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Ai margini del medioevo, Montesano - riassunto specifico, Schemi e mappe concettuali di Storia Medievale

Riassunto specifico, capitolo per capitolo, del libro di Montesano, Ai margini del medioevo, necessario per superare l'esame di Storia Medievale della prof. Irene Bueno. Documento completo ed essenziale.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2023/2024

In vendita dal 15/01/2024

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Scarica Ai margini del medioevo, Montesano - riassunto specifico e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! AI MARGINI DEL MEDIOEVO – STORIA CULTURALE DELL’ALTERITÀ Introduzione Montesano vuole far luce sul margine del medioevo, sulla piega, ovvero sui processi di esclusione, di violenza, di tensione, celati dietro al risultato, all’enfasi del cosiddetto medioevo cristiano. Si inserisce cioè nel dibattitto sull’uniformità religiosa servendosi di Foucault. Capofila fu Jean Delumeau, autore della Paura in occidente (1978). L’eresia, in questo modo, diventa un dispositivo che richiede una storicizzazione più profonda di quanto non presenti la fonte scritta, richiede cioè la storicizzazione della fonte scritta in un contesto di potere, e per questo si può intendere come un caposaldo nella costruzione del nemico. La storia delle eresie dev’essere inserita nel contesto di legittimazione del potere verso l’anno mille. Potere ecclesiastico, papale, vescovile. Quella di eresia diventa un’accusa spendibile da più parti: contro poteri locali, contro comunità ribelli, contro papi. Quello che si nota a livello generale, è che nell’Europa del tardo Medioevo si verifica un processo di esclusione di elementi avvertiti come improduttivi (vagabondi, romanì) secondo i criteri della modernizzazione, del prevalere dei mercati, della costruzione degli Stati nazionali, ossia di quelle dinamiche che caratterizzeranno l’età successiva. «Il Quattrocento fa ancora in tempo a restare affascinato dalle merveilles dei romanì itineranti. CAPITOLO 1 – Pauperes e potentiores L’asse opposto da cui definire il tema della povertà, cioè una sua categoria, è la potestas. Se ci riferiamo al medioevo, la paupertas medievale si oppone al concetto di potentia, per cui pauper è meglio tradotto con indifeso. Ciò che appariva ai contemporanei dirimenti, era la capacità di esercitare una potestas, e la condizione di chi la subiva. In generale, la crisi del tardo-antico aveva in parte livellato gli stili di vita sotto il profilo economico. La società che ne usciva era segnata incertezze e da disordine. Dalla fine del III secolo, in Gallia si agitavano le rivolte dei bacaudade (i contadini di stirpe celtica). Contribuiva all’incertezza le espansioni germaniche, la crisi climatica del VI secolo; e soprattutto l’epidemia (la peste di giustiano). Uno dei principali mutamenti sociali del tempo riguardò la progressiva scomparsa della schiavitù classica: nei latifondi la manodopera schiavile agricola fu soppiantata dai coloni, giuridicamente vincolati al latifondista. Conseguenze della crisi: Nel V secolo si assiste a una forte ruralizzazione, parallela allo spopolamento delle città. Accanto a questo processo, si segnala l’abbandono di numerose terre agricole, soprattutto quelle demaniali, lasciate all’incolto. Quanto alla peste, si trattava della “peste di Giustiniano”, della Prima peste, che da Costantinopoli arrivò in Italia al seguito della guerra greco-gotica. Fu uno spartiacque demografico che contribuì alla ruralizzazione dell’italia. Sulla condizione contadina Fino all’ottavo secolo si registra un peggioramento delle condizioni di vita, insieme a un forte diradamento demografico, causato da pratiche agricole a bassissimo rendimento (non era ancora diffuso l’aratro pesante). Il livello qualitativo dell’alimentazione pro-capite peggiorò dal XI secolo, quando la ripresa demografica constrinse alla messa a cultura di nuovi campi, e alla riduzione di boschi e brughiere, quindi all’habitat della selvaggine, alle coltivazioni spontanee che costituivano parte dell’alimentazione contadino. Tuttavia, la ripresa demografica + la messa a cultura di nuove terre + l’economia circense, paradossalmente andò limitando per i ceti subalterni il libero uso della caccia e della pesca, sempre più restretto alla riserva signorile. In questo modo, l’alimentazione dei ceti dirigenti e quella dei ceti subalterni si andò da allora progressivamente distanziando, con l’affermazione dell’economia curtense. La curtis, la villa, era un centro di produzione e di residenza (dei servi e dei signori): servi che, pur mantenendosi giuridicamente liberi, erano sottomessi alla protezione dei signori. I paupers di questo secolo erano tutt’altro che marginali, costituivano la maggioranza dei ceti produttivi della società. Il X secolo Il X secolo segna una forte spinta alla differenziazione sociale, e genera per i ceti commerciali urbani speranze di mobilità sociale. Si assiste cioè a una complessificazione della vecchia dicotomia potentiores e pauperes. Nascono nuovi ceti: mercanti, banchieri, artigiani; il mestiere di milites subisce alcuni cambiamenti, gli sviluppi dell’attrezzatura militare mettono fine agli armamenti di massa. Si assiste a: - Ripresa demografica - Miglioramento climatico - “inurbamento” dei ceti servili Allo stesso tempo, si assiste a una “naturalizzazione morale” del povero, che diventa eticamente funzionale alle opere caritatevoli. La differenziazione sociale porta con sé uno sguardo nuovo sulla povertà, e la creazione di un sistema assistenziale. Montesano cita la testimonianza di un vescovo del VI secolo Cesario di Arles che parla dei poveri come della “medicina dei ricchi”, a significare l’importanza delle opere caritatevoli. Ora, già nell’Alto medioevo vigeva il sistema assistenziale delle matricole, una lista cittadina dei poveri bisognosi; dal XII secolo si istituzionalizzano progressivamente i sistemi assistenziali, con nuove modalità: gli ospedali e le confraternite. Queste, nel clima di frammentazione politica, si generalizzano. Offrivano aiuto e assistenza ai poveri, ai malati, o nei casi di debolezza sociale. La maggiore differenziazione sociale è lo sfondo su cui nascono e si diffondono i movimenti pauperistici. C’è un doppio legame tra l’importanza morale, tra il riconoscimento religioso dei valori assistenzialistici, promossi insieme alle opere assistenziali, e la loro funzione di deterrenza sociale (nel contesto della maggiore differenziazione tra poveri e ricchi). Rivolte, carestie, epidemie La crisi del Trecento fu segnata dal peggioramento climatico, dalla destabilizzazione socio-economica. “La cirisi demografica, cominciò con la fame prima ancora che con la peste”. Una causa strutturale della crisi fu probabilmente il disequilibrio tra la popolazione e la scarsa produzione. L’aumento demografico della popolazione dei secoli precedenti era stato essenzialmente dovuto all’espansione continua delle aree agricole da coltivare, ma senza implicare un miglioramento delle tecniche agrarie. Verso la fine del Duecento tutte le aree disponibili erano ormai dissodate: la prima causa fu quindi la saturazione, l’esaurimento dei nuovi terreni coltivabili. Gli effetti della crisi si manifestarono con il tracollo di alcune imprese famigliari fino ad allora dominanti, ma soprattutto pesò sui ceti inferiori. - L’alimentazione peggiorava - I salari si mantenevano bassi proprio per la crescente manodopera dovuta all’aumento demografico - Il primo e prolungato rialzo dei prezzi del 1315-1317 pesò sui ceti subalterni La crisi si manifestò sui ceti subalterni, già precari e denutriti, che dovettero soccombero al primo e prolungato rialzo dei prezzi. - Il raffreddamento del clima colpì innanzitutto il raccolto - Determinò la diffusione di malattie legate al freddo e all’umidità - Carestie, rincari dei prezzi - Questi portarono a una destabilizzazione socioeconomica subita con veemenza dai ceti più deboli Il primo sintomo della crisi fu la grande carestia del 1315-17, che colpì in maniera generica tutta l’Europa, in maniera inusitatamente ampia. Nel decennio 1340-1350 si verificò un’altra ondata di crisi, che lentamente aveva cominciato a manifestarsi con il ristagno della produzione e nello smercio di certi prodotti (tessili). Il prezzo dell’oro calava. Ma il tracollo più duro si ebbe con la pestilenza che dall’Asia arrivò in Europa nel 1347. Fu importata in Europa forse da navi genovesi. L’epidemia falciò il continente europeo a più riprese fino al 1350. Scomparve nel corso del 1350-51, continuò tuttavia a serpeggiare in uno stato endemico per tutto il continente. La popolazione europea non si riprese dal tracollo fino almeno al ‘700. Il decremento demografico fu concausato dalle guerre continentali, ed ebbe ripercussioni sulle campagne, che si spopolarono [vero è che nel breve periodo la riduzione della manodopera poté condurre ad un aumento dei salari, ma non ebbe un impatto di lunga durata]. Peste, guerra e crisi economica suscitarono molte rivolte, spesso i cui protagonisti erano persone appartenenti ai ceti produttivi colpiti. Tra il 1356 e il 1358 si fa strada la jacquerie nelle campagne. Istanze simili sono rivendicate dai ciompi di firenze (i protagonisti erano i salariati del tessile, cioè della lavorazione della lana). Ma ci furono istanze a carattere cristiano-popolare che andavano di pari passo con le rivendicazioni economiche, come la rivolta inglese di John Ball. Nel corso del tre e del quattrocento, la cronicizzazione di elementi improduttivi, di massi popolari indigente, conduce ai primi provvedimenti di espulsione. Con il Trecento l’amministrazione di ospedali e confraternite si fa più articolata. I lebbrosi rientrano nella schiera die paupers. Montesano analizza tra i confini della liceità, dell’ammissibilità della malattia tra carica religiosa-simbolico e determinanti sociali. i lebbrosi erano visti lascivi e lussuriosi. Le esigenze di ordine sociale si intrecciano a connotazioni morali della malattia. Eletto pontefice, il primo atto di Leone III fu quello di avvertire re Carlo, recapitandogli le chiavi di San Pietro. Il papa, di modeste origini, fu vittima di una congiura ordita da nobili famiglie romane. Sopravvisse all’attentato solo grazie all’intervento del duca di Spoleto, che era protetto dai missi dominici di Carlo Magno. Trascorse un mese a Pordeborn da Carlo, dove presumibilmente tennero accordi. Carlo decise per la protezione del papa, che fu allora scortato a roma e riabilitato. Il 24 novembre dell’800, Carlo Magno scenden in Italia, e decide, su suggerimento di Alcuino di York, ce nessun uomo terreno avrebbe potuto giudicare il papa. Per questo Leone fu prosciolto dalle accuse, tramite un giuramento che pronunciò, e il 23 fu completamente riabilitato. Il 25 dicembre si tenne l’incoronazione di Carlo Magno. Papa Leone gli pose sul capo una corono d’oro, e si prostrò ai piedi di Carlo in atto di adorazione. Per i Franchi, ciò significava l’assunzione di una autorità che i germani mai avrebbero potuto sperare. Rinasceva un impero carolingio-cristiano. La volontà di conquista politica si ammantava di una vocazione missionaria di conversione. Il confine dell’eresia si colloca quindi nei confini territoriali: i popoli confinanti erano restii a ogni genere di conversione e di missionarismo, perché si temeva che i missionari fossero i primi emissari dell’impero. L’esempio è quello dei Sassoni. Un insieme di genti germaniche che furono sottoposte a un genocidio con il nulla osta di Carlo Magno. Con l’istituzione dell’impero, la Cristianità trovava una nuova guida che si ergeva a garante dell’ortodossia e che ampliava i confini a danno dei pagani-germani. CAPITOLO 3 – dissidenze tra papato e impero All’alba del nuovo millennio, maturano contemporaneamente le istituzioni del papato e dell’impero. Dopo la crisi della dinastia carolingia, la corona imperiale passò in Germania. Dopo Carlo Magno, durante il X secolo i papi continuarono a incoronare gli imperatori: i pontefici salvaguardarono questa prerogativa. Al papa spettava incoronare gli imperatori, riconosciuto come il detentore e il dispensatore di diritto della dignità imperiale. All’origine di questa prerogativa stava un falso documentario, scritto dell’VIII secolo, il Constitutum Constantini. Secondo cui Costantino imperatore, partendo per Costantinopoli appena fondata, avrebbe ceduto al Papa la città di Roma con tutte le sue pertinenze. Nel 962 la corona imperiale fu assunta da un sassone, Ottone I. Da allora le sorti dell’impero e dei tre regni tedesco e italico e borognone, sarebbero state unite in un complesso di poteri sovrani, il sacro romano impero. Allo stesso tempo, il pontificato del X secolo aveva vissuto una grave crisi, cominciata nel IX secolo, quando nell’arco di 56 anni si erano succeduti una ventina di pontefici, molti dei quali periti di morte violenta. Le elezioni papali si svolgevano usualmente in un clima di disordini, con intromissioni da parte delle famiglie aristocratiche romane. Fu Ottone a fare in modo che il papato fosse sottoposto al controllo dell’impero, e con il privilegium othonis stabilì che ogni nuova elezione pontificia necessitasse da allora in poi della conferma imperiale. Gli imperatori germanici promossero una moralizzazione del papato. Avviarono una riqualificazione etica della chiesa. Ma in una parte del mondo ecclesiastico cresceva la preoccupazione per la libertas ecclesiae. Contro la chiesa mondana si erano già levate proteste, spesso incanalate nella formazioni di nuovi ordini religiosi (es: camandolesi). La riscossa di una Chiesa rinnovata dal suo interno giunse soprattutto dall’abbazia di Cluny, che si sottoposero direttamente al patronato pontificio. I monaci cluniacensi diedero tra l’altro impulso a movimenti laicali di grande respiro, come il pellegrinaggio a Santiago di Compostela. L’imperatore Enrico III, salito al trono nel 1046, si impegnò da subito a proseguire nella linea di condotta stabilita dai suoi predecessori in materia di intervento nella nomina dei vescovi, esigendo da loro un comportamento più consono al loro rango. Per questo il giudizio dell’imperatore Enrico III si incontrò con quello dei cristiani rigoristi che da tempo denunciavano la corruttibilità morale dei vescovi. Enrico III cominciò allora a nominare i vescovi non più dai ranghi della nobilità, ma anche dai monasteri e dai ceti emergenti contadini. Nel 1046 l’imperatore di Roma discese in Italia, e interferì nelle elezioni papali. Scese come moderatore e garante della città di Roma; e quindi responsabile della sicurezza delle elezioni: durante il sinodo di Sutri, depose tutti i tre candidati, e impose l’elezione del suo candidato, il vescovo di Bamberga – Clemente II. A Sutri, Enrico III non si era limitato ad esercitare il privilegio di Ottone. Dopo questo atto, il papato tentò di rendersi autonomo dalle ingerenze papali. Per paradosso, fu proprio Leone IX, nominato da Enrico, ad avviare una serie di distanziamenti dall’imperatore. Cominciò a contornarsi di collaboratori riformisti, e soprattutto cominciò a trovarsi dei nuovi alleati. Questi furono trovati nei normanni. Inizialmente visti come dei nemici (le truppe bizantine greche e quelle pontificie li avevano attaccati, ma fallendo nella battaglia di Civita del 1053), la situazione cambiò per ragioni strumentali. I normanni penetrati nell’italia meridionale avrebbero potuto sostituire la chiesa greca con quella latina. Occorreva però un pretesto per rompere con i Greci. Il pretesto del papato fu solo superficialmente dottrinario, ma essenzialmente politico: tra Roma e Bisanzio si accentuò una forte polemica su temi dottrinari e liturgici, che nascondeva la radice del conflitto: i riformatori romani sostenevano la dottrina del “primato di Pietro”, e quindi della sua egemonia sull’intera chiesa (sugli altri 4 patriarcati orientali). Nel 1054 la chiesa cristiano-cattolica si separa da quella ortodossa: Papa Leone IX scomunica il patriarca Michele I. [cerca: Umberto di Silvacandida, protagonista dello Scisma] [ragioni dottrinali: “filoque” – dal figlio; il credo nieceno; il pane azzimo] [ragioni politiche: alleanza del papa di Roma con Franchi e Normanni] Ciascuna delle due chiese, romana e bizantina, rivendicava essere “una, cattolica, apostolica”, custode dell’ortodossia cristiana. Quando venne eletto papa Niccolò II, questi dettò con il sinodo lateranensi del 1059 lo statuto della chiesa riformata: da allora in poi il papa sarebbe stato scelto da “cardinali”, nessun ecclesiastico avrebbe più potuto accettare cariche da un laico (imperatore compreso). Il celibato sarebbe stato strettamente obbligatorio. Il secondo di questi tre punti danneggiava l’imperatore. Ma l’attacco contro l’impero fu ripreso e perseguito da Gregorio VIII, O Ildebrando di Soana. Gregorio VII Si spese nell’affermare il potere ecclesiastico su quello laico. - Nel 1075 vietò a tutti i laici, pena la scomunica, di investire qualsiasi ecclesiastico. - Nello stesso anno emanò il dicatus papae, 27 proposizioni secondo cui il ponteficie aveva in terra potere assoluto ed era in grado di deporre i sovrani laici. - Scomunicò Enrico IV Dopo Gregorio, fu eletto Vittore III, Poi Urbano II. Urbano II si adoperò per rafforzare il potere dei vescovi. Furono il nuovo papa Callisto II ed Entico V a firmare nel 1122 il concordato di Worms (1122), con cui ebbe tregua la lotta per le investiture. - L’imperatore rinunciava al diritto di investire i vescovi, riconoscendo al pontefice questa prerogativa; - Il papa a sua volta riconosceva all’imperatore il diritto, in Germania, di essere presente alle elezioni episcopali Immediatamente dopo si tiene il I concilio lateranense (1123): si decreta la sottomissione dei monaci ai vescovi (di risposta al fermento provocato dalla spinta al rigorismo). Nel frattempo era nato un nuovo ordine, il monachesimo cistercense di Bernardo di Chiaravalle. Fondato in Borgogna, caratterizzato dalla povertà assoluta. A Milano si diffuse un movimento patarino guidato dal diacono Arialdo, e dal cavaliere Erlembaldo. I patarini milanesi furono immediatamente condannati dai concili. Volevano una chiesa di poveri e di uguali. Un altro caso di dissidenza interna riguardò, nel 1022, gli eretici di Orleans. Fa parte di quei casi di dissenso, tacciati di eresia, su cui si sta ancora dibattendo sulla loro reale (o presunta consistenza). Spesso si tratta di costruzioni inquisizionali della chiesa. Si dibatte sulla reale consistenza di questi movimenti catari. L’episodio è quello di Orleans. Furono mandati al rogo una decina di chierici, sotto il re di Francia Roberto II, nel 1022. Un concilio del 1017, provinciale, aveva condannato la dottrina manichea. Costoro erano accusati di manicheismo. I documenti successivi parlano di accuse di culto demoniaco, e di rituali infanticidio. Sugli eretici di Orleans è difficile dire qualcosa di preciso. Non si sa se si tratti effettivamento di manicheismo oppure di forme di dissenso generatori all’interno di questa come di altre comunità. Episodi simili si ripetono negli anni appena successivi. - Nel 1025 il vescovo Gerardo di Cambrai fa condannare al rogo alcuni eretici ad arras. - Altri furono bruciati a Monforte nel 1028. Questo episodio è stato collegato, al pari di quello di Orleans, a una precoce diffusione del catarismo. Anche gli eretici di Monforte sono stati spesso bollati d’uffici come appartenenti al manicheismo catari, ma a ben vedere, pare più probabilmente che la lettura delle Scritture avesse generato delle posizioni rigoriste sui temi quali castità e digiuno. Da questo momento, cioè in questo periodo di assestamento, si moltiplicano le denunce ai movimenti rigoristi ed eterodossi. È il caso del predicatore Pietro di Bruys – rifiuto della grazia sacramentale, rigetto delle preghiere, della transustanziazione (anche se verrà sancita nel 4 concilio lateranense del 1215). Vicende con pattern simile: un inizio all’interno della Chiesa, che si trasforma poi in una predicazione che viene percepita come dissidente, e dunque marginalizzata. - Un altro caso è quello di Arnaldo da Brescia. - Quello dei catari è il più celebre. Se ne ha testimonianza in una lettera scritta tra il 1143 e il 1144 a Bernardo da Chiaravalle. A Colonia si sarebbero mossi alcuni gruppi ereticali, si cui si sa poco: presenza di donne tra loro, distacco dalle istituzioni ecclesiastiche, praticavano il digiuno e l’astinenza. - Anche nel caso di Valdo di leone. Si tratta di un laico che, dopo l’ascolto della leggenda di sant’Alessio, visse un terremoto interiore tale da indurlo a commissionare la tradizione in volgare di alcuni passi della bibbia. Tra il 1170 e il 1175 raccolse un gruppo di seguaci. Al 3 concilio lateranense ottennero un riconsocimento. Tuttavia, furono colpiti da una condanna nel 1184, accusati di aver usurpato il ministero della predicazione senza diritto. Erano adittati non a eretici, ma a scismatici. CAPITOLO 4 – CONTROLLARE E REPRIMERE Il catarismo Con chiare suggestioni foucualtiane, la storiografia dell’eresia può adottare un approccio trascendentale dinamico. In questo modo, il focus si sposta non sulla fonte statica, sull’oggettivazione; ma sulla condizione di potere che ha reso possibile l’oggettivazione, e in questo modo spostare la storiografia sul movimento genealogico delle categorie conduce a problematizzare l’esistenza del catarismo. Si sa che fosse una tradizione proveniente da oriente, votata a pratiche ascetiche: rifiutavano il matrimonio e i sacramenti. Alcuni storici, tra cui Biget, Julien Thery, Mark Gregory Pegg, sostengono quindi che il catarismi fosse un insieme di movimenti autoctoni, etichettati come tali dalla chiesa istituzionale. Ma l’esistenza di una chiesa catara tra il XI e il XII secolo rimane controversa, soprattutto a partire al testo di Moore – The war on heresy. La disputa coinvolge anche l’interpretazione delle fonti, tra cui la Carta di Niquinta, la cui autenticità viene messa in dubbio. Nel 1200 è invece attestata la loro esistenza oggettiva. Compaiono due documenti importanti: - Il libro dei due princiipi, il più importante scritto cataro, composto in Lombardia; - Trattato cataro, redatto in latino sempre nel corso del Duecento. Ci sono poi testimonianze riguardo ai Rituali dei catari, tra cui il consolament (il battesimo spirituale). Alla luce di queste testimonianze, che mostrano chiaramente la presenza di un movimento dei catari, diventa difficile sposare integralmente la teoria decostruzionista. Bisogna tuttavia, in queste analisi storiche, non abbracciare acriticamente le fonti primarie del potere, cioè la documentazione ecclesiastica, degli estensori cattolici; né guardare con l’illusione retrospettiva i movimenti antecedenti al 1200 come prodromici di quelli successivi – condannati. Il termine “cataro” era d’altronde applicato dall’esterno – dalla chiesa – a una congerie di gruppi che tra loro si identificavano con il nome di boni christiani. C’erano caratteri di fondo: si condivideva un’ontologia manicheista di fondo, si negava il Vecchio testamento; Gesù era interpretato come un’eone, come un’emanazione del Signore. Conducevano una vita ascetica che stonava con il costume vizioso della chiesa, e per questo attirava proseliti. Si erano diffuse nelle terre provenzane, le terre ricche dei trovatori e dell’amor cortese. È difficile stimarne la diffusione, ma di certo non rappresentavano una minaccia reale per l’ordine costituito; la loro persecuzione fu essenziale solo per la ridefinizione della coesione della chiesa. D’altra parte, proprio il fatto che i prefetti catari si distinguevano per non essere tentati dalla materialità, per sfuggire a qualsiasi ruolo politico ed economico nelle aree in cui vivevano, ne favorì la tolleranza da parte dei comuni. I comuni tolleravano i catari, che nel corso del Duecento raggiunsero anche il centro Italia (Firenze, Orvieto). Nel 1179 papa Alessandro III convoca il III Concilio Lateranense. I catari sono anatemizzati. Si ordina la confisca dei beni degli eretici e la loro riduzione a schiavitù. In questi anni si organizza il primo nucleo dell’inquisizione, affidata inizialmente ai vescovi. Papa Lucio III promulgò nel 1184 la bolla ad abolendam, che stabiliva il principio secondo cui, anche in assenza di testimoni, si poteva essere accusati di eresia e subire un processo. In questo contesto, la garanzia dell’ordine è contesa tra il papato e l’impero. C’è una competizione su un terreno che entrambe le istituzioni sentivano come di propria competenza: la salvaguardia dell’ortodossia religiosa. Papa Urbano II, nel concilio di Clermont del 1095, fece appello alla nobilità francese per combattere i turchi a Costantinopoli. Questo appello incontrò una inaspettata mobilitazione popolare. La spedizione in oriente attirò le energie che furono incanalate verso le forme di dissidenza religiosa. Si crearono così spontaneamente schiere di pellegrini che presero a partire per oriente e che, lungo il percorso, compirono stragi dirette soprattutto contro le comunità ebraiche del Reno. L’accusa di infedeli colpì in eguale misura ebrei e musulmani. Quando nel 1099 viene conquistata Gerusalemme dai crociati, tutti i suoi abitanti, qualsiasi la fede, furono massacrati. Ma non c’è solo una componente ideologica: i massacri contro gli ebrei in europa furono in un certo senso ‘politici’, foraggiati dalle borghesie locali in competizione con i potenti vescovi delle città tedesche. Dopo il 1096 si intensificarono anche i provvedimenti di espulsione delle comunità ebraiche da intere regioni. - Nel 1182 Filippo II Augusto espulse gli ebrei dalla Francia; - Nel corso del 1200 anche dalla Bretagna; - Dall’Inghilterra. Probabilmente le ragioni di questo nuovo clima sociale si legano all’idea della guerra santa contro gli infedeli; dal 1200 gioca un ruolo anche la predicazione popolare dei domenicani e dei francescani; ed è da considerare anche la crescita di ceti urbani che praticavano attività mercantili, le quali vedevano di buon occhio l’espulsione delle attività ebraiche. Con il Quarto concilio lateraranense del 1215 venivano istituiti segni di riconoscimenti per ebrei e musulmani; ed era ribadita la proibizione delle unioni tra ebrei e cristiani. [un divieto che sta a significare che tali norme non erano state costantemente applicate, e che proprio dal continuo mescolamento si rendeva necessario un segno distintivo] La Spagna fu un caso a parte. Fino al 1200 la convivenza era stata tutto sommato pacifica, ma dal 1400 gli ebrei furono costretti a scegliere tra la conversione e l’esilio; lo stesso trattamento fu riservato ai musulmani [esplusione dei moriscos]. In maniera concomitante alla diffusione del concetto di limpieza de sangre, in base a cui i convertiti dall’ebraismo non erano considerati alla pari dei correligionari. Per quanto riguarda i pogrom subiti dagli ebrei, si può dividere la loro storia in rapporto alla presenza cristiana in 3 fasi: 1. quando una forma di convivenza sembrava ancora possibile, sebbene questa includesse forme di violenza momentanea o ritualizzata; 2. il peggioramento dei rapporti intercomunitari subito dopo la peste, e in maniera concomitante all’ultima fase della conquista della penisola, il crescere in Asia della potenza turca ottomana che rischiava di determinare il contraccolpo di una insurrezione dell’islam occidentale; 3. l'inizio di una stagione di conversioni spontanee o forzate, registrate a partire dal 1391, e sintomatiche del peggioramento della convivenza. Montesano prende la figura di Vincenzo Ferrer, il più importante predicatore spagnolo, come caso di studio. A lui si dive l’ispirazione di molte delle legislazioni anti-ebraiche dei primi anni del 1300. Particolare come caso, perché se in Italia e in Germania, nella seconda metà del 1300, le predicazioni insistono sul tema dell’usura (l’Osservanza francescana insiste sulle questioni economiche); in Ferrer ci sono invece motivazioni più apocalittiche, e meno sociali. A lui si attribuiscono le conversioni di ottomila musulmani e venticinquemila ebrei: questo dato deve tuttavia essere contestualizzato nel clima ordinanze profondamente restrittive. Nel 1411 il consiglio comunale di Murcia promulgava un’ordinanza sulla separazione di ebrei musulmani dai cristiani; poi approvata dal re castigliano, costringendo a proibire ogni commercio degli ebrei con i cristiani. Ciò significava, per le comunità ebraiche, essere destinate alla morte. Nutrici cristiane non poteva prestare servizio i case ebree, c’era la necessità di evitare rapporti sessuali tra membri delle diverse comunità. Agli ebrei, con Leggi di Ayllòn, veniva proibito l’esercizio di certi mestieri. Erano costretti nei loro quartieri, obbligati a indossare segni distintivi, ed era proibita loro la libera circolazione. A ciò si deve una nuova ondata di conversione, spesso di convenienza. Tuttavia, ai conversos, ai nuovi convertiti, erano riservate le ostilità dei cristiani. CAPITOLO 7: i romanì Furono uno degli ultimi gruppi etnolinguistici ad arrivare in Europa nel corso del Medioevo. Le misure di esclusione non iniziarono con il loro arrivo, ma si sistematizzarono dal 1400, quando la presenza Rom esercita una maggiore attenzione. La famiglia romanì ha diversi sottogruppi etnici: Rom dei balcani, Sinti della germania, Manus francesi, i Calòs spagnoli. È opinione condivisa che la loro origina sia da porsi nelle regioni settentrionali dell’India. Gli studi sulla loro origine, in mancanza di fonti, si affidano alle ricerche linguistiche. Dopo l’esodo dall’India, e durante la diaspora nell’Eurasia occidentale, questi popoli si sarebbero mescolati a gruppi non europei, e avrebbero stanziato nei Balcani per circa duecento anni (testimoniato dall’impatto del greco sulla lingua). Il loro arrivo in Europa è testimoniato dal nome che gli si impresse: atsinganoi, alle porte di Bisanzio. Ci sono testimonianze bizantine dalla seconda metà degli anni mille; la presenza degli zingari si lega a connotazioni magiche e divinatorie, attività circensi, eseguono giochi di equilibrismi. Il punto in comune fra gli eretici e i romanì sta nel fatto che entrambi vengono accusati di dedicarsi a pratiche di magia. Tutto fa pensare che i romanì si siano spostati da Bisanzio e le ragioni possono essere varia (ma è probabile che l’avanzata turca in Anatolia avesse dato il la), dato che non bisogna immaginare una migrazione di massa, ma piuttosto movimenti di gruppi sparsi più o meno numerosi. All'arrivo in Europa, il loro destino varia da zona a zona. Già dalle prime menzioni nelle fonti, i romanì sono servi o schiavi. La condizione schiavile era dura, ma almeno i proprietari non potevano disporre a loro piacimento della loro vita. Per loro, inoltre, c'erano leggi piuttosto generose riguardo ai furti, poiché la marginalità di questi faceva sì che dovessero ricorrervi spesso per ovviare allo stato di povertà. È solo questo inquadramento sociale a unificarli, per tutto il resto sono separati in molti modi. Interessante il caso dell’Ungheria: qui i romanì ottengono un lasciapassare dal re d’Ungheria Sigismondo, attraverso cui si sarebbero potuti muovere in Europa occidentale. Un lasciapassare che impone a tutte le citàà di accogliere e trattare umanamente questi migranti penitenti. In Italia, il loro arrivo è documentato in fonti bolognesi nel luglio del 1422. Era un gruppo di duecento persone, a cui il nomadismo aveva fatto del furto e della questa una necessità, e che due mesi dopo arrivarono a Lucca. Si trattava di gente che era protetta da privilegi imperiali imperiali e papali, i quali permettevano loro di vagabondare, senza pedaggi né gabelle. Ma si assistette anche a casi di integrazioni con i lavori o gli incarichi più vari: si citano i casi di proprietari terrieri, carpentieri navali. Soprattutto in Italia meridionale, nel corso del 1400. Nel sud si integrarono meglio; anche in attività militari sotto gli aragonesi. Anche la Spagna fu un caso interessante. In Spagna, la loro presenza segna fortemente la vita artistica e soprattutto musicale. Ma soprattutto, l’espulsione è concomitante a quella degli ebrei, cioè verso la fine del Quattrocento. Generalmente, i romanì si presentavano come pellegrini e penitenti, e in molte occasioni sono ricevuti con cortesia cavalleresca. Secondo quanto raccontavano, avrebbero portato con loro un lasciapassare di Sigismondo: sarebbero infatti tornati al paganesimo dopo essersi convertiti al paganesimo, per poi pentirsi, e dunque per questo avrebbero dovuto restare in esilio per sette anni. Fino, appunto, alla fine del quattrocento. Una ragione è il peso del concetto di limpieza de sangre. Viene imposto un ultimatum alla loro permanenza: o adeguarsi alla sedentarietà, o l’espulsione. Stessa decisione seguì Venezia. In generale, dal cinquecento in poi le misure diventeranno restrittive e persecutorie quasi ovunque in europa. Le documentazioni degli europei sui romanì sembrano già contrassegnate da una lettura retrospettiva, accentuando i costumi orientali e le attività circensi.
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