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Agamben- Infanzia e Storia, Appunti di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative

Appunti sul libro "Infanzia e storia. Distruzione dell'esperienza e origine della storia"- Giorgio Agamben

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 17/06/2018

SfpUni
SfpUni 🇮🇹

4.7

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Scarica Agamben- Infanzia e Storia e più Appunti in PDF di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative solo su Docsity! INFANZIA E STORIA. Saggio sulla distruzione dell’esperienza. I. Secondo Agamben l’uomo moderno è stato espropriato dalla sua esperienza, è incapace di fare e trasmettere esperienze ed è consapevole di questo. Benjamin, già nel 1933, indicava le cause di questa “povertà di esperienza” nella guerra, poiché l’uomo tornava ammutolito, privo di esperienze da raccontare. Altre cause di quegli anni sono la crisi economica, la fame, il dispotismo. L’uomo moderno tornava a casa la sera sfinito da una miriade di eventi (il traffico, il giornale, la fila agli sportelli, il silenzio che accomuna le persone in ascensore) nessuno dei quali però è diventato esperienza. Nel secolo scorso il quotidiano era la materia prima dell’esperienza poiché ogni generazione raccontava la propria esperienza a quella successiva (tratto peculiare =tramandabilità); colui che viaggiava o non lavorava non era preso in considerazione perché la sua esperienza non era ripetibile, non era ordinaria. Così la perdita dell’esperienza implica la perdita dell’autorità: l’esperienza garantiva autorità all’uomo. L’autorità dell’uomo moderno comincia a basarsi sull’inesperibile. La massima e il proverbio scompaiono, poiché erano le forme in cui l’esperienza si poneva come autorità, diventando vuoti luoghi comuni. Ciò non significa che non vi siano più esperienze, ma solo che queste si compiono al di fuori dell’uomo, come in una visita al museo dove l’uomo preferisce far fare esperienza alla macchina fotografica. Agamben scrivendo il libro “Infanzia e storia”(1978) vuole dimostrare come l’inesperienza può rappresentare una forma di saggezza per favorire uno sviluppo futuro. II. Francesco Bacone sosteneva che “l’esperienza, se viene incontro spontaneamente, si chiama caso, se appositamente cercata prende il nome di esperimento” : quindi l’esperienza quotidiana dell’uomo è come vagare di notte al buio con la speranza di imboccare la via giusta, mentre sarebbe più utile accendere un lume o aspettare il giorno e infilare la strada. Secondo Agamben, la causa dell’espropriazione dell’esperienza all’uomo è la scienza. Fare un esperimento scientifico è ,quindi, come accendere il lume, si osserva e si stila un protocollo, per rendere l’esperimento ripetibile, trasportando l’esperienza il più possibile fuori dall’uomo conferendole certezza. La scienza trasforma l’esperimento in numeri ed equazioni deterministiche (in base alla quale conoscendo x posso ricavare y). L’esperienza tradizionale non essendo certa perde in realtà ogni valore. Con la scienza si può prevedere il futuro, quindi fare esperienza diventa inutile. L’ultima opera della cultura europea ancora interamente fondata sull’esperienza è “Essais” di Montaigne ritroviamo come l’esperienza sia incompatibile con la certezza, e un’esperienza divenuta certa e calcolabile perde la sua autorità: quando l’esperienza diventa scienza non è più esperienza. L’idea di un’esperienza separata dalla conoscenza ci è oggi estranea, ma, prima della nascita della scienza moderna, avevano ciascuno il proprio luogo. Soggetto dell’esperienza era il senso comune, presente in ogni individuo. Soggetto della scienza era il noũs o intelletto agente, divino, universale, invisibili e con un oggetto preciso. L’esperienza limite che separa esperienza e scienza è la morte. Per Montaigne questo limite è inesperibile, ci è concesso solo avvicinarci. La scienza moderna abolisce questa separazione e fa dell’esperienza il luogo della conoscenza, ponendo al posto dei soggetti dell’esperienza un unico nuovo soggetto, che non è altro che un punto archi medico astratto che fa coincidere esperienza e conoscenza: l’ego cogito cartesiano, la coscienza (un soggetto impassibile e universale). Tuttavia quando Descartes formula la frase “cogito ergo sum” non usa mai la parole io, infatti l’io-sostantivo serve solo nella traduzione a dare un senso al verbo. Nel periodo pre-scientifico si affermano l’alchimia, l’astrologia, il misticismo che possedevano un apparato mitico-divinatorio, diventato superfluo nella nuova scienza; tuttavia la scienza deve tutto alla dimensione mistica, religiosa e astrologia di queste discipline, poiché hanno il merito di aver intuito le scoperte successive della scienza. Nell’esperienza tradizionale il fine ultimo era quello di portare l’uomo alla maturità, cioè a un’anticipazione della morte come un qualcosa di finito che non si può solo fare ma anche avere. Mentre per la scienza moderna la morte è un qualcosa che si può solo fare e mai avere: il processo della conoscenza è infinito. La morte quindi è l’unica esperienza autentica che l’uomo può fare. Questa separazione tra l’avere e il fare esperienza è ben rappresentato da due figure letterarie : Don Chisciotte, il vecchio soggetto della conoscenza, può soltanto fare esperienza e mai averla; Sancho Pancha, il vecchio soggetto dell’esperienza, può soltanto avere esperienza senza mai farla. III. Kant sostiene che i due soggetti destinatari di conoscenza e esperienza debbano rimanere divisi, così distingue l’io penso, soggetto della conoscenza, trascendentale e elaboratore dell’esperienza; dall’io 1 empirico, soggetto dell’esperienza. Però questi soggetti non possono essere indipendenti l’uno dall’altro, devono collaborare tra di loro senza perdere la propria identità; infatti per Kant il soggetto trascendentale non può conoscere un oggetto senza l’intuizione fornita dall’esperienza sensibile, poiché può soltanto pensarlo. Nel pensiero post-kantiano ritroviamo la riunificazione dei due soggetti. L’esperienza diventa qualcosa che si può solo fare e mai avere. Essa non è mai totale se non nell’approssimazione infinita del processo globale, secondo Hegel, come una “schiuma dell’infinito”. La psicologia scientifica cerca di superare la metafisica, ponendo un unico soggetto e facendo naufragare ogni dimensione ultraterrena. La psicologia scientifica cerca di costruirsi come scienza dei fatti di coscienza, che risultano da un parallelismo fra fenomeno psichico e fisiologico. Ma l’ipotesi del parallelismo psico- fisiologico dimostra che esiste ancora una dimensione metafisica. Dilthey e Bergson, volendo superare la divisione kantiana, cercano di cogliere la vita in un’esperienza pura: l’ Erlebnis. Ma proprio nella sua idea di “esperienza vissuta” come una “corrente di coscienza”, che non ha inizio né fine e non può essere né arrestata né misurata, rivela la sua matrice metafisica. IV. Partendo dalla critica di Hamann a Kant, secondo la quale condurre un’analisi sui soggetti senza prendere in considerazione il linguaggio è un non senso (poiché la facoltà del pensiero risiede nel linguaggio), Agamben introduce l’importanza del linguaggio stesso. Benveniste afferma che è nel linguaggio che l’uomo si costruisce come soggetto. “E’ ego colui che dice ego. Il linguaggio è organizzato in modo tale da permettere a ogni locutore di appropriarsi dell’intera lingua designandosi come io.” L’io non si può identificare nell’individuo, quindi di conseguenza io designa il locutore in un discorso. Se il soggetto è semplicemente il locutore noi non raggiungeremo mai nel soggetto lo statuto originale dell’esperienza, “l’esperienza pura è, per così dire, ancora muta”. Un’esperienza originaria potrebbe essere ciò che è prima dell’uomo e poiché l’uomo diventa tale con il linguaggio scoprendosi ego, noi troveremo un’in-fanzia dell’uomo il cui limite è segnato appunto dal linguaggio. Infanzia e linguaggio sembrano rimandare l’uno all’altro in un circolo in cui l’infanzia è l’origine del linguaggio e il linguaggio l’origine dell’infanzia. Ed è qui che bisogna cercare il luogo dell’esperienza pura. Quando l’individuo cessa di essere infante, cioè muto, scopre il linguaggio e diventa uomo. Il linguaggio ha la peculiarità di essere storicizzante, poiché fonda la possibilità che ci sia un qualcosa come la storia. L’atto del diventare io è possibili attraverso il linguaggio. L’individuo fa esperienza nel momento in cui riesce a trascendere da se stesso e a diventare io (attraverso il linguaggio) , e subito dopo diventa uomo. L’esperienza è nell’attimo in cui da infante, da stato animale ad uomo, ad ente dotato di cultura. L’uomo diventa tale quando si crea la frattura fra lingua e linguaggio. Lingua e linguaggio sono nello stesso rapporto di significante e significato. Siamo infanti fino a che non utilizziamo il linguaggio. L’esperienza è l’istante della frattura,il passaggio tra lingua e linguaggio, la presa di coscienza dell’io. “Come infanzia dell’uomo, l’esperienza è la semplice differenza fra umano e linguistico.” I bambini appena nati, ci dicono i linguisti, sono in grado di emettere tutti i dittonghi delle varie lingue, quando scoprono il linguaggio selezionano i dittonghi che servono per una sola lingue e dimenticano tutti gli altri. L’infanzia è l’ineffabile. IL PAESE DEI BALOCCHI. Riflessioni sulla storia e sul gioco. I. Nel romanzo di Collodi quando Pinocchio arriva nel Paese dei Balocchi questo viene descritto come caratterizzato da continui giochi, divertimenti, allegria, schiamazzi, tanto da far passare ore, giorni e settimane in un baleno. Come spiega Lucignolo, ogni settimana era composta da sei giovedì e da una domenica, e le vacanze d’autunno iniziavano il primo gennaio e finivano l’ultimo di dicembre. E’ evidente qui un cambiamento e un’accelerazione del tempo, una paralisi o distruzione del calendario. Ad uno scopo opposto, cioè quello di scandire il tempo del calendario, erano finalizzati i riti di alcune società fredde (così chiamate da Lévi-Strauss) dove un “pandemonio” garantiva la stabilità del calendario. “I riti fissano le tappe del calendario, come le località quelle di un itinerario”(Lévi-Strauss). Al contrario il gioco altera e distrugge il calendario. Questa relazione inversa fra gioco e rito fa supporre che gioco e sacro 2
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