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Adozione e affido; approfondimento sulle forme di separazione, Appunti di Psicologia Giuridica

Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell’articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione, e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno (  affidamento EXTRAFAMILIARE.) .L’adozione è un istituto definitivo; l’affido è un istituto temporaneo (max 24 mesi prorogabili; il giudice decide se il minore può entrare in famiglia o l’affido è prorogabile. La proroga è infinita, non ci sono limiti). Nell’affido i bambini non si trovano in uno stato di abbandono ma raccomandati alla cura di qualcun altro, perché i genitori devono recuperare o sviluppare le capacità genitoriali ritenute compatibili con la possibilità di far stare il bambino nella famiglia. L’affido costituisce la struttura relazionale più prossima alla famiglia che tutelerebbe maggiormente il diritto del minore

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 11/11/2023

a.ghib
a.ghib 🇮🇹

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Scarica Adozione e affido; approfondimento sulle forme di separazione e più Appunti in PDF di Psicologia Giuridica solo su Docsity! 25 E se l’ambiente familiare non fosse idoneo? Legge 149/2001. Art 2 1. Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell’articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione, e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno (  affidamento EXTRAFAMILIARE.) L’adozione è un istituto definitivo; l’affido è un istituto temporaneo (max 24 mesi prorogabili; il giudice decide se il minore può entrare in famiglia o l’affido è prorogabile. La proroga è infinita, non ci sono limiti). Nell’affido i bambini non si trovano in uno stato di abbandono ma raccomandati alla cura di qualcun altro, perché i genitori devono recuperare o sviluppare le capacità genitoriali ritenute compatibili con la possibilità di far stare il bambino nella famiglia. L’affido costituisce la struttura relazionale più prossima alla famiglia che tutelerebbe maggiormente il diritto del minore a crescere all’interno della famiglia. Tuttavia, sono pochissime le coppie o le persone singole che hanno dichiarato disponibilità all’affido, rispetto al numero di bambini da mandare in affido. Quindi, qualora ci siano adeguate condizioni di sicurezza e se ci siano nonni, zii o parenti prossimi, si favorisce l’affidamento INTRAFAMILIARE. Secondo la legge devono essere favoriti i parenti fino al 4° grado per l’affido del minore. Questo, infatti, è meno traumatico per il bambino perché continua a vivere in un contesto familiare che conosce. Ci sono però situazioni in cui l’affidamento intrafamiliare NON è tanto consigliato, ad esempio: - conflitto o alleanza non sana tra i membri della famiglia che potrebbe riprodurre dinamiche negative che il bambino ha vissuto all’interno della famiglia d’origine; - presenza di precedenti penali e trasmissione intergenerazionale del crimine (cultura familiare che si basa sulla violenza) - mamma o papà hanno problemi di dipendenza; generalmente la dipendenza va letta in termini sistemici, molto sta nel contesto sociale e familiare. Spesso i bambini sono coinvolti in tali dinamiche legate alla dipendenza. In queste situazioni, soprattutto i nonni non riescono a rispettare le regole che fanno parte dell’affido intrafamiliare, soprattutto rispetto alle visite controllate con i genitori (i nonni tendono a far vedere ai genitori il bambino anche senza controllo, quando vogliono). Nel caso della dipendenza si creano delle dinamiche perverse, ovvero nella direzione non giusta, opposta; ad esempio, dinamiche di tipo conflittuale. La dipendenza da sostanze è una delle situazioni più esplosive a livello intergenerazionale; quindi, per questo c’è la tendenza di evitare l’affido intrafamiliare. Se non ci sono le condizioni per un affidamento intrafamiliare, i minori vengono collocati in comunità, in attesa di essere poi affidati ad una famiglia. 2. Ove non sia possibile l’affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. 26 Un piccoletto, < 6 anni, NON può essere collocato in comunità, ma può solo essere collocato all’interno di una casa-famiglia: essa cerca di ricalcare la configurazione familiare, gestisce un massimo di 8 minori e la vita è organizzata come all’interno di una famiglia (c’è una coppia che si rapporta ai piccoli accolti come se questi fossero figli loro). Dalla casa-famiglia, se c’è disponibilità, c’è il passaggio ad una famiglia affidataria. Per i bambini > 6 anni c’è la possibilità di essere accolti in una comunità, con la speranza poi anche in questo caso di poter essere accolti in una famiglia affidataria. La speranza del servizio quindi è sempre l’affido! Le case famiglie sono delle strutture che cerca di somigliare il più possibile all’ambiente originario; presenza di massimo otto bambini; abitazione con le stanze, ecc. Le comunità accolgono un maggiore numero di minori (vi è un calore differente rispetto a quello delle case famiglie). A livello legale NON è necessario il consenso e l’accordo del minore rispetto all’affido, ma è chiaro che è meglio tenerne conto per evitare che scoppino situazioni spiacevoli e difficili da gestire; il bambino si sentirebbe inascoltato. I minori che mostrano un disagio psicologico significativo o che hanno una disabilità o una patologia fisica significativa, sono purtroppo quelli che con più fatica si riesce a collocare in una famiglia affidataria. La manifestazione più frequente di opposizione del minore verso la famiglia affidataria è costituita dalla fuga di questi minori dalla famiglia. Per i bambini dai 12 anni in su, è importante avere un accordo da parte del bambino. A volte questi preferiscono stare in comunità, perché si sono legati ad un educatore oppure a certi amichetti o perché si sono abituati a vivere in un ambiente per loro familiare e si trovano bene. Si tratta di un attaccamento ad un nuovo luogo che è appunto ormai diventato familiare per loro. Nel caso in cui in comunità tra bambino ed educatore ci sia un legame così forte da creare un ostacolo per entrare in una nuova famiglia, in tale rapporto manca qualcosa. Il rapporto deve infatti essere generativo; l’attaccamento implica anche la generativà che comporta il lasciare andare. La generatività vive di intimità ed attaccamento, ma anche di promozione dell’autonomia, lo stesso vale nel rapporto con i genitori. L’errore ed il rischio che si fa con i più grandi, che le famiglie accolgono più malvolentieri, consiste nel collocare il minore in una nuova famigli, senza aver condiviso con lui che si tratta della scelta migliore, senza aver ascoltato il suo parere. Il rischio è che ritorni in comunità perché non si trova bene in famiglia. il bravo educatore di comunità è colui che fa comprendere al minore che quella è la strada migliore per lui. Quello che dà il via all’adozione è il bambino che si trova nello stato di abbandono; da quel momento il minore è adottabile. In questo caso non è richiesto il consenso dei genitori poiché cade la responsabilità penale rispetto al bambino. Nel momento in cui è stata dichiarata la possibilità all’adozione si privilegia la famiglia in cui il bambino è già stato in affido (sempre se disponibile). Nell’affido il minore rimane figlio legittimo della famiglia d’origine mentre nell’adozione diventa figlio legittimo della nuova famiglia (come se il soggetto fosse il loro figlio naturale; ha gli stessi diritti di eventuali fratellastri; assume il cognome della nuova famiglia; ecc.). Bisognerebbe avere il coraggio di predisporre dei progetti di adozione, piuttosto che passare per dei progetti di affido prorogati all’infinito (nel caso in cui la situazione fosse irreversibile). 29  CONSENSUALE: il passaggio al tribunale viene fatto solo per omologare i termini stabiliti all’interno della separazione. Sono cioè i genitori a stabilire degli accordi, non il giudice. Gli accordi saranno poi letti dal giudice e se, come generalmente avviene, tutelano l’interesse superiore del minore e non nuocciono a nessuna delle due parti in causa, vengono approvati dal giudice. È la soluzione più auspicabile, i genitori e i bambini evitano così di dover essere ascoltati dal giudice. Il minore generalmente viene ascoltato in queste situazioni. L’Italia a livello europeo ha l’unico ordinamento che prevede il doppio passaggio: prima ci si separa e poi si divorzia. Con la separazione vengono a decadere solo alcuni degli effetti del matrimonio (ad esempio la convivenza). L’annullamento di tutti gli effetti del matrimonio avviene solo con il divorzio, eccezione fatta per tutte le responsabilità che si hanno nei confronti del minore, che permangono sempre. La prima legge sul divorzio è la 898/1970 che disciplina lo scioglimento del matrimonio. La legge sul divorzio breve 55/2015 ha ridotto gli anni che passano dalla separazione per ottenere il divorzio. 1 anno in caso di separazione giudiziale e 6 mesi in caso di separazione consensuale (prima era di 3 anni). Questo è positivo perché evita uno stallo che psicologicamente è nocivo; tuttavia, c’è stato un picco dei divorzi. La separazione e il divorzio sono un DIRITTO: nessuno può essere obbligato a restare con una persona se non lo desidera più. È frequente con le donne vittime di violenza che costoro non sappiano ciò, c’è anzi l’idea che se il marito non vuole separarsi/divorziare, loro non possono separarsi da lui; invece non è necessario il consenso del coniuge. In caso di non accordo tra i coniugi sicuramente il processo risulterà più lungo e difficoltoso.Nel caso in cui siano presenti figli minori i tempi si allungano ulteriormente perché si deve trovare accordo anche su questioni che riguardano la gestione dei minori. Per i bambini che sperimentano un divorzio o una separazione conflittuale tra i genitori, la sofferenza non è poca. Non è il divorzio o la separazione a rappresentare di per sé un evento traumatico o un evento che ha necessariamente degli effetti negativi. Tali effetti negativi sui bambini sono infatti legate alle modalità di gestione del divozio/separazione da parte dei due genitori. Il divorzio e la separazione NON sono eventi che generano patologia tout court, ci sono infatti figli di genitori separati che stanno bene, ma è la MODALITÀ con cui tale transizione viene gestita dai genitori che fa la differenza per i figli. Si tratta quindi di una transizione che mette a dura prova anche i bambini (esempio di articoli di giornale riportati dalla prof). La questione del litigio dei genitori in cui volano parolacce, magari si giunge alle mani e si alza la voce, è uno degli aspetti più difficile da gestire per i minori (conflitti cronici: si tratta di conflitti ripetuti all’interno della relazione). La sofferenza legata ad un senso di impotenza per i minori è molto forte, qualsiasi cosa essi dicano o facciano, i genitori continuano a litigare. Esistono anche situazioni in cui i genitori sono talmente presi dalle loro questioni che dimenticano i figli e costoro vengono strumentalizzati, con il rischio che i minori vengano tolti ai genitori e siano collocato all’interno di una struttura. 30 LA LEGGE SULL’AFFIDAMENTO CONDIVISO A partire dal 2006, con la Legge 8 febbraio 2006 n.54 recante disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento c’è stata una svolta importantissima all’interno delle modalità con cui si gestisce il divorzio/separazione giudiziale se sono presenti dei piccoli. Prima di questa l’affidamento era un AFFIDAMENTO DI TIPO ESCLUSIVO: veniva individuato il genitore psicologico, ovvero colui che veniva reputato il miglior per la gestione del minore e a cui quindi veniva affidato in maniera esclusiva il minore. L’affidamento condiviso era un’eccezione, laddove non era possibile individuare il genitore migliore. Oggi le cose si sono invertite, l’AFFIDO CONDIVISO/CONGIUNTO rappresenta la norma mentre l’affido esclusivo rappresenta l’eccezione. Nel caso degli affidi esclusivi, generalmente la madre veniva identificata come il genitore migliore; il 90% degli affidi, era un affido esclusivo a favore della mamma. Le basi per questo orientamento sono state create dalla psicologia e dalla pedagogia, si pensava che la madre fosse il caregiver principale per il bambino (in realtà anche il papà ha un ruolo importante). Mamma e papà hanno sfere di influenza differenti e un mandato sociale differente: la figura materna sta più sul polo affettivo e si dedica all’intimità, alla fiducia, alla cura quotidiana; mentre il padre sta più sulla dimensione etica e normativa (colui che dà le regole). In caso di affido esclusivo, che in passato era la norma, cosa accade se il bambino esprime il desiderio di vedere il genitore non affidatario? Erano garantite delle visite, ma la gestione quotidiana del bambino e le decisioni erano a carico di un solo genitore. Oggi invece è chiaro che la gestione dei figli debba essere il più condivisa possibile, anche i tempi da trascorrere con i genitori devono essere paritari, le possibilità di visita da parte del genitore non collocatario sono superiori rispetto al passato (almeno una volta alla settimana + un fine settimana a testa; divisione tra vacanze che deve essere equilibrata). I genitori inoltre sono invitati alla massima flessibilità, non devono essere troppo fiscali nella divisione dei tempi, ma bisogna favorire il benessere del piccolo. Questa legge ha portato ad una modifica, riscrive ex novo l’articolo 155 del codice civile e aggiunge all’interno di tale articolo, una serie di sottoarticoli dall’articolo 155 bis al 155 sexies (bis, 3,4,5,6). L’articolo 155 del codice civile è sostituito dal seguente: “Art. 155 (Provvedimento riguardo ai figli) -- Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. Questo nuovo articolo riscritto dalla legge 54 del 2006 sottolinea:  uguale importanza di madre e padre e necessità che condividano l’educazione del figlio, nessuno deve predominare sull’altro  introdotto il diritto del minore ad avere rapporti con i rami materno e paterno  è interessante il fatto che si sottolinei come sia diritto del minore e non si parla invece di dovere dei genitori. L’articolo è capovolto sui diritti del bambino, rapporto equilibrato e continuativo con i genitori e con le relative stirpi (ascendenti= nonni e collaterali=zii, cugini ecc). 31 Ovviamente ciò implica che i genitori siano capaci di collaborare, che mantengano un rapporto civile in cui sono in grado di discutere rispetto alle scelte da fare sul figlio. Da un punto d visto psicologico, la consegna che la legge dà ai genitori è un MANDATO per certi aspetti PARADOSSALE: i genitori non vanno d’accordo, non vedono l’ora di non vedersi più, ma per la gestione dei figli devono mantenere un rapporto equilibrato e trovare un accordo.; sul piano psicologico ciò è molto complesso. Sul piano sociale si sottolinea inoltre l’importanza della figura del padre e la necessità che il bambino continui una frequentazione con lui; inoltre, madre e padre hanno uguali responsabilità, ciascuno competenze e capacità specifiche, tutte necessarie per la crescita del piccolo. Nella scelta della legge è stato posto al centro il figlio. Il compito che si dà ai genitori non è quindi semplice, tanto che ai genitori viene spesso consigliato di seguire un programma di supporto alla genitorialità (ci si rende conto che ai genitori è richiesto un compito difficile). Questo compito congiunto, ovvero l’affidamento condiviso che comporta tempi paritari, la stessa responsabilità nella presa di decisioni ecc , può generare forme di disfunzionamento familiare, come la SINDROME DA ALIENAZIONE PARENTALE in cui uno dei due genitori cerca di strumentalizzare il figlio contro l’altro, fino a spingere il bambino a non voler più frequentare l’altro. NON si può parlare di alienazione parentale in caso di violenza, l’ostilità del minore è infatti giustificata (il bambino non vuole andare con un genitore perché costui l’ha picchiato o ha picchiato l’altro coniuge). L’alienazione parentale è invece un’ostilità ingiustificata, non si comprende perché il minore non voglia andare con mamma o con papà. È possibile attivarsi per aiutare sia genitori sia i piccolini all’interno di separazione o divorzio giudiziale. È importante ricordare che AFFIDAMENTO CONDIVISO NON SIGNIFICA A METÀ, non significa che il bambino trascorre esattamente gli stessi minuti con i genitori, bisogna sempre anteporre il benessere del bambino: è bene ricordarlo sempre ai genitori. Fa parte della condivisione anche la capacità di essere flessibili. Una recente sentenza della cassazione ha sottolineato che, per quanto condiviso non significhi a metà, ma richieda flessibilità ai genitori, bisogna cercare di essere il più paritetici possibile. IL RUOLO DEL CTU NELLE DECISIONI RIGUARDANTI I FIGLI  Quando il magistrato sente la necessità di un supporto tecnico per capire quale sia effettivamente la situazione dei figli, nomina un CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO (CTU) (Articolo 191 c.p.c.).  Al CTU viene posto un quesito specifico a cui deve, alla fine delle operazioni di consulenza, rispondere con una relazione scritta.  I metodi a disposizione del CTU sono quelli della valutazione clinica e socio-relazionale; lo strumento principale è il colloquio.  Colloquio con il minore (ascolto come risorsa).
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