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03 Sociologia della Cultura - Wendy Griswold, Sintesi del corso di Sociologia Dei Processi Culturali

Riassunto tratto dal libro “Sociologia della cultura” di Wendy Griswold. Esame di "Sociologia dei processi culturali" - Sapienza, Roma. Capitolo 03

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

Caricato il 21/07/2017

Shady92
Shady92 🇮🇹

4.5

(74)

46 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica 03 Sociologia della Cultura - Wendy Griswold e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Dei Processi Culturali solo su Docsity! La cultura come creazione sociale La cultura ha significato. Gli oggetti culturali sono significativi per gli esseri umani che vivono in un mondo sociale. Il mondo sociale, altrimenti caotico e imprevedibile, ha significato grazie alle lenti culturali con cui lo guardiamo. Ma chi crea gli specifici oggetti culturali? Come vengono arricchiti di senso? Quali tipi di creatori e di operazioni creative rappresentano il punto a sinistra del nostro diamante culturale? Esempio di creatore culturale: Bessie Smith, “l’imperatrice del blues”; fu colei che definì il “classico stile blues” negli anni ’20. Questa specifica forma musicale è un country-blues afroamericano originario del delta del Mississippi combinato con uno stile da vaudeville di spettacolo e con un pizzico di jazz. Con le sue straordinarie doti vocali, il suo stile di vita trasgressivo e la grande popolarità, Bessie Smith sembra incarnare l’immagine tipica dell’individuo eccezionale che crea oggetti culturali plasmando e assoggettando al suo volere forme espressive simboliche. Bessie Smith prese a modello il canto popolare nero, lo ripulì e lo trasmise armoniosamente elaborato ad un pubblico che stava ben al di là del Mississippi. Individui dotati – Van Gogh, Bessie Smith, Disney – cambiano il mondo culturale in cui vivono gli esseri umani. Così la risposta alla domanda «da dove arriva la cultura?» a prima vista sembra essere «dagli sforzi di genii individuali». Ma questa risposta individualistica sembra funzionare meglio per gli oggetti culturali come uno stile blues o una poesia Haiku. Cosa ne è della cultura nel senso più ampio di un «modello di significato storicamente trasmesso?» È più difficile pensare alla cultura a questo livello come “proveniente” da qualche luogo. Sembra in questo caso che essa ci sia sempre stata. I sociologi suggeriscono un’alternativa sia alla concezione “c’è sempre stato” sia alla concezione del “genio individuale”. Questa alternativa afferma che la cultura e le opere culturali sono creazioni collettive, e non individuali. Possiamo meglio comprendere specifici oggetti culturali considerandoli non espressioni uniche dei loro creatori ma il prodotto di una produzione collettiva, fondamentalmente sociale nella sua genesi. Questa concezione della cultura come prodotto sociale trae origine dal lavoro di Émile Durkheim sulla religione. Émile Durkheim Sociologo francese, come Weber e Marx anch’egli cercò di capire come funzionavano le società moderne. Agli occhi di questi tre padri fondatori della sociologia, il mondo moderno sembrava frammentato. Il caos sociale – la semplice anarchia – sembrava una possibilità reale. Cosa può tenere insieme la società? Durkheim studiò tutto – dal suicidio alla religione ai sistemi di educazione alla scienza sino ai metodi sociologici – avendo questa domanda centrale in mente. Nella sua Teoria della rappresentazione collettiva egli pensò di avere trovato la risposta. Nella vita moderna le persone possono essere classificate in molti modi: in base alle diverse occupazioni, saperi, credenze. Durkheim confrontò tutto questo con uno stato sociale precedente, meno differenziato, che chiamò solidarietà meccanica, in cui la gente era integrata perché aveva vite simili. Ogni membro di una società, ad esempio, svolgeva lo stesso tipo di lavoro (es. coltivava), seguiva la stessa religione, cresceva ed educava i suoi bambini allo stesso modo. Ogni membro della società poteva dire fiduciosamente “la mia gente fa questo”. Le credenze e le cognizioni condivise di un popolo costituivano la sua coscienza collettiva, e questa coscienza governava i suoi pensieri, i suoi atteggiamenti. Il cambiamento si verificò quando la società crebbe in dimensioni e densità, e gli individui cominciarono a specializzarsi (diversi tipi di lavoro, specializzazione istituzionale). Nel passato la famiglia, e la società nel suo insieme esercitava una forte pressione contro le deviazioni. Le istituzioni moderne (scuola, moschee, ospedali) separarono questi processi vitali dalla famiglia, ma anche l’uno dall’altro. In queste condizioni di specializzazione e differenziazione, come potevano stare insieme simili società? Sebbene non abbia mai dato un’unica soluzione a questo problema, egli credeva che ogni società dovesse avere qualche tipo di rappresentazione collettiva, qualche collante che dimostrasse si suoi membri di essere tra loro interconnessi. La ricerca di Durkheim sulle rappresentazioni collettive e sul loro funzionamento lo condusse a prestare attenzione alla religione = legame fondamentale tra gli uomini nei tempi antichi. Egli analizzò quella che considerava essere la più primitiva: il totemismo. Perché studiare la religione primitiva se il suo interesse era per la società umana contemporanea? Durkheim iniziò con un postulato funzionalista: un’istituzione umana come la religione non può riposare sull’errore e sulla superstizione; al contrario, essa risponde a profondi bisogni umani. Di conseguenza, egli individuò tre ragioni per studiare le religioni: 1) cogliere gli elementi costitutivi, o le forme più semplici della religione; 2) trovare i fondamenti di tutte le religioni; 3) scoprire il bisogno umano che causa la credenza e la pratica religiosa. L’analisi si basa su quattro idee chiave: 1) la rappresentazione collettiva 2) la distinzione tra sacro e profano; 3) le origini del sacro; 4) le conseguenze sociali della religione D. sosteneva in primis che la religione è alla base di tutte le categorie del pensiero, queste categorie del pensiero sono tutte rappresentazioni collettive che esprimono realtà collettive. Gli esseri umani, ad esempio, non possono concepire il tempo e lo spazio indipendentemente da distinzioni sociali condivise, anche se sappiamo che sono arbitrarie e innaturali. La settimana di sette giorni ne è un esempio. Gli esseri umani sono “duplici”: abbiamo una componente biologica individuale e una componente sociale condivisa, che è data dalla nostra partecipazione ad una coscienza collettiva, e le nostre categorie di pensiero, inclusa la religione, derivano da questa seconda componente sociale. Ma come fa la società, la collettività a far sentire la sua presenza? Risposa: punti 2 e 3. Egli cominciò chiedendosi cosa hanno in comune tutte le religioni. Tutte le credenze religiose dividono il mondo in sacro e profano. Ora, non c’è nulla di speciale nella natura di ciò che è sacro; tutto può virtualmente collocarsi in questa categoria. Durkheim identificò il nostro senso del sacro analizzando i totem, che sono al centro delle “forme elementari” della religione. Egli fece notare che molte società più semplici sono organizzate per clan, distinguibili per nomi. Ciascuno di questi nomi rappresenta il totem del clan. Più di un semplice nome o di un emblema, il totem è sacro e ogni sorta di proibizione rituale lo circonda, come il divieto di mangiarlo. Ma da dove proviene l’idea che l’emblema totemico è sacro? Il totem, simboleggia due cose: Dio e il Clan. Così, se è allo stesso cultura più ampia. Essa fa riferimento non solo a preferenze di consumo ma anche ad uno stile di vita. L’interesse della sociologia per le subculture è sorto all’inizio del ventesimo secolo con le ricerche urbane della Scuola di Chicago. Le subculture con i loro sofisticati simboli e significati, sono prodotti da persone che interagiscono e pertanto sono state di grande interesse per i sociologi che si ispiravano all’interazionismo simbolico. Sociologia e subculture: - Scuola di Chicago: subculture non assimilate - Subculture e organizzazioni (es. investigatori e le loro ossessioni nel mettere ordine al caos) - Subculture giovanili (di breve durata, perché poi crescono) Fine (1987): Ha studiato come i membri delle squadre giovanili di baseball (Little League) producessero subculture temporanee. Fine ha analizzato il modo in cui l’interazione sociale nel contesto della Little League: - socializzava i ragazzi ai ruoli dei maschi adulti (impegno e successo, comportamento adeguato, controllo emotivo); - dava vita a quella che Fine chiama Idiocultura o auto-cultura del gruppo. L’idiocultura, è la cultura del sub-gruppo: ricca di implicazioni, vivacizzata da simboli ed espressioni noti solo ai membri del gruppo, e utilizzati per separare questi dagli estranei. Quali sono le radici di questa idiocultura? Vedi img Le subculture creano significato, producendo oggetti culturali che sono significativi per i membri del gruppo e incomprensibili per gli estranei. Sino ad ora, abbiamo considerato lo specifico mondo sociale in cui hanno luogo le interazioni (es. le subculture). In realtà, le società cambiano, la cultura cambia, e i cambiamenti in un settore influenzano i cambiamenti nell’altro. Per completare la nostra conoscenza della cultura come creazione sociale, abbiamo bisogno di aggiungere questo elemento dinamico al nostro modello. Le subculture possono riprodurre la cultura dominante oppure sfidarla, ma a volte esse nascono per cambiarla. Sebbene si tratti di un caso relativamente raro molti movimenti sociali nascono come subculture. (es. Rivolta dei Boxer in Cina contro l’invasione dell’Occidente). Fu un cambiamento nel mondo sociale (crescenti pressioni straniere) a produrre un cambiamento nell’oggetto culturale (le arti marziali)? O fu lo sviluppo di un oggetto culturale (la crescente popolarità delle arti marziali tra i giovani) a produrre un cambiamento nel modo in cui i giovani cinesi vedevano il mondo sociale? Cambia prima la cultura o il mondo sociale? Chi segue chi? Se la cultura riflette passivamente il mondo sociale, che è quanto il modello del riflesso solitamente presume, allora il cambiamento deve prima avvenire in quel mondo. In questa concezione, le innovazioni nella musica, nell’arte, nella teologia, nelle idee devono essere tutte risposte a cambiamenti sociali. Ora, benché ci sia chiaramente qualcosa di giusto nell’idea che gli slittamenti sociali producano i mutamenti culturali, una simile posizione deterministica suggerisce che il mondo sociale cambia sempre per primo. L’ipotesi del ritardo culturale fu avanzata da un sociologo americano W.Ogburn, il quale sosteneva tra l’altro che i sociologi dovevano distinguere tra: - La cultura materiale, ciò che suona proprio come tale: case, macchine, fabbriche, materie prime. Quando questa cultura materiale cambia, quella non materiale, che comprende pratiche, costumi e istituzioni sociali, deve cambiare come risposta. - La cultura adattiva, quella parte di cultura non materiale che si adegua alle condizioni materiali. Ci vuole sempre un po’ perché questo adattamento si realizzi compiutamente. In un certo senso, questo è vero. Una simile teoria è compatibile con la teoria del riflesso nelle sue vesti tanto marxiane quanto funzionaliste. Allo stesso tempo, possiamo però presentare numerosi esempi in cui è la cultura non materiale che guida, e non segue, le condizioni materiali. Esempio, si consideri il cambiamento su scala mondiale nel consumo di sigarette. L’idea che la cultura necessariamente segua il cambiamento materiale va anche contro la nostra esperienza del mutamento culturale improvviso: un genio, un innovatore, un profeta piomba sulla scena e sconvolge le convenzioni culturali esistenti. Abbiamo perciò bisogno di capire questa innovazione culturale, in cui la cultura sembra dirigere, e non seguire, il cambiamento sociale, o ancora dove il mutamento culturale sembra non mostrare alcuna relazione diretta con i cambiamenti in atto nella società in generale. L’approccio della produzione collettiva alla cultura suggerisce che, sebbene le innovazioni possano realizzarsi casualmente e in forme non prevedibili, alcuni elementi costanti appaiono evidenti: 1) determinati periodi sono più favorevoli di altri alla produzione di innovazione; 2) anche le innovazioni seguono alcune convenzioni; 3) alcune innovazioni hanno più probabilità di altre di istituzionalizzarsi. - Cosa causa l’esplosione di innovazione culturale? A certe condizioni – massiccio cambiamento demografico, guerra, rapido mutamento economico – le vecchie regole, culturali e sociali, non sembrano applicabili. Si crea un vuoto morale, e in questa situazione la gente cerca nuove linee di condotta, nuovi significati con cui orientarsi nella vita. L’incapacità di trovare significati porta all’esperienza dell’anomia, del disorientamento che Durkheim attribuiva al rapido mutamento sociale. L’innovazione culturale emerge come risposta all’incipiente anomia. Essa riorienta gli individui e dà ad essa sostegno nelle nuove circostanze. La questione di cosa dirige cosa dipende in gran parte da dove si inizia l’analisi. - Per quanto alcuni periodi sembrino esibire più cambiamento culturale di altri, la seconda premessa dell’approccio della produzione collettiva all’innovazione è che le innovazioni culturali possono non essere così eccezionalmente nuove come sembrano a prima vista. - La terza premessa è che i creatori di cultura possono anche produrre qualcosa di nuovo, ma non tutte queste innovazioni si consolideranno.
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