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1800-1850, romanticismo, alessandro manzoni (vita e opere), Appunti di Italiano

Il contesto storico dell'Europa del primo Ottocento, con l'ascesa e la caduta di Napoleone Bonaparte e il Congresso di Vienna. Inoltre, viene descritto il movimento culturale del Romanticismo, con la sua diffusione in tutta Europa e la rivalità con l'Illuminismo. Vengono presentati anche i protagonisti del dibattito tra Classicisti e Romantici, come Madame de Staël e Pietro Giordani.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 30/04/2023

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Scarica 1800-1850, romanticismo, alessandro manzoni (vita e opere) e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! CONTESTO STORICO Il primo Ottocento si apre con le imprese di Napoleone Bonaparte: i suoi eserciti entrarono da invasori in molti Paesi europei assicurandogli in poco tempo il predomino sull’Europa. La sua definitiva sconfitta nella Battaglia di Waterloo (1815) sembrarono annullare di colpo gli effetti dell’Età napoleonica, ma l’opera e l’eredità di Napoleone furono ben più vaste e durature delle sue imprese militari. Negli anni della gloria egli aveva spazzato via il retaggio del Medioevo: aveva abolito i diritti feudali, limitato il potere della Chiesa, creato un’amministrazione efficiente, sviluppato l’economia ed emanato un Codice che costituisce la base dell’organizzazione giuridica moderna (per un approfondimento leggi il Codice Civile di Napoleone) Soprattutto, Napoleone aveva diffuso nell’Europa conquistata i princìpi di libertà e di eguaglianza che avevano animato il primo periodo della Rivoluzione francese. Dopo la definitiva sconfitta di Napoleone, nel 1815 le potenze vincitrici (Austria, Russia, Prussia e Inghilterra) si riunirono nel Congresso di Vienna (per un approfondimento leggi Il Congresso di Vienna e il Principio di Legittimità) con due obiettivi: • ripristinare la situazione politica precedente alla Rivoluzione francese, creando una situazione di equilibrio territoriale tra i vari Stati; • soffocare gli ideali rivoluzionari diffusi in tutta Europa. Tuttavia, nonostante la Restaurazione imposta dal Congresso di Vienna, tra il 1820 e il 1848 in quasi tutta Europa esplosero moti di varia natura. • in alcuni casi i rivoluzionari chiedevano ai monarchi il riconoscimento, attraverso una carta costituzionale, di maggiori libertà e diritti per i sudditi; • in altri casi, nei Paesi ancora sottomessi a potenze straniere, come l’Italia, l’obiettivo era l’indipendenza nazionale. • infine, le richieste di maggiore libertà si univano a quelle di giustizia sociale e di maggiore rappresentanza politica anche per le classi più povere. Infatti, il proletariato voleva liberarsi dalla miseria e ottenere condizioni di vita migliori e uguaglianza di diritti. Per dare uno sbocco concreto a queste aspirazioni, verso la metà del secolo, nacquero i primi movimenti socialisti. Karl Marx, il teorico del socialismo, accusava la borghesia di esercitare una vera e propria dittatura controllando i mezzi di produzione (industrie, macchinari, ecc.). Per realizzare una società giusta, sarebbe dunque stata necessaria una rivoluzione che togliesse ai borghesi la proprietà dei mezzi di produzione, per darla agli operai. Si sarebbe così giunti a una società senza classi, in cui tutti avrebbero goduto degli stessi diritti. ROMANTICISMO Il romanticismo è un movimento culturale della prima metà dell’800, va quindi a caratterizzare questa prima metà. Romanticismo è un fenomeno che riguarda l'aspetto letterario, filosofico e artistico, la sfera culturale in modo più generico. Ha una grande diffusione in tutta Europa a partire dalla Germania e dall’Inghilterra. Il termine deriva dall’inglese “romantic” usato nel ‘600 in senso dispregiativo verso i romanzi cavallereschi. È stato poi tradotto in “romantique” ed utilizzato in Francia, per primo da Rousseau, per indicare il rapporto sentimentale tra l’uomo e la natura. Il termine italiano “romanticismo” per indicare il movimento deriva dalla Germania, dal termine “romantik” usato per distinguere la poesia inquieta e drammatica propria dei moderni, rispetto a quella armoniosa e composta propria degli antichi. La parola tedesca venne poi tradotta per indicare la sensibilità romantica. Il punto iniziale di diffusione del romanticismo è quindi la Germania e in particolare intorno agli scrittori della rivista ATHENAUM. Questo movimento si va a caratterizzare come antitesi dell’illuminismo, infatti i romantici esaltano: • L’identità nazionale che si contrappone al cosmopolitismo (in particolar modo, l’Italia e la Germania saranno le grandi protagoniste del secolo in quanto combatteranno per unire il paese creando un’unica coscienza nazionale), • La rivalutazione della religione cristiana che si oppone all’ateismo • Il primato dei sentimenti (aspetti irrazionali) in contrapposizione con la primaria importanza della ragione (aspetto razionale). Non è un caso che l’età prescelta come modello di riferimento sia proprio quella medievale. Nel medioevo secondo i romantici si trovavano le origini delle identità nazionali, perché in questo periodo nascono le monarchie nazionali; nel medioevo una posizione di rilievo è occupata dalla religione cristiana; il medioevo presenta aspetti culturalmente irrazionali come nel periodo romantico Per gli aderenti a questa rivista la poesia romantica è poesia moderna in opposizione a quella degli antichi nel senso di rifiuto di quell’idea neoclassica secondo cui bisogna andare a guardare alla situazione precedente anziché alla situazione attuale. MADAME DE STAËL E PIETRO GIORDANI NEL DIBATRITO TRA ROMANTICI E CLASSICISTI Tra i protagonisti assoluti della cultura romantica ci sono Madame de Staël e Pietro Giordani. Nel nostro paese, il Romanticismo arriva nel 1816 quando la baronessa francese Madame de Staël pubblicò nella Biblioteca italiana un saggio che destò scalpore e al tempo stesso una serie di riflessioni e diede inizio al dibattito letterario tra Classicisti e Romantici. Donna coltissima e intelligentissima, Madame de Staël nel saggio “Sulla maniera e utilità delle traduzioni” si rivolgeva specificamente agli intellettuali italiani invitandoli a conoscere e a tradurre i testi di autori stranieri per apprendere una nuova cultura e una nuova letteratura. L’intento era quello di dare un forte scossone alle coscienze intellettuali degli italiani, i quali restavano pur sempre chiusi in un mondo culturale troppo arretrato rispetto alle novità letterarie del circostante panorama europeo. Madame de Staël sosteneva fortemente che le traduzioni dei nuovi testi letterari potevano essere l’unico mezzo per far circolare nuove idee: restare ancorati alla traduzione delle opere della classicità greca e latina significava non stare al passo con i tempi e di conseguenza riciclare una materia già di per sé obsoleta. La lettera della baronessa francese scatenò una serie di polemiche tra gli intellettuali italiani, primo tra tutti Pietro Giordani che, tra le altre, fu lui stesso a tradurre in italiano il saggio di Madame de Staël. Giordani, con il testo “Un italiano, risponde al discorso della Staël”, sosteneva che i letterati italiani, adoperando la traduzione dei testi stranieri, non avrebbero tratto alcun giovamento significativo in quanto i nuovi letterati non sarebbero certamente potuti diventare modelli di riferimento. I letterati italiani, secondo Giordani, dovevano continuare ad ispirarsi a Dante Alighieri, agli autori greci e latini, in quanto sono stati così grandi e significativi da risultare sempre moderni e mai scontati. Analizzando tutti i punti negativi evidenziati dalla baronessa, Pietro Giordani procede difendendo saldamente i valori dei classicisti: non è assolutamente d’accordo sullo squallore di cui parlava Madame de Staël , ma al contrario sosteneva che la letteratura europea era in decadenza dato che gli intellettuali erano una generazione troppo pigra per poter studiare i canoni classicisti. LA FIGURA DELL’INTELLETTUALE Si faceva riferimento al primato dell’intuizione e della passione e quindi questo va anche a caratterizzare il ruolo dell’intellettuale come elemento di genialità, spontaneità, ed è per questo che i romantici rifiutano le regole oppressive dal punto di vista formale, cercando di entrare in contatto con la poesia e farne un’espressione istantanea. L’Adelchi è una tragedia, pubblicata nel 1822, che racconta la storia di Adelchi, figlio di Desiderio, ultimo re dei Longobardi. La tragedia è ambientata fra il 722 e il 774, l’anno in cui Carlo Magno contribuì alla caduta del regno longobardo. La tragedia si apre con il ripudio di Ermengarda, figlia di re Desiderio e sorella di Adelchi, da parte di Carlo Magno. Per vendicarsi dell’affronto subito, Desiderio vorrebbe far incoronare dal papa i nipoti di Carlo Magno, da lui rifugiatisi alla morte del padre Carlomanno. Mentre Adelchi insiste per la pace, inizia la guerra tra i due regni. L’avanzata di Carlo Magno verso Pavia, sede del regno longobardo, è agevolata dal tradimento di alcuni duchi longobardi, che consentono al sovrano non solo di marciare verso la capitale, ma anche ci conquistarla e imprigionare Desiderio. Intanto Ermengarda, rifugiatasi presso il monastero di San Salvatore a Brescia, venuta a conoscenza delle nuove nozze di Carlo Magno, muore in preda al delirio. A questo punto Adelchi, che inutilmente si era opposto alla guerra, deciderà di combatterla. Ferito a morte, viene condotto in fin di vita davanti a Carlo Magno e al padre prigioniero e invoca clemenza per il padre, consolandolo di aver perso il trono. La storia di Adelchi è sempre inquadrata attraverso il dramma interiore dei personaggi. La sorte di Ermengarda è una sorte comunissima in un’epoca in cui i matrimoni rispondevano principalmente a logiche politiche e diplomatiche, ma Manzoni la presenta come una donna innamorata e sconvolta, tanto da impazzire di dolore e morirne. In linea con le altre tragedie manzoniane, anche nell’Adelchi i personaggi si dividono in due categorie: da un lato si trovano i personaggi dotati di un senso concreto della capacità, pronti all’azione e insensibili ai sentimenti; dall’altro ci sono i personaggi che invece vivono per i propri ideali e solo nella morte trovano la piena realizzazione di sé. I travagliati Adelchi ed Ermengarda rientrano in questo secondo gruppo, entrambi stravolti dal contrasto tra ideali e sentimenti: in costante lotta tra il desiderio di pace e di gloria lui, sconvolta dall’amore ancora vivo per il marito lei. Con la loro morte affermano l’estrema superiorità degli ideali sugli egoismi, ma allo stesso tempo l’incapacità di realizzarli. Adelchi non anticipa solo il concetto di Provvidenza presente poi nei Promessi sposi, ma ne rispecchia anche la dinamica di critica politica, storica e sociale contemporanea all’autore, pur narrando fatti lontanissimi nel tempo. • Le due odi (Marzo 1821, il 5 maggio) MARZO 1821 Fase che precede il raggiungimento dell'unità d'Italia è dominata da moti rivoluzionari, in particolare quelli del 21, 30, 31 e 48. Marzo 1821 appartiene alla fase poetica manzoniana di ispirazione civile e patriottica. Questa ode venne scritta tra il 15 ed il 17 marzo del 1821, sull’onda dell’entusiasmo per il probabile intervento sabaudo (Vittorio Emanuele I il 13 marzo aveva abdicato in favore del fratello Carlo Felice, e il reggente Carlo Alberto di Savoia aveva manifestato simpatie per gli insorti). Tuttavia, Carlo Alberto tolse presto l’appoggio ai moti piemontesi, stroncando sul nascere le speranze e le illusioni che potesse unirsi alle forze lombarde per liberare il Nord Italia dal dominio austriaco. Secondo alcune fonti, la lirica venne distrutta in seguito ai fallimenti dei moti per evitare possibili ritorsioni austriache. Manzoni avrebbe poi riscritto a memoria l’ode per pubblicarla nel 1848, durante le Cinque giornate di Milano (18-22 marzo), come sintesi ideale tra i due momenti di lotta per l’indipendenza nazionale. L’ode è introdotta da una articolata dedica al poeta e patriota tedesco Karl Thedor Koerner, morto durante la battaglia di Lipsia, detta anche “battaglia delle Nazioni” e considerata (oltre che la battaglia che causò la prima caduta di Napoleone e il suo esilio all’isola d’Elba) una fondamentale affermazione dell’identità nazionale tedesca contro l’oppressione napoleonica. IL CINQUE MAGGIO Il cinque maggio è un’ode scritta di getto, precisamente in 3 giorni, da Manzoni appena avuta la notizia della morte di Napoleone Bonaparte nel 1821 durante il suo esilio sull’isola di Sant’Elena. La poesia circolò clandestinamente a causa della censura austriaca e fu pubblicata ufficialmente nel 1823. Di base il poema si può suddividere in tre parti: • La prima, composta da quattro strofe (vv. 1-24), l’emozione suscitata alla notizia della scomparsa di Napoleone e presentazione il tema; • La seconda, composta da dieci strofe (vv. 25-84), ripercorre l’epopea, cioè le gesta eroiche napoleoniche; • L’ultima, composta da quattro strofe, riporta le conclusioni e pertanto le riserve morali e religiose. Nel testo si alternano due tempi verbali: • il passato remoto, utilizzato per indicare la grandezza delle imprese e una realtà compiuta; vv.1 Ei fu: Egli fu (è morto, è trapassato, non c’è più). • il presente, che invece indica il tempo in cui l'autore scrive, una realtà in cui tutto si è spento; il presente indica anche il tempo della fede, il tempo di Dio, ovvero un tempo immutabile e divino, eterno Ritmo del componimento è veloce, incalzante. Prima di scrivere Il cinque maggio Manzoni non aveva espresso opinioni su Napoleone, anche se di certo, per le sue idee liberali, non approvava che l'imperatore avesse esercitato su gran parte dell'Europa un potere quasi dittatoriale. La morte di questo personaggio complesso, capace di suscitare sentimenti contrapposti d’invidia e di pietà, di odio e di amore (d'inestinguibil odio/ e d'indomato amor) colpisce profondamente il poeta, che partecipa allo sbigottimento del mondo intero di fronte alla notizia (Ei fu.../ così percossa, attonita/la terra al nunzio sta) e, mentre riflette sulle vicende di Napoleone, s'interroga sul significato della vita umana. La gloria, la ricchezza, il potere, a cui tutti aspirano, sono fragili e incerte (Fu vera gloria?); solo la fede immortale e vittoriosa (ai trionfi avvezza) può dare significato e senso all'esistenza. Questo vale per l'imperatore dei francesi, che visse ogni genere di esperienza (tutto ei provò) e conobbe più volte la grandezza e la rovina (due volte nella polvere,/due volte sull'altar) come per qualsiasi altro uomo: non a caso, forse, Manzoni nomina Napoleone attraverso pronomi (ei, lui, in lui, a lui) o espressioni (uom fatale, quel securo, cor indocile, spirto anelo) e mai direttamente. La vicenda di Napoleone è uno straordinario esempio della caducità delle cose umane e della misericordia divina: il Dio potente che può abbattere (atterra) e innalzare (suscita), mettere alla prova e consolare (che affanna e che consola) è l'unica presenza vicina a questo uom fatale che sembrava avere in pugno i destini del mondo, ed è l'unico a sedersi (posò), come un padre o un amico, accanto al solitario letto di morte dell’imperatore (deserta coltrice). Ai posteri: A coloro che verranno. Manzoni visione finalistica della storia. Come si configura nell’ottica manzoniana l’età napoleonica? Napoleone in che modo è frutto della volontà divina? Secondo il Manzoni Dio è immanente e interviene nella storia e intervenendo nella storia, un personaggio come Napoleone che ha fatto la storia, deve far parte di un disegno divino. • Componimento “In morte di Carlo imbonati” (post mortem di Carlo Imbonati), un dialogo con lo scomparso scritto in endecasillabi sciolti È un componimento in endecasillabi sciolti, scritto da Manzoni nel 1805 in occasione della morte di Carlo Imbonati (il nobile che conviveva con la madre Giulia Beccaria a Parigi, dove il giovane Alessandro si trasferì subito dopo). Il carme è una sorta di dialogo morale con l'Imbonati, che aveva avuto come precettore Parini (questi gli aveva dedicato l'ode L'educazione) e che intendeva proseguirne l'impegno morale: per il giovane Manzoni diventa una sorta di maestro di vita e di letteratura, in modo assai simile a Parini stesso la cui influenza sul pensiero dello scrittore sarà sempre molto importante. Manzoni immagina che l'Imbonati gli appaia in una sorta di visione notturna e, dopo uno scambio di battute in cui i due esprimono la stima reciproca e il dolore per la forzata separazione, il giovane Alessandro chiede al defunto Carlo di indicargli la strada da percorrere per giungere alla gloria poetica: l'anima dell'antico maestro risponde che dovrà meditare profondamente, accontentarsi di poco, mantenere la purezza della mente e delle azioni, non asservirsi ai potenti, e, soprattutto, non tradire mai il "santo Vero", né pronunciare mai una parola "che plauda al vizio, o la virtù derida". In sostanza Manzoni affida all'Imbonati i termini essenziali della sua poetica e della sua vita morale • Gli scritti di poetica (Lettera a Monsieur Chauvet, lettera a Cesare D'Azeglio) La tradizione letteraria del Manzoni è vasta e varia ed è proprio sull’idea della letteratura che Manzoni elabora delle opere a questo dedicate. Le due lettere manzoniane contengono la riflessione dell'autore sul valore del far letteratura: I. Lettera a Monsieur Chauvet La lettera (tit. originale Lettre à monsieur Chauvet sur l'unité de temps et de lieu dans la tragédie) fu pubblicata in seguito alle critiche espresse da Victor Chauvet, letterato e poeta francese, sul mancato rispetto delle regole di unità di tempo e di luogo aristoteliche (che prevedevano lo svolgimento della tragedia in un unico luogo, in un tempo continuativo di un solo giorno e una continuità dell'azione nella vicenda) ne “Il Conte di Carmagnola”. Manzoni scrive in questa lettera di tutta risposta le motivazioni che lo hanno portato, nella stesura delle sue tragedie, ad abbandonare le unità stabilite da Aristotele, indicando quale sia lo spazio autonomo della poesia rispetto alla storia, ma nello stesso tempo mette in guardia contro il rischio dell’invenzione e del romanzesco. Il poeta non deve inventare i fatti perché la storia offre già un grande numero di eventi importanti e significativi, degni di essere raccontati; al poeta spetta il compito di utilizzare l’immaginazione per ricostruire, interpretare e mostrare emozioni, paure, speranze, quegli aspetti della realtà che rimangono invisibili agli occhi dello storico e che sono invece essenziali per comprendere come la vita di ogni persona e dell’intera comunità umana siano guidate da un piano provvidenziale di cui spesso non si riesce a comprendere il senso e la direzione. Secondo Manzoni, infatti, la storia dell'umanità è la manifestazione della volontà di Dio nel corso dei secoli, quindi merita grande attenzione. Manzoni affida quindi alla poesia una missione di carattere etico: interpretare i fatti storici nel loro significato profondo, “dal di dentro”. Questa riflessione sulla poesia porta Manzoni a concepire un modo nuovo di scrivere e rappresentare tragedia, che consiste nell’eliminare le unità di tempo e di luogo tipiche del teatro classico. Nella lettera a Chauvet spiega le ragioni della sua scelta: Egli sostiene che la mente umana sia in grado di cogliere i nessi esistenti tra gli avvenimenti, i rapporti di anteriorità e posteriorità, di causa ed effetto. Il poeta sceglie gli avvenimenti più strettamente vincolati tra loro grazie a questi rapporti e li mette in scena, dando allo spettatore l’impressione di un’azione unica, o meglio, di un’azione centrale attorno alla quale tutte le altre vengono a raggrupparsi. L’unità d’azione, quindi, nella visione manzoniana non significa scegliere, come nella regola classica, un unico avvenimento della durata di ventiquattro ore, bensì optare per una concatenazione di eventi legati tra di loro. Da questa prima affermazione, ne consegue, secondo Manzoni, il rigetto delle altre due unità aristoteliche, quella di tempo e quella di luogo. Tale sistema che rifiuta le unità di tempo e di luogo è definito da Manzoni sistema storico. Le azioni scelte dal poeta per la sua rappresentazione teatrale, è inevitabile, si svolgono in tempi e luoghi differenti. L’imposizione delle unità di tempo e di luogo nuoce alla verosimiglianza della rappresentazione. Per sostenere l’impianto delle sue teorie sull’azione drammatica, Manzoni fa riferimento a due tragedie molto conosciute: l’Otello di Shakespeare e la Zaira di Voltaire. Le due tragedie hanno una trama simile, ma mentre l’opera di Voltaire è forzata dall’adesione alle regole aristoteliche, e di conseguenza, risulta poco verosimile, quella di Shakespeare aderisce al sistema storico e come tale appare molto più credibile. La tragedia, inoltre, anche se rappresenta le passioni umane, deve evitare che lo spettatore ne sia coinvolto a tal punto da immedesimarsi nei personaggi, perdendo la capacità di osservarli dall’esterno. Manzoni vuole che lo spettatore “prenda le distanze”, si rapporti in modo critico alle vicende, sia consapevole di essere testimone di un evento su cui è chiamato a ragionare e a dare un giudizio, come sulla scena fa il coro. Per riportare lo spettatore alla lucidità che gli viene richiesta dal suo ruolo di osservatore critico, è necessario che la tensione emotiva venga in qualche modo “disturbata”. Manzoni, quindi, decide di interrompere l'azione drammatica attraverso i cambiamenti di scena, per impedire un eccessivo coinvolgimento dello spettatore ed anche per rappresentare lo svolgersi naturale delle vicende nel tempo. Per cui Manzoni fa una critica al romanzesco facendo riferimento appunto alla creazione di situazioni, personaggi e ambienti lontani dalla realtà storica, per cui anche in questo senso critica l'invenzione. Perché questa volontà di seguire la rappresentazione veritiera? Allo stesso modo del Tasso che dice il vero è necessario per ottemperare all’intento di natura morale e religiosa e si scusa con la musa cristiana di adornare la sua opera di orbelli, allo stesso modo Manzoni cerca l’intento morale e religioso. 1. Si svolge sulle rive del lago di Como dove due bravi al servizio di don Rodrigo intimano a Don Abbondio di non svolgere le nozze tra Renzo e Lucia. Il curato riferisce tutto a Perpetua, la sua assistente personale. Intanto Renzo, pieno di entusiasmo per il giorno più felice della sua vita, va da don Abbondio per sincerarsi che tutto sia a posto: don Abbondio accampa scuse, cerca di prendere tempo e riesce a rinviare il matrimonio. I due fidanzati cercano una soluzione: Agnese propone di rivolgersi all’avvocato Azzecca-garbugli, per vedere se c’è qualche legge che li tutela. Lucia, però, intuisce che sarà uno sforzo vano e manda a chiamare fra Cristoforo, il suo padre confessore. Renzo va da Azzecca-garbugli, e porta in dono due capponi all’avvocato; viene inizialmente scambiato per uno dei bravi di Don Rodrigo e, quindi, l’avvocato si mostra più che favorevole ad aiutarlo. Lucia si convince che l'unica soluzione è effettuare un matrimonio a sorpresa, ma contemporaneamente don Rodrigo organizza il rapimento di Lucia. Questo è l’inizio della «notte degli imbrogli»: Quando i bravi arrivano di notte a casa di Lucia la trovano vuota poiché si trovavano tutti a casa di Don Abbondio per convincerlo a celebrare il loro matrimonio. Dopo cercarono rifugio nel convento di don Cristoforo e con l'addio ai Monti di Lucia si chiude l'ottavo capitolo. 2. Nel secondo nucleo narrativo, Renzo e Lucia si separano; seguiamo inizialmente Lucia che va a Monza, in un convento, con sua madre Agnese. È qui che abbiamo la PRIMA DIGRESSIONE: la storia della monacazione di Gertrude, la monaca di Monza, uno dei personaggi più affascinanti della letteratura italiana. 3. Nel terzo nucleo narrativo seguiamo, invece, le vicende di Renzo che giunge a Milano e si ritrova coinvolto nei tumulti della città: i forni sono saccheggiati, è assalita la casa del vicario di provvisione, tutti affollano la piazza. Il clima è teso e Renzo, quasi senza accorgersene, si ritrova ad arringare con successo la folla, il popolo, supportando i sostenitori di Antonio Ferrer che prometteva «pane e giustizia». Renzo, euforico dopo questo momento di gloria, va all’osteria della Luna Piena, ignaro che lo sta accompagnando una spia della polizia milanese: per precauzione si rifiuta di dare il proprio nome all’oste, ma ingenuamente lo dà alla spia. È subito denunciato e arrestato: sta per essere portato in carcere, ma riesce a scappare approfittando di un parapiglia tra la folla. Giunto a Gorgonzola, viene a sapere che ha acquisito una certa, benché indesiderata, notorietà. Fugge di nuovo, di notte, alla disperata: giunge all’Adda; qui, sulle sponde del fiume, dorme in una capanna e all’alba oltrepassa le acque del suo amato fiume, entrando nella Repubblica di Venezia. Qui andrà dal cugino Bortolo. Qui abbiamo una SECONDA DIGRESSIONE: Attilio, cugino di Don Rodrigo, si rivolge al Conte zio per agire contro padre Cristoforo che protegge quel Renzo Tramaglino, un malfattore. Il Conte zio convince il Padre provinciale a trasferire padre Cristoforo a Rimini: i buoni perdono una pedina importante, e i cattivi si avvantaggiano. Don Rodrigo, infatti, saputo che Lucia è nascosta dalla monaca di Monza, si rivolge all’innominato per avere un aiuto. 4. Siamo ora nel quarto nucleo narrativo, che si apre con l’innominato disponibile ad aiutare Don Rodrigo; egli, anzi, accetta quasi senza esaminare la questione. Attraverso Egidio, Gertrude viene convinta a far uscire Lucia dal convento. Il piano viene attuato e il Nibbio – uno dei luogotenenti dell’innominato – rapisce Lucia che viene condotta al castello e affidata a una vecchia serva. Il racconto che il Nibbio fa al padrone sul rapimento di Lucia scuote l'Innominato già da tempo scontento della sua vita; le lacrime di Lucia lo turbano. Durante la notte, mentre la ragazza fa voto di consacrarsi alla Madonna se verrà liberata, egli è assalito da una profonda crisi che lo spinge a meditare il suicidio. Ma all'alba sente suonare le campane nella valle e si alza con propositi nuovi. È questo il capitolo della famosa «conversione dell'Innominato». La TERZA E ULTIMA DIGRESSIONE è la storia della carestia dell’inverno 1628-1629, con la guerra e la famosa discesa dei lanzichenecchi (autunno del 1629). L’innominato organizza la resistenza e don Abbondio, Agnese e Perpetua si rifugiano nel suo castello. Passa circa un mese: al ritorno al paese natio, i tre tornano alle loro case brutalmente saccheggiate. Comincia a diffondersi la peste, portata dall’esercito tedesco. Il contagio accelera a causa dell’inettitudine delle autorità milanesi e delle processioni religiose, organizzate per scongiurare il male. La peste torna di nuovo ad essere protagonista di un'opera, la prima opera ad averla fu scritta da Lucrezia che descrisse la peste di Atene. Nel Manzoni la peste di nota nella descrizione fatta da Renzo arrivato a Milano, dove si svolgeva la caccia agli untori. 5. Il quinto nucleo narrativo ha per argomento gli effetti della peste sui personaggi. Don Rodrigo si ammala e viene portato via dagli untori; Renzo nel Bergamasco si ammala, ma miracolosamente guarisce e si mette in cammino in cerca di Lucia. Torna al suo paese e osserva la sua casa e la sua vigna in rovina. Parte per Milano alla ricerca di donna Prassede. Arrivato, trova la città nel degrado più totale, sconvolta dalla peste. Lo spettacolo che si para agli occhi di Renzo lo tocca profondamente; orrore e pietà si mischiano insieme. Arriva a casa di donna Prassede e Lucia non è lì: si è infatti ammalata ed è stata portata al lazzeretto. Renzo va a cercarla. Rischia quasi di essere linciato perché sospettato di essere un untore, ma si salva saltando su un carro di monatti. Arrivato al lazzeretto trova l’amato padre Cristoforo, stanco, piagato dalla peste, che però continua ad assistere gli appestati. Renzo racconta le sue disavventure e fa sentire a padre Cristoforo l’antica rabbia verso don Rodrigo. Ignora che questi è nel lazzeretto, moribondo. Padre Cristoforo, allora, conduce Renzo al capezzale di don Rodrigo. Renzo non ha il cuore di provare ancora quella sete di vendetta che lo aveva sconvolto. Don Rodrigo, infatti, è un uomo moribondo che forse sta già espiando le sue colpe. Renzo trova così la forza di perdonarlo, da vero uomo, compiendo un passo decisivo nella sua formazione. 6. Don Rodrigo muore e si passa nel sesto nucleo narrativo. Renzo e Lucia si ritrovano, dopo tante disavventure. Lucia si è ammalata di peste, ma sta guarendo anche lei; la promessa sposa confida il voto di castità pronunciato in quella notte di terrore nel castello dell’innominato. Deve rispettarlo. Renzo chiede consiglio a padre Cristoforo, che persuade Lucia della nullità del suo voto, in quanto dettato solo dalla paura di morire. Il voto è sciolto. Renzo saluta Lucia e padre Cristoforo e torna al suo paese sotto una pioggia rigenerante. La peste finisce. Anche Agnese fa ritorno al paese e aspetta Lucia in compagnia di Renzo. Finita la quarantena, dopo infinite tribolazioni, Lucia per ultima torna al suo paese: finalmente i due promessi sposi possono convolare a nozze. Tuttavia, don Abbondio, intristito dalla morte di Perpetua, oppone ancora qualche resistenza, finché non giunge la notizia della morte di don Rodrigo. L’erede è un marchese che agevola le nozze dei due promessi, infine celebrate. Dopo il matrimonio Renzo, Lucia e Agnese si trasferiscono nel Bergamasco, dove Renzo diventa imprenditore nel campo della seta. Alla loro prima figlia viene dato il nome di Maria. Nel finale, Renzo e Lucia si confrontano sul significato della loro storia: è una meditazione sul male presente nella vita delle persone. L’APPENDICE STORICA SU LA COLONNA INFAME Sin dal tempo del Fermo e Lucia, quando si documentava sulla peste del 1630, Manzoni si era scontrato con un orribile fatto avvenuto nel 1630: due poveracci furono accusati di essere degli untori, cioè persone che spargevano volontariamente la peste, furono perciò sottoposti a tortura e giustiziati. Manzoni rimase sconvolto dalla follia dei giudici, che, contagiati dalla psicosi collettiva, erano diventati strumento del cieco furore vendicativo della gente che cercava responsabili di un male così terribile. Istruì così egli stesso un processo a quei giudici, che avevano eretto una colonna nel luogo dove avevano fatto giustiziare i due untori, e ne fece una digressione inserita nel romanzo. La digressione fu in seguito stralciata e destinata ad essere collocata in fondo al romanzo. Non venne però inserita nell’edizione del 1827 per ragioni di spazio. Divenne in seguito un testo autonomo. Si tratta di un pamphlet (il termine deriva dall’inglese e significa “libretto”), un genere tipico dell’Illuminismo, finalizzato ad affermare un’idea politica, civile, morale e a diffonderla nell’opinione pubblica. Pur trattando un argomento storico, e in questo differisce dagli altri pamphlet, nella Colonna infame prevale però l’intento morale: il vero storico, secondo l’autore, coincide con il vero morale. Compito della storiografia è perciò ristabilire il vero storico, perché questo funga da insegnamento morale. LA NEGAZIONE DEL ROMANZO STORICO Benché in seguito alla nuova revisione, il romanzo fosse ormai il capolavoro che conosciamo, Manzoni non si dava pace. Il suo spirito critico lo portò a meditare sullo stesso genere del romanzo storico, «misto di storia e d’invenzione», che egli ora trovava tanto ibrido da non meritare di essere coltivato. Proprio negli anni in cui andava completando la revisione dei Promessi sposi, cominciò a maturare il saggio Del romanzo storico, con cui decretava di fatto la morte del genere. Anzi decretava addirittura la fine di ogni attività artistica, soprattutto della propria attività. Dopo aver letto i Promessi Sposi, appena stampati nel 1827, Goethe espresse un giudizio lusinghiero sul romanzo. Egli vi ammirava le doti d’invenzione poetica e d’ispirazione sentimentale che direttamente provenivano dal cuore dello scrittore e che egli, del resto, già aveva apprezzato nel Manzoni lirico e tragico. Nel giudizio, tuttavia, era compreso anche un rilievo negativo, che riguardava le lunghe digressioni storiche contenute nel terzo tomo del romanzo e che, secondo lo scrittore tedesco, appesantivano e interrompevano la più genuina narrazione letteraria. Manzoni rimase colpito da questa parte del giudizio e progettò una lettera di risposta al grande Goethe. La lettera non fu mai inviata, ma costituì la base per una riflessione, sul romanzo storico e sulla questione del rapporto fra storia e invenzione, che tormentò il poeta per molti anni e che trovò solo tardi la forma definitiva di saggio. Il discorso Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione fu pubblicato nel 1850 fra le Opere varie. Esso è diviso in due parti. Nella prima, più breve, l’autore propone il nucleo teorico della questione dei generi misti e nella seconda studia due generi che nella letteratura antica e in quella moderna hanno mescolato storia ed invenzione: il poema epico e la tragedia storica. Come questi due generi, il moderno romanzo storico vuole mescolare –secondo Manzoni- due cose del tutto eterogenee quali l’invenzione della fantasia e il documento della storia. Il romanzo storico aspirerebbe a una rappresentazione della verità storica, ma, proprio in quanto romanzo, cioè genere d’invenzione letteraria, esso non può che rappresentare il vero poetico o verosimile (cioè qualcosa che potrebbe verosimilmente accadere), mentre oggetto della storiografia è la narrazione del vero positivo, cioè di qualcosa che è realmente accaduto, che è un “dato di fatto”. Nel suo discorso Manzoni giungeva a svalutare un genere narrativo che lui stesso aveva fondato in Italia coi suoi Promessi Sposi e che era fiorito con tanti titoli negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento. DOMANDE TIPO 1) Per quali aspetti si può dire che il Manzoni è un romantico? 2) L’idea del Manzoni sulla letteratura? 3) Quali sono le caratteristiche del Romanticismo?
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