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10 Tucci Onere della prova, Dispense di Diritto Privato

NOVITÀ IN TEMA DI ANATOCISMO ED IMPLICAZIONI PER LE BANCHE

Tipologia: Dispense

2011/2012

Caricato il 09/09/2012

teresolga
teresolga 🇮🇹

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Scarica 10 Tucci Onere della prova e più Dispense in PDF di Diritto Privato solo su Docsity! Cass., S.U., 2 dicembre 2010, n. 24418 Novità in tema di anatocismo ed implicazioni per le Banche Intervento Prof. Tucci (testo provvisorio) Questioni processuali: la prova del credito e la prova dell’apertura di credito ai fini della determinazione del saldo finale del conto corrente 1.- La prova del contratto di apertura di credito in conto corrente e la prova del singolo credito contestato hanno dato luogo ad una copiosa giurisprudenza ben prima della sentenza delle Sezioni Unite del 2010 in tema di anatocismo bancario e dell’intervento – di dubbia qualificazione - del nostro patrio legislatore con il famoso art. 2, comma 61°, della Legge 10/2011, di conversione del D. L. 29 dicembre 2010, n. 225 (il c.d. Decreto Milleproroghe). Il riferimento alle due richiamate novità in tema di anatocismo, che costituiscono l’oggetto del Convegno, è peraltro necessario prima di considerare la giurisprudenza specifica che deve essere esaminata in questa sede; e ciò per verificare entro quali limiti le due novità abbiano inciso sulla giurisprudenza formatasi in precedenza. La sentenza delle Sezioni Unite, redatta con grande chiarezza, riguarda la disciplina vigente prima del 22 aprile 2000, essendosi i rapporti di conto corrente chiusi prima dell’entrata in vigore del Decreto legislativo 342/1999. Essa pone, con riferimento a tale disciplina, tre ordini di problemi. Tali problemi vengono affrontati e risolti con riferimento alla clausola di un contratto di apertura di credito in conto corrente, in cui, nel suo primo comma, si prevede la chiusura annuale del rapporto di dare ed avere tra le parti, con registrazione in conto degli interessi, delle commissioni e delle spese; nel suo secondo comma, si prevede che i conti anche saltuariamente debitori siano chiusi trimestralmente, quindi con capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati nel periodo a carico del correntista, ferma restando la capitalizzazione annuale di quelli eventualmente spettanti a suo credito. • In primo luogo la recente sentenza si chiede se l’azione di ripetizione dell’indebito, proposta dal cliente di una Banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione PAGE 13 trimestrale degli interessi, maturati su un’apertura di credito in conto corrente, e chieda, di conseguenza, la restituzione di quanto a questo titolo è stato corrisposto alla banca, si prescriva a partire dalla data di chiusura del conto oppure, di volta in volta, da quando è stato annotato in conto ciascun addebito per interessi. • In secondo luogo, essa si chiede se, accertata la nullità di tale clausola di capitalizzazione trimestrale, gli interessi siano da computare con capitalizzazione annuale o senza capitalizzazione alcuna. • In terzo luogo, essa si chiede quale sia la misura del tasso di interesse da applicare nel rapporto bancario in esame. Le novità che tale decisione ha introdotto nella tematica qui in esame non vanno minimizzate, ma non vanno nemmeno troppo enfatizzate, come pure si è fatto. * * * Deve appena ricordarsi che, a norma dell’art. 1422 cod. civ., se è imprescrittibile l’azione di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, lo stesso non vale per le conseguenti azioni restitutorie, sicché si pone il problema di individuare il momento di decorrenza iniziale del termine di prescrizione decennale applicabile all’azione di ripetizione dell’indebito. Le Sezioni Unite confermano a riguardo, almeno in linea di massima, il tradizionale orientamento giurisprudenziale, consolidatosi sin dalla metà degli anni ottanta con la sentenza n 2262/841, secondo cui il termine di decorrenza iniziale per esperire l’azione di indebito deve identificarsi nella chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se si concretizza in una pluralità di atti esecutivi, sicché solo con la chiusura del conto si stabiliscono definitivamente i crediti ed i debiti delle parti. Nella recente pronuncia, peraltro, il massimo organo della Cassazione dà conto di quell’altro orientamento secondo cui la natura unitaria del rapporto di conto corrente non impedisce di individuare nella sua singolarità ogni specifico pagamento, ai fini della decorrenza del decennio entro il quale esercitare l’azione di ripetizione, pena la prescrizione della medesima. Adottando una soluzione intermedia tra le due tesi, con la decisione sopra richiamata, le Sezioni Unite, nel ritenere condivisibile che l’unitarietà del rapporto contrattuale non impedisce di qualificare indebito ogni singolo pagamento non dovuto, precisano – e tale profilo viene sottolineato con particolare enfasi rispetto alla precedente giurisprudenza – che, affinché possa PAGE 13 1 In Rep. Foro it., voce Contratti bancari, n.23. Più di recente si veda Cass., 14 maggio 2005, n. 10127, in Riv. Dir. Comm., 2005, 7/8/9, II, 163, s.m., con nota di Colombo. annuale, prevista nel primo comma, che evidentemente è destinato ad applicarsi unicamente agli interessi a credito del correntista. In definitiva, la clausola degli interessi annuali è da intendersi come limitata agli interessi a credito del correntista. Testualmente, nella sentenza di legge: “La capitalizzazione annuale è stata dunque esclusa per difetto di qualsiasi base negoziale che l’abbia prevista, e non perché sia stata dichiarata nulla la clausola che la prevedeva”. La conclusione cui perviene la Suprema Corte, confermando, peraltro, l’orientamento di molte Corti di merito, tra cui la Corte di Appello di Lecce, muove dalla puntuale analisi delle concrete pattuizioni inserite nel contratto sottoscritto dalle parti, tuttavia non può esimersi, in questa sede, dal riferire, sia pur senza pretese di completezza, che, successivamente al radicale cambio di rotta operato dalla giurisprudenza di legittimità, oltre dieci anni or sono, a proposito della validità delle clausole che prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi4, la PAGE 13 4 Il riferimento è a C. Cass., 16 marzo 1999, n. 2374, in I Contratti, 1999, 437, con nota di De Nova. dottrina e la giurisprudenza si sono divise circa la possibilità di capitalizzare gli interessi su base annuale5. Con la pronuncia resa, le Sezioni Unite, pur non affrontando apertamente la questione mostrano di aderire alla tesi che, accertata la nullità della clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, esclude ogni forma di capitalizzazione degli interessi medesimi. Sulla questione, pur senza prendere posizione in merito, non può non evidenziarsi la posizione, suggestiva anche se necessaria di ulteriori approfondimenti, di chi nel commentare la recente sentenza delle Sezioni Unite, sul presupposto della nullità delle clausole che prevedano la PAGE 13 5 Escludono ogni forma di capitalizzazione, tra le altre: Trib. Brindisi, 13 maggio 2002, in Foro it., 2002, I, 1887; Trib. Pescara, 6 maggio 2005, in Foro it., 2005, I, 2177; Trib. Roma, 12 gennaio 2007, in Foro it., 2007, I, 1947. In dottrina, Ferro-Luzzi, Una nuova fattispecie giurisprudenziale: l’anatocismo bancario, in Giur. comm., 2001, I, 18; Riccio, La capitalizzazione degli interessi passivi è, dunque, definitivamente nulla, in Contr. e impr., 2004, 964. All’opposto, ritendongono che la capitalizzazione trimestrale possa essere sostituita con la capitalizzazione annuale, tra le altre: Trib. Terni, 16 gennaio 2001, in Foro it., 2001, I, 1772; Trib. Reggio Emilia. 17 novembre 2001, in Dir. banc., 2003, I, 109; Trib. Roma, 8 ottobre 2004, in Foro it., 2005, I, 2177; Trib. Roma con la, 8 gennaio 2007, in Giur. It., Febbraio 2007, ove si legge: “…alla convenzione di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti alla banca dalla clientela di cui si accerti la nullità in quanto stipulata in violazione di norme imperativa, non è applicabile il procedimento di sostituzione automatica della clausole invalida con una disposizione di norma imperativa previsto dall’art. 1419, 2° comma c.c., in assenza nella fattispecie della norma imperativa di riferimento. La nullità comporta, pertanto, l’obbligo integrale di restituzione degli interessi anatocistici versati senza che tale obbligo possa essere parzialmente ridimensionato con una loro diversa cadenza (semestrale o annuale)”; da ultimo, Trib. Bari, 15 marzo 2011, ove si legge: “Invero la tesi finalizzata a conseguire il riconoscimento, in via subordinata, di una capitalizzazione quantomeno annuale, non può trovare ingresso; a fronte della nullità della clausola relativa alla capitalizzazione trimestrale ex art. 1283 c.c., non v’è possibilità di applicazione , in alternativa, della capitalizzazione annuale, stante, per un verso, la mancanza di una previsione contrattuale in tal senso e l’assenza di norma imperativa che ne imponga l’adozione ex art. 1419, co. 2, c.c.in sostituzione della clausola nulla (cfr. Trib. Roma 17.1.’07 . Trib. Monza 4.12.’07 – Trib Brindisi 431/07), per altro verso, il disposto di cui all’art. 1283 c.c. che riconosce lpanatocismo con esclusivo riferimento al periodo successivo alla domanda giudiziale.”, reperibile nella banca dati on-line: www.dejure.giuffrè.it. In dottrina, a favore della capitalizzazione annuale, per tutti: Dolmetta-Perrone, Risarcimento dei danni da inadempimento di obbligazioni di interessi e anatocismo, in Banca Borsa, 1999, II, 413. Minoritaria è rimasta la posizione di chi ha proposto di sostituire la capitalizzazione trimestrale con quella semestrale: in giurisprudenza, Trib. Monza, 23 agosto 2002, in Giur. merito, 2003, 244; in dottrina, De Nova, Capitalizzazione trimestrale: verso un revirement della Cassazione?, in I Contratti, 1999, 446. capitalizzazione degli interessi passivi, specularmente, sostiene la nullità pure delle clausole che prevedono la capitalizzazione annuale degli interessi attivi 6. * * * Con riferimento alla misura del tasso di interesse che la Banca applica al rapporto contrattuale, la sentenza delle Sezioni Unite conferma l’orientamento giurisprudenziale già prima consolidato, secondo il quale la produzione in giudizio di una scrittura privata, da parte di colui che non l’ha sottoscritta, costituisce equipollente della mancata sottoscrizione contestuale. Di conseguenza, tale produzione in giudizio perfeziona il contratto in essa contenuto, purché la controparte del giudizio sia la stessa che aveva già sottoscritto il contratto e non abbia revocato, prima della produzione dell’altra parte, il consenso prestato7. Tale regola appare ormai ulteriormente consolidata e deve essere tenuta presente per risolvere i conflitti che insorgono nella materia in esame al fine della prova della clausola contrattuale valida e del conseguente credito che ne deriva. E’ necessario, però, fare a riguardo alcune precisazioni. L’art. 1284 c.c. prevede la forma scritta per la determinazione del tasso di interesse; ciò è cosa diversa dalla mera previsione in contratto dell’applicazione di un tasso di interesse superiore a quello legale, poiché la lettera della disposizione, in ossequio all’art 1346 c.c., richiede che sia indicata espressamente la cifra del tasso di interesse applicato (oggetto determinato) ovvero, come pure ammette la giurisprudenza di legittimità, che detta cifra sia determinabile, anche per PAGE 13 6 Nanna, I Contratti, 2011, 3, 226, ove si legge: “La Suprema Corte ha correttamente affermato che, in merito alla consuetudine delle banche di percepire interessi anatocistici, non sono mai esistiti usi normativi, ma solo usi negoziali, non idonei – in quanto tali – a concretizzare il requisito richiesto dall’art. 1283 c.c. Ma se ciò è vero, deve peraltro escludersi che, nello stesso contratto, possa essere prevista una clausola di capitalizzazione (trimestrale) di interessi illegittima, prevista “a favore” delle banche, ed una (anuale) legittima, prevista a favore dei clienti correntisti…”. 7 Le Sezioni Unite richiamano puntualmente la giurisprudenza sul punto,tra cui Cass. 12 giugno 2006, n°13548, in Giust. civ. mass., 2006, 6, 1570. non potendo contribuire a formare quel consenso indispensabile perché possa ritenersi perfezionato il contratto (Cass. 25/2/2004 n. 3810, Cass. 24/11/1980 n. 6234)9. * * * L’art. 2, comma 61°, della Legge 10/20111, di conversione del D .l. 29 dicembre 2010, n. 225 (il c.d. Decreto Mille Proroghe) dimostra i livelli di sapienza giuridica, ai quali è ormai pervenuto il nostro Legislatore. Esso sancisce che, “in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge”. La norma, per la sua assurdità ed illogicità, è stata fatta oggetto di numerosi provvedimenti di rinvio alla Corte Costituzionale per diverse ragioni di incostituzionalità da parte di alcuni Giudici di merito (tra gli altri, v. Trib. Benevento, ord., 10 marzo 2001; Trib. Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, ord., 10 marzo 2011), mentre alcune Corti d’appello hanno respinto l’istanza di sospensione, proposta da alcune banche, in base all’art. 283 cod. proc. civ., una volta entrata in vigore la norma sopra citata del c.d. Decreto Mille Proroghe, oppure l’hanno successivamente revocata (v. Appello Ancona, 3 marzo 2011)10. In questa sede, si prendono in considerazione unicamente i profili che attengono alla prova del credito. Con riferimento alla sopra indicata prospettiva, si deve ricordare che l’annotazione è un’operazione contabile del tutto interna alla Banca, sicché, comunque ed a prescindere da altre pur valide ragioni, non si vede come possa iniziare a decorrere un termine di prescrizione, quando chi dovrebbe essere messo in condizione di fare valere il relativo diritto non è ancora a PAGE 13 9 Sul punto si veda, C. Cass. 2826/00, in I contratti, 2000, 1093, ove si legge “Invocando a proprio favore il documento sottoscritto ex adverso, si può ritenere chela parte producente manifesti l’univoca volontà di aderire al contratto e di perfezionarlo, sia in termini negoziali che in termini probatori: (…) Per contro, quando il giudizio non è proposto contro colui che ha sottoscritto il contratto, sebbene contro una parte, che non l’ha firmato, la produzione del documento in sostituzione della sottoscrizione mancante non può certo produrre l’effetto dell’incontro delle volontà: la controparte del processo, invero, non essendo parte del contratto, non concorre a formare l’in idem placitum: non concorre, cioè, a formare il consenso indispensabile perché il contratto si perfezioni.” La sentenza è annotata da Timpano, il quale osserva che “…la produzione in giudizio nei loro confronti (degli eredi, nda) del documento sottoscritto dal de cuius non può portare al valido perfezionamento del contratto. La stessa conseguenza viene a delinearsi nel caso di produzione in giudizio ad opera degli eredi del destinatario della proposta contrattuale, giacchè non è loro consentito di sostituirsi al de cuius nella manifestazione di volontà diretta alla conclusione di un contratto rimasto in itinere nel suo processo formativo”. 10 I provvedimenti sono reperibili sul sito internet: www.altalex.it. conoscenza del fatto che egli quel diritto lo ha acquisito e quindi potrebbe farlo valere in giudizio (arg. ex art. 2935 cod. civ.). L’annotazione non è attività solutoria del correntista in favore della Banca; e ciò non per un vincolo del legislatore, ma per la struttura materiale dell’atto, dalla quale il legislatore non può prescindere. Essa si traduce soltanto in un incremento del debito del correntista oppure in una riduzione del credito di cui dispone. Pertanto, preso atto dell’illegittimità eventuale dell’addebito, il correntista potrà agire per fare dichiarare la nullità del titolo su cui l’annotazione in conto si basa e, di conseguenza, potrà fare rettificare in suo favore le risultanze del conto medesimo, recuperando una maggiore disponibilità del credito concessogli entro i limiti del fido, ma non potrà mai agire per ripetere un pagamento, che, in quanto tale, egli non ha posto in essere e quindi non esiste nei fatti, in rerum natura. Come ha precisato La Suprema Corte di cassazione a Sezioni Unite, non sul piano delle valutazioni giuridiche, ma a livello di descrizione dei fatti materiali, lo spostamento patrimoniale in favore della Banca e quindi un effettivo pagamento si potrà avere soltanto se il correntista abbia eseguito versamenti su un conto allo “scoperto”, come meglio definito sopra. All’infuori di tali ipotesi i versamenti in conto hanno soltanto la funzione di ripristinare la provvista, di cui il correntista può continuare a godere, come aveva già del resto precisato la stessa Corte di legittimità11. Pertanto, una volta venuto a conoscenza dell’annotazione ed una volta verificato che essa è avvenuta in base ad un titolo illegittimo, egli potrà fare dichiarare nullo il titolo in base al quale è, nel caso, avvenuta l’annotazione, ottenendo in tal modo il ripristino della provvista, di cui potrà continuare a godere, ma non potrà mai chiedere di ottenere la restituzione di utilità patrimoniali di cui egli non ha mai disposto. Tale restituzione egli potrà soltanto chiederla dopo che abbia effettuato un pagamento in senso tecnico, cioè dopo che abbia eseguito versamenti su un conto in passivo senza affidamento oppure dopo che abbia eseguito versamenti a copertura di un passivo eccedente i limiti dell’affidamento. A partire da quel versamento, che si traduce in un pagamento in senso tecnico, egli potrà esperire l’azione di ripetizione dell’indebito e si porrà allora un problema di decorrenza del relativo termine di prescrizione a norma dell’art. 2935 cod. civ. Prima di quell’evento un problema del genere non esiste e non lo può porre il legislatore, prima di tutto per una questione di fatto; per la ragione cioè che il legislatore può stabilire gli effetti dei raggi solari, ma non può porre a presupposto di alcuni effetti giuridici l’esistenza di due soli. Ma questo solo perché, almeno per quanto attiene al nostro pianeta terra, esiste un unico sole e nessun legislatore potrà ipotizzarne due. PAGE 13 11 V. nota 2. La farneticazione del nostro legislatore, che, secondo le cronache, si sarebbe consumata nella tarda notte del 15 febbraio 2011, non si ferma a tanto, ma continua in questi termini:”In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”. Come primo problema, non ci si può naturalmente esimere dal chiedere per quale criterio di razionalità economica non si potrebbe fare luogo alla restituzione degli “... importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, mentre alla stessa restituzione si potrebbe dare luogo per gli importi non ancora versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del medesimo provvedimento. Ma, a prescindere da tale profilo e per tornare al tema probatorio oggetto dell’intervento, non si riesce a capire come l’annotazione in conto di una posta di interessi, capitalizzati illecitamente, in violazione dell’art. 1283 cod. civ., possa operare in termini di sanatoria di una clausola nulla, in base all’art. 1422 cod. civ., come è ormai, appunto, la clausola contrattuale che preveda gli interessi anatocistici. Questo non è tanto un problema di invenzione dei fatti materiali, configurati dalla norma come presupposto di effetti giuridici, quanto un semplice problema di grammatica giuridica, alla quale il legislatore risulta a dir poco allergico. * * * Le due rilevanti novità, quella giurisprudenziale delle Sezioni Unite e quella legislativa, non hanno variato, nelle linee essenziali, la giurisprudenza ormai consolidata in tema di prova dell’apertura di credito e di prova del credito ai fini della determinazione del saldo finale del conto corrente. La pronuncia delle Sezioni Unite, invero, introduce novità sostanziali in ordine e quello che sarà - d’ora in poi, e salvo a vedere come deciderà la Corte Costituzionale la questione di legittimità dell’art. 2, co. 61, citato - l’oggetto della prova nei giudizi tesi ad ottenere la ripetizione di quanto illegittimamente contabilizzato dalle banche a titolo di capitalizzazione di interessi a carico del correntista. Si è già rilevato, infatti, che nell’individuare il dies a quo da cui comincia a decorrere la prescrizione dell’azione, le Sezioni Unite hanno adottato il criterio discretivo già elaborato in tema di revocatoria fallimentare, che distingue tra versamenti aventi natura solutoria e versamenti aventi natura ripristinatoria della provvista. Pertanto, costituiscono pagamenti in senso tecnico e sono quindi ripetibili, nell’arco del decennio, in quanto effettuati in virtù di una clausola nulla – qual’è, appunto, quella che preveda la capitalizzazione trimestrale degli PAGE 13 Se questa è la posizione consolidata della giurisprudenza di legittimità e di merito, per dovere di completezza non può non citarsi una pronuncia, per vero rimasta isolata, del tribunale di Catania18 secondo cui la conservazione della documentazione oltre il decennio pur non costituendo un obbligo per la Banca costituisce l’unica via per dimostrare l’an ed il quantum dell’eventuale credito vantato nei confronti del correntista. Pertanto, in quel giudizio, in cui il correntista aveva citato la Banca per vedere accertata l’illegittimità delle clausole relative al tasso ed alla capitalizzazione degli interessi e la convenuta Banca aveva agito in riconvenzionale per ottenere il pagamento del saldo negativo del conto, in mancanza di tutti gli estratti conto relativi al conto medesimo, il giudice ha accertato le illegittimità delle clausole denunciate dall’attore-correntista senza però procedere al ricalcalo del saldo del conto corrente ed ha rigettato la domanda della Banca di condanna del correntista al pagamento del saldo portato dal conto, così di fatto rifiutando quell’orientamento consolidato formatosi sul punto. Un’ultima considerazione deve essere fatta a riguardo, con riserva di ulteriori approfondimenti. Si è posto in passato e si porrà certamente in futuro, con riferimento ai conti extrafido, il problema dell’operatività dell’art. 1194, comma 2°, cod. civ. Tale norma si inserisce nell’ambito della disciplina dell’imputazione del pagamento, rispetto alla quale il comma 1° dell’art.1194 stabilisce che il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi ed alle spese, senza il consenso del creditore, mentre il comma 2° sancisce che il pagamento fatto in conto di capitale e d’interessi deve essere imputato prima agli interessi; norma anch’essa di carattere dispositivo. Con riferimento alla nostra problematica, la disciplina sopra richiamata si applicherà ai pagamenti in senso proprio e non alle annotazioni. In tale ambito, la volontà delle parti deve essere, in particolare della banca creditrice, deve essere verificata con riferimento al singolo pagamento in senso tecnico; e ciò data la specifica rilevanza che la giurisprudenza delle Sezioni Unite attribuisce alla singola vicenda solutoria nell’ambito dell’unitario rapporto di conto corrente. La Banca creditrice, pertanto, quando l’accredito affluisce su un conto sconfinato, dovrà imputare l’importo prima agli interessi e poi al capitale riguardante lo scoperto, poiché, in caso diverso, l’importo sarà imputato indistintamente a capitale, interessi e spese. Solitamente, almeno per prassi che è da verificare, la Banca registra gli accrediti, indicando i diversi numeri creditori e debitori, sulla cui base calcola gli interessi senza distinzione alcuna. In tal caso, l’imputazione del pagamento sarà fatta in forma proporzionale al capitale, agi interessi ed alle spese in deroga al criterio legale di cui all’art. 1194, comma 2°, cod. civ. Bari, 31.03.2011 PAGE 13 18 Trib. Catania, 01 giugno 2008, n. 2795, reperibile sul sito internet: www.altalex.it. Prof. Avv. Giuseppe Tucci PAGE 13
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