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'500 storia dell'arte moderna, Appunti di Storia Dell'arte

appunti sul I modulo di storia dell'arte moderna (Cinquecento)

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 19/12/2018

viola-casadei
viola-casadei 🇮🇹

3.5

(1)

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica '500 storia dell'arte moderna e più Appunti in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! due parziali il primo verso fine corso con immagini viste a lezione 11 dicembre 500 scritto meta gennaio 600-700 scritto 2 domande risposta aperta 15 min e 3 riconoscimenti 7 min in tutto 51 min GUERCINO, VENERE MARTE E AMORE Dal modo in cui ha riempito lo spazio sotto l’ascella, ci facciamo una domanda: dove comincia lo sfondo, da dove componi? quadro dentro al quadro, composizione più tema dell’inventio: piaceva la capacità dell’artista di inventare qualcosa su un tema trito. inventio compositio e dispositio. storia dell’arte impressionante in Italia perché i clienti (che gli artisti si dovevano cacciare) erano tantissimi e quasi di qualsiasi livello sociale e enormemente interessati al prodotto. grande metodo di comunicazione fra pari e non. signori pagavano molto per un prodotto. pittura per questi secoli non era l’arte maggiore. un modo per fare vedere quanti soldi si avevano era per esempio far fare un arazzo, oggi svalutati ai tempi per niente, simboli di grande prestigio. se il signore che ha commissionato questo quadro pagava di più era come per incitamento nei confronti dell’artista, per fare vedere l’apprezzamento, ma Guercino guadagnava di meno di un gioielliere per es. gli affreschi erano la pittura meno costosa. 1635 Guercino è alla corte di Francesco I d’Este duca di Modena, all’epoca il duca è piuttosto giovane, assume il titolo a 18 anni perché suo padre, rimasto vedovo, si fa frate e lascia il figlio senza uno studio da duca (che pensava di apprendere l’arte del governo dal padre) e con la peste incombente. Francesco comincia a ospitare il Guercino due anni prima per farsi fare dei ritratti (DA PARATA, solenni per le grandi corti europee di solito, a persona intera). Il quadro è per duca e moglie, buona chimica tra lui e il duca, ottimi amici. Guercino nasce nel 1541, mentre dipinge questo quadro è già un artista fatto, assume tratti più classicheggianti. La luce è la componente essenziale, serale, naturalistica. Marte busca Venere che parla con noi, mostra la sua gelosia, e svela il paese dietro di lui più che svelare Venere. La nuvola all spalle è morbida e si stempera, punto di luce serale che la colpisce. Guercino enfatizza il sotto ascella, il paesaggio con il colore chiaro della lama di luce del tramonto ci permette di guardare molto più in la, le luci rendono l’armatura, la creano. Il disegno è di rigore e pulizia. Guercino non era sposato ne aveva sorelle, perciò non gli fu possibile fare studi su nudi di donna dato che ai tempi non c’erano ancora modelle di nudo, il corpo di Venere nonostante ciò è un ottimo risultato. inventio profondamente barocca: amore. Guercino fa indagini pazzesche. incredibile trasparenza degli occhi, capelli, l’ombra scelta è incredibile perché la luce taglia a metà il volto del bambino (anche il bambino come Venere non è altro che un’invenzione del pittore, è un personaggio ripetuto talmente tante volte che ha imparato riconoscerlo e a ricrearlo). Il gioco prospettico della mano, braccio e arco, che si vede solo di taglio, è una visione materica enorme: metallo puro. cupido punta noi, colloquio di amorosi sensi svelato da Marte, concetto molto barocco sull’uomo dell’essere sempre sotto tiro dell’amore. Le arti sono sorelle: circolazione trasversale formidabile 1 PARTIAMO DA METà 400 é un secolo tragico, guerre di religione catastrofiche, rottura della coscienza unitaria, inoltre il Sacro Romano Impero instaurato nel centro divide l’Europa, che è un posto tutt’altro che tranquillo da vivere. Il Vasari è un grandissimo mezzo, Cosimo I quando sale al potere usa Vasari per ricreare e rinnovare Firenze, come per il Palazzo dei Congressi, Vasari con la prospettiva centrale collega l’Arno con la piazza del palazzo dove Cosimo va a vivere, è un simbolo politico molto forte. “Le vite”: gli si propone di fare delle bibliografie degli artisti e sottolinea l’idea del progresso (per lui l’arte comincia da Cimabue che si stanca dei bizantini e comincia un’arte nuova tutta sua, l’apice è Michelangelo): proemio terza parte, sulla modernità -> comincia con Leonardo. Secondo Vasari bisogna togliere l’eccesso di studio: lo studio insecchisce la maniera, mentre attribuisce la novità alle anticaglie, quindi bisogna riscoprire le antichità: inizio della nuova arte italiana. “Graziosissima grazia” di mich leo e raf vs maniera secca cruda e tagliente di artisti come pdf e Mantegna. Cortile del Belvedere: Giulio II della Rovere nel 1509 mentre ha alle sue dipendenze Bramante ecc decide di fare arrivare tutte le grandi sculture dell’antica Roma nel cortile, creando una collezione incredibile, enfatizzando la concezione che solo grazie agli antichi si va avanti, ma cosa rendeva queste opere così straordinarie? La grazia, i movimenti a torsione, in ginocchio, figure colte in pose apparentemente scomode ma aggraziate. Raffaello per es prende Afrodite accovacciata e la fa diventare una Madonna, come allo stesso tempo Pontorno si servì del busto di Alessandro Morente. Cleopatra Morente viene chiamata così, in realtà è Arianna abbandonata. Il cortile di Giulio della Rovere raccoglie capolavori così importanti che tutti lo vogliono vedere, l’ambasciatore della Repubblica Serenissima riceve l’onore di poterlo visitare, ed è un grande riconoscimento politico. Gli artisti della terza maniera da Leonardo in poi hanno goduto della vista di questi marmi per prendere ispirazioni, è lo scatto che ha permesso di passare oltre la “secca violenta e cruda maniera” (così detta dal Vasari) degli artisti del 400 (come PDF). Alessandro Morente -> Pala Pucci del Pontorno, utilizzata per sottolineare la dignità nel gesto del morire, gli scultori greci erano maestri di bellezza in tutte le occasioni. Cleopatra Morente -> la sua influenza va oltre al 500, come si vede nei due ritratti di milordi che fa Batoni, questi signori andavano a Roma e incontravano il loro artista, si facevano fare ritratti da parata con sfondo Roma o il Cortile del Belvedere per fare vedere che li avevano visitati e poi li esponevano (negli sfondi c’è anche l’Ercole Farnese). “antiquarie prospettiche romane composte per prospettivo milanese dipintore”: sembra essere scritto da un pittore prospettico, forse amico di Leonardo perché ci sono delle terzine dedicatarie a lui. Tema dell’ubi sunt, chiedendosi dove fossero le bellezze romane, quando poi scoprono la Domus Aurea, creduta le Terme di Tito. Nascita della GROTTESCA: sono le pitture scoperte nelle “terme di Tito” cioè la grande domus di Nerone, gli esploratori andavano in mezzo alla terra con le torce, strisciando, la grottesca è la 2 La Vergine delle Rocce importante sia per la carriera di Leonardo sia per l’idea di rapporto di Leonardo con la pittura. La dipinge nel 1483, un anno dopo essere arrivato a Milano dalla corte di Firenze. Una congregazione di frati richiede una pala d’altare: è la sua prova iniziale a Milano, anziché creare qualcosa che la committenza possa subito capire, come una pala classica, crea un’opera provocatoria. C’è un’idea di spazio innovativa tutta fiorentina. Pala di Santa Lucia de’Magnoli del Veneziano: idea estremamente razionale della rappresentazione dello spazio e della pittura, senso della profondità reso con figure nitide, geometriche e calcolate. Leonardo però non lo accetta: nella sua pala si vede la reazione a questa compostezza e rigidità. Non gli piace la geometria del Brunelleschi imposta dalla prospettiva geometrico-matematica, lui invece ha l’idea di una PROSPETTIVA DEI COLORI o PROSPETTIVA DEI PERDIMENTI, cioè la PROSPETTIVA AEREA. Lo sfondo nella Vergine va via via sgranandosi e diventando meno nitido, i colori “si stingono”, perde di nitidezza e si schiarisce, all’orizzonte tutto vibra. Primo piano molto particolare: nessuno può riconoscere nessuno, nessun attributo li fa riconoscere. Sottolinea l’azione, che è sacra: non è la sacralità dei personaggi -> i personaggi fanno qualcosa di sacro. Sceglie la scena di un vangelo apocrifo (tanti vangeli nati con i 4 canonici, molto più aneddotici e pieni di “avventure” rendevano la vita della Sacra Famiglia, amati dalla gente): Gesù viene presentato a Giovanni, entrambi bambini, che per la prima volta ne riconosce la grandezza e Maria viene celebrata dall’angelo, perché riconosciuta come colei che ha partorito senza peccato. La grotta da l’effetto di un ventre, la prospettiva viene data con le forme: struttura a piramide dei protagonisti, le figure si raccolgono a spirale su un unico punto di interesse. Perché dipinge così scuro? Non utilizza il chiaroscuro, lo sa usare ma non lo utilizza. Tutto sfuma, perché in natura non ci sono contorni, le cose non sono nitide come noi le vediamo con la luce elettrica oggigiorno. Le figure nel quadro davvero non hanno contorni: utilizza una stesura a olio diluita tantissimo con poco pigmento e tantissimo olio, la stesura è lunghissima e l’olio non secca mai, non ci sono confini tra i capelli dell’angelo o il velo della Madonna, per esempio. Lui voleva dare una resa naturalistica, ma questo, come dice Camp, è un naturalismo “alla Leonardo”, uno sfumato tutto suo, che è una scelta di parte ed è la rappresentazione di una natura sfumata, sfumato leonardesco, non è la vera e propria natura comunque. Prima la resa dello spazio avveniva in modo intuitivo, per esempio Giotto non aveva dei criteri geometrici come quelli del Brunelleschi, nel Pisello invece le cose sono messe intuitivamente una dietro l’altra, poi abbiamo la prospettiva geometrico-matematica come quella del Veneziano e poi la prospettiva aerea di Leonardo. Quando va a Venezia, scappando dal ducato di Milano, incontra Giorgione, che ha creato il TONALISMO, si suppone che Giorgione abbia quindi conosciuto e imparato da Leo per poi giungere al tonalismo. Leo si concentra su poche cose, perché era sempre insoddisfatto di quello che faceva: da autore di corte fece diversi ritratti. Dama con Ermellino e La Belle Ferronière: Zeni sostiene che in questi due dipinti la donna si riscatti della sua posizione di subalternità. 5 Ne La Dama con Ermellino lo sfondo non era così nero come si vede ora: con le analisi si è visto che c’è stata una ridipintura. Il concetto nuovo è il rapporto tra la figura femminile e l’animale, l’ermellino: si diceva che l’ermellino preferiva essere ucciso piuttosto che sporcarsi, quindi animale amatissimo dai nobili, perennemente bianco, pulito, immacolato, grande simbolo di regalità: qualità che vengono attribuite alla donna essendole accostato l’animale. Inoltre era il simbolo dell’Ordine dell’Ermellino, di cui Ludovico il Moro era stato appena nominato cavaliere. Cecilia Gallerani era l’amante di Ludovico. Leonardo rende un movimento stupendo a torsione, eleganza dell’ermellino nella spirale piccolissima che Cecilia crea accarezzandolo. La Belle Ferronière: altra amante di Ludovico, Lucrezia Crivelli. Di fronte a lei c’è un muretto, che comunque era un elemento già visto, per esempio in Tiziano. Lei è corporalmente presente, non è perfettamente al centro con il corpo, che è scostato e rende il movimento del dipinto. il volto è al centro. Lei sta pensando a qualcosa. Emerge chiaramente la riduzione estrema dei colori: sostiene che il naturalismo che segue non abbia bisogno di colore eccessivo ma poche tinte che facessero risaltare il CONCETTO DELL’ANIMA, la profondità intima della persona, fare vedere che era viva, cosa ci fosse dentro di lei. Leonardo dunque non è uno che sta in superficie, ma fa mille studi per scoprire cosa ci fosse dietro le persone. Questo concetto è il modo di fare capire il perché le persone si presentino così di fronte a noi. Paragone con Botticelli, Ritratto di giovane con medaglia di Cosimo de’ Medici: il paragone ci fa notare che Leonardo cercasse il rilievo, supera in questo Botticelli che si è formato proprio alla sua stessa maniera, conosceva la prospettiva perfettamente ed è rimasto in ambiente fiorentino. Leonardo voleva superare la pittura a cui era stato formato. L’Ultima Cena - Cenacolo: è una stanza che funge da refettorio nel convento domenicano di Santa Maria delle Grazie a Milano, commissionata con il pieno accordo di Ludovico, come si vede dagli stemmi della casata messi sopra, fa capire che tiene molto al suo artista, che diventa l’artista di corte del duca, il migliore. Leonardo non fa niente di nuovo, anzi fa ciò che veniva chiesto di fare a tutti i pittori, decorare la parte corta del refettorio con un’Ultima Cena. L’iconografia è sempre la stessa, paragoni con altri quadri: interni, giardino meraviglioso del Ghirlandaio. Andrea del Castagno invece crea una stanza a scatola, chiaroscuro scultoreo. La prima cosa che Leonardo fa, ed è l’elemento forte, è lo SFONDAMENTO PROSPETTICO, vuole fare vedere che nel suo quadro continua l’ambiente circostante. A sx la parete è oscurata perché nella realtà del refettorio davvero le finestre sono a sx. Da la sensazione che Gesù e gli apostoli fossero nello stesso ambiente dei frati. Altro elemento interessante è lo sfondo del paese che davvero c’è li dietro, luce naturalistica. Tutto quello che è accessorio viene eliminato: no aneddotica simbolica di uccelli in volo e agrumi, vuole il puro concetto dell’anima. Fotografa il momento in cui dice che uno di loro tradirà Gesù. Gabbia prospettica del cassettonato nel soffitto, la prospettiva è diventata gioco per renderci non solo spettatori ma protagonisti dandoci la sensazione di esserci dentro. La natura morta sul tavolo è estremamente realistica: il vetro e le bevande, il pane, la tovaglia e i piatti. Può fare come vuole e quando non è realista è perché non vuole esserlo. 6 Inoltre siamo nelle stesse condizioni di Gesù perché Giuda è dalla sua stessa parte del tavolo, quindi noi non sappiamo chi sia il traditore come non lo sa lui, mentre spesso certi pittori ponevano Giuda già dalla parte opposta del tavolo, facendoci subito vedere il colpevole. I personaggi sono divisi in 4 terzetti e ognuno ha un elemento di unità. Problema della tecnica: tecnicamente ha fatto un disastro perché ha cercato di fare un altro passo avanti, con l’affresco dovevi già sapere quello che dovevi fare e non avere ripensamenti, una volta bagnato il muro lo dipingevi e non potevi cancellarlo. Lui invece, che voleva modificarlo continuamente, vuole trasformare il muro in una tela, fa una IMPRIMITURA con colla di coniglio, spatolando il muro che diventa il preparatorio della pittura. Il fatto di dipingere sull’imprimitura da una tonalità incredibile ma 20 anni dopo aveva già cominciato a distruggersi. Monna Lisa: è così un feticcio che non c’è il coraggio di restaurarla, ha perso tantissimo a causa dello sporco che la copre e non ci fa più vedere particolari e tonalità, come il paesaggio che in realtà è davvero particolare, due signore sono riuscite a capire quale potrebbe essere davvero il paesaggio ritratto. Lei è su un balcone e si siede davanti a noi come in conversazione, lei con le sue mani e il suo volto accogliente sta aspettando che cominciamo a parlarle. Sensazione del mistero dato anche dalla luce sul petto e la faccia in penombra. Volendo sfuggire alla fissità l’ombra del volto la rende misteriosa. Questo quadro lo tiene con se, lo porta in Francia quando chiamato da Francesco I, e lo ritoccherà in età matura, c’è un rapporto particolare, lo lascia in eredità al suo allievo. Riduzione dei colori: siamo quasi al monocromo, dall’incarnato chiaro al paesaggio c’è un’uniformità incredibile. Per essere il massimo convincente dal punto di vista della resa doveva diminuire il più possibile i dettagli: molto più naturale senza gioielli, con la semplicità assoluta ha raggiunto un risultato di incredibile complessità, creare un interrogativo continuo sul volto della donna. Paolo Giovio, autore di biografie, aveva una raccolta di ritratti, aveva il culto delle grandi personalità. Chiama, nel 1520, la triade Leonardo, Michelangelo e Raffaello le “stelle più splendenti”, l’unico che non era più in vita era il solo Raffaello, gli altri due erano ancora vivi e questo rende bene la fama che potevano avere. DONATO BRAMANTE Piero della Francesca, Pala Montefeltro: questa pala continuava in modo mimetico e illusionistico l’abside dell’altare e continuava i profili dell’architettura esistente. Scrisse il “De Prospectiva Pingendi”. PDF era un pittore di corte di Urbino, per Federico di Montefeltro -> Bramante nasce in questo ambiente, di luce, perfezione, perfetta resa della prospettiva. Visione di 2 dipinti di città ideali, di cui si pensava che il pittore stesso fosse Bramante. In questi dipinti si mescolano elementi di città estremamente ideali con altri molto più classici come un mini-Colosseo. Solidi geometrici + elementi architettonici imponenti. 7 San Pietro era una basilica tradizionale grandissima, con quadriportico e le tre navate classiche. Giulio II a questo punto ritiene che la chiesa non è più adeguata ad essere universale come dovrebbe, un uomo che progetta il cortile Belvedere può accettare una chiesa del genere? Si decide di tirare giù la vecchia San Pietro ma restò per un secolo un cantiere a cielo aperto. Quando distrussero il cuore della basilica partirono dal presbiterio. L’altare era in mezzo a tende e arazzi del cantiere: Bramante costruisce un tugurio, una piccola chiesa dentro alla chiesa per celebrare. Bramante e Giulio II fino un primo progetto per San Pietro “piano pergamena”: da questo progetto si capisce che avevano concepito una chiesa a pianta centrale, come nei disegni di Leonardo. é un progetto ancora in costruzione, non sa se farla longitudinale o centrale. Per certo Bramante fondò il pilastro della Veronica, 18 aprile 1506, posa della prima pietra: così facendo aveva posto in modo imprescindibile le posizioni e le misure degli altri pilastri e le dimensioni della cupola -> ha fissato quello che Michelangelo avrebbe finito. La cupola di 40 m di diametro. MICHELANGELO BUONARROTI Caprese, Arezzo, 1475 - Roma, 1564 Apollonio, Torso del Belvedere: celebrato dal Vasari come Torso Grosso del Belvedere, faceva parte delle opere top da cui prendere ispirazione con le altre del cortile. Questo marmo è tutto per Michelangelo, il suo punto di partenza in assoluto. é l’unico marmo del tempo che non è stato toccato e non si può toccare, cellula di senso in se. Michelangelo ha sempre detto detto “io sono uno sculptor” in particolare di marmo. Ha un rapporto così particolare col marmo che passò anni e anni nelle cave del marmo di Carrara, mesi continui con i cavatori per capire da dentro la roba con cui voleva misurarsi, sceglieva i blocchi dalla cava, conosceva le venature e i tagli. Alcuni suoi sonetti ci raccontano di lui quella che può essere considerata una poetica: lui è scultore per levare, lui toglie l’eccesso nel marmo. Il suo rapporto dialettico con il marmo è tale che individua il blocco per il soggetto che ha in mente, il blocco gli dice cosa deve fare. Lo Schiavo Atlante per esempio non è concluso ma lui ha un rapporto tale con il marmo che ci viene da pensare che il non finito sia una vera e propria scelta. Sappiamo che M scolpiva sempre dal davanti piano piano, mai da lato, il lato era sempre l’ultimo. Michelangelo inoltre pensa alla materia come qualcosa che abbia un forte rilievo e profondità. Il copro che si livera dal marmo, che è la materia più pesante in assoluto è un grande insegnamento neoplatonico: elevare il corpo da qualcosa di pesante. Il padre di M era un borghese che faceva il podestà, non si sarebbe mai immaginato un figlio artista. M va in bottega dal Ghirlandaio, soprannominato così proprio perché fa ghirlande, ma questo non lo ha mai voluto fare sapere. Nella sua biografi ufficiale si legge che è stato scoperto da Lorenzo il Magnifico nel giardino di San Marco, dove c’era un giardino di sculture all’aperto. Lorenzo aveva ingaggiato Bertoldo di Giovanni, che all’antico aveva dedicato alla vita. M lo frequentò così come Pulci, Franco e tutti gli umanisti che circondavano Lorenzo. Opere tenute da M che ha compiuto da molto giovane, come per fare esercizi di stile: Madonna della Scala, Centauromachia… La Centauromachia l’ha realizzato come rilievo scultoreo ed era un tema molto caro agli antichi, Si vede perfettamente come lui sia abile anche dalla resa totale 10 della figura in tridimensionale alle altre appena accennate. Nella Madonna della Scala fa un rilievo talmente sottile invece che da un profondità atmosferica detto STIACCIATO. Lo schiavo Atlante, 1530-1534, marmo, Firenze, Galleria dell’Accademia Probabilmente non finita per volontà: la scultura è percorso di avvicinamento alla verità, per questo l’opera poteva essere non finita, interrotta. Forza del corpo che cerca di trovare la sua forma al di fuori della materia bruta che lo sovrasta. C’è un aspetto metariale in questo NON-FINITO: MIchelangelo guardava il marmo sempre di fronte, toglieva piano piano dal davanti, non dai lati. Affronta le cose da questo punto di vista, come un corpo che emerge da una vasca da bagno.  Michelangelo pensa alla materia come qualcosa che ha filosoficamente un forte rilievo; è un neoplatonico —> il marmo è per lui la materia che tiene noi tutti attaccati alla pesantezza del corpo. Il corpo confligge con lo spirito, si libera dal marmo che è la materia più pesante in assoluto —> questo è un percorso filosofico. Materia vs spirito che dicono la propria —> levare il marmo da quel blocco che ha dentro di sè il concetto, l’idea c’è gia. E’ un concetto filosofico.  Lo schiavo ribelle, 1513, Museo del Louvre —> E’ completato e finito.  Domenico Ghirlandaio —> faceva ghirlande, in legno o dipinte. Michelangelo ha imparato il mestiere da questo maestro. Il neoplatonismo viene da sè.  Centauromachia, 1491-1492, marmo, Firenze, casa Buonarroti  vs  Madonna della Scala, marmo, Firenze, casa Buonarroti1490-1492 Due opere singolari eredità della famiglia di Michelangelo. Opere giovanili che lui ha tenuto. Sono esercizi di stile molto diversi tra loro. Il giovane Michelangelo si esercita nel contesto che lo provoca. Rilievo marmoreo che cita quello che gli antichi avevano fatto. Non finisce questo marmo ma lo tiene sempre presso di sè: intreccio dei corpi, eccezionale anatomia anche solo annunciata che sono tridimensionali, sui bordi l’opera è accennata, non è stata definita. Intreccio di corpi di frenesia quasi dionisiaca. La seconda è a tema cristiano: metro classico che Michelangelo ha già dentro. Esercizio di stile, il marmo è sempre marmo, ma massimo risultato da un minimo di spessore. Donatello lo chiamava lo stiacciato: rilievo talmente sottile che dà ancora più senso di profondità atmosferica proprio perchè cosi sottile. Adesione alle novità che ha appreso dalla cerchia sofisticata della corte di Lorenzo il Magnifico. Ricerca di un linguaggio molto aderente alla realtà ma senza eccedere nei dettagli e nel descrittivismo. Idea di sfondamento prospettico con mezzi minimi, lo sfondo è solo alluso. I volti sono raffinati ma in un contesto di grande economia di mezzi. Michelangelo è stato chiamato ‘divino’ 11 in vita: ha il primato sia per la pittura, che per la scultura che per l’architettura. I fatti artistici, culturali, non sono mai decisi una volta per tutte. Viene definito anche aspro, duro, stravagante —> qui rifiuto totale dell’arte di Michelangelo che ha cambiato stile e modi a seconda dell’obbiettivo che si prefiggeva (mai come Donatello che aveva ancora più grande duttilità).  Michelangelo pur giovanissimo decide di andarsene e di venire a Bologna per completare l’arca di San Domenico. Niccolò dell’arca aveva elaborato tutto ma lasciò dei buchi quando morì, buchi che riempì Michelangelo con 3 statue: • angelo: si è misurato con ciò che pre-esisteva, l’angelo di Niccolò. La figura di Michelangelo è posta non pienamente di profilo, ma si volge verso di noi. Uso nei riccioli non del trapano (che rifiutava), ma di qualcosa che può penetrare in superficie, dà impressione cromatica (cosa che più avanti rifiuterà). Cerca di adeguarsi alla falcatura del panneggio di Niccolò dell’Arca che amava gli effetti di candore. L’effetto non è mimetico, ma nell’insieme riesce a mettersi in modo armonioso e corretto nell’insieme già esistente.  • San Vitale: costruisce una figura ruotata su sè stessa, eleganza femminea della sculture di Niccolò dell’Arca che Michelangelo traduce nell’asimmetria, caratteristica del gusto gotico. In entrambi grande attenzione alle superifici.  • San Petronio: come nell’angelo, qualità di resa di un panno che ha la duttilità della cera. Questo gioco di panneggi leggero ma anche carico è il linguaggio di Niccolò dell’Arca che Michelangelo identifica e assimila.  Jacopo della Quercia ha lavorato a Siena, ha fatto la fontana della città nella piazza del campo, la fonte Gaia: fa anche il portale di San Petronio; è fonte di ispirazione per Michelangelo. Jacopo ama figure marcate sul piano fisico e le adatta in modo molto netto allo spazio a disposizione. Michelangelo amerà i corpi pieni, con volume plastico visibile. Jacopo è a metà tra la modernità e la tradizionalità. Michelangelo scolpisce un CUPIDO DORMIENTE; scultura fatta alla maniera classica, come se fosse freco- romana, e finisce sul mercato a Roma e acquistata dal Cardinale Raffaele Riario, collezionista di vestigia antiche; lo compra come antico, poi gli viene fatto notare che è di Michelangelo e lo vuole conoscere. Così Michelangelo va a Roma per scolpire un’opera all’antica che però a Riario non piace: Bacco (1496). Michelangelo ha imparato a rendere l’epidermide delle statue moribida come se fosse dipinta, dà la sensazione della cera, della pelle di un uomo. L’elemento fondamentale è la pinguedine: Bacco non è virile qui, ha una corporatura giocata sulla amiguità, su una sorta di Androgenia. Virilità femminea. Sensazione voluta di un incespicare che di lì a poco potrebbe cadere. Gioco di interpretazione e di lettura da dentro della tradizione classica. Sentire che cosa gli antichi potessero comunicare ai contemporanei. Questo rende la statua singolare. Bacco è in una posizione rotante che invita chi guarda a girare attorno: il satiro cerca di rubare l’uva e gli gira attorno, questo da l’idea di rotazione. capacità nel grappolo rendere  acino per acino, messo in massima mostra nella corona di Bacco che è andata perduta. Vuole rendere viva l’idea e il corpo stesso di Bacco.  12 incontrano a Firenze. Michelangelo cerca spontaneità e morbidezza di Leonardo. Il marmo è il suo linguaggio.  Michelangelo e Leonardo fanno due opere dello stesso argomento ma non ne abbiamo nessuna delle due; Leonardo aveva fatto i disegni preparatori ma si inventò una tecnica per cui l’affresco cominciò a colare, Leonardo così se ne andò a Firenze. Michelangelo rimane al livello del cartone. I cartoni sono stati fatti a pezzi da chi li guardava, dal consumo.  Aspetto progettuale di Leonardo: gusto incredibile per la zuffa; idea di una lotta molto violenta. Disegno di ogni volto. Michelangelo: ‘vista una figura le hai viste tutte’ —> la scena è quella dei fiorentini che fanno il bagno in un momento di tregua, i pisani li sorprendono, arriva la sentinella e urla. Questa è la scena: tutti salgono dall’acqua. Corpi maschili nudi in movimento studiati in tutte le posizioni —> questo è quello che gli interessa. La figura spicca in sè, è fondamentale la forza fisica e non importa lo sfondo. Si usa la penna. Usa il tratto fine, che ammorbidice e chiaro scura, ma da senso di un corpo solido che viene studiato. Sono disegni dal vero? Qui c’è allusione al vero: non c’è il modello, e se c’era lo esasperava, c’è una tensione enorme —> scopo è esibire l’anatomia. In questo senso artista scienziato —> che ha studiato e sezionato. Uso del chiaro scuro portato alla esasperazione ; la libertà di movimento  è portata alla perfezione, è lo studio che ha condotto per la sua intera esistenza.  Battaglia di Cascina, 1492, marmo, Firenze, Casa Buonarroti  Michelangelo è ormai consapevole delle sue capacità e una delle caratteristiche della sua opera è questo suo interesse potremo dire ossessivo per il corpo umano maschile. L’attenzione al corpo umano è evidente in questi studi; i gesti sono resi con grande naturalezza per dare l’idea del fisico anatomico. Abbiamo penna, gessetto, matita però sono diversi gli esiti, proprio per la diversità dei materiali. Gli interessa fornire il contorno. C’è una linea di contorno, rilevata e chiara in modo da dare una profonda plasticità, volumetria e il modo in cui la volumetria del corpo viene indagato è quell’dell’artista che ha studiato dal vivo di continuo. Anche se non era così facile avere sempre qualcuno in posa, si fa anche fatica a pensare a modelli così muscolosi perfetti e quindi la realtà è che lui poneva grande attenzione quando gli era possibile al corpo e anche grazie al lavoro delle dissezioni. Studia le varie parti e poi le assemblea e tutto ciò da l’idea di reale.   Studi di nudo   15 Gli interessa far vedere il dinamismo del muscolo, sono tutte figure in un movimento marcato, sostenuto e non sono figure in riposo. Molto spesso c’è un gioco di linee paralelle più o meno marcato. La linea prevale in certi aspetti; linee paralalle che poi si frangono e vanno inv arie direzioni. Adotta costantemente questo modo di ombreggiare che sono chiaroscuri molto potenti (al contrario di Leonardo).   Studio di giovane uomo di corsa   Un uomo molto virile, ma più asciutto rispetto ad altri visti fino ora. La visione aerea di quest’uomo viene messa in paragone con il corpo dell’Apollo del Belvedere.   Ossessione per il corpo virile: Michelangelo ha vissuto per l’arte, è stata una persona che anche con incredibili bassezze, avidità, ha aderito alla sua arte con tanta energie e volontà che il suo disegnare il corpo maschile ha una valenza di vocazione artistica che è il punto della sua arte. Anche in questo caso Michelangelo si rivela un grandissimo neoplatonismo che voleva il corpo virile quasi come modello della virilità, della perfezione divina. Per Michelangelo realizzare questi corpi aveva una valenza davvero profonda, prorpio perché mirava a questa perfezione divina.  Michelangelo poi evolverà il gusto di un artista che lui stimò: Resurrezione, Signorelli Michelangelo attraverso Signorelli riprende il concetto di nudità come qualcosa di ammissibile anche in una Chiesa per rappresentare le anime nella loro nudità. Stile scultoreo di Michelangelo   Tondo Pitti, 1503, marmo, Firenze, Museo nazionale del Bargello  Quel lavorare sempre di incroci di linee è un’evidenza visiva in una forma che è simile a quella dello scalpello. Le linee con cui mano a mano Michelangelo lavora sul marmo sono tutte linee di scalpello che vanno gradualmente di lavorare sul marmo.   Tondo Taddei, 1504-1506, marmo, Londra, Royal Academy  Se notiamo la gambina del bimbo di Gesù ci accorgiamo dove il marmo è levigato non vediamo nulla, ma dove ci permette di vedere il segno dello scalpello delle linee insistenti che vanno a realizzare la forma. Ha un disegno molto scultoreo perché avvolge la forma con queste linee parallele. Sfuma pochissimo proprio perché la sua è una visione di tridimensione. Sembra intendere rappresentare la scena  in un ambiente, cosa che lui non faceva in pittura. Sembra essere rappresentata una scena sacra.   16 La forma tondo a Firenze in quel periodo è di grande moda (anche Raffaello dovrà misurarci) il tondo sacro dovrà essere motivo di studio dei legami fra i personaggi. Ciò che muove qui è un moto di paura improvviso perché Giovannino gli ha mostrato qualcosa di brutto. Sembra che gli mostri un uccellino e perché è così tipica di quel periodo? Si giocava col  simbolo del cardellino che siccome era rosso, era un simbolo, anticipazione della passione di Gesù. E’ un gioco che si usava nell’arte del tempo.  Michelangelo ricerca un momento molto convincente.   Schiavo morente, 1513, marmo, 215 cm, Parigi, Museo del Louvre  Schiavo ribelle, 1513, marmo, 227 cm, Parigi, Museo del Louvre                            Due immagini che vengono da un progetto che Michelangelo aveva realizzato per una tomba monumentale per Giulio II in San Pietro. Un monumento con 40 statue; ciò andrà malissimo. La commissione di Giulio II arriva e quando vede con la pietà e il David capisce il grande talento di Michelangelo, una nuova basilica di S.Pietro con Bramante e una tomba monumentale con Michelangelo. Una tomba che doveva avere in basso delle figure di vittorie o virtù e in basso i cosiddetti “schiavi” per creare delle figure maschili che si liberassero della materia. Nella fascia centrale avrebbero dovuto esserci personaggi importanti come S. Paolo o Mosè. In alto invece la figura di Giulio II benedicente (anche se non è chiara quale sarebbe stata l’opzione). Tutto si ridusse ad una tomba sempre più piccola. Michelangelo ha distrutto tutti gli studi intermedi, tutto quello che non ha fatto uscire lui lo ha distrutto.    Gli schiavi:  Come già detto il corpo maschile è centrale per M. e anche il rapporto con la Grecia compreso da M. è davvero impressionante. Ma qual è lo scatto rispetto a ciò che noi sappiamo delle sculture greche? La volontà tutta moderna di dare alla bellezza corporea un senso profondissimo. Le statue michelangiolesche fanno qualcosa, sono animate da qualcosa di interiore di imperioso, fortissimo. E’ questa la grande novità di Michelangelo, figlio del suo tempo, un tempo che con l’arte cercava di indagare le ragioni del movimento dell’uomo. Gli schiavi di Michelangelo si trovarono per anni alla porta di ingresso del’ Chateau d’Ecouen; M. li regalò ad un ambasciatore che a sua volta li regalò ad un uomo di fiducia di Francesco I. Dopo tutto ciò si arrivò a Richelieu che li portò al Louvre.   Cappella sistina,  1508-1512, affresco, 13x36 m, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani   17 Lui usa il tratto come se fosse una gradina; l’ombreggiatura del viso ha la stessa delicata lettura che noi abbiamo visto nelle sue sculture. I restauratori si sono accorti che man mano che Michelangelo termina i suoi lavori davvero diventa sempre più sicuro dei suoi mezzi, la sicurezza nel lavorare sul muro. All’inizio non conosceva perfettamente la tecnica dll’affresco, chiede aiuti,  poi licenzia tutti  perché diventa così sicuro da riuscire a bagnare tutta la superficie e lavorare in un’unica giornata. (L’affresco non permette errori).   Ignudi e medaglioni monocromi Sono innumervoli le varianti di questi corpi. Sono i muri della prima parte. Analogamente dipingere i profeti e le sibille. Profeta Zaccaria, primo ad essere dipinto. Profeta Giona, ultimo ad essere dipinto. Capiamo come cambino i colori. Nel primo caso, tinte squillanti, un po surreali.  La figura di Giona porta alla sensibilità del cambiamento, straordinaria capacità di trapassare da una tinta all’altra. Zaccaria era un signore meditativo  studioso, un anziano. Anche l’ombra del volto è importante, si immagine la luce da dietro di ¾, dà una grandissima tridimensionalità. E’ una visione però più statica. Il profeta giona è invece in un movimento improvviso. E’ un gioco molto platonico perché abbiamo la raprpesentazione del furor, l’esaltazione profetica. Platone dice che lo avevano i poeti, le profetesse, Giona rappresenta proprio l’essere umano tanto assorbito dalla divinità da essere sradicato dalla realtà.   Sibilla delfica Posta a spirale su sé stessa.   Profeta Gioele Gioca di contrapposto, non è statico. Il chiasmo, la ponderatio riveduta e corretta. —> L’architettura crea , pur essendo monocromo, la realtà di un trono su cui le figure possono sedersi sopra. Tutto rende dinamica anche l’architettura che è ferma, è fissa. L’architettura è proprio cornice ed esempio di costruire un’immagine perché tutto ci stia. Questo angioletto che sta per bruciare i capelli è realistico, lui che sta soffiando verso la fiamma e riempie il buco. L’angelo in chiaroscuro fa spiccare il libro della Verità, cioè della profezia.   Il profeta Daniele   Nell’elemento della Vela sono rappresentati i progenitori.   20 Studi per la Sibilla libica Ruota su sé stessa per epoi essere abbigliata da un incredibile corsetto dall’arancio squillante. Implica attenzione sul costrutto della figura, su ogni dettaglio, anche sul piede. Qui la Sibilla è studiata davvero in ogni particolare del suo corpo.   Profeta Ezechiele  C’è una crepa che è il gioco dell’intonaco che ci mostra l’intonaco che ha bagnato lungo il profilo del volto. L’angelo invece il giorno dopo. Quella che è venuta prima ha un intonaco leggermente di livello maggiore. C’è un lavoro di velature.  In un giorno solo riusciva a lavorare e il timbro del colore aumentava. Ignudi e medaglioni monocromi I nudi a rapporto col disegno preparatorio Prima e post restauro Cosa rappresentano? Non lo sappiamo; probabilmente un angelo senza ali perché Michelangelo non ne ha mai realizzati con le ali. Oppure geni, divinità pagane. C’è un dato fondamentale che sono figure umane dotate di bellezza straordinaria. Il concetto fondamentale fu suggerito da un gesuita, americano, O’Malley che andò a prendersi tutti i sermoni che Giulio II dava nella sistina. Si è visto che quando si parla di passione di gesù c’è un elemento che mai ritorna ma si butta l’accento sulla straordinarietà dell’occasione di dar e l’occasione di potere incontrare un Dio incontrato. Diventa centrale il fatto che Dio si fa simile alle sue creature. Anche la bellezza di Michelangelo è simbolo di Dio, rendendola ancora più bella e preziosa. La sistina è un grande inno all’umanità. Queste figure esaltano l’incarnazione di Cristo come grande esaltazione della umanità. Si fa uomo anche lui pur di salvarla, è una visione molto umanistica del cristianesimo, pur rimanendo cristiana. Questa è una interpretazione che ha preso molto piede. Michelangelo ha una grande idea di insieme, ma non la traduce meccanicamente, la valorizza sul piano artistico.  Nudità marcata e chiara —> stato originale della umanità. Ma forse il ruolo è di mediatori? Di figure di trasmissione? Forse appunto sono angeli, visto che non li ha mai fatti con le ali. Ma la figura dell’angelo era quello del genio, del daimon.  Lunette Ci dicono i nomi dei personaggi, a Michelangelo è stato chiesto di presentare i nomi dei personaggi, incarnarli in figure vive; corrispondono ai primi versetti del Vangelo di Matteo. Questi sono i predecessori di Gesù bambino, i suoi antenati. Michelangelo se li inventa —> sono tutte figure sonnolenti, melanconiche, fortemente strambe, come il signore di sinistra. La stramberia è calcolata. Il mantello è quello degli ebrei, c’è il marchio, il segno. Per gli ebrei romani era molto difficile vivere a Roma. Queste figure hanno tutte un aspetto di gente che attende, di gente oziosa, stanca, prostata. Che 21 significato ha? Sono coloro che sono fuori dalla grazia di Cristo. Umanità non all’altezza della divinità che l’ha creatà. Sono coloro che vengono prima e che non hanno idea di che cosa sia l’annuncio. E’ il popolo ebraico che non ha accettato la chiamata di gesù. Sono sia antenati che ebrei che non hanno riconosciuto il Messia. Tutte le figure sono eseguite in un giorno di intonaco; la pennellata è meno accurata, meno tesa a definire i dettagli, si vede che Michelangelo lavora con più materia, non ha più la tensione a lavorare per velature. Deve fare più in fretta e non lo vuole più fare —> quello che conta è l’impressione di insieme.  Raffaello Sanzio (1483-1520) E’ il più ambiguo dei personaggi se per ambiguità intendiamo il più sfuggente. Leonardo e Michelangelo era chiaro che avrebbero avuto un destino brillante. Per Raffaello no.  Si dice che è stato allievo di Perugino; la sua maniera (stile) ha avuto grande capacità di diffusione, perchè era molto comprensibile. E’ talmente chiaro il dettato di Perugino, composizioni simmetriche di grande qualità nelle pause, personaggi distibuiti in maniera armoniosa. Gesti calibrati e le ambientazioni esaltano l’equilibrio di insieme. Pittura comprensibile. Stile accogliente di bel disegno e pittura nitida, più costruzione prospettica che fa sembrare il disegno una macchina perfetta. In più grande qualità tecnica. Divenne quindi una grande moda; tutti dipingevano come Perugino. Si fa strada l’idea che Raffaello giovane, figlio di un pittore, intelligente dei fatti artistici, abbia fatto il verso al Perugino; stessa qualità, arichitettura che non domina l’insieme ma lo contiene, colori luminosi e brillanti, fisionomie dedicate, e discorso di paratassi delle pause; tutto è coordinato nell’opera e dà senso di nitidezza.  Lo sposalizio della Vergine,  1504, olio su tavola, 170x117, Milano, Piancoteca di Brera    Quello di Raffaello è migliore di quello di Perugino. Fusione cromatica di tutte le componenti del piano a cui corrisponde una fusione formale dei due gruppi che vengono fatti convergere verso l’architettura. Sfaccettare il tempio a pianta centrale che permette un fluire dello scuro verso il chiaro, che crea armonia e fusione sublime. Tempio sembra Albertiano, la manifestazione di quella immagine che Alberti dava nel suo trattato; Raffaello rivela di avere già una grande capacità di pensare l’architettura, tanto è vero che diventerà l’architetto di San Pietro.  Raffaello nel 1504 chiede alla signora di Urbino una lettera di presentazione per il capo di governo di Firenze dove vuole andare. Capisce che deve andare a Firenze dove c’erano Leonardo e Michelangelo.  Raffaello in questa fase lavora su delle opere che hanno una forma tonda (due Madonne) che andava per la maggiore, quindi vendute poi a un cliente; ma sono anche esercizi di stile —> man mano Raffaello prende la mano. Didascalico a sx, molto 22 Ciò che è importante è vedere come Raffaello abbia desiderato porre ciò che era un concetto astratto e da sempre raffigurato tramite figure ferme statiche e senza emozioni, con la passione, con l’intenzione che una persona mette nelle cose che fa. Questa è la novità che Raffaello porta avanti. Aspetti tradizionali ma rappresentati in modo nuovo.  —> Raffaello copiava Perugino, e imparava da lui, ma poi si svincola da questo ma non perde comunque l’abitudine di guardarsi intorno. Artista molto originale che all’esatto opposto di Michelangelo è un autentico assimilatore delle menire e dello stile altrui. E’ sempre stato capace di intercettare tutte le cose e cogliere come materia propria.  Scuola di Atene, 1509-15010 Pensiero laico, non religioso, ma non pagano nel senso negativo, ma libero di concentrarsi sulla discussione, sul dialogo delle persone, questo ispira a noi la Grecia del V sec. ma ci fa venire in mente anche il rinascimento italiano. L’aspetto dell’insieme è uno sviluppo della disputa ma lascia il piano celeste alla architettura che colloca la scena e fa ambientare le persone in uno spazio vero. Da un lato riferimento molto chiaro all’antichità (volte a botte con cassettoni), dall’altro alludono alla architettura nuova di Bramante. In più aspetto simbolico che nella sua qualità dell’urbinismo è giocato sul bianco —> rispecchiamento dell’organismo straordinario che il pensiero umano dall’antichità è riuscito a creare come eredità culturale e morale. Questi signori sono liberi di dialogare e svilupparsi ancora più che nella disputa —> dinamismo ma correlato con l’armonia. Qui sono state riconosciute un gran numero di persone della antichità, di artisti. Che messaggio comporta questo? La società è convinta che non sia blasfemo identificare grandi autori dell’antichità con artisti viventi —> dà una tale dignità, un tale rispetto alle ricerche artistiche che prima non avevano (l’arte era solo artigianato). Gli artisti non sono esecutori di belle forme, ma fanno ricerca, si è raggiunto un determinato statuto intellettuale. L’archiettura è ispirata dai disegni che Bramante stava facendo. I due personaggi centrali sono molto importanti perchè Raffaello stesso (ispirato da qualcuno) (Giovanni Reale, storico della filosofia che attraverso il ritratto di queste facce fa vedere come Raffaello sembra mettere a punto una storia della filosofia) ci dice cosa rappresentano, ha posto loro in mano due libri precisi con il titolo sul dorso; il Timeo di Platone e l’Etica di Aristotile —> queste non sono le scelte che noi avremmo fatto, ce ne sono di più famose.  Perchè proprio queste due?  • Nel Timeo fa presagire l’ordine del cosmo, Platone parla qui delle idee in funzione dell’ordinamento nel quale l’uomo e la terra sono inseriti nel cosmo dalla perfetta armonia al quale noi dobbiamo tendere.  • D’altra parte Aristotele nell’Etica mostra quale sia l’atteggiamento che l’uomo deve avere, non in termini di banale moralismo, ma la sua funzione di avere una 25 responsabilità. C’è grande correlazione tra la disputa e questo; verità rivelata vs verità ricercata.  In entrambi tanti studi dal vivo.  Parnaso, 1510-1511 Questa finestra crea molti problemi compositivi, sta in mezzo alle lunette e ne rompe la base. In questo caso ne fa una opportunità di inventio. Se ci poniamo davanti a questa celebrazione della poesia abbiamo i simboli di teologia e religione. Finestra del Belvedere da cui si vede cortile del Belvedere di Bramante e la collina; il Parnaso è un monte, Raffaello gioca su questo, è il monte della poesia. Da lì scaturisce la fonte della poesia che ha due corsi. Al centro di tutto c’è Apollo; l’affresco vuole identificare ciò che è la poesia in corso d’opera. Nessuna delle figure infatti è ferma, e Apollo stesso sta per produrre armonia —> azioni in atto. Cielo atmosferico e di una grande luminosità. A destra e a sinistra della finestra, poeti famosi, Saffo e Omero. Due fonti della poesia antica, come quelle del fiume. Possiamo identificare altre figure del tempo di Raffaello. Sotto c’erano gli armadi di libri, chiusi. Luoghi che vediamo sono ambienti. E’ importante capire che stava in una stanza dove si viveva, dove si camminava e si studiava.  Disegno —> Strage degli innocenti 1505-1510, Vienna  Asse di simmetria che è la figura femminile. Mette a fuoco le coppie che più lo interessavano. Stile che non è di dettaglio, ma di comprensione del modo di fare dell’uomo. Usa linee parallele di MIchelangelo ma sfumate, già tese alla pittura. Molti disegni sono fatti per le incisioni; aveva capito che l’invenzione della stampa aveva grande potenzialità. E’ la prima volta che esiste un mezzo di basso prezzo che permette di far si che il pittore non faccia una cosa che resti ferma, stabile, in un posto fisso; si fa un disegno per bene, poi un incisore su lastra sotto il suo controllo, riesce a fare vedere la bravura delll’artista ovunque. Questo è sintomo della sua moblitià e lo rende un grande affarista, avrà grande celebrità per questo.  Stanza di Elidoro, 1511-1514, Palazzo Vaticano Lunette che danno l’impressione che l’immagine stia indietro. Questo ce ne da percezione fisica. Si ha la sensazione che dietro il muro ci sia la scena; gioco di presenza-assenza, di finzione. Cosa rappresenta questa stanza? Elaborata da Giulio II quando ancora Raffaello sta dipingendo la precedente. Se la stanza della segnatura è la rappresentazione delle convizioni e dei valori, del mondo umanistico di Giulio II, questa (già lo vediamo dalle tinte e delle scene concitate) ha un’altra necessità. A Giulio II le cose politicamente vanno male perchè ha osato troppo, opponendosi al re di Francia Luigi XII, in più era entrato in armi a Bologna perdendola. Questa stanza la mette in 26 lavorazione per dare dei messaggi, dei segnali molto precisi. Questa non è una stanza privata, è quella della audentia. Le scene sono politicamente illustrative.  Cacciata di Eliodoro dal tempio; viene scacciato dagli angeli, Scena dell’antico testamento. Clima diverso dalla scuola di Atene; diversità cromatica, prima colori luminosi con timbro chiaro, qui timbro cupo, greve, bronzo dorato che rende tutto drammatico. Chiaro scuro delle calotte quasi metalliche. Il disegno non ha l’armonia e la concatenazione degli altri affreschi; c’è una grande cesura, percepiamo la pesantezza e la drammaticità delle cupole. C’è un sarcedote che prega e che attende l’aiuto. Stranezza delle figure sulla destra; le proporzioni sono sbilanciate, la figura di Eliodoro è enorme, la scena alla destra è di dimensioni più grandi di quella a sinistra. Le figure a sinistra in abiti contemporanei non sono in sincronia con l’ambiente; sono il Papa Giulio II e i suoi portantini. Il papa è testimone oggi del miracolo avvenuto allora, lo osserva e se ne fa garante perchè verrà riproposto. C’è anche Raffaello; l’artista è talmente importante perchè è inserito, è il testimone oculare. Grande retorica dell’immagine.  Fino ad arrivare all’incontro di Attila e Papa Leone (1513-1514); episodio storico dove l’aiuto al pontefice era arrivato da Paolo e da Pietro per bloccare Attila. Sfondo di roma con il colosseo. Il volto del pontefice è qui cambiato, mentre questo affresco veniva realizzato, Giulio II era morte. Leone X lascia l’immagine e mette il suo ritratto. Secondo questo eterno presenta caro alla chiesa in termini simbolici, Leone XII è qui presente nell’affresco. Cromatismo squillante.  Liberazione di San Pietro (1513) (atti degli Apostoli) affresco lavorato tutto sulle luci. Capacità di mettere a punto un gioco di luminismo molto brillante; a destra la luce del miracolo dell’angelo che arrivo (al centro gioco di armature con pittura priva di dettaglio e con grand economia di mezzi, la luce del miracolo è talmente grande che ci fa vedere i volumi al massimo del livello), a sinistra un grande ritratto di cielo. Luna tra le nuvole con crepuscolo sui tetti della città; paesaggio urbano che vede morire il giorno. In primo piano la torcia e il gioco delle armature —> senso del miracolo.  Scena del pieno Medioevo, La messa di Bolsena (1512), un prete non crede nel miracolo della transustanziazione. L’ostia sanguina e il prete crede. Questo miracolo produce quella che la Chiesa chiama la festa del Corpus Domini, il corpo di Dio. In cui si è avuta la prova che nell’ostia c’è il corpo di Gesù. Giulio II è straordinariamente devoto di questo.  —> tutti episodi tratti dalle vicende della Chiesa. Tutti interventi miracolosi dall’alto. Storie della Chiesa che cercano di mostrare come la Chiesa nei momenti di massima diffcioltà e tribolazione in realtà avesse avuto sempre un inervento miracoloso. Giulio II vuole dimostrare che lui è in crisi, ma che trionferà alla fine, perchè è il pontefice che 27 Bambino sono estremamente liberi, lei scalza e lui scomposto. Grande semplicità della Madonna che ci viene incontro senza luci particolari se non un vago alone, movimento dato dalla veste. Lei giunge a noi per mezzo delle nuvole. Sulla trave di fronte è appoggiata la tiara del Papa ma specialmente i due angioletti, che sono testimoni come noi di quello che sta succedendo. Anche Barbara come gli angeli, con la sua postura, puntano all’attenzione degli spettatori. Il gioco cromatico di Raffaello ci da la sensazione che la Madonna venga fisicamente verso di noi e esca dalla tenda. La pala è dinamica, non è più una sacra conversazione perché non c’è staticità: rovesciamento a cui R ha dato forma. Estasi di Santa Cecilia: arrivata a Bologna grazie a Leone X. Elena Duglioni dall’Olio (Beata) commissiona la pala e la chiese direttamente al Papa. Cecilia Santa protettrice della musica. Raf viene ingaggiato. Ancora una volta si ha la traccia della fede che ci viene comunicata visivamente e non c’è il miracoloso ma è possibile percepirlo immedesimandosi in Cecilia. I santi sono in meditazione, Giovanni e Agostino si guardano con intensità, è il centro dell’abside di persone, è il baricentro della composizione e collega due passaggi: in mano ha un organetto, per terra ci sono tantissimi strumenti e lei sta facendo cadere l’organetto, si capisce perché le canne si sfilano. Lei che ha dedicato la vita alla musica ora è presa dalla musica celestiale delle lodi di Dio, è in estasi e sta ascoltando l’armonia del cielo. Gli angeli sono il alto e accennati, è più una sensazione uditiva che visiva. Abbandona quello che è del mondo per seguire quello che è celeste. Gli strumenti sono una bellissima natura morta rappresentata da Giovanni da Udine. Tema del vivere all’antica A Luni termina il viaggio di Rutilio Namaziano, che scrive “il ritorno”: ritorno da Roma molto mesto dove era stato il prefectus urbi a Tolosa, la città natala invasa dai germani, deve passare per mare perché l’Italia è invasa dai Vandali. Importante per il grande topos della cultura dell’ubi sunt. Il Rinascimento è animato da questo tema e condivide lo spirito con Rutilio. Sirmione, Villa di Catullo: Mantegna nel 1450 circa fa una gita di alcuni giorni insieme a tre amici, uno dei quali è un antiquario, fanno la “iubilatio ad gardam” e visitano la villa per cercare le vestigia degli antichi. Dipinge San Sebastiano: dipinto pieno di amore archeologico, si vede nelle colonne e negli scavi sullo sfondo, restituzione del sentimento della civiltà antica attraverso la rappresentazione delle rovine. Sul fondo come una restituzione ideale si vede una antica città piena di elementi classici. Anche in un secondo San Sebastiano sono rappresentati degli scavi, pare una cava di marmo. Il sentimento di Rutilio e la iubilatio sono alla base dello spirito del Rinascimento. Questo sentimento si diffonde e si mantiene producendo cose fino a fine 500, quando Raffaello è già morto: Posthumus dipinge Tempus edax, ed è un fiammingo. Si vedono delle rovine, il significato del quadro sta nel cartello (tempo vorace che tutto mangi e ti porti via, parole di Ovidio ne Le Metamorfosi) e infinita piccolezza dell’uomo rispetto a queste rovine, infatti c’è dipinta una figurina minuscola: con un compasso sta misurando la base del plinto, questo ci fa capire che è un artista, il famoso nanetto su spalle di enormi giganti. Sensazione di grandezza per esempio nel Palatino visto dal Circo Massimo o nelle rovine dell’acquedotto. Dalla bottega di Raffaello escono dei disegni, come Rovine nel Foro, fortemente nostalgici: il disegno è uno studio di paesaggio molto particolare, non ci sono rovine in più ma si vedono i rocchi delle colonne in primo piano, molto più grandi rispetto alle figure umane. 30 Polidoro da Caravaggio è un lombardo, è una cultura di origine con una particolare propensione allo studio delle cose, a noi nel suo disegno importa sempre che non sia un disegno preparatorio ma uno studio, complesso e tecnicamente la sua finitezza ci da la sensazione di coinvolgimento atmosferico. Ci sono personaggi che camminano, ma due sono artisti: hanno un portfolio e molto probabilmente stanno disegnando o confrontando. Sempre dalla bottega di Raffaello, sempre di Polidoro da Caravaggio, Paesaggio di rovine: si vede una struttura urbana che ricordano tantissimo l’antico. il gioco di R ci colpisce molto perché anche se non li ha ossessionati li ha sicuramente affascinati. Polidoro diventa lo specialista della MANIERA MARZIALE: decorano gli esterni dei palazzi con tutti bassorilievi antichi. Diventavano cosi i palazzi tanti palcoscenici, tutto rigorosamente archeologico. Trasformavano la passione per l’archeologia in urbanistica. Tentativo di trovare le forme degli edifici antichi. Passo di lettera molto sentito perché R ci fa cogliere se stesso, superare i limiti che si riconosce con cautela e mediocritas nel non volere osare in maniera arrogante. Interessante il rimando a Vitruvio, in una fase in cui R è il punto di riferimento di Roma come artista. Importante il ruolo di R come prefetto, Giulio II aveva avuto il mito della renovatio urbis. Importantissima lettera che R scrive con Castiglione a Leone X, in cui R spiega anche quali saranno i metodi di rilevazione degli edifici, mappando la città, 1518 circa. Colpisce nella lettera dove R parla nei confronti degli antichi dicendo che un Pontefice finalmente ha capito che i monumenti non sono una cava da disfare per fare cose moderne, da saccheggiare, ma sono da tutelare perché da preservare per essere usati come emulazione, volontà di andare incontro agli 31 antichi per essere educati da loro ed essere migliorati da questo paragone. Importanza anche nell’essere italiani perché abbiamo ereditato tutto questo. Solo R con la sua studiatissima maniera di avvicinarsi al modello permette ai contemporanei di avere l’emozione di potere vivere come facevano i romani, con le grottesche. Progetto per villa Medici a Monte Mario è particolare perché non è un rudere ma abbiamo un frammento di villa, il progetto era così grande che non fu terminato. Costruita per il cugino del papa, Giulio de’Medici che poi diventerà Papa Clemente VII. Giulio è un uomo colto a cui piace l’arte. Committente a cui da una parte gliene frega e da un’altra no. Il luogo in cui si colloca la villa è fondamentale perché R nella lettera parte parlando dell’amenità del luogo in cui la villa si colloca. L’edificio andava aggiungendo cose a cose mano a mano che veniva costruito. Altro elemento interessante: la villa nonostante fosse suburbana era molto vicino al Vaticano: luogo vicino però nel verde! Siamo negli anni in cui R non c’è già più ma i suoi allievi stanno continuando a costruire: Battaglia di Ponte Milvio (Giulio Romano) affresco nella 4° stanza -> monte Mario ha la vista sul ponte Milvio, dunque la villa è ancor più importante perché domina su un luogo così importante per la cristianità. Nell’affresco si vede il cantiere di una chiesa in costruzione. Si parla nella lettera dell’originalità del progetto, non solo la struttura è molto aperta (cortile molto grande punto di snodo per le stanze) ma viene anche inserito nel progetto un teatro romano, percepito come una attività molto educativa, R costruisce dunque questo teatro privato. Mettiamo a paragone la villa con Villa Turini, di Baldassarre Turini, uomo ricco della curia ma non quanto i Medici: interessante perché sta in luogo amenissimo, il Colle del Gianicolo, è un lavoro di un allievo di R mentre lui è ancora in vita. Trini ha chiesto agli artisti di decorare con affreschi la villa con oggetti romani artistici che si trovavano nel luogo in cui c’era la villa -> stesso concetto del Ponte Milvio con Scoperta dei libri Sibillini e della tomba di Numa Pompilio (Polidoro da Caravaggio): grande prestigio perché si abitava nel luogo in cui sono successe queste cose, nell’affresco in sfondo si vede proprio la villa stessa. Ancora nella villa Medici: gli affreschi del soffitto della loggia hanno tantissime affinità con gli affreschi della domus aurea. Volontà di immedesimazione stilistica e tecnica. Le logge di Leone X (logge di Raffaello) sono tre logge che permettono di avere uno spazio per camminare stando in casa, luoghi aperti sull’esterno in cui si può avere un grande contatto con la natura. Erano luoghi di raccolta degli oggetti preziosi di marmo dove si potevano ammirare. Come funziona la struttura delle logge? Come una chiesa la loggia ha tante campate, le campate sono da arcone ad arcone tra cui c’è una botticella. Giovanni da Udine (ricorda strumenti in San Cecilia), Decorazione di un pilastro completamente ispirato alle grottesche della domus aurea ma inventato con un linguaggio nuovo, come il racemo vegetale che non è astratto, ma nel racemo in basso ha messo un topo che si mangia una biscia: andava a studiare gli animali e come uno scherzo mette questa scelta naturalistica. La grottesca comincia in questo periodo e finisce nell’800 ha una storia e un’influenza molto seria. Soprattutto in questa fase viene percepita come di moda perché è antica e si trova in una società in cui la retorica in senso alto è fondamentale: con la grottesca si scopre che si possono riempire pareti intere senza dire assolutamente nulla -> spoliazione dell’eccesso di contenuti di questa civiltà. Era molto apprezzata anche la grande libertà che la grottesca dava. 32 progetti di fortificazione della figura del monarca in Francia. Chigi è un enorme uomo di potere finanziario, lui non ha semplicemente l’esazione delle tasse ma presta anche denaro ai sovrani europei e ai Pontefici; è una figura privata, pur tuttavia la sua potenza economica ne fa una persona di rilievo pubblico. Le sue caratteristiche di mecenatismo si riverberano nelle connotazioni della sua Villa e nella sua evidenza semipubblica, il luogo in cui è collocata è appartato ma vicino a Roma, fra il Vaticano e il suo banco (quella che oggi chiameremmo “banca”). La Villa ha una struttura architettonica molto studiata, basata sulla rinnovazione dell’antico e sulla sua modernizzazione. Nella ‘Loggia di Galatea’ (1511-1512) Chigi, con grande gusto artistico, abbina due affreschi dagli stili molti diversi: sembra che lui abbia pensato (e ne sia stato del tutto consapevole) di mettere due artisti con stili diversi. Nell’affresco di Raffaello è come se Galatea fosse cristallizzata nella sua gestualità ideale, con i personaggi disposti con armoniosa e simmetrica contrapposizione. Questi aspetti diversi di pittura si ritrovano e si “confrontano” in questa loggia che presenta altri elementi importanti. Al tempo di Agostino sono state affrescate anche le 8 lunette, eseguite da Sebastiano del Piombo che rappresentano altrettanti miti che Ovidio aveva raccontato nelle metamorfosi (le trasformazioni), rappresentativi tutti di qualcosa avente a che fare con l’elemento dell’aria (l’elemento aereo). Occorre nella loggia soffermarsi sul soffitto: che potrebbe far pensare a una cosa antiquata ma è stata eseguita tra 1511 e 1512. Baldassarre Peruzzi, l’architetto della Villa, elabora una volta, la cui decorazione ha analgie con Pinturicchio e la volta della Cappella Sistina di Michelangelo; in cui si inseriscono grottesche piccole e minute divise con una studiata simmetria. Questa decorazione sembra, a primo impatto, non essere coerente e non rispettare quello che stava andando affermandosi nell’arte italiana del Cinquecento. Questa opera ci fornisce un altro tassello per poter ricomporre cosa fosse il mondo di quel periodo e cosa significasse l’arte. Dopo la morte di Agostino fino ai primi del ‘900 ci si chiese cosa rappresentassero queste pitture sulla volta: si comprese che doveva esserci un mistero legato ai puntini d’oro: si ipotizzò fossero le stelle. Dopo questo accorgimento, apparentemente banale si andò a rafforzare sempre più quella che è oggi l’interpretazione (alquanto realistica) critica su questo affresco: i soggetti raffigurati potrebbero raffigurare le costellazioni, gruppi di stelle. I critici e gli studiosi quindi iniziarono a notare come ciascun personaggio potesse essere letto: “Centauro” = Chirone (Sagittario); “Apollo” e il fatto che sia rappresentato su nuvole si presuppose essere il Sole (di cui era il protettore). È così che tutte le vele, compresa la scena centrale, iniziarono a offrire un vero e proprio schema, lo schema di un “ritratto di costellazioni”. Collegando questo studio con l’astrologia tutto fu più chiaro: sommando gli studi e le diverse scienze si arrivò a desumere che rappresentasse il cielo di Roma nel cielo di una notte di novembre del 1466; più precisamente il 29 novembre. Le analogie fecero di un mistero irrisoluto per secoli un arcano svelato: la volta della loggia rappresenta i natali di Agostino Chigi; più precisamene l’oroscopo dei natali di Agostino Chigi. Questa ricerca è stata resa complessa dal fatto che Peruzzi ha rappresentato figure aventi un loro equilibrio formale e stilistico. Al centro della volta abbiamo la raffigurazione della costellazione di Perseo, colto mentre sta sconfiggendo Medusa, alle cui spalle sono rappresentati i corpi di pietra delle sue vittime, e sta quindi nascendo Pegaso dal sangue del mostro (rappresentante un’altra costellazione); a fianco di Perseo (sopra a Pegaso che sta sorgendo dal sangue di Medusa) ci è un’altra raffigurazione: 35 la Fama (anch’essa costellazione); il tutto converge al centro simmetrico della volta che reca lo stemma della casa di Chigi. Le figure affrescate stanno, quindi, omaggiando il banchiere. La figura sull’affresco di destra è Callisto (la ninfa Artemide) sedotta e messa incinta da Zeus > che si trasforma prima in un’orsa poi divinizzata come costellazione dell’orsa e poi come il “Carro dell’orsa maggiore”. Viene infatti rappresentata in nome della costellazione del Carro Maggiore. Tutta questa raffigurazione allude al sistema autobiografico di Agostino. Il tutto è finalizzato all’esaltazione della potenzialità mercantile di Chigi; si raffigura come un pronostico favorevole in questo schema natale. Agostino Chigi, al piano di sopra, in quello che è il luogo più appartato, fa creare da Peruzzi una sala straordinaria, un salone di cui è possibile prima di ogni altra cosa notare la suntuosità assoluta. Il salone, nel frego reca scene desunte dalle “metamorfosi” di Ovidio; l’elemento molto interessante è la parte più bassa, dove Peruzzi ci convince che il bellissimo pavimento di marmo continui anche oltre le coppie di Marmo e che sulle pareti della sala vi sia un terrazzo gettante sulla Roma di un tempo. Questo affresco ha qualità visiva e ottica molto acuta; il gusto del tempo non è chiassoso ma ha una vivacità incredibile; lo scopo? Ovviamente l’identificazione continua con gli antichi (quello che loro insegnavano era che l’arte romana amava le catarsi marmoree e i colori policromatici e molto vivaci). Abbiamo una dimensione di totale immersione nel contesto esterno (torna ancora una volta il tema del dialogo molto forte con l’esterno). Da questa sala si accede alla camera da letto. La camera in questione fu eseguita tra1516-18; ciò significa che Agostino accettò (nonostante la struttura fosse finita) di vivere per 6 anni fuori dalla Villa; dimostrando come all’origine del suo essere committente ci fosse l’interesse del programma più che dell’immediata realizzazione. È anche questo un luogo semipubblico. In questa sala, Agostino, fa rappresentare ai suoi artisti le storie di Alessandro Magno; ma quanto più interessa il soggetto delle raffigurazioni tanto più interessa il modo con cui queste vengono eseguite. L’episodio centrale raffigura la scena delle ‘Nozze di Alessandro e Rossane’ (1516-1518), che commissionerà a Giovanni Antonio Bazzi (detto e conosciuto come: Il Sodoma), anche lui artista di Siena, per questa sala utilizza colori stupenti e con estremo calore. Nella scena centrale è stato notato che c’è una palese citazione di un testo classico; questa opera rappresenterebbe dunque una pittura di ricostruzione. Chigi ha chiesto di rifare un dipinto antico descritto da una fonte classica che non è mai giunta fino a noi. Si crede che il disegno fosse stato fatto da Raffaello (in un suo studio di composizione), ciò induce a far credere anche che Raffaello avesse dovuto dipingere la sala; e dato il notevole carico gravante sulle sue spalle e su quelle della sua Bottega, non avendo tempo per accettare nuovi incarichi, decide di passare i suoi studi preparatori a Sodoma. In questo affresco Alessandro è rappresentato mentre sta offrendo alla sua sposa, Rossane (schiava di guerra) la sua corona in gesto di congiungimento matrimoniale. Incorniciato nella parte inferiore da una balaustra, l’affresco sembra poter permettere un passaggio al suo interno nel punto in cui la balaustra si interrompe e cede il posto a una gradinata. Escamotage che infonde maggiormente la personificazione di Chigi con Alessandro e che quindi immortalasse la sua immaginazione nel momento in cui è a nozze con l’amata, ma mai concessa, Francesca. Un matrimonio contestato a causa della differenza sociale tra i due, al pari di quello di Alessandro con Rossane attuato con un gesto di magnanimità inaudita da parte del grande condottiero. Alessandro eroico è per Chigi un modello di riferimento, in cui la sua 36 autoesaltazione trovava buoni motivi di riferimento. Letteratura e antichità è tutta concentrata all’interno di questa sala. ‘La famiglia di Dario al cospetto di Alessandro’, questa scena raffigura ciò che accadde dopo la battaglia contro i Persiani (la battaglia di Isso del 333 a.C.) e la cacciata di Re Dario, la famiglia di quest’ultimo si inginocchia (come descritto da Plutarco) di fronte a Alessandro, in gesto di adorazione, per baciargli le ginocchia e Alessandro, dimostrando ancora una volta la sua magnanimità e non solo la sua virtus si prostra a sua volta e dona loro un trattamento regale. Agostino mostra il volere nel fare di Alessandro il suo eroe umano modello. Di grande inventio è l’idea di dipingere la fucina di Vulcano accanto al camino; il personaggio stesso, con la sua incudine sembra uscire dal muro. La terza parete, più inerte dal punto di vista dei colori e dello stile, rappresenta il tentativo di domare Bucefalo e l’episodio seguente da cui prende nome l’opera: ‘Alessandro Magno doma Bucefalo (particolare con la Basilica di Massenzio)’. Non è singolare che il primo complesso che Raffaello progettò per Chigi fu proprio la scuderia, e come quella anche questa opera dimostra l’amore di Chigi per i cavalli. Sullo sfondo di questo terzo affresco è possibile intravedere la Basilica di Massenzio sul foro romano, che si pone quale testimonianza del rapporto tra città vera e mito, leggenda antica. Si nota il continuo gioco tra l’antico e ciò che esso comunica: meccanismi che altrove troviamo molto più distanziati tra loro; ma che in questa Villa sono tutti concentrati. Il ‘Vestibolo della Villa’ fu l’ultima cosa che venne realizzata, perché Chigi volle che vi lavorasse solo Raffaello; Leone X aveva fatto dipingere le proprie Logge e anche Agostino voleva lo stesso trattamento. Leone X concederà Raffaello a Chigi per comporre la: ‘Loggia di Psiche’ a patto che l’imprenditore sposi quella che fino ad allora era un’amante: Francesca Ordeaschi. In questa loggia, per la volta venne decisa la rappresentazione di un epitalamio: un dipinto nuziale. Bellori (artista del 600) fa il direttore dei lavori del restauro di questa loggia; fu questa la prima volta che si prefigurò un restauro da parte non di un artista ma di un suo esperto. Nel suo racconto (breve trattato di descrizione della loggia) ci dice che i muri erano bianchi (la volta doveva completarsi sulle pareti ma rimane inconclusa) Bellori quindi le decora. L’affresco rappresenta un effetto d’insieme: l’idea di Raffaello è di creare un grande pergolato. Il principio fondamentale è che Raffaello aveva pensato di mettere due tende per schermare il sole troppo forte, lo stemma è dei Della Rovere, allo stemma si appendono i velari (tende appese alla pergola), dai tendoni occhieggiano due scene olimpiche; nel il pergolato i soggetti si muovono narrando la storia; questa era la visione d’insieme di Raffaello (l’effetto doveva essere diverso rispetto al quello odierno). Apuleio, nel VI libro delle Metamorfosi racconta la storia di Amore e Psiche, storia che nel corso del ‘500 acquista un successo clamoroso. È la classica storia di allusione alla vicenda autobiografica di Chigi: lui è un personaggio dal molto potere che ama una donna che ne ha poco (Agostino: Cupido / Francesca: Psiche). Agli angoli dei due velari sono posti i festoni, che sono in tutto impressionanti: la pittura di Giovanni da Udine rende percepibile la loro qualità naturalistica. Da notare come Giovanni rappresenti qualsiasi sorta di ortaggio, verdura, frutta; inserisce anche piante di origine americana come il mais. Gli animali stessi hanno una prorompente forza naturalistica: i pipistrelli di Mercurio, le colombe legate al giogo, simbolicamente allude a quello nuziale o ancora il dettaglio del Carro di Venere. Nelle colombe di Venere è possibile notare, con attenzione, la catena inserita nel restauro Bellori-Maratta. Il cielo è sbiadito ed è di un colore freddo che tipicamente non viene usato da Raffaello, in uno dei 37 sul piano delle committenze si segnala un grande cambiamento. Vi sono più tipografi di tutta Europa, vi è una maggior libertà e accoglienza eterodosse dal punto di vista del pensiero che manca nel resto d'Italia. Venezia rimane quasi invariata fino al 2017 e ci dice che all'inizio del 500 era una grande metropoli, nel primo decennio del 1500 vi è 1 attacco da parte di tutte le altre potenze: Giulio II vuole piegare Venezia, crea quindi una lega santa (Francia, Spagna, Napoli, Papa e resto d'Italia vs Venezia). La pittura non fa vedere nulla di tutto ciò, anche se il periodo è simile come difficoltà all'arrivo di Annibale a Roma, momenti di panico e crisi acutissima (1505-1510) e il culmine è nella battaglia navale del 1509, da quel momento riesce a riprendere fiato e a recuperare la terra ferma persa durante la battaglia stessa. Nello stesso quinquennio vediamo molte opere d'arte moderne che si accavallano l'una sull'altra: le commissioni sono molto calate per il momento critico, ma sul piano della reattività sia degli artisti che della città non si vede per nulla. Lo stato dell'arte a Venezia, vediamo nell'architettura uno dei suoi massimi sistemi. Vi sono 2 immagini: 1 è apoteosi dell'architettura tardogotica sviluppata alla fine del 1400. Poi vediamo 1 architetto che ha abbracciato 1 diversa concezione dell'architettura: parete modulare, che ricorda le novità brunelleschiane (gioco dell'arcata a tutto sesto), è 1 principio architettonico e strutturale all'antica. Si lascia spazio alle strutture ordinate secondo moduli prefissati. La città cresce, evolve e si modernizza. Sul piano pittorico è estremamente interessante vedere Giovanni Bellini, nell'anno in cui sta consegnando questa pala d'altare nel 1505 ha più di 70 anni ed è ancora capace di novità: dipinge 1 sacra conversazione, vediamo la meditazione dei santi. Utilizza come mezzi pittorici: architettura solenne, singolare rispetto alle sacre conversazioni 400esche, l'abside è aperta, il cielo entra e si mostra, lascia l'idea di 1 luce naturale che spiove sui personaggi. Fortissima relazione tra gli uomini, i personaggi dipinti come se fossero all'esterno. Bellini è indagatore delle luci e delle atmosfere. E' non propriamente il maestro ma certamente 1 persona presso cui il giovane Giorgione ha imparato molte cose, lui morirà appena 30enne (1510: muore di peste). Ha carriera folgorante ma brevissima. Lui apprende da Bellini la stesura pittorica molto meditata e riflessiva: stesura pittorica è progressiva, non immediata. Al tempo stesso la sacra conversazione ha 1 sviluppo singolare: non abbandona la prospettiva, i due santi in basso sono rappresentati sopra a 1 pavimento a piastrelle che dava senso di profondità immediato, però la cosa singolare è che lui monta un meccanismo quasi improvvisato: 1 serie di gradoni che permettono a Maria e Cristo di salire sopra i santi e di entrare in connessione con qualcosa che divide in due il dipinto (parte bassa: dipinto tradizionale e parte alta: Maria immersa in 1 sfondo naturale). L'idea belliniana arriva a Giorgione ma lui vuole fare di più: dipinge questo quadro insolito ed è realizzato per la cappella di 1 signore che voleva omaggiare Maria. I due santi sono strani: uno è Francesco, l'altro non siamo certi di chi sia (non è Giorgio perchè non ha l'attributo del drago) vi sono solo ipotesi. E' un grande esercizio di pittura, Maria è modesta e in meditazione, immersa nel paesaggio (virtù teologali: fede (rosso), speranza (verde), carità (rosso)). Nello sfondo vediamo queste macchie di verde e colline di colore azzurro (esperienza comune in veneto e Friuli) : la sua pittura si ammorbidisce, stesure sempre più delicate e leggere. 40 I dipinti potevano essere immersi nella natura, lo fa prima Bellini: vediamo questo dipinto, il paragone è forte. Bellini è un grande descrittore di superfici, è un grande descrittore di luci (gioco di luci sulla roccia) ed è un grande descrittore di dettagli (singola piantina che viene rappresentata). Tutto ciò portato a un livello di poesia mistica del paesaggio, ciò viene assimilato da Giorgione. Interessante il gioco che Giorgione instaura con le persone che ritrae: il suo autoritratto, una cosa particolare, vi è il ¾ e lo sguardo della persona verso di noi. E' diverso, vi è qualcosa di nuovo perchè qui vi è un momento di cambiamento, la figura non è in posa. E' un ritratto psicologico, vi è un elemento di interiorità in più, è colto nel vivo, con una fortissima immediatezza. Giorgione veniva dalla tradizione dei ritratti del 400, i ritrattisti veneziani avevano imparato dai fiamminghi a fare i ritratti a mezzo busto senza inserire le mani: il taglio delle mani ora serve perchè il personaggio è su di noi, come se entrasse nel nostro mondo. Vediamo un gioco di posizione, la pittura è quasi sfumata, di tocco, delicata. Vediamo due ritratti precedenti a Giorgione ma il concetto è lo stesso: quello di sinistra è probabilmente idealizzato, un giovane a cui viene data in mano la freccia di Cupido, è colto in 1 istante della sua esistenza, ha 1 formidabile affinità col gusto di Leonardo di cogliere i personaggi in questa profondità. Lo sfondo nero fa emergere la figura come da questa morbidissima atmosfera scura nella quale lui instaura con noi 1 legame. Quello a destra ha due volti, quello in primo piano è meditabondo e con gesto universale. Ha in mano 1 melangolo, è un frutto con sapore amaro e rappresenta le pene d'amore (forse lo ha voluto il committente per rappresentare il suo amore per qualcuno). La pittura del giovane malinconico è molto delicata, l'altra figura invece è in piena luce con pittura molto più rigorosa. Contraddizione di tecnica e di stile, vi è un enigma: Giorgione ci fa entrare nel mondo del personaggio. L'unico ad averlo fatto prima era stato Leonardo, da 1 lato voleva dare animazione alle persone che aveva ritratto (in modo diverso da Giorgione) e dall'altro la rappresentazione con prospettiva aerea della natura. Vi sono altri due ritratti molto interessanti: soprattutto quello di sinistra, dà ai suoi personaggi 1 mobilità e rappresentazione emotiva. La bocca semichiusa, sta per parlare o sta respirando. Leonardo che cosa aveva fatto? Aveva sostenuto sia in pittura sia nella sua serie di appunti, che diventerà 1 libro di pittura, che vi fosse la necessità di assorbire la persona nella natura facendolo attraverso le velature, dare alla natura quasi 1 personalità, un autentico respiro. Giorgione è autonomo ma nel 1499 quando Leonardo arriva a Venezia da libero cittadino, da lì si vede il rapporto con 1 forte influenza di quest'ultimo nella concezione delle opere di Giorgione grazie a scambi di opinione che avrebbero avuto. Il quadro che abbiamo davanti ha 1 datazione che non si sa (c'è chi dice 1505 e chi dice 1506): è un'opera tanto celebre perchè nessuno capisce l'enigma della tempesta (ne parla il libro) . Il quadro è una scena che non sappiamo se sia sacra o profana, le figure umane ci sono ma entrano in 1 atmosfera di empatia e solidarietà con il paesaggio. Il paesaggio è fin sul primo piano formidabile: stesura cromatica, delicatezza di passaggi dalla roccia al verde del prato freschissimo, al corso d'acqua che si vede al centro e poi va perdendosi. L'unico soggetto riconoscibile è la tempesta. Il titolo viene dato da Marcantonio Vitiel che nel 1930 visita tutti i palazzi patrizi di Venezia e descrive tutti i dipinti: lo descrive come 1 tempesta con 1 zingara e 1 soldato. La profondità esecutiva e di stesura sembra veramente aver risentito dell'eccezionale 41 ricchezza che Leonardo aveva insegnato sulle proprie superfici pittoriche. La differenza con Bellini è dare 1 atmosfera, 1 sensazione del paesaggio prescindendo dai dettagli. Mina Gregori ha colto 1 punto importante: nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, viene messa in risalto la qualità di Apelle di riuscire a ritrarre 1 cielo in tempesta. Forse questo potrebbe essere all'origine della scelta di Giorgione: sfida dell'arte alla natura, di ritrarre 1 fenomeno istantaneo. Giorgione fa dipinti che non sappiamo cosa voglia rappresentare, è enigmatico: sotto vi era 1 stesura che fa pensare che siano 3 magi e non 3 filosofi. Questi tre hanno strumenti del sapere: compasso, pianta centrale su 1 foglio e quello col turbante ha posizione che ricorda 1 sapiente. Nulla sappiamo di loro. Ci resta 1 primo piano straordinario, natura narrata in maniera estremamente raffinata, 3 figure composte in modo globalmente molto attento con colori squillanti che colpiscono la nostra retina con luci più soffuse sullo sfondo. Alla fine rimane il grande enigma: cosa rappresentano?. Questo quadro è minuscolo si trovava in collezione di 1 famiglia veneziana ed è certamente pensato da Giorgione insieme al suo committente. Era inserito in 1 cerchia di committenza, di grandi amici, di persone colte che amavano profondamente l'arte, la letteratura e la musica (Giorgione era un bravissimo cantante, di musica da camera). Ciò che noi sappiamo di Giorgione è che ha dipinto cose richieste da committenti e che i dipinti nascevano tramite un dialogo continuo tra di loro, per questo sono enigmatici. La sua rivoluzione: il non-soggetto o soggetto non comune, eccezionale ruolo sociale che questo giovane riesce ad acquistare nella città di Venezia, il suo modo di dipingere diventa un'eredità importante che parla a quelli che gli stanno affianco (cfr Tiziano e Sebastiano del Piombo). In questo quadretto non si capisce cosa sia rappresentato: vi è san Giorgio che sta colpendo 1 drago, non sappiamo il motivo per cui lo faccia, l'elemento di insieme è l'armonia incredibile di questo paesaggio crepuscolare, incredibile rapporto tra luce e oscurità, tra rocce e prato verde. Sembra quasi idealizzato ma, in realtà, lo sfondo urbano è un pezzo della cittadina di Iasolo visto dall'occidente. Vi è quindi 1 punto di ancoraggio: lo ha messo lì perchè ci stava bene o perchè lo ha richiesto il committente. A sinistra vi è 1 enorme massa scura che va dall'oscuro al chiaro, il nostro sguardo è attratto dalla parte centrale che sviluppa la natura che avevamo visto nella pala del duomo di Castelfranco. Non vi sono vere ombre, tutto è così morbido e fuso, vi sono passaggi delicatissimi dall'azzurro al marrone. L'attenzione che Giorgione ha messo nell'osservare il modo in cui lavorava sulle tavole Leonardo, gli permette di realizzare la sua tecnica: tonalismo. Si aggiunge tono a tono, arricchendo il colore tono a tono, rendendo il colore sempre più denso. I contorni non sono netti come quelli di Leonardo, vi è una sensazione di respiro, di natura. Siamo davanti a una civiltà assolutamente umanistica: artista ha riacquistato 1 status straordinario. Sebastiano del Piombo: passa dalla bottega del Bellini e come 1 fratello maggiore ha guardato Giorgione come 1 artista di finezze tecniche, quest'opera teniamo conto che non è finita e quindi ne dobbiamo tenere conto. Il quadro è sacro (Giudizio di Salomone). Concepisce questa scena in modo molto interessante: non ha questa grande idea della natura, la struttura è fortemente architettonica e vi è 1 straordinaria simmetria che ricorda l'antichità, le basiliche antiche. Sebastiano, che ancora non era andato a Roma, ha comunque 1 forte interesse per l'antichità. Nel pavimento le piastrelle sono a livello dello sguardo dello spettatore: affascinante il punto di vista, va in una fuga vertiginosa verso il trono di Salomone. Anche se non è un dipinto d'altare, 42 Tiziano è ancora in una fase nella quale Giorgione si è tolto di mezzo, Sebastiano anche ma Bellini no: Tiziano spera nell'accreditamento per diventare pittore della Serenissima. L'opera che noi qui vediamo rappresenta una pala, vicino a Parma, il cui donatore è di grande intensità. Col suo fare di attrazione spontanea e devozione totalmente assorbita dalla visione di Maria e del bambino è accompagnato dal gesto di Domenico a questa adesione. Maria è il perno, è l'ago della bilancia. Maria siede di fronte a noi, ma si volge al fedele (cfr Sebastiano del Piombo). Il bambino è l'altro perno. Intensità cromatica formidabile: forza materica assoluta. Tiziano comincia sempre più a incrementare da un lato la sua capacità di rendere i materiali per quello che sono, lui è un vero realista e vuole dipingere tutto, e nello tempo che bella l'idea ancora non omogenea di porre Maria, bambino e S. Caterina sul fondo invece di far spiegare questo paesaggio di 1 qualità altissima per resa atmosferica. Un artista che guarda le cose viste fino ad ora e che evidentemente è molto attento alla distribuzione del colore, a quella pennellata che amalgama le forme. E' un pittore con ottica diversa: dipinge anche opere religiose, poi ritratti in ottica diversa da Giorgione. Sta incamminandosi per diventare 1 artista pubblico, vs Giorgione. La sua sfida iniziale è nel 1516, alla morte di Bellini, quando gli viene affidata la pala d'altare maggiore della Chiesa per eccellenza dei francescani di Venezia, è la chiesa madre dei francescani. La difficoltà è sicuramente l'abside e la sua struttura rispetto alla pala che dovrà realizzare. La chiesa ha lo scopo di celebrare la Madonna. La pala d'altare dipinge 1 sistema molto complesso: l'assunzione non era solo a Venezia dipinta così. Vediamo che è 1 dipinto statico, le figure degli apostoli testimoniano del fatto che Maria sale col corpo in cielo, nessuno sembra reagire in modo forte. Tiziano cambia tutto: Maria sta salendo, apostoli in terra, decide di porre il padre eterno in alto. Rende perfettamente evidente che qui sta succedendo qualcosa di enormemente dinamico e rende molto unitaria questa pala, i tre registri sono ben chiari. Vi è incredibile varietà di moti che vengono conferiti al mantello di Maria, vediamo anche questa gloria estrema degli angioletti. Sono connotati da una luce naturalistica della terra, è la luce delle finestre in realtà che davano il sole all'altare. Il padre eterno sprigiona questa luce che si sprigiona su Maria e angioletti. Gli apostoli sono monumentali, hanno una gestualità enorme, diversa da apostolo ad apostolo. Ne ha fatto un fatto storico e non solo religioso: sembra che noi lo abbiamo visto. L'incredibile cielo glorioso che l'aspetta, e la forza degli apostoli, rafforzano la fede. Non fu ben accetto questo dipinto, poiché non fu capito subito: era troppo rivoluzionario e sconvolgente. I colleghi di Tiziano spinsero i committenti a rifletterci su prima di toglierlo, e dopo vari ragionamenti fu considerato un capolavoro. Baccanali di Alfonso Primo d'Este: sono 4 incredibili dipinti voluti dal duca Alfonso I per essere nascosti nel suo studiolo, stanza molto piccola, dove voleva collezionare le opere d'arte più belle d'Italia. Era fratello di Isabella d'Este, erano amanti entrambi della cultura anche se la famiglia da cui provenivano non erano particolarmente interessati a ciò. Lo studiolo è il luogo che lo connota, seguendo ciò che aveva fatto Isabella e Guido da Montefeltro nella metà del 1400. La prima scena, se la vediamo da lontano, ci colpisce per la sontuosità pittorica: scorcio di luce improvvisa sulla roccia, vs oscurità del paesaggio che ci fa pensare che abbia veramente preso in riferimento l'opera della tempesta di Giorgione. Questa sontuosità incredibile, questa ricchezza magistrale del paesaggio, ha in primo piano protagonisti immobili che sono davanti a noi (è così perchè lo ha fatto Bellini il primo). 45 Deve chiedere ad altri artisti, dopo due anni chiede a Tiziano di completare il progetto: li chiederà tutti a lui alla fine. Il paesaggio del primo è rifatto da Tiziano, le figure rimangono di Bellini. I veri baccanali (di Tiziano): scelta molto curiosa e divertita da parte di Alfonso e Tiziano, di mettere una marea di Amorini che sono un gioco straordinario sull'infanzia. Era la rappresentazione di 1 festa che Pausania raccontava: la statua di Venere veniva abbellita anche da amorini. Vediamo in ciò in puro divertimento, è un dipinto che ha valore in quanto di bella pittura ma non significa nulla. Nel primo piano vediamo il gioco della sua pittura così capace di imitare le superfici riesce a concentrarsi sui bambini. (Altra opera) Purtroppo negli anni 70 la National Gallery aveva l'abitudine di restaurare in modo aggressivo i quadri, e questo quadro ne ha sofferto in modo terribile: l'incredibile posizione in cui Bacco sta scendendo dal carro, come se stesse facendo 1 salto. Panneggio lo accompagna sta sospeso nel vuoto perchè gli inglesi hanno “spurito” il cielo, hanno tolto la materia: non ha la cromia calda, morbida che aveva realizzato Tiziano. Bacco arriva da Arianna, abbandonata sull'isola, e che lui vorrà sposare tant'è che diventerà sua sposa e poi costellazione. La pittura in primo piano è formidabile, vediamo anche la natura morta molto realistica dell'anfora, bellissimo satiretto. Tiziano realizza l'attimo in cui si incontrano per la prima volta: hic et nunc. (Altra opera)Festa degli Andrii: gli abitanti di Andrio, durante le feste di Dioniso, bevevano e facevano orgie. Erano pratiche sacre, rituali. In quest'opera non vi è un ordine, vi è un equilibrio difficile tra figure che fanno tante cose. Cielo di intensità strabiliante per illuminare queste figure che stanno in penombra in primo piano, spicca l'anfora ovvero il vino. Bellissimo il gioco teatrale delle quinte, l'albero è respingente (come una quinta di teatro) che serve ad aprire la composizione verso il centro. C'è un secondo respingente, l'albero lievemente a destra che serve a misurare lo spazio dal primissimo piano fino allo sfondo. Lo sguardo può finire su vari punti, ma il Sileno là infondo è meraviglioso. Importante la figura femminile abbandonata nel sonno: chiave di lettura. Bacchino stupendo con meravigliose luci sul suo corpo, si è tirato su la veste e urina: era una cosa ben augurale, allude alla fertilità. Brillantezza pittorica con cui Tiziano risolve il gruppo di fanciulli che stanno ballando, si stanno divertendo e continuano a rallegrarsi, vediamo conquista materica di Tiziano nella stoffa cangiante del giovane (panneggio), il bianco della fanciulla è morbidissimo, di grande delicatezza. Abbiamo visto Bellini, Giorgione, Sebastiano, Tiziano: sono immancabili per carriera, perchè sono importanti per le loro opere. Lorenzo Lotto ha una personalità ritrosa, poco adatta alla città vivace. Avrà una buona carriera al di fuori della città, è maltrattato dalla propria Venezia. Lotto ha avuto molta sfortuna. Lo vediamo nel 1506, sotto lega santa con Venezia minacciata, viene chiamato dal signore di cui farà il ritratto che è vescovo di Treviso con corte sofisticatissima di cui Lotto diventa il pittore. Lui è il “pictor celeberrimus” per ora la sua sfortuna è inimmaginabile. Noi abbiamo il suo ritratto e il suo coperto, dipinto sullo stesso materiale del ritratto stesso. Il coperto non serviva solo a proteggere il volto del ritratto ma serviva a dire qualcosa dell'effigiato, si parla di allegoria: ci dice qualcosa a livello morale della persona effigiata che sta al di sotto del coperto. La pittura di Lotto è lontano anni luce da Tiziano: è una pittura controllata, fredda sia per gamma cromatica sia per stesura. Guarda moltissimo al nord Europa. Vi è penetrazione psicologica eccezionale. Forza del gesto del vescovo: una mano che nervosamente appena visibile, taglia per metà ma scorciata, tiene questo rotolo. Vi è una grande forza, pittura che guarda al nord per 46 amore del dettaglio e definizione delle superfici con estrema precisioni, tutto deve essere descritto. Il coperto è un po' diverso: è un pelisage moralisè. (paesaggio moralizzato). L'opera è divisa in due, vi è un'asimmetria. L'albero, su cui poggia lo stemma del vescovo, è morto ma da un lato è riuscito a far rinascere almeno 1 pezzetto. A destra vi è il vizio, un bosco ombroso che tiene accanto a sé 1 satiro che fruga in un'anfora dopo aver bevuto e continuato a bere, è l'immagine della rovina. Sullo sfondo vi è una nave che naufraga, la tempesta infatti è prossima, il cielo è scuro e cupo. A sinistra la luce sta aumentando e abbiamo scuro-chiaro: finalmente l'albero rinasce con fatica, il concetto è proprio la fatica. Bisogna praticare la virtù per ottenere la fortuna e l'albero rinascerà per avere una nuova vita. Il concetto di questo coperto è il monte della virtù: non è una strada facile, Cupido deve salire e faticare in un paesaggio che si sta aprendo. Ernando de Rossi, vescovo, lascia questo testamento morale. Via del vizio è facile all'inizio e poi diviene disastrata, quella della virtù è complessa all'inizio ma poi ripaga abbondantemente chi la pratica. Le frasche di Lotto sono fatte foglia per foglia vs sprezzatura di Tiziano. Bisogna cogliere il mondo pittorico diverso di Lotto da Tiziano. 1521: quadro della sua maturità. Lui lavora nella città di Bergamo, qui riesce a esprimere il suo miglior atteggiamento pittorico. Dipinge una pala d'altare, la concepisce come tradizionalissima sacra conversazione. La cosa curiosa è che riesce a rendere più instabile ciò che è stabile, vediamo il baldacchino che è instabile infatti e gli angeli in volo lo tengono fermo. I santi indicano l'un l'altro, si distraggono (S. Giuseppe), o sono in contemplazione (S. Bernardino), Maria parla e dialoga con uno di loro. E' tutto in un delicato ma instabile momento. I suoi accostamenti cromatici sono astraenti, le gamme di colori sono fredde e non naturali: pittura meditata. Colpisce il gioco della luce: compare e scompare. Quadro: incredibile provocazione che Lotto fa nei confronti della sua città, Venezia. Mette 1 santo pienamente frontale, (colori come viola e rosso, bellezza della pittura come se fosse accarezzata e i corpi hanno delicatezza). Viene completamente rifiutato questo quadro. Lo sfondo: il gioco compositivo esalta la gloria celeste (grandi nubi) e allo stesso modo vi è un'attenzione per i particolari in lontananza (gioco di vicino-lontano). San Nicola era protettore della navigazione: valore simbolico in tutto questo. La navigazione viene esaltata dall'idea di questa infinità marina e dalla cupezza del paesaggio. Lo scorcio di questo primo piano rappresenta la principessa che fugge e San Giorgio che uccide il drago. Evidentemente la sua poetica è molto originale. Paragone tra Lotto e Tiziano. Lotto ritrae un uomo di grande cultura e grande collezionista di marmi antichi, viene collocato in un ritratto orizzontale (rovescia impostazione classica del ritratto) e così è “annegato” da frammenti marmorei posti attorno a lui. Questa luminosità inquieta scorre, né sappiamo da dove provenga né dove spinga (non vi è punto di luce chiaro). E' evidente che questa composizione è sottolineata in modo particolare da 1 sorta di instabilità della posa, dei marmi e di questa luce incredibile che non ha la chiarezza che Lotto se avesse voluto avrebbe potuto dare. Tiziano ci mostra un signore di cui non sappiamo l'identità, è uno dei tantissimi ritratti di Tiziano. Qui, mentre Lotto arricchisce l'opera con l'ambiente, Tiziano pensa che l'uomo basta a sé stesso. Sfondo neutro ma energia del protagonista si oppone alla titubanza che Lotto fa percepire nel suo ritratto. E' un'altra versione del Baldassare di Castiglione, cfr Raffaello. 47 sacro in punta di piedi, Tiziano si accosta al sacro in modo completamente diverso: Caterina si avvicina al bambino che viene reso in modo molto umano. Sono artisti dal punto di vista cromatico di 1 varietà enorme (Venezia: scuola del colore, elemento più forte della sua originalità). Ognuno degli artisti ha 1 sua voce. Da 1 certo momento in avanti, Tiziano non è più artista della grande koinè veneziana ma si alza come un solista: è quello che vive più di tutti gli altri (elemento di grande solitudine, tutti muoiono molto giovani) e fin dai tempi della sua assunzione di Santa Maria dei Frari è divenuto, dopo la morte di Bellini, il pittore ufficiale della Serenissima (della città stato di Venezia). Il suo successo poi diventa globale: da nobili italiani importantissimi a essere l'unico a ritrarre Carlo V. Tiziano non andò mai a Roma, fu convinto dal pontefice Paolo III (di cui farà il ritratto che abbiamo visto). In questi anni dipinge queste singolari opere: la Chiesa di S. Spirito fu decorata con molte più tele di quante noi ne stiamo vedendo, vediamo quelle più importanti. Ora sono state trasferite in un nuovo edifici a Venezia. Questa serie di dipinti fu affidata a Giorgio Vasari all'inizio, lui arriva in città nel 1542 perchè chiamato da un letterato, giornalista scandalistico (Pietro Aretino) e gli viene commissionata questa decorazione sul soffitto. Quando Vasari se ne va senza aver dipinto tutto questo, il progetto passa a Tiziano che però mantiene lo stile e il progetto di Vasari: prende in riferimento i suoi colleghi del centro Italia, grande importanza al disegno, con modalità pittorica diversa da quella che ha sempre usato, qui c'è un'accuratezza diverso, un'impostazione nuova. Durante il trasporto i quadri sono stati malamente scorticati, lo sfondo sarebbe dovuto essere azzurro invece ora è grigio. La posizione dei personaggi, pittura che li definisce con tensione muscolare e nervosismo anatomico sono da attribuire allo stile di Tiziano: ha saputo modificare il suo modo di dipingere, voleva esplorare nuovi mondi artistici. Da quel momento Tiziano, con committenti sempre più internazionali, dipingerà anche pittura mitologica oltre che religiosa. Vediamo un nuovo quadro (Danae): il committente è Alessandro Farnese (quello che era nel ritratto di Paolo III), mentre lo sta dipingendo, Aretino dice ad Alessandro che avrebbe portato al peccato anche a 1 monaco di clausura. Era un dipinto di grande erotismo. E' pittura erotica, fatta apposta per sedurre il committente. La pittura è in sé seduttiva: materia sfatta, qualità del tessuto del lenzuolo che sembra arrivare verso di noi, abbandono assoluto di Danae, nudità non innocente ma sensuale. Tiziano chiamava queste opere come “Poesie”, che diventano 1 nuovo genere: vi è un tema di fondo, in questo caso specifico vi è un mito greco (quello di Danae). La Poesia di Tiziano è qui di fronte al suo primo capolavoro, la qualità pittorica è sublime ad ogni livello dove quella materia così densa e intensamente capace di comunicare la propria forza qua va come stemperandosi, addolcendosi, ammorbidendosi. Il Tiziano di questi anni è in un'accelerazione pazzesca, a quasi 60 anni è come se reinventasse la sua pittura. Vi è una capacità di innovazione, di continua ricerca del linguaggio giusto. Martirio di S. Lorenzo: viene ucciso su una graticola, bruciato. Il punto di vista di Tiziano rende tutta la tragicità fisica del martirio, non lo idealizza come si faceva in passato, vuole farci sentire il dolore fisico, la violenza e il significato profondo di questa storia sacra. In primo piano vediamo i carboni ardenti, pittura di forza illuministica che rende questa fiamma, e la materia in metallo che riverbera e il corpo stesso del santo. La composizione si connota per la sua tragicità e per la sua estrema ansietà, ha grande ansietà. Lo svolgimento è tutto in verticale con punti di luce 50 violentissimi che riverberano in 1 notte scura, lo sfondo è come pece (notte). Vediamo delle torce stupende che creano 1 diagonale che completa in modo opposto quella del corpo in primissimo piano di Lorenzo: le torce vanno a confluire in 1 ulteriore ansiogena luminosità di questo tempio romano altissimo le cui colonne, di evidenza statica, sono messe in agitazione da questa luce forte che sbalza su di loro. Vi è una gloria che non ci consola molto: è di tipo meteorologico, vediamo questo chiaro di luna (è descrizione di questo cielo). Vi sono 1 serie di elementi antichi: statua che è un altro punto di luce. Simboli di paganesimo sono in antagonismo rispetto al cristianesimo di S. Lorenzo, sono simboli di coloro che lo hanno ucciso: Cristianesimo è punto di rottura rispetto a ciò che vi era prima. Questi personaggi sulla cornice sono interessanti perchè mostrano la sua capacità di costruire una scena molto complessa e drammatica, lasciando il vuoto al centro della composizione e lasciando ai lati tutti i personaggi che agiscono, addensati. Paragone di Pietà di Tiziano con 1 opera del passato: non vi è dubbio che già nel 1520 sul piano di resa qualitativa, nel rendere il dramma e il dolore, era un maestro (cielo fosco, tensione concentrata sul corpo di Gesù nei gesti e negli sguardi di grande intensità e vediamo questa materia che squilla per darci la sensazione della bellezza della vita nella natura e dall'altra parte ci don ala sensazione di dolore più assoluto). Quasi 40 anni dopo, la Deposizione nel Sepolcro di Tiziano presenta questo corpo distrutto, tumefatto che viene depositato nel sepolcro ha sensazione di tragedia ancora più forte. Sfalda completamente la pittura: è come se le forme a fatica stessero insieme, si consumano in questa luce fosca e cupa. Immerge le sue figure nell'atmosfera drammatica e di dolore estremo. Lo sfondo è quasi informale, sembra che vi sia roccia e vegetazione ma di fatto non ha dipinto nulla del genere: le figure le ha dipinte ma ci rendiamo conto che non sono dipinte in modo esatto, utilizza un gioco di pittura molto interessante e capace che ci fa credere che vi siano delle cose, vi è una figurazione che va frangiandosi in ogni senso (le cose ci sono ma fino a un certo punto). Su richiesta di Filippo II di Spagna gli chiede un'altra Danae, dopo quella di Farnese: il quadro è interessante ma pittoricamente non ha quell'aspetto di assoluta perfezione dell'altra opera, vi è un languido troppo eccessivo. Qui dà un'interpretazione troppo malevola di Danae, è un concetto più volgare. Per Filippo II poteva scegliere lui stesso quali Poesie creare, vediamo che questo committente è molto guardingo e attento estremamente poiché molto istruito. Vediamo questa fiducia assoluta che può dipingergli ciò che vuole. Europa: è un quadro strepitoso, vediamo il colore del cielo che si screzia in mille colori. Le rocce ricordano il Leonardo della prospettiva aereo, la forma emerge perchè la intuiamo. Il corpo della ragazza, sotto 1 luce livida, rivela una fisicità impressionante. Ci mostra un vero ratto, una visione tragica del mito: luce livida fortissima che colpisce il corpo della giovane, vi è forza di adesione alla materia. L'immagine è completamente annegata in questo pulviscolo luminoso e atmosferico. Tiziano ha fatto un percorso di originalità e continua sperimentazione. L'ultimo quadro che sembra che abbia dipinto è imperdibile ed è la Punizione di Marsia: sublimità assoluta nell'eccezionale capacità di rinnovarsi a quell'età. Noi sappiamo da Palma il Giovane, suo allievo, che Tiziano non usava il pennello. Usa le dita, lo straccio, ecc: libertà artistica assoluta, non deve dimostrare più nulla. Ha iniziato a togliere ciò che per lui era orpello, sapeva che per dire ciò che voleva dire non servivano più pennelli. La lettura della prof del quadro: impressionante forma, è 1 quadrato, non è 1 forma di arte antica e quindi è già molto singolare. 51 Vediamo una sorta di perno, corpo rovesciato del satiro Marsia, e il fatto che non vi sia un'orizzonte verticale rende estremamente gravosa e greve la scena. Al tempo stesso quest'idea di sudicio, di sporco sembra essere proprio voluta, è una scena efferata. Apollo si è messo in ginocchio facendosi aiutare da bambini e altri satiri per riuscire a scorticarlo con il coltello. Questo è il testamento spirituale di Tiziano: rendere il meglio dell'uomo e man man che l'età avanzava ha iniziato a vedere le grandi fatiche, il grande dolore riuscendo a produrre un nuovo linguaggio. Ha inventato qualcosa che ci interroga e ci colpisce tanto, non lascia indifferenti questo quadro: la bellezza non gli interessa qui, sfaldamento e sfrangiamento delle forme. Venezia e Piazza S. Marco: come è diventata così come la conosciamo? Negli anni del 500 diventa ciò che è anche adesso. Il luogo dove sorge la piazza è sempre stato il centro della città. La basilica di S. Marco a un certo momento della sua storia, dopo il 1000, comincia a prendere la forma che noi oggi vediamo. Non ha le cupole, la facciata, ma l'idea delle dimensioni e l'idea che non sarà più solo 1 piccolo luogo di conservazione, parrocchia principale di Venezia, inizia dopo il 1000. Dopo il 1000 (età romanica), la pianta diventa centrale a croce greca. Nel 500 quando hanno pensato di cambiare tutto in città, S. Marco non è stata toccata. Venezia è una città ponte tra Oriente e Occidente e l'idea di pianta centrale non viene toccata. S. Marco aveva di fronte alla facciata un canale, e si decide di chiuderlo per avere 1 idea di piazza davanti a S. Marco. Si comincia da 1 chiesa estremamente sobria, solo dall'11 secolo si comincia ad arricchirla perchè doveva essere come 1 scrigno: pianta centrale per il gusto e tradizione orientale (Costantinopoli), idea di mausoleo e di martirio. La chiesa è davvero il luogo dove le reliquie dell'evangelista Marco si trovano: è quindi mausoleo e celebrazione di 1 martire, martirio. Il mausoleo è un edificio classico e in qualche modo i veneziani cercano di tenere insieme le tradizioni (anche mausoleo aveva pianta centrale ma era piccolo e fine a sè stesso). Il fatto che loro abbiano tenuto come chiesa principale in cui pregavano e facevano celebrazioni quella a pianta centrale, ci fa comprendere che vi è una tradizione molto particolare. Vi sono mosaici interni, che dal 1000 verranno realizzati fino al 1800. Da dentro, la preziosità si riverbera all'esterno: all'inizio del 13esimo secolo, quando i Veneziani si appropriano di Costantinopoli e di tutti quegli accessori di ricchezza straordinaria che mancavano in occidente, si esaltano e così S. Marco verrà realizzata in questo modo. Marmi scolpiti, con ricchezza straordinaria di marmi policromi. Cavalli di bronzo, più importanti cimeli arrivati da Costantinopoli, ricordano la quadriga del Sole, sono realistici e le mettono al centro della basilica, all'epoca vi era solo la basilica. Nel 1400 costruiranno poi le cupole. S. Marco è il luogo principale, che prima di tutto esiste, ma in 1 pianta di ignoto che noi vediamo prima di tutte le trasformazioni successive, vediamo la piazza S. Marco con palazzo ducale con forma diversa da quella di oggi e si notano le due colonne che aprono verso la basilica. Era chiamata “porta del mare”: vi era già l'idea che dovesse essere 1 posto importante. Viene costruito poi, prima del 1500, un altro edificio: un palazzo del governo, Palazzo Ducale (ricordati del Doge!). E' un'architettura mai vista prima, molto originale (simile a quella degli altri palazzi di governo che vi erano nelle altre città nel medioevo). Si chiama Palazzo Ducale perchè qui vive il Doge. La qualità architettonica del luogo è straordinaria: il pieno prevale sopra, poiché sopra vi sono gli uffici e i luoghi di abitazione. Interessanti sono le sculture (Leone di S. Marco), immagini simboliche di Venezia. 52 tutti e tre uguali (quello di Costantino ne ha 1 più grande e 2 più piccoli). Vi è al tempo stesso il gioco della colonna, qui si vedono delle colonne libere che sporgono con queste mensole, risalti architettonici molto forti. Il Sansovino immagina anche l'attico: sopra l'arcata si trova l'attico, è un elemento ponderoso dove si fanno di norma le iscrizioni. L'attico della loggetta serve a comunicare cose importanti. Questa architettura è totalmente inventata da Sansovino, questo è un oggetto assolutamente nuovo senza precedenti: usa strumenti linguistici già esistenti ma mai usati in questo modo. Le balaustre danno continuità rispetto alla Marciana, sono elementi che abbiamo già visto nella biblioteca. Si tratta di qualcosa che fa parte del tutto dell'edificio e naturalmente permette il gioco con il cielo, con il colore dell'atmosfera è accresciuto. L'architettura fa come una scultura: deve stare nello spazio e quindi stare dentro alla luce. Questi giochi di diaframma che creano le balaustre sono molto importanti. Questo rilievo rappresenta Venezia in figura di Giustizia, Venezia è donna e quasi identificata con la dea Giustizia. Lei è anche l'auctoritas: è seduta su due leoni, rappresenta la potestas (il potere oligarchico, dei patrizi veneziani). Al centro c'è Venezia con l'attributo della bilancia, giustizia: vi è un governo giusto. Vi è una finissima qualità cromatica dei suoi diversi marmi. Gli altri due rilievi: a sinistra Giove a Candia, uno degli avamposti principali del potere veneziano nel Mediterraneo perso (1664) con un assedio durissimo e morte di molti soldati e capitani di ventura, e dall'altra parte Venere a Cipro, che è l'isola di Venere ma anche avamposto orientale di tutti i magazzini che Venezia aveva nel Mediterraneo e nell'Egeo. Sono divinità funzionali: Zeus, nato da Urano, e cresciuto a Creta dove verrà sfamato dalla capra maltea e sono miti fondativi che Venezia applica con questo livello aulico celebrando Candia e Cipro. La Loggetta è un luogo di auto- celebrazione propriamente politica e urbana. Vediamo la bellezza dei materiali: splendore cromatico e reciproco rapporto, in entrambi i casi (loggetta e biblioteca) di qualità sublime. Quando Sansovino ha deciso che questa sarebbe stata la Marciana, staccandolo dal campanile, ha deciso che la piazza sarebbe divenuto un trapezio e che il campanile isolato avrebbe avuto una funzione precisa. Le procuratie esistevano, erano state incendiate e poi ricostruite nel 1513 e poi fa la Chiesa di San Gimignano. Sansovino prevede dove mettere l'angolo della biblioteca Marciana e a quel punto anche dove collocare le nuove procuratie, saranno costruite nel 1580 da Scamozzi. I salti di scala della Marciana sono elementi che a Venezia vengono assimilati: vi è una logica di armonia dinamica. Le procuratie si attaccano agli ordini, al fregio dorico e ionico e saliranno di scala, quello che però è voluto da Sansovino è la scelta di aver staccato il campanile. Che ha permesso di non chiudere la visuale ma di permettere la Basilica e il Palazzo, se si fosse mantenuto l'assetto precedente da qui si sarebbe vista solo la Basilica e in questo modo invece si possono osservare entrambi. Il campanile è il punto intorno a cui le piante prendono senso: sono unitarie. Il punto finale (vedi libro) è invece questo edificio molto singolare che è la Zecca: ennesimo cambiamento di scena. Si ragiona sul bacino di S. Marco, su un luogo che accosta ciò che è una delle funzioni fondamentali del potere: battere moneta e fare il conio. Ancora una volta, l'edificio viene pensato da Sansovino e sarà completato dallo Scamozzi. Quanto la biblioteca Marciana è armonioso ed è legata all'idea di Bello, quasi definibile fine a sé stesso e a auto-celebrarsi della sua funzione urbanistica e della sua eredità culturale, la Zecca invece è legata alla funzione che detta un'architettura molto più severa di grande austerità dove la gentilezza della Marciana diventa qualcosa di rigoroso. Vi è una convivenza complessa. E' un edifico del centro-Italia, è 55 manieristico. E' un edifico tutto architettonico, non vi è nulla di scultura. Non vuol dire che è banale, ma le soluzioni sono tutte architettoniche. Sono tre registri, tre piani: in basso vedono ciò che secondo tradizione è la caratteristica tipica degli edifici ossia l'opus rustico. Sono pietre molto in vista intagliate affinchè se ne vedano i profili e che diano una sensazione di forza e di peso. La linea dell'arco è in evidenza grazie alla chiave di volta e alle pietre che compongono l'arco stesso. Si ha una sensazione di gravità (gravitas): è un edificio “pesante”. Al di sopra vi è un marcapiano che è piuttosto evidente e poi abbiamo una fase di grandi finestre con una sorta di trabeazione. Vi è un fregio dorico in alto e marcapiano in basso: sotto il fregio ci aspettiamo quell'elemento fondamentale che è pezzo dell'architrave, qui è qualcosa di bizzarro: le finestre hanno ciascuna la propria trabeazione e viene interrotta perchè ciascuna colonna va oltre e va ad abbracciare quasi il fregio dorico, ciascuna finestra è un mini sistema templare (sistema trilitico). L'architettura antica non aveva mai permesso che ciascuna delle finestre avesse un'architrave personale e al tempo stesso che l'architrave fosse interrotto da una colonna che lo sormontava per andare a raggiungere un fregio. Vediamo già un piccolo gioco che ci fa entrare nel concetto di Manierismo: nel corso del pieno 500 è una cultura, un gusto che usa le regole dell'arte con enorme sapienza per costantemente trasformarle, rovesciarle di significato, non usarle secondo la norma ma travolgendo la norma. E' un'arte iper colta e si permette un sacco di libertà. Vi è un uso originale, eterodosso e bizzarro dell'architettura. Se saliamo troviamo qualcosa di analogo: il fregio è sormontato da mensole, in modo che il 3 piano dell'edificio è sporgente rispetto agli altri piani, vediamo grandi finestre e grandi aperture che recano un fregio retto da colonne di capitello ionico. Ordine rustico in basso, dorico in mezzo e ionico sopra: come aveva detto Vitruvio. Il problema è come viene messo in pratica tutto questo: colonne fasciate da anelli nell'ordine dorico non si erano mai viste, fregio che sormonta le finestre viene toccato per ciascuna finestra da 1 piccolo timpano. Vi è un gioco linguistico che per chi avesse dimestichezza con la cultura classica sarebbe stato un grande piacere intellettuale. Manierismo è un'arte iper-colta: abbiamo artisti che parlano a persone colte, preparate, è un'arte elitaria. E' un edificio un po' severo, ci dà sensazione di rigore e di forza. Noi siamo davanti a una città che parte da un momento totalmente intimo che è la pittura di Giorgione e che ci dà una pittura enigmatica per il codice utilizzato, diverso dai contemporanei. L'oligarchia poi ha sfruttato l'architettura e Sansovino per le funzioni di cui abbiamo parlato. Finestra che crea con questa doppia trabeazione pesantissima una specie di elemento trilitico: organizzazione del tempio greco. L'elemento orizzontale in questo caso è pesantissimo, duplice, estremamente sporgente e rispetto alla finestra è un elemento che grava ma allo stesso tempo c'è questa singolarissima idea della colonna che quasi si insinua e va a infilarsi nelle trabeazioni come interropendole. Vi è un gioco dei materiali che si combinano tra loro secondo le regole architettoniche. E' Michelangelo che dà il via al Manierismo: l'opera è stata molto importante per gli artisti che si sono succeduti dopo. Il Manierismo è una definizione negativa e viene da una parola che non ha significato negativo: deriva dal termine “Maniera” che usa spesso Vasari, significa fondamentalmente “stile” di un artista, di una scuola, di un'epoca, di un'età. Il concetto di Bella Maniera è un'idea che si è molto radicata nel periodo che stiamo studiando poiché in questo periodo gli artisti creano cose belle. Da lì nasce la difficoltà da parte degli artisti che vengono 56 dopo, talmente sono capaci di imporsi i modelli degli artisti che abbiamo visto, da ingenerare l'idea che non possa che rivolgersi a questi e fare ciò che hanno fatto loro: non rimane altro da esplorare. Nasce questa idea perchè erano convinti che l'arte, intesa come pittura scultura e architettura, avesse come obiettivo il progresso verso la conquista della naturalezza, ma una naturalezza nobile e quindi arricchita da un impianto che l'antichità conosciuta e assimilata aveva poi aggiunto all'arte dei grandi del primo 500. In Michelangelo vediamo la conquista della perfezione come conquista della grande ricercatezza, di qualcosa di estremamente sofisticato: la figura viene esasperata nel suo contrapposto, nella sua eleganza e nella sua armonia. Ormai risulta artefatta e non più naturale. Il cartone di Cascina, che non abbiamo più, è l'origine della maniera: Benvenuto Cellini, grande orafo e fiorentino, ha conosciuto questo e ne parla come la scuola del Mondo, è il punto in cui l'artista deve attingere ciò che bisogna fare dopo. Lì si forma la Bella Maniera. Le attitudini dei nudi di Cascina, le attitudini degli affreschi delle stanze di Raffaello, e le attitudini di tutti i personaggi della Sistina di Michelangelo, diventano per gli artisti normativi. Li si imita, li si copia, li si fa evolvere attraverso delle varianti e per gli artisti diventa fondamentale far vedere in ogni opera che si conoscono i testi base. Da qui nasce il termine Manierismo, termine dispregiativo che si trova nel 1751 nelle scritture di un grande conoscitore della pittura italiana che è l'abate Luigi Lanzi che scrive una straordinaria storia pittorica d'Italia considerando la seconda metà del 1500 come Manierista togliendone il valore critico che va recuperato. Dai tempi di Luigi Lanzi fino agli anni 30 del 900 questa era la considerazione dell'epoca che stiamo analizzando, ma dagli anni 50 del 900 si inizia a rivalutare la situazione. Rosso Fiorentino, considerato Manierista, si è formato a Firenze e con qualità pittorica straordinaria. La sua pala d'altare è idiosincratica, dissonante, è una scelta. Volutamente un artista che sa dipingere molto bene, crea questo S. Girolamo adunco la cui fisicità è proprio tirata via, trascurata, negligente, fastidiosa, irriverente. Questo quadro strepitoso (Deposizione della croce ?) crea qualcosa di molto singolare: nega il naturalismo volutamente, sfondo di paesaggio che sembra una lastra di lapislazulo non naturalistico. I personaggi di tanto in tanto cominciano a dare 1 impressione strana: equilibrio molto instabile. Qui vi è una regressione voluta: come fanno a stare in piedi non si comprende. Vi è un gioco di luci astraenti magnifico e bellissimi panneggi. Sapienza pittorica che gioca con qualcosa che contraddice la ragione stessa della pittura con cui Rosso aveva a che fare. Nella Cappella Capponi nella chiesa di Santa Felicita, Pontormo ha realizzato questo quadro sublime: di nuovo una Deposizione, piaciuta moltissimo ai Surrealisti. Manieristi vengono finalmente visti come artisti grandissimi, ricerca all'avanguardia come il Surrealismo: danno vita a qualcosa che sogni, che vedi con gli occhi della mente. Il principio di realtà vi è ma non vi è. Vi è un'attitudine poetica che, mentre quella di Rosso è tagliente e mirante a sfaccettare i piani della realtà, presenta fluidità in questa composizione. Si vedono i legami dei personaggi ma si basa tutto su qualcosa di completamente astratto: la composizione e i colori. I colori ricordano quelli della Sistina, Michelangelo viene osservato ma negano quello che per lui era profondamente vero: il narrare la realtà, forse superiore a noi ma narro la realtà. Qui no. Pontormo e Rosso e pochi altri sono stati sfilati dall'albero del Manierismo perchè un grande studioso, Antonio Pinelli, dopo questo importante convegno sul Manierismo, ha riconsiderato negli anni 90 tutta la materia ed è arrivato a periodizzare la grande arte del 500. Lui li 57 Parmigianino sfrutta, conosce alla perfezione; componendolo come se fosse in una ars combinatoria. Parmigianino e la sua arte è un’arte di intelletto, colta e che deve avere come destinatari grandi amanti dell’arte in grado di percepire le tante citazioni dei grandi artisti che lui mette in pratica nelle sue opere, queste citazioni sono senz’altro rese riconoscibili esaltandone al massimo le caratteristiche (come mette in pratica per l’indice di San Giovanni). Questa può essere riconosciuta come una “massima” del periodo Manierista: periodo a cui gli artisti (e anche ai committenti) vengono messi alla prova, facendo in modo che dimostrino la conoscenza nelle loro opere degli artisti più importanti a loro precedenti, citandone pose, gesti o cromia. ‘Madonna della Rosa’ (1530). Nel 1528 molti artisti furono torturati, uccisi, riscattati o imprigionati; Parmigianino per mettersi in salvo da Roma che non poteva nemmeno offrire più delle possibilità artistiche ed economiche, vedendo il suo periodo peggiore, si reca a Bologna. Bologna era riconosciuta come la II città pontificia, qui venne nel 1530 incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V d’Asburgo per riappacificarsi con il Papa. L’opera fu proprio destinata a Carlo V. In quest’opera Parmigianino crea un “ragionevole dubbio” creando un opera Sacra al limite con il profano; non c’è da sorprendersi se questa tavola fu scambiata a lungo per la rappresentazione di una Venere e un Cupido, causa anche la reciproca seduzione che nella storia dell’arte sacra non ha uguali. La sua pittura può essere amata solo da chi ama vedere la stessa come un gioiello. L’attenzione per i particolari, i dettagli, la resa materica delle vesti, gli ornamenti: tutto ha fine decorativo e circondano le due figure centrali che sembrano far apparire ciò che è naturale quello che non lo è, come le dita delle mani allungate a dismisura, e più in generale l’allungamento delle membra che rispecchia la visione della bellezza all’epoca. Si arriva a toccare esagerazioni che prima, con l’indagine del vero di Leonardo, lo studio delle posizioni, dei colori e dei gesti di Raffaello (realismo e naturalismo) e in genere per tutta l’arte rinascimentale (rispettosa delle regole e della misura) erano ritenute impensabili. Si ritenne il Manierismo, per queste sue accentuate caratteristiche come lo stile che ha stile, lo stile dello stile; nonché uno stile fine a sé stesso; questo si pone come obiettivo del manierismo: dare la massima resa in rapporto con il suo tempo. Tutto all’interno della Tavola sembra una pietra preziosa, non a caso al centro di tutto (a dare nome anche alla stessa opera) c’è proprio una Rosa, ricordata dalla veste di Maria, dalla tenda arabesca che vale in sé solo per il gioco di composizione che riempie lo spazio retrostante le figure principali. La linea compositiva dell’opera è giocata su due linee di movimento: la linea verticale del busto e del volto della Vergine e la diagonale del corpo del bambino a cui si accompagna il braccio della Madre. La versione complessiva ne risulta artefatta per il modo di resa delle figure e per l’idea di fondo su cui si basa l’opera e le caratteristiche dei Manieristi. Solo per concludere, sottolineando l’attenzione al dettaglio, alla decorazione a quello che per Leonardo e Raffaello sarebbe stato “L’Inutile”, occorre notare il globo: l’idea del potere del bambino, nonché allusione all’immagine dell’Imperatore. Questa immagine e queste provocazioni intellettuali sono un importante elemento dell’emergente cultura manierista. ‘Madonna dal collo lungo’ (1534-1540); in quest’opera potrebbe essere un miracolo non perdere di vista i soggetti. L’osservatore non è interessato, o meglio non viene colpito dai soggetti quanto da tutto il resto, partendo dalle loro posizioni, ai loro vestiti, ai loro ornamenti fino a giungere alla croce vista come riflesso di Gesù Bambino all’interno di un anfora argentata 60 portata in dono alla Vergine da un gruppo di angeli. Si nota subito infatti l’allungamento innaturale delle membra sia della Vergine che del Bambino, associato anche a un totale disinteresse verso lo studio della gravità. Questa affermazione può essere smentita dal braccio penzolante del Bambino, ma basta notare l’analogia con il braccio del Cristo Morto della Pietà Vaticana (marmorea) di Michelangelo per fugare qualsiasi dubbio: questa è un’immagine simbolica alludente alla morte ma certamente non denota uno studio verso le regole della gravità. È anche evidente che non c’è più l’adesione (e la narrazione non segue) a ciò che è quotidiano o ad un paesaggio naturale. La qualità pittorica di Parmigianino è sorprendente nella resa dei riccioli, ma anche nella resa della seta, dell’anfora di metallo; elementi inseriti in un contesto in cui il naturalismo non è più elemento rilevante. Maria presenta un esile, ma lungo, collo che sorregge una piccola testa coronata da una raffinata acconciatura di capelli e gioielli; a questo elemento alludono le colonne sottostanti (ricreando la simbologia per cui Maria è colonna del Cristianesimo, secondo una citazione da San Francesco). La scelta degli elementi non è casuale quindi, ma sicuramente collaborano a distogliere l’attenzione dell’osservatore da quello che è la centralità di questa Pala d’altare. Sotto lo strano colonnato è posto un profeta (San Girolamo) ma ciò che interessa è ancora una volta la bellezza fascinosa e di forte seduzione dei soggetti e la bellezza della sua materia. Rosso Fiorentino_ ‘Cristo morto’ (1525-1526) la vera domanda con cui percepiamo le caratteristiche del manierismo si riferisce proprio al suo potenziale pubblico, ai suoi destinatari. Difatti il destinatario delle opere manieriste è la corte, facendo della stessa un’arte autoreferenziale in cui gli artisti parlano tra di loro, grazie all’elevazione del loro status sociale avvenuta già sotto Bramante, Leonardo e Raffaello. Questo gruppo di artisti parla a un pubblico che può cogliere immediatamente le loro raffinate sofisticherie, il simbolismo nascosto dietro all’ornamento e le tante citazioni, di cultura, rimandanti agli artisti del grande rinascimento; elementi che un pubblico “medio” avrebbe trovato astrusi e incomprensibili. Anche Rosso Fiorentino (ancor prima di Parmigianino) fuggì da Roma dopo il suo sacco e inizia a ricercarsi delle committenze. Verrà chiamato da Francesco I, diventandone il pittore di corte. Fu questo il periodo in cui l’arte italiana si apri all’arte Europea, gli artisti di tale fama, al pari di Rosso, vengono intercettati dalle corti europee. Venne a crearsi quindi una specie di lingua “franca”, “pacificatoria” in ci gli asti venivano risolti con l’arte. Gli artisti italiani portano quindi questo linguaggio artistico nelle corti europee, creando una lingua comune. Prima di aprirsi alle corti europee, entrato a Roma nella cerchi di Clemente VII diviene sofisticato e riesce ad assimilare i comportamenti da ritenersi corretti in una corte. Questa opera rappresenta la meditazione sul corpo morto di Cristo, quello che in altre parole è la celebrazione del “Corpus Domini” cristiano. In basso vengono posti in scorcio i segni della Passione, gli angeli portano il cero pasquale e Gesù viene sorretto proprio da loro. I ceri stessi raffigurano la morte del Salvatore, raffigurandosi nel lento attimo prima dello spegnimento della loro fiamma. In basso sono posti i segni simbolici della Passione in scorcio, a fianco di Cristo morto due angeli che tengono tra le braccia il cero pasquale, simbolo della pasqua, mentre alle loro spalle altri angeli stanno sostenendo il corpo morto e in balia della gravità di Gesù. Nei ceri pasquali un altro elemento diviene “focale” nella visione manierista di Rosso: evidenziare, con ulteriore simbolismo, le loro fiamme “fotografandole” nell’attimo subito precedente il loro spegnimento. Poi la scelta di porre la mano dell’angelo che sta ponendo la sua mano nella ferita aperta del costato di Cristo, apponendo 61 così l’attenzione dello spettatore sulla stessa. Il quadro si pone come opera di proprietà privata, incentrata sulla meditazione su Cristo Morto e sul corpo umano, raffigurandosi come esercizio di stile che si pone quale imitazione degli ignudi di Michelangelo. La nudità assume un aspetto sacro, di contro a quello che anni dopo sarebbe stato visto come profano e inaccettabile (dall’ultima riunione del Concilio di Trento che aveva come tema principale il rapporto tra la chiesa e l’arte). La nudità è qui sacrale per la simbologia che nasconde: la bellezza del corpo non è profana, tantomeno la nudità di Cristo, nudità che allude al Cristo, uomo mortale, generato da Dio ma non per questo un Dio; la virilità è la dimostrazione del suo “Essere Uomo” è il punto di fede della rappresentazione. La bellezza viene visibilmente rappresentata in modo apollineo e classicheggiante, idealizzando il corpo umano e conferendo ad esso una sua simbologia. La corte raccolta da Clemente VII fu dissolta, diffondendosi nelle corti europee dopo il Sacco di Roma del 1527 da parte dei Lanzichenecchi, esercito mercenario prima al servizio di Carlo V. Tra 1510 e 1511 nacquero quelli che presero nome di “Manieristi di II generazione” che, entrando in questa corrente artistica “a cose fatte”, non trovarono necessario confrontarsi con l’ultimo rinascimento di Michelangelo e Raffaello. Francesco Salviati (1510-1563)_ ‘Carità’ (1543-1544); gli artisti di II generazione manierista esasperano la qualità estrema e già rarefatta del primo manierismo, la sua qualità artificiosa in quanto a materia e il gusto per la torsione estrema. Elementi che non è facile vedere come “esercizi di stile” e esasperazione degli studi di Raffaello e Leonardo e la plasticità di Michelangelo fino a renderli fine a sé stessi (prima erano nati in nome del realismo e del naturalismo di resa). Se all’inizio erano strumenti di conquista dello spazio compositivo ora diviene puro artificio retorico. Quest’olio su tavola raffigura una donna abbigliata e acconciata con gioielli sontuosi e di materiale prezioso. Ciascuna delle figure si crea su giochi prospettici basati su un contrapposto: la capacità del pittore di risolvere la naturalezza rendendola al massimo (fino ad ottenere l’esatto opposto: l’artificiosità), come dimostrazione della bravura dell’artista (le sue scelte orbitano attorno a questo ultimo fine). Le mani della donna centrale sono un’estremizzazione dell’allungamento delle membra già messo in atto da Parmigianino. È evidente l’eccedere dell’eleganza, fatta sì dall’allungamento delle membra ma anche dalla resa di un carnato bellissimo, di superfici corporee e dalla rotondità incredibile del seno. ‘Salone dei Fasti Farnesiani’ (1552-1557), Alessandro Farnese venne eletto papa nel 1534 con il nome di Paolo III. All’apice della sua carriera modificò il palazzo in costruzione (Palazzo Farnese) portando le campate da 11 a 13. Il progetto fu commissionato da Antonio da Sangallo e, dopo la sua morte, a Michelangelo che progettò e fece costruire il secondo piano, concluse la facciata con mattoni a vista con membrature in travertino e modificò anche la finestra centrale, rendendola architravata e apponendo lo stemma dei Farnese sopra di essa. Proprio all’interno in corrispondenza di questa finestra si trova la Sala dei Fasti Farnesiani, in gran parte affrescati proprio da Francesco Salviati. In questo palazzo l’artista trova la possibilità di esprimere tutta la sue sapienza pittorico, la sua “bella maniera”. La parete Sud-est (organizzata architettonicamente) ha al centro Paolo III, affiancato dalle personificazioni della pace e della Fede. Ai lati sono raffigurati due eventi importanti accaduti grazie al ruolo di “mediatore” di Paolo III: la Pace di Nizza (tra Francesco I e Carlo V) e il Concilio di Trento. Il ritratto del papa è posto al di sotto di un finto arazzo raffigurante la Saggezza armata e la Verità nuda che pongono sul 62 L’affresco forse meno riuscito del ciclo è quello di Battista Franco: ‘Arresto di Giovanni Battista’ (1541-1542). Lo spazio è (come è evidente) in balia del disordine, non c’è alcun controllo da parte dell’artista, che a sua volta ha seguito le pulsione e le scelte degli artisti a lui precedenti. La storia principale è rilegata in ultimo piano. La serie di personaggi “secondari”, a titolo d’esempio si citano: in primissimo piano in giovane sdraiato (che ricorda molto il mendicante ai piedi della Canefora di Salviati) e la figura femminile, ripresa in un momento in cui non fa nulla; figure utili solo a dimostrazione della capacità di creare un contrapposto elegante nella figura femminile ad esempio è visibile una rotazione su sé stessa. Se guardiamo a questi artisti, considerati artisti minori della seconda generazione del Manierismo vediamo come sia elevato l’artificio retorico fine a sé stesso, con figure che sono incredibili variazioni di uno stesso tema, come la torsione del primo personaggio che richiama le figure “serpentinate”, quasi elicoidali di Michelangelo; lo studio che questi artisti fanno soprattutto della torsione della ‘Vittoria’ michelangiolesca. Elementi come questo rappresentano lo studio imitativo su cui si concentrano gli artisti in questi decenni, è il loro piano narrativo. Per riassumere ciò che è stato già detto citiamo l’opera di Pellegrino Tibaldi con la sua opera: ‘Adorazione del Bambino’ (1548). Tibaldi venne chiamato ad affrescare Palazzo Poggi narrando la storia di Ulisse nel 1549. L’anno prima dipinge olio su tavola ‘l’adorazione del Bambino’, se Salviati guarda a Raffaello nell’eleganza delle sue tinte e Jacopino guarda alla sodezza messa in atto da Michelangelo; qui Tibaldi guarda a entrambi ma nella fattispecie al michelangiolismo plastico. Componendo una tavola con una luce lunare di forti contrasti chiaroscurali, utili per conferire ai personaggi la loro valenza plastica. La postura degli stessi è quasi marmorea, come fossero di pietra. Ancora una volta sembra che il titolo sia inappropriato, lo spettatore, infatti, solamente “a tentoni” può immaginarsi cosa raffiguri il dipinto e a primo impatto certo è che non comprende quali siano le intenzioni narrative dell’artista, si noti la posizione scelta per raffigurare il gruppo principale (Maria col bambino) è del tutto decentrata rispetto alla composizione. Maria è in posizione artificiosa, con mano e dettagli molto sintomatici, questa astrazione è tipica per il gusto dell’epoca. Altro artista che, seppur artista di minor calibro, può introdurci alla comprensione della corrente manierista è Girolamo Mazzola Bedoli, cugino di Parmigianino, che ci fa vedere l’aspetto “stregato”, pagano e mitologico che pervade le opere sacre di questo periodo. ‘Annunciazione’ (1555-1560) si nota sin dal primo sguardo la raffinatezza e la posizione elegante dell’angelo che sembra quasi essere pari a un Cupido o una divinità antica. La gestualità è vettore comunicativo della bravura artistica: le mani e i gesti di Maria e dell’Angelo eseguite con l’intento di creare una pittura di trasparenza al fine di trasfigurare le materie. Al tempo si ritenne inappropriata questa rappresentazione che fa vedere una Vergine di “alto rango”, elegante e con orpelli decorativi. Uno sguardo attento deve essere dedicato all’Angioletto leggio, che con le braccia alzate tiene sollevata la bibbia; di questo Bedoli ne indaga finemente il controluce. È proprio questo elemento (il controluce) che è la chiave di lettura, con la scelta di fare di Maria una donna risplendente di luce mistica, è da lei infatti che la luce si riprometta nell’angioletto leggio. Queste sono le anime della pittura del manierismo e le loro modalità lavorative, corrente che dal 1520 si protrae fino al 1580, con moltissimi artisti. Bedoli (cugino di Parmigianino) che ci fa vedere l’aspetto straegato: la raffinatezza e la posizione dell’angelo che sembra un antica 65 divinità. Gestualità delle mani di Maria e dell’angelo; pittura in trasparenza con un tenativo di trasfigurare le materie. È inappropriato vedere Maria di “alto rango”. Angioletto leggio: porta sulla testa la Bibbia. Guarda il controluce del bambino. Il controluce è la chiave di lettura con la selezione della luce sulla vergine. Sono queste le anime della pittura del manierismo che dal 1520 arriva fino al 1580 (con moltissimi artisti) lavora con queste modalità. Giulio Romano (1499-1546)_ Allievo della bottega di Raffaello (quindi manierista di I generazione) fu il primo artista ad allontanarsi da Roma, recandosi a Mantova nel 1524 (quasi prevedendo la scesa dell’esercito lanzichenecco del 1527; facendosi quindi primo artista a esportare l’arte romana nella corte modenese (e in generale nelle corti). ‘Palazzo Te’ si configura come prototipo dell’arte manierista Delle e Nelle Corti. Di questo palazzo Giulio progettò e seguì i lavori architettonici e ne realizzò anche gli interni. Palazzo di delizie e svago, ha forma quadrata e si compone di un solo piano. Si articola attorno a un cortile interno, con un’evidente analogia alla domus romana, cui senz’altro l’artista ha voluto rifarsi. Il giardino è delimitato dalle stalle e si conclude con un’esedra ad arcate aperte. Le facciate sono tutte diverse tuttavia quella a nord e quella a Ovest sono entrambe bugnate, con gruppi modulari assemblati e diversi elementi architettonici. Tutto l’edificio è coronato, infine, da una trabeazione dorica con fregio a metope e triglifi. La faccia che dà alla città ha un portale a 3 aperture affiancate da lesene doriche giganti che vogliono sottolineare l’idea che Romano voleva dare di un unico piano. La facciata occidentale (Est) ha un unico accesso, inquadrato da lesene binate intercalate da nicchie, immettente in un vestibolo. La porzione centrale della facciata (est), che separa le ‘Logge di Davide’ e le peschiere è sormontata da un timpano, i due sostegni laterali per i tre archi a tutto sesto sono costituiti da quadruplici colonne. Estrosità, invenzione e licenza della regola sono mostrate nelle facciate del Cortile d’onore (cortile interno), scandite da semicolonne invece che da paraste (“pilastri” quadrati). I timpani delle grandi nicchie sono volutamente spezzati (così come il bugnato), la trabeazione in alcuni punti sembra “scivolare”, suggerendo un equilibrio precario. ‘Sala dei Giganti’ (Palazzo Te, 1532-1534), vi si raffigura l’episodio in cui Giove punisce i Giganti che si erano ribellati contro di lui (Gigantomachia). I Giganti, secondo la tradizione, cercarono di muovere un assalto contro l’Olimpo ma furono violentemente fermati da Giove. Giulio fonde la pittura con l’architettura, mimetizzando le aperture con le pietre dipinte. Alle pareti, raffiguranti i Giganti sconfitti, distorti in improbabili pose e con volti intrisi di dolore e timore, fa seguito la volta tra figure oscillanti tra preoccupazione e calma. Al centro, sostenuto dalle nuvole, si innalza un edificio con 12 colonne che sorreggono una cupola cassettonata, in parte oscurata dal baldacchino a ombrello mosso dal vento, sotto cui a ali dispiegate si trova l’aquila d’oro di Giove. Prima di Michelangelo (con il suo ‘Giudizio Universale’, 1536-1541) mai nessuno concepì un’opera di così grande tragicità (seppur teatrale). Taddeo Zuccari (1529-1566), appartenente alla II generazione di Manieristi, Taddeo affresca la ‘Loggia di Ercole’ (a Palazzo Caprarola, palazzo della famiglia Farnese), in un particolare affresco è possibile notare come sia centrale l’eleganza e il gioco grottesco delle figure e della composizione e, in aggiunta, i festoni. In questo caso l’artista lavora per un committente dal gusto accadico, usando una pittura raffaellesca, vibrante per ciò che riguarda il tocco e brillante nei modi e nei risultati. Ma, intorno agli anni ’50 del XVI secolo, sa bene che, dipingendo un 66 opera religiosa, non può usare questo stile cos’ profano, che risulterebbe inappropriato al contesto. È questa operazione alla base del processo per cui Taddeo rinnega la sua stessa arte componendo la ‘Pietà’ (di Galleria Borghese all’incirca 1559). Quest’opera manca quasi totalmente del chiaroscuro, creando così una composizione funzionale al motivo religioso. Questo serve a giustificare i diversi stili pittorici usanti dalla corrente manierista che presenta modi diversi di dipingere a seconda della destinazione e della committenza. L’arte ricercata, così fine a sé stessa, stilizzante e estetizzante vede i suoi limiti, apparendo inappropriata a seconda dei contesti. Il committente degli affreschi di Caprarola è Paolo III e suo nipote: il gran cardinale Alessandro Farnese (omonimo), la definizione di Manierismo è ascrivibile in un unico termine: “dettaglio”. L’età in cui esercita il potere pontificio Paolo III è molto importante (1534-1549), date che coincidono con molti avvenimenti Artistici: la pittura del ‘Giudizio Universale’ di Michelangelo e la grande idea di decorare l’appartamento papale di Castel Sant’Angelo. Il papa che lo precedette fu Clemente VII (Giulio de’Medici), papa che assistette alla rovinosa invasione di Roma da parte dei Lanzichenecchi e che riuscì a salvarsi solamente grazie a un passaggio segreto che lo condusse a Castel Sant’Angelo dove stette alcuni mesi. Paolo III dato che quel luogo fu residenza papale decise di decorarlo, affidando la commissione a Perino del Vaga (Perin). Alessandro Farnese, prima di essere eletto Papa, era stato ospite di Lorenzo il Magnifico e amico di Leone X; riuscì ad ammirare la bravura di Raffaello e, alla sua morte, in corrispondenza della sua nomina papale riuscì a intercettare l’ultimo allievo della bottega di Raffaello: Perin del Vaga. Perin del Vaga (1501-1547)_ ‘Sala Paolina’ (1545-1547) [insieme anche a Pellegrino Tibaldi] a Castel Sant’Angelo rappresenta un altro grande esempio di decorazione manierista. Nei lati brevi, per uno schema simbolico, sono rappresentate due figure ritratte al centro del muro (nel mezzo a due porte): sull’immagine di Sinistra (vedi Slide) è raffigurato Adriano imperatore e dall’altra l’Arcangelo Michele (simbolicamente il fondatore romano e il protettore cristiano del luogo). Figura, quest’ultima, che rimanda difatti al motivo per cui questo Castello è stato costruito: si pensa che dopo la morte di Cristo in questo luogo venne visto l’Arcangelo. Il castello, edificio tipicamente politico, è quindi il simbolo dell’unione tra potere terreno e potere celeste, potere imperiale e potere temporale. Sulle altre due pareti e sulle volte è possibile ammirare la narrazione di alcune celebri storie. Sulle pareti lunghe, sopra un basamento dipinto ritmato da erme e da riquadri con lotte tra tritoni, trova posto una finta architettura arricchita da variopinti festoni di frutta e composta da colonne ioniche e da nicchie ospitanti figure allegoriche di Virtù cardinali (Forza, Giustizia, Temperanza, Prudenza), alternate a riquadri monocromi con Storie di Alessandro Magno (di cui nelle slide sono riportate quelle raffiguranti: ‘Alessandro che taglia il nodo gordiano’ e ‘Alessandro Magno e la Madre di Dario’). Sopra le porte, tondi, anch'essi monocromi, sostenuti da coppie di figure femminili illustrano sei Storie di San Paolo. La scelta di Alessandro Magno e di San Paolo come protagonisti del complesso decorativo intende celebrare Paolo III attraverso l'omonimia con il suo nome di battesimo (Alessandro Farnese) e con quello scelto per il pontificato. Gli episodi descritti alludono alle sue qualità di governante e alla sua passione per il classico, di qui la scelta di Alessandro Magno; l’altra scelta (oltre che per l’omonimia) voleva sintetizzare anche lo scontro di fronte alla riforma 67 allegoria personale di Giovanni Ricci molto di più di quanto lo sia David, in quanto è un uomo che ha acchiappato sempre tutte le occasioni. L’arte nel manierismo è più bella della natura e la riesce a superare. CAPPELLA SISTINA 1534 (Paolo III Farnese) - 1538 Commissionata da Clemente VII. Paolo III poteva rinunciare alla commissione perché non era iniziato nulla ancora ma dato che era stato giovane durante la prima stagione del Rinascimento e vi era molto attaccato decide di chiamare Michelangelo. Ma i tempi sono cambiati e l’opera è ben diversa da quella che ci si poteva aspettare: siamo in pieno protestantesimo, pieno 500, proprio nel momento in cui apparentemente tutti si disinteressano di religione (arte estremamente profana) scoppia questo giudizio universale. Ci saranno tantissime polemiche intorno a quest’opera che cambieranno la sorte dell’arte del secondo 500 e 600. La volta racconta le origini della storia, la Creazione, ai lati la storia di Mosè e quella di Cristo: manca solo la storia di come si finirà -> Giudizio Universale. Per dipingerlo viene tolta una scena mariana del Perugino e gli Antenati fatti da Michelangelo stesso. Manca completamente una struttura architettonica. Al centro figura enorme di Cristo misurato in senso estetico ma che allo stesso tempo salva i beati e condanna i colpevoli, gesti molto terribili e pesanti -> questa volta Maria, che di solito intercede per gli uomini, è a lato e piegata come se avesse paura, ruolo secondario rispetto al figlio! questo fa pensare che ci sia una concezione protestante dietro, che Maria effettivamente abbia un ruolo marginale: grande dubbio e incertezza, solitudine di ciascuno e NUDITà di fronte alla morte di tutti noi. Sfondo costosissimo di lapislazzuli: l’architettura dei personaggi si snoda di fronte a noi e scopriamo che tutti sono divisi in gruppi. I personaggi sono più piccoli o più grandi in base all’importanza. Si sta inventando una nuova realtà senza architettura prestabilita ma basata sull’interrogatorio di cosa siamo noi di fronte a questa scena, dove stiamo. Tutti erano completamente nudi, il “braghettone” mise poi vestiti a tutti Daniele Ricciarelli, amico dell’artista, scotto da pagare per farsi che l’opera non fosse distrutta. Empireo: santi più importanti, pilastri della fede, sono enormi grandi e evidenti e sono accanto a Gesù. Essendo l’Empireo godono già della beatitudine? Se li guardiamo bene e li immaginiamo nudi ci rendiamo conto che sono nella stessa condizione di tutti gli altri, il corpo umano è ancora il centro di tutto ma la nudità non vuole più riflettere la bellezza umana ma la condizione di disperazione dell’uomo che è tutt’altro che pacifico. I santi stessi sono agitatissimi e guardano Gesù come aspettando anche loro una risposta, nulla è sereno e pone risposte tranquillizzanti. La sua pittura è rimasta estremamente plastica, corpi statuari e massicci, sono tutt’altro che anime e si sente la pesantezza del corpo: l’anima si ricongiunge al corpo. Michelangelo ha fatto una pittura che non voleva essere bella, anzi si vede bene il grigio dei corpi -> osare contraddicendo il secolo pittorico appena passato. San Pietro è enorme e contraddice la presenza dei più piccoli spazi accanto, lo spazio e la profondità viene costruito esclusivamente con i corpi e i loro raggruppamenti. San Pietro intimorito riconsegna le chiavi. San Bartolomeo tiene in mano il coltello e la pelle che penzola: autoritratto di Michelangelo, come la guaina che ancora deve essere riempita. 70 San Sebastiano con le frecce + Santa Caterina con ruota + San Biagio con i raffi: San Biagio con Santa Caterina rifatti da Daniele da Volterra perché considerati in posizione erotica, scena completamente scalpellata e rifatta in malo modo. Angeli in alto con i simboli della passione, motivo per cui ci può essere la salvezza. Al centro gli angeli del giudizio che con le trombe sveglieranno anche i morti dalle tombe, tengono i libri sacri per ricordare il motivo che ti svegli grazie a quanto c’è nelle scritture. In basso a destra in una levitazione molto faticosa e pesante: scheletro che si sveglia, corpo marcio, tutto estremamente soffrente e mortifero nonostante siano coloro che si salveranno. Qui dove non ci sono i panneggi colorati la tavolozza cromatica è minima. Dall’alto con le mani i già salvi aiutano a salire, gioco di uno scorcio prospettico perfetto. Lavorò senza alcun tipo di disegno sotto tanto che aveva le idee chiare. L’altra parte è una vera e propria battaglia dell’anima: tra loro si menano e il darsele è tradotto in un groviglio di corpi nella capacità di attorcigliarsi nei chiaro scuri. Disperazione completa della figura che si regge il volto: è l’unica di tutte che ci guarda in faccia con uno sguardo allucinante, si aspettava di essere salvato e invece si trova i diavoli che lo stanno tirando giù. In basso a destra porta dell’inferno: Caronte inteso nel senso dantesco ci colui che mena chiunque si adagi, non nel senso greco di colui che traghetta e basta. Anche qui critica perché considerato un episodio troppo letterario. Minosse anche di Dante, con il serpente avvolto intorno tante volte quanti erano i cerchi che la tua anima doveva scendere. Demoni grotteschi e mostruosi, grotteschi, registro bassissimo, esasperazione del difetto fisico. In basso ci sono i patriarchi biblici che stavano al limbo e finalmente possono uscire, senza pace però in quanto sono fortemente ansiosi sul loro destino. Gli effetti: Cappella Paolina Tanto era contento Paolo III che fece fare da Michelangelo la sua cappella personale. Scena della conversione di San Paolo e di fronte crocifissione di San Pietro. “Retrocessione” rispetto agli artisti manieristi in quanto abbandona ori e sfarzi per concentrarsi sulla natura umana e spirituale della scena. Appena morto Michelangelo, il successore Paolo IV Carafa decide di non distruggere ma di censurare l’affresco, in quel periodo si è concluso il concilio di Trento aperto nel 45 da Paolo III. Nel 1563 ci fu l’ultima sessione completamente dedicata alle opere d’arte. Andrea Gilio condanna la pittura del suo tempo ed è il primo a sostenere che Michelangelo vada distrutto e si scaglia anche contro l’arte manierista in nome dei fatto che un’opera d’arte religiosa ha una funzione innanzi tutto. Pone una censura solo all’arte classica da ideare sugli spazi pubblici e dice che l’arte che va in pubblico deve essere pensata per chi non sa nulla (biblia pauperum, arte è la bibbia dei poveri), pensa che il popolo vada moralizzato: crea la REGOLATA MESCOLANZA. Non può negare il Rinascimento, questa è la capacità che i grandi artisti devono avere di prendere dai grandi artisti del passato. L’arte non è più la maniera del singolo artista è totalmente funzionale, bisogna asservirsi a obiettivi più alti di noi. Scipione Punzone è il modello perfetto di artista che scaturisce da questa idea, è un bravo pittore ma in qualche misura si castra. La sua è un’arte senza tempo, volta alla misura controllata da potere sembrare del primo 500: perfezione e stile, Maria è devota dolce e buona, il Bambino è tondo e paffuto, amorevole con il cugino, Anna e Giuseppe sono amabili. Ricorda le prime sacre famiglie di Raffaello. La culla è estremamente realistica 71
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