di razza, li uccide in qualche modo per salvarli, in uno 91 G. IERANÒ, op. cit., p. 177. 80 delle donne del bando, che hanno il compito di informare su come si deve spegnere il focolare e su come si è banditi: NOSSIDE: (mentre soffia sul fuoco tentando di rianimarlo) Piccola, vai dalla vicina a chiederle se ci dà un tizzone per ravvivare il focolare95. Ma l’arrivo delle due donne impedisce loro di farlo: NOSSIDE: (affacciandosi, alle due ombre) È già spento il focolare. Si è spento da sé96. Un ulteriore punto di contatto tra la Lunga notte di Medea e il film consiste nella scelta di una particolare variante della morte di Glauce. In entrambe le opere la giovane si getta dalle alte mura di Corinto, alla ricerca di una morte volontaria. Corrado Alvaro spiega questo atto suicida come l’esternazione del rifiuto di vivere dopo la presa di coscienza del personaggio: MEDEA: Hanno saputo troppo in una volta. E tua figlia ha misurato che cosa significhi essere sposa e madre. Ha saputo in una volta che cosa sia tradimento e inganno. E si è rifiutata di diventare donna97. I due autori contemporanei, pur utilizzando due diverse forme espressive, cinema e teatro, realizzano, inoltre, una focalizzazione del 95Ibid., p. 220. 96Ibid., p. 221. 97Ibid., p. 252. 81 tutto nuova sul personaggio di Creusa-Glauce, vista come proiezione, come “doppio virtuale” della protagonista Medea98. Mentre nella mitologia tradizionale si riscontra una sostanziale opposizione tra le due eroine (Creusa è la casta sposa e il simbolo della purezza, Medea è la rappresentazione del male e della vendetta), in Pasolini e Alvaro questa dicotomia permane solo da un punto di vista spaziale, Creusa e Medea vivono in un costante rapporto di allontanamento spaziale (la casa di Medea è esclusa rispetto alla città, fuori dalle mura del palazzo) abilmente compensato però da una relazione molto più complessa creata dai due autori: Créuse et Glauce deviennent les éléments spéculaires de Médée grâce à l’espace particulier créé par le miroir99. Questa interpretazione si basa sulla presenza dello specchio e delle visioni magico-oniriche che caratterizzano entrambe le opere. In Alvaro, Creusa appare per la prima volta, mentre viene sedotta da Giasone, in una visione magica di Medea. Parallelamente, nel film pasoliniano fa la 98 Cfr. D. Mimoso-Buiz, Figures du miroir: confrontation de la Creusa de Corrado Alvaro (Lunga notte di Medea) et le Glauce dans Medea de Pier Paolo Pasolini, «Revue des études italiennes», XXVII, 1981, pp. 214-232. 99 Ibid., p. 217. 82 sua prima comparsa nella sequenza onirica del secondo tempo. Vengono qui presentate due immagini speculari delle donne, costrette entrambe a vivere un’esperienza dolorosa. Le due figure sono accomunate dal possesso di un oggetto-talismano, i gioielli del dio Sole. Come sostiene Mimoso-Buiz: Pasolini nous offre une focalisation ritualisée de la cérémonie par laquelle Medea et Glauce son revêtues de cet objet-agalma100. È la presenza nello specchio delle due eroine e dei gioielli da loro indossati che crea il fenomeno di proiezione: Medea e Glauce sono due figure lontane da un punto di vista spaziale ma che, grazie al possesso dello stesso oggetto, rappresentano la configuration optique du double101. Glauce rifiuta la collana nuziale regalatale dal padre per indossare quella di Medea, marginalizzandosi dal mondo greco “civilizzato” per identificarsi nell’alterità, nella “barbara Medea”. Per tutti questi aspetti, la Lunga notte di Medea di Corrado Alvaro, come accennato, può considerarsi una delle principali fonti che Pasolini tenne in considerazione per la realizzazione del suo film, così come lo fu, 100 Ibid., p. 221. 101 Ibid., p. 224. 85 il film, fanno parte di un repertorio etnico103, il più consono all’ambientazione scelta da Pasolini e commentano efficacemente il tema fondamentale del film: la differenza tra culture. Al mondo degli Argonauti, infatti, viene sempre associata una musica giapponese per strumento a corda, mentre per caratterizzare il mondo colchico vengono utilizzati brani prevalentemente vocali: solo due brani tibetani sono accompagnati rispettivamente dal suono di campanelli e da strumenti a percussione e un pezzo iraniano da uno strumento a corda104. Da alcuni autori105, la musica che accompagna Medea viene definita ‘gregoriana’ o sacra. Lo stesso Pasolini, nel trattamento dell’opera, la definisce «ecclesiastica». Forse l’intento iniziale dell’autore era proprio quello di inserire brani di musica sacra, probabilmente cristiana, proposito successivamente abbandonato per ragioni a noi ignote. *** 103Tratte dagli LP Tibet III, a Musical Anthology of the Orient, U.N.E.S.C.O., Iran I and II, a Musical Anthology of the Orient, U.N.E.S.C.O., Le Mystère des voi bulgares, Electra Asylum Nonesuch. 104 Cfr. R. G. MY, Pier Paolo Pasolini cineasta. Immagini e musiche: la trilogia classica, www.pasolini.net/10tesimy_capitoloterzo03.htm#lemusichedimedea. 105 Cfr. L. TORRACA, op. cit., p. 88. 86 Lo stesso scopo, cioè quello di rappresentare nel modo migliore il tema dello scontro fra culture, ha spinto Pasolini alla scelta di Maria Callas per interpretare il ruolo di Medea. Le sue origini greche, i lunghi anni trascorsi nella sua terra d’origine, e successivamente, il suo adeguarsi ad una cultura borghese di stampo occidentale fanno di lei la migliore interprete della ‘conversione’ di Medea alla cultura greca. Come sottolinea Francesca Tuscano, questa sua origine modesta e il successivo adattarsi ad una cultura borghese legano Medea «all’archetipo pasoliniano della madre, figlia del popolo - nel suo caso dell’antica civiltà contadina greca -, che si è dovuta scontrare con il mondo borghese, com’era successo alla madre Susanna, figlia di contadini friulani. Ma dall’altra anche a quello del diverso, dell’escluso, come Pasolini considerava se stesso»106. Inoltre Maria Callas aveva già portato sulla scena teatrale, sottraendolo all’oblio, il personaggio della maga colchica nella Medea di Cherubini (al Maggio musicale fiorentino nel 1953 e alla Scala di Milano nel 1962). 106 F. TUSCANO, op. cit., pp. 191-192. 87 Pasolini stesso motiva la scelta dell’attrice107: A volte scrivo la sceneggiatura senza sapere chi sarà l’attore. In questo caso sapevo che sarebbe stata la Callas, quindi ho sempre calibrato la mia sceneggiatura in funzione di lei. Ha contato molto nella creazione del personaggio… La barbarie, sprofondata dentro, che vien fuori nei suoi occhi, nei lineamenti, non si manifesta direttamente, anzi. Lei appartiene a un mondo contadino, greco, agrario, e poi si è educata per una civiltà borghese. Dunque in un certo senso ho cercato di concentrare nel suo personaggio la complessa totalità di Medea. Anche le caratteristiche fisiche della Callas, in particolare il suo volto, hanno contribuito a fare di lei l’attrice più adatta ad interpretare il ruolo di Medea. Soprattutto i suoi occhi costituiscono, secondo quanto sostiene Francesca Tuscano108, un vero e proprio im-segno che contribuisce a sintetizzare in Medea l’immagine della donna madre e, allo stesso tempo, della donna demoniaca: Gli occhi di Medea - sempre centrali, da Euripide in poi, nella sua descrizione - sono quindi insieme occhi di madre e occhi di maga. Vedono oltre la realtà (visioni magiche - preveggenza) e vedono la realtà (degli affetti - sguardo rivolto a Giasone, ai figli…)109. Gli occhi di Medea sono rivolti principalmente all’invisibile, a ciò che Giasone non riesce a vedere, e lo spettatore attraverso il suo sguardo 107 P. P. PASOLINI, Le regole…, op. cit., p. 238. 108F. TUSCANO, op. cit., p. 190. 109 Ibid., p. 191. 90 ne aveva curato la sceneggiatura. Nonostante il profondo riguardo che sia il regista, sia i protagonisti ebbero nei confronti delle aspettative del pubblico, il film non ebbe il successo sperato: molte furono le critiche nei suoi confronti, in particolare veniva accusato di essersi lasciato strumentalizzare dai mezzi di comunicazione di massa diventando un prodotto della società consumistica che tanto criticava. Pasolini, ovviamente, non accolse tali accuse e spiegò che la sua volontà era invece quella di utilizzare i mass media in favore del suo pensiero. Il film inizialmente non fu capito dalla critica, e soltanto di recente è stato rivalutato e considerato come una delle più alte espressioni del cinema pasoliniano. 91 Capitolo VI PASOLINI E L’ANTROPOLOGIA: INTERPRETAZIONE IN CHIAVE ANTROPOLOGICA DELLA MEDEA Una recente interpretazione della Medea pasoliniana, proposta da Giuseppe Zigaina113, vede nel film la rappresentazione metaforica dell’esistenza terrena di Pasolini, nonché, nella fondamentale scena del sacrificio nella Colchide, la morte del regista, a parere di Zigaina, da lui stesso programmata e annunciata in tutte le sue opere attraverso messaggi più o meno criptati. Qualora questa ipotesi fosse veritiera, l’esistenza letteraria di Pasolini sarebbe indissolubilmente legata alla sua vita terrena, o per meglio dire, alla sua morte, attraverso la quale il poeta avrebbe sperato di essere compreso e ricordato. Molto probabilmente, la teoria sostenuta da Zigaina è frutto di una sbagliata e arbitraria interpretazione di alcune affermazioni dello stesso Pasolini. Negli anni immediatamente precedenti la realizzazione di Medea, infatti, il poeta aveva teorizzato un particolare e suggestivo parallelismo tra la funzione del montaggio nell’opera cinematografica e 113 G. ZIGAINA, Pasolini e la morte. Un giallo puramente intellettuale, Venezia, Marsilio, 2005. 92 quella della morte rispetto alla vita degli esseri umani. Afferma Pasolini: Finché io non sarò morto, nessuno potrà garantire di conoscermi veramente, cioè di poter dare un senso alla mia azione, che dunque, in quanto momento linguistico, è mal decifrabile. È dunque assolutamente necessario morire, perché, finché siamo vivi, manchiamo di senso […]. La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita 114. Secondo quanto sostiene Zigaina115, il progetto di una morte sacrificale, progettata e preannunciata a mo’ di profezia, avrebbe dovuto trovare compimento nel 1969 o, al limite, proprio il 2 novembre del 1975. In teoria Medea «doveva essere il suo “ultimo” film, e dunque il suo ultimo “montaggio cinematografico”» affermazione sostenuta dal fatto che «nei primi venticinque minuti di proiezione egli anticipa la “sua” morte sacrificale con tutte le particolarità di un “documentario etnologico”»116. Si nota, indiscutibilmente, una grande precisione da parte di Pasolini nei dettagli della messa in scena del sacrificio officiato da Medea, ma questo non basta, a mio parere, a denotare la sua volontà di preannunciare il suo 114 P. P. PASOLINI, Saggi sulla letteratura…, op. cit., p. 1560. Il corsivo è dell’autore. 115 G. ZIGAINA, op. cit., p. 25. 116 Ibid., p. 37. 95 Il fatto che la sacralità del Vello sia associata ad un albero, denota quindi l’importanza e la funzione attribuita agli alberi nelle religioni arcaiche: essi avevano la capacità di ricreare, rigenerare ogni anno nuovi frutti, simboleggiando quindi l’Universo e la sua ciclicità. Ed è proprio il concetto di ciclicità che si trova alla base del film pasoliniano: Medea compie un percorso che la porta da uno stato iniziale di estrema partecipazione con il sacro ad un progressivo allontanamento da esso. Ella recupererà questa dimensione religiosa solo al termine della sua vicenda, dopo l’uccisione dei propri figli e l’abbandono definitivo di Giasone e del suo mondo. La storia di Medea ha un andamento ciclico, che parte dal sacro per ritornare ad esso dopo un periodo di abbandono. Lo stesso concetto di ritorno, di rigenerazione, è rappresentato, come ho già avuto modo di sottolineare, anche dall’immagine iniziale del sorgere del sole, esattamente uguale all’ultima inquadratura. Di fondamentale importanza è anche la collocazione del Vello d’oro rispetto alla città colchica: esso è posto in un tempio, in uno spazio sacro alto e ben delimitato, appeso ad un albero intorno al quale è stata 96 costruita la città. Queste osservazioni ci riconducono, ancora una volta, all’opera di Mircea Eliade: Gli spazi sacri, per vari e diversamente elaborati che siano, hanno tutti un tratto comune: c’è sempre una zona ben definita che rende possibile (sotto forme del resto svariatissime) la comunione con la sacralità. […] La recinzione non implica e non significa soltanto la presenza continuata di una cratofania o di una ierofania entro il recinto, ha anche lo scopo di tutelare il profano dal pericolo cui si esporrebbe penetrandovi senza avvedersene120. Questo ci porta facilmente a riflettere sulla scena del film pasoliniano in cui Medea si prepara per andare al tempio. Prima di accedervi, ella deve sottoporsi a lunghi preparativi e a riti di purificazione, per essere pronta e ben consapevole del suo imminente avvicinarsi al sacro. Mircea Eliade, inoltre, fa spesso riferimento, parlando del simbolismo religioso, ai concetti di ‘altezza’, ‘ascensione’ e ‘centro’, che risultano strettamente connessi tra loro. In genere un luogo sacro è infatti collocato in posizione superiore rispetto alla città che lo circonda (così come lo è nella Medea pasoliniana), frequentemente su un monte. Tutte le mitologie hanno una montagna sacra, variante più o meno illustre 120 Ibid., p. 379. 97 dell’Olimpo. […] Le valenze simboliche e religiose delle montagne sono innumerevoli. Spesso la montagna è considerata punto di incontro del cielo e della terra; quindi un «centro», punto per il quale passa l’Asse del Mondo […]. L’altitudine ha una virtù consacrante […]. L’«altitudine», il «superiore», sono assimilati al trascendente, al sovrumano 121. Il luogo di incontro del cielo e della terra è considerato quindi un punto centrale, l’ omphalós, l’axis mundi. […] L’ómphalos era considerato «ombelico della terra», cioè «centro dell’Universo». […] Il simbolismo del «centro» comprende nozioni multiple: quella di punto di intersezione di livelli cosmici; quella di spazio ierofanico e insieme reale; quella di spazio «creazionale» per eccellenza, il solo ove la Creazione possa avere inizio122. Al concetto di ‘centro’ sono infatti legati innumerevoli riti di costruzione, in particolare delle case e delle intere città, la cui realizzazione veniva assimilata ad una vera e propria Cosmogonia. Nel momento in cui l’uomo si insedia in un determinato luogo, procede all’abbandono dello spazio profano per sostituirlo con quello sacro, ed ogni casa costruita viene considerata un ‘centro’. Questo atteggiamento, estremamente diffuso nelle popolazioni arcaiche, è sintomo, secondo Mircea Eliade, di una «nostalgia del paradiso, cioè il 121 Ibid., p. 111. 122 Ibid., pp. 388-389. ‘Ómphalos’ presenta un’imprecisione nell’ accento, dovuta probabilmente allo stesso Eliade o al suo traduttore.
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