Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

02 Sociologia della Cultura - Wendy Griswold, Sintesi del corso di Sociologia Dei Processi Culturali

Riassunto tratto dal libro “Sociologia della cultura” di Wendy Griswold. Esame di "Sociologia dei processi culturali" - Sapienza, Roma. Capitolo 02

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

Caricato il 21/07/2017

Shady92
Shady92 🇮🇹

4.5

(74)

46 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica 02 Sociologia della Cultura - Wendy Griswold e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Dei Processi Culturali solo su Docsity! Il significato culturale Noi avvertiamo che la cultura è «al di là di noi, e tuttavia siamo noi», e siamo alla ricerca di una relazione semplice tra gli oggetti culturali e «le cose esattamente come sono». Ma non c’è una relazione semplice, perché quando qualcosa diventa un oggetto culturale quella cosa è già cambiata. E il cambiamento ha a che fare col significato. Per definizione, un oggetto culturale ha un significato condiviso: ad esso è stato attribuito un senso che è condiviso dai membri della cultura. Una cultura è un «modello di significati» che è durato nel tempo. Il senso/significato si riferisce alla capacità dell’oggetto di suggerire o indicare qualcos’altro. Possiamo identificare due tipi di significato: 1. Semplice = il significato semplice denota una corrispondenza biunivoca. Noi esprimiamo questo tipo di significato quando parliamo dei segni e di ciò che essi rappresentano. Una luce rossa ad esempio “significa” stop, che precede il via. 2. Complesso = Il significato complesso di trova nei segni tipicamente chiamati simboli. Invece di rappresentare un singolo referente, i simboli evocano una varietà di significati, alcuni dei quali possono essere ambigui. I simboli non denotano, connotano, suggeriscono, implicano. Essi evocano emozioni forti e possono spesso unire o disgregare i gruppi sociali. (es. Croce eretta all’Università di Idaban vs moschea). Poiché è complessa, la cultura è fatta di significati complessi e non semplici, significati «incorporati in simboli». Per capire la cultura dobbiamo essere in grado di analizzare la relazione che può esistere tra un simbolo e «le cose esattamente come esse sono». La sociologia della cultura è alla ricerca di significati sociali. E nel nostro diamante culturale, ciò che connette gli oggetti culturali ai mondi sociali è il significato. Perché abbiamo bisogno del significato? Tutti sappiamo che gli esseri viventi si sviluppano e agiscono in accordo con istruzioni codificate nei loro geni. Nel caso degli animali, chiamiamo istinto questa molla. Gli esseri umani sono diversi, essi sono psicologicamente incompleti dalla nascita. È stato detto che la “vita” umana indipendentemente dalla madre non inizia realmente prima che il bambino abbia parecchi mesi. Ma soprattutto, i codici genetici dell’uomo non danno informazioni sufficienti alla sopravvivenza. Gli umani devono imparare a vivere. E l’apprendimento negli umani è un processo sociale di interazione e socializzazione attraverso cui si trasmette la cultura. Gli antropologi hanno evidenziato che il complesso delle interazioni umane trasmette modelli di significato e di comportamento e che questi modelli si chiamano cultura. Clifford Geertz Ha sintetizzato il modo in cui la cultura umana compensa l’incompletezza genetica «L’uomo ha bisogno di […] fonti simboliche di illuminazione per trovare la sua strada. La cultura, la totalità accumulata di questi modelli, non è un ornamento dell’esistenza umana ma la base principale della sua specificità, una condizione essenziale per essa». Peter Berger, 1969 Ha suggerito, in modo analogo, che la fonte ultima della paura umana non è il male, ma il caos. Gli esseri umani creano le culture attraverso il processo di esternalizzazione – oggettivazione – interiorizzazione, costruendo in questo modo i mondi in cui essi agiscono. L’analisi sociologica della cultura parte dalla premessa che quest’ultima offre orientamento, protegge dal caos e dirige il comportamento verso determinate linee di azione e lontano da altre. La cultura fornisce significato e ordine attraverso l’uso di simboli, laddove ciò che abbiamo designato come oggetti culturali sono arricchiti di significati oltre e al di là della loro utilità materiale. Se la cultura è fatta di significati e i significati sono sociali: che tipo di relazioni esistono tra il mondo sociale e gli oggetti culturali? Da dove provengono e quale differenza fanno i significati? Abbiamo tre risposte: - Due di esse, funzionalismo e marxismo possono essere considerate come versioni di una stessa Teoria del riflesso, in cui la cultura è concepita come un fedele riflesso della vita sociale. - La terza risposta, quella data da Max Weber, afferma che è la vita sociale che riflette la cultura. Considerando le sue radici nel pensiero classico greco, esploreremo le forme assunte dalla teoria del riflesso nel funzionalismo, nel marxismo e nell’analisi weberiana. La cultura come specchio: la cultura è lo specchio della realtà sociale. Pertanto, il significato di un particolare oggetto culturale sta nelle strutture sociali e nei modelli sociali che esso riflette. Il modello del riflesso è plausibile sotto molti aspetti, compreso il suo rifarsi al senso comune. (Es. violenza in tv e mondo sociale violento) Tradizionalmente, la sociologia culturale ha preferito il primo modo di descrivere la connessione, chiedendosi come la cultura riflettesse la società e ammettendo il secondo modo solo come considerazione secondaria. La teoria del riflesso acquista credibilità dal fatto che artisti e altri creatori di cultura spesso descrivono ciò che fanno in questi termini. Stendhal (1830) “Un romanzo, signori, è uno specchio trasportato lungo una strada maestra, A volte esso riflette ai vostri occhi l’azzurro del cielo, a volte il fango delle pozzanghere sulla via. E l’uomo che porta lo specchio sulla schiena è accusato da voi di immoralità! Il suo specchio mostra il fango, voi maledite lo specchio”. Oltre ad avere una grande dose di plausibilità e l’avallo di moderni creatori di cultura, le teorie della cultura come riflesso hanno anche una lunga storia. Come molte altre, esse risalgono a Platone. • Idealismo (Platone): dal cielo alla terra Secondo l’idealismo, la cultura è la materializzazione di idee (entità sempre esistite e immortali. Queste idee si trovano in una zona d'essere superiore e trascendente, chiamata Iperuranio: iper=oltre-uranòs=cielo). La cultura dunque è separata dall’esistenza materiale. L’ideale precede, anche per importanza, il materiale. Al di là di ogni apparenza si trova un’idea o una forma. La teoria platonica delle forme ha tre componenti: la forma, l’apparenza e l’arte. Platone concepisce tre tipi di creatori. 1. Dio, il creatore, che produce il letto reale nella sua forma ideale. 2. L’artigiano che produce il letto materialmente. • Funzionalismo: terra e cielo Il suggerimento aristotelico che la cultura pala del tipo di cose che accadono agli esseri umani, può essere riformulato in termini specifici ad una determinata società (es. la cultura egizia ci informava su ciò che accadeva in Egitto). La teoria del riflesso diventa per ben due ragioni, un modello molto attraente per la comprensione sociologica della cultura: 1. L’idea che la “cultura riflette la società (o la struttura sociale)” fornisce un modello della connessione tra cultura e società e suggerisce la direzione principale della relazione di influenza. 2. Questo modello permette che si utilizzi la cultura come testimonianza sociale. Entrambi questi elementi sono parti costitutive dell’immagine funzionalista di una forte congruenza tra cultura e struttura sociale, almeno in una società che opera in modo adeguato. L’essenza del funzionalismo è che le società umane, per conservarsi, esprimono bisogni concreti, e le istituzioni sociali sorgono per soddisfare questi bisogni. Una società sana esiste in uno stato di equilibrio o di bilanciamento in cui le istituzioni sono adatte una all’altra e operano in un sistema di mutua interdipendenza per soddisfare i bisogni della società. Consegue da questo ragionamento che ogni livello sociale – cultura, politica, economia, ordine sociale – fornisce input a e riceve output da ogni altro livello. Così, la cultura riflette la società proprio come la società riflette la cultura. I problemi che presenta questa semplice versione funzionalista della teoria del riflesso diventano evidenti quando pensiamo ad esempi concreti, come il grado in cui gli spettacoli televisivi popolari “riflettono” la realtà sociale. Cosa ne è degli esseri umani (creatori e pubblico)?, glia altri punti del diamante culturale? Il classico modello riflessivo funzionalista assume che gli esseri umani siano passivi e senza interessi propri. L’argomento della “testimonianza sociale” – l’idea che possiamo leggere una società direttamente attraverso le sue opere culturali - è spesso fuorviante. Ad esempio le sitcom anni ’50 offrivano un ritratto molto distorto di ciò che era veramente la vita delle famiglie americane in quel decennio. Gli oggetti culturali spesso idealizzano taluni aspetti dell’esperienza sociale, o sottolineano alcuni aspetti meno positivi per fare critica sociale. Insomma, il modello puro dello specchio, in cui la struttura sociale e la cultura si adattano l’una all’altra e soddisfano reciprocamente i propri bisogni funzionali, sembra un po’ difficile da accettare. Esistono comunque anche modelli del riflesso funzionalisti più complessi, che risolvono alcune obiezioni precedenti. Però per quanto un modello riflessivo complesso sia più soddisfacente della semplice concezione per cui la cultura riflette la società, restano diversi problemi. Com’è che le opere culturali mantengono il loro valore nello spazio e nel tempo? In qualche modo devono essere stati creati nuovi significati, che non dipendono dall’occhio del periodo originale, e il modello del riflesso non ci aiuta a capire da dove questi significati provengano. Un’altra domanda potrebbe essere: perché alcune “realtà” vengono riflesse e altre no? La cultura è chiaramente selettiva, diversamente dagli specchi. Le riserve verso la metafora dello specchio, specie nella sua versione funzionalista, hanno indotto alcuni a suggerire che la cultura è più un riflesso «su» che un riflesso «di». La cultura può essere un riflesso non nel senso letterale di un rispecchiamento, ma nel senso di una riflessione, cioè di una «considerazione di un argomento o di un’idea o di un fine generalmente con il proposito di comprenderlo o di accettarlo o di vederlo nelle sue intime relazioni». Attraverso la cultura, in altre parole, gli esseri umani possono riflettere, sulla propria esperienza sociale e individuale. Una simile trasformazione dell’idea del riflesso, per quanto saggia, non è però molto invitante dal punto di vista sociologico. • Max Weber: dalla cultura alla struttura sociale Sia la versione funzionalista sia quella marxista della teoria del riflesso riconoscono che la cultura e la struttura sociale esercitano mutua influenza una sull’altra, ma entrambe tendono ad accentuare una freccia causale che va in una sola direzione: la società (struttura sociale, base economica, rapporti di classe) causa (determina, plasma, influenza) la cultura. Tuttavia, se gli esseri umani hanno bisogno di significato per organizzare le loro vite, allora la cultura, in quanto apportatrice di significato, deve far accadere qualcosa nel mondo sociale. Lo scienziato sociale più noto che ha accentuato quest’altra direzione di causalità è Max Weber. Egli ha cercato di comprendere il mondo moderno, in particolare la società industriale e capitalista. Egli sapeva che l’influenza operava in entrambi i sensi, ma ne studiò uno solo. Ciò che gli interessava era definire la misura in cui la religione aveva contribuito alla formazione ed espansione dello spirito del capitalismo. Egli cercò di individuare correlazioni tra credenze religiose da un lato e agire pratico dall’altro al fine di capire come un movimento religioso potesse avere influenzato la cultura materiale. Weber iniziò la sua opera (L’etica protestante e lo spirito del capitalismo) osservando come l’occidente fosse unico sotto molti aspetti: per le sue scienze e arti specializzate, per i suoi funzionari ben addestrati, per la sua legge razionale e soprattutto per il suo sistema economico capitalista. L’avidità umana non è nulla di nuovo. Propria dell’Occidente, secondo Weber, è l’organizzazione capitalistica del lavoro umano, la separazione dell’azienda dalla casa e l’importanza della contabilità razionale. Weber affermava di essere interessato alle origini della borghesia e della sua peculiarità. La parte di catena causale che egli desiderava esplorare era relativa a come uno spirito o un’etica economica riflettessero un insieme di idee religiose. Cominciò con un’osservazione: ovunque in Europa i protestanti erano attirati dal commercio, dagli affari e dal lavoro specializzato molto più di quanto non fossero i cattolici. Questo spirito del capitalismo era in deciso contrasto con l’atteggiamento tradizionale, secondo il quale la gente lavora solo per vivere. Chi vive sotto il capitalismo lavora incessantemente per fare profitti, spingendosi molto oltre i suoi bisogni. Il capitalista per eccellenza era colui che non ricavava nulla dalla sua ricchezza per se stesso, tranne l’irrazionale sentimento del compimento del suo dovere professionale. Qual era il retroterra di idee che trasformò l’attività diretta al profitto in una vocazione moralmente segnata? La risposta sta in due idee religiose protestanti: - Vocazione: Martin Lutero affermava con enfasi che la Provvidenza ha segnato un posto a ogni persona nel disegno divino, ed un lavoro specifico da fare. Il perseguimento di una vocazione, di una professione, è un modo per servire Dio. - Predestinazione: teorizzata da Calvino, ovvero la credenza che Dio ha destinato tutti gli individui o al cielo o all’inferno; non c’era nulla che gli uomini potessero fare per cambiare i loro destini. Egli ha deciso tutto, e ci si deve fidare della sua giustizia senza far domande. Come si poteva sopportare una simile religione? Weber suggerì che i calvinisti risposero a questa pressione psicologica con l’ossessiva ricerca di segni di un possibile destino di salvezza. Il clero diede due suggerimenti: 1) era dovere di tutti considerarsi salvi; 2) si poteva acquisire fiducia nella propria destinazione verso il cielo attraverso l’attività mondana. Weber vedeva il puritano come un uomo interessato a monitorare il suo stato di grazia. Egli lavorava duramente nella sua professione, ma non spendeva né si godeva i suoi guadagni. Se aveva successo, lavorava ancora di più; non poteva mai riposarsi, perché l’autocompiacenza poteva essere un segno di dannazione. Lo spirito del capitalismo durò ancora a lungo, e per molti aspetti esso persiste ancora. Weber mostrò come un insieme di idee religiose influenzò il modo in cui la gente lavorava, spendeva il suo denaro, e organizzava la sua vita economica. Questo “lato della catena causale” appare sul nostro diamante culturale come la direzione attraverso cui la cultura, causa o influenza o viene riflessa nel mondo sociale. Lo stesso Weber non intendeva negare che la gente perseguisse i propri interessi materiali, ma sosteneva che le loro idee, le loro culture plasmavano precisamente i modi in cui essi perseguivano questi interessi. «Sono gli interessi (materiali o ideali), e non le idee, a dominare immediatamente l’agire dell’uomo. Ma le “concezioni del mondo”, create dalle “idee”, hanno spesso determinato – come chi aziona uno scambio ferroviario – i binari lungo i quali la dinamica degli interessi ha mosso tale attività.» Così i calvinisti avevano interessi materiali (guadagnarsi da vivere) e ideali (la salvezza). Un insieme di immagini religiose del mondo comprendenti le idee di vocazione e predestinazione determinarono i binari lungo i quali essi perseguirono tali interessi rendendo significativo il loro agire. E lungo questi binari i capitalisti e i lavoratori occidentali conducono ancora le proprie vite. Come il funzionalismo e il marxismo, il modello weberiano ha guidato molta ricerca sociologica. Ad esmpio Jack Goldstone cercò di spiegare le ondate rivoluzionarie che sconvolsero Europa e Asia nei secoli XVII e XVIII. Riferendoci al diamante culturale, notiamo che tutte queste teorie hanno qualcosa in comune; si concentrano sull’asse verticale del diamante. Nonostante il loro potere e la loro plausibilità, le teorie sottovalutano il ruolo dell’azione umana, non tengono conto né degli esseri umani che creano cultura né di coloro che la ricevono. In virtù di tale svalutazione queste teorie possono dirsi incomplete. • Oltre le teorie del riflesso Molti sociologi oggi sostengono che le connessioni tra mondo della cultura e mondo sociale sono piuttosto lente, che tutte le culture sono più frammentate che coerenti, e che l’immagine weberiana della cultura che fornisce un insieme sistematico di idee e valori attraverso il quale le persone orientano il loro comportamento è fondamentalmente fuorviante. Due sono le critiche generali mosse all’approccio weberiano a cultura e significato: 1. L’approccio è troppo soggettivo, cioè richiede di entrare nella testa delle persone, mentre di dovrebbe pensare alla cultura come comportamento osservabile. 2. Benché tale visione della cultura sembri prevedere regole per il comportamento chiare e semplici, l’osservazione mostra che le persone si comportano in modi contraddittori, che dicono una cosa e ne fanno un’altra, e che non sono guidati dalla propria cultura come ha suggerito Weber. Sewell Afferma che l’immagine di regole culturali è troppo formale e rigida in Weber, egli preferisce pensare in termini di schemi culturali. Questi schemi possono operare a diversi livelli, sono plastici, nel senso che sono generalizzabili e trasferibili. Ann Swidler sostiene che le culture assomigliano più a cassette degli attrezzi che a scambisti ferroviari, nel senso che esse contengono fondamenti logici che sottendono varie linee d'azione cui fare riferimento in diversi contesti, senza che tali fondamenti siano internamente coerenti. Ella dimostra la sua tesi facendo vedere come gli americani di classe media abbiano due diverse ideologie di amore - amore romantico, fino alla morte, un amore reciproco; - amore fino a che il mio partner è ciò di cui ho bisogno.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved