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Ai Margini del Medioevo - storia culturale dell'alterità, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto completo del libro diviso per capitoli e sezioni

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 04/03/2024

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Scarica Ai Margini del Medioevo - storia culturale dell'alterità e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! 1 AI MARGINI DEL MEDIOEVO – STORIA CULTURALE DELL’ALTERITÀ Lo storico del cristianesimo e dell’Età moderna Delumeau rifacendosi alla sociologia descrive la società, in un’epoca collocabile tra la peste del Trecento e i primi del Settecento, come pervasa da una sensazione di ansietà che porta a reazioni collettive dalle quali scaturiscono “nemici”: l’ebreo, il lebbroso, la strega, l’eretico. È l’ecclesia che ri arrocca all’interno delle sue difese contro un avversario che essa stessa ha creato. Moore riflette sugli studi sulle persecuzioni antiereticali che vedevano la causa delle persecuzioni nelle vittime stesse. Moore invita a spostare lo sguardo verso le istituzioni e la società nel suo complesso, elaborando l’idea che lo stesso atteggiamento si fosse prodotto nei confronti di altre minoranze (lebbrosi ed ebrei) che nell’XI secolo avrebbe fatto sorgere in Occidente una società persecutoria. Due testi che ci pongono di capire se è davvero esistita una società persecutoria e contro chi. Quando ci si avvicina alla fine del Medioevo e all’inizio dell’Età moderna si avverte un irrigidimento della società e delle autorità verso determinate categorie, ma allo stesso tempo registriamo un’accresciuta attenzione alla condizione dei poveri e dei malati. Bisogna capire cosa porta a definire i meccanismi di inclusione o esclusione e su quali basi scattano gli atteggiamenti persecutori. Si nota subito come l’omogeneità religiosa fosse centrale, il non cristiano o l’eretico erano visto come un pericolo per la Cristianità tanto da essere spersonalizzato. Il cavaliere di Cristo era visto come un malicida e difensore dei cristiani come dice Bernardo di Chiaravalle quando scrive “De laude novae militiae” per sostenere il futuro Ordine dei Templari da contrapporre alla milizia profana dedita alla violenza. L'uccisione estirpa il male, il non cristiano e l’eretico divengono sopra ogni cosa dei meri contenitori di quel male. Da quando il cristianesimo è divenuto religione di Stato le opinioni differenti rispetto a quelle assunte come ufficiali sono state passibili di gravi persecuzioni, sebbene nelle società altomedievali i regni romano-barbarici non si prestassero a rendere effettive le norme previste in materia. Dall'XI secolo il proliferarsi di una Chiesa e di un papato molto differenti rispetto al passato hanno rappresentato una svolta di immensa importanza, che ha avuto impatto anche sulla valutazione delle eresie. Nel Duecento si scatena la repressione più pesante, quella di eresia diviene un’accusa facilmente spendibile contro i nemici e si muta in un caposaldo nella costruzione del nemico (fino all’invenzione del sabba e delle streghe che darà tragici frutti in Età moderna). Alla fine di quest’epoca, fattori convergenti concorrono a creare un mondo nel quale lo spazio per la diversità di fede e di confessione viene eliminato (almeno in apparenza perché l’Europa è sulla soglia della sua più forte crisi religiosa). Il perché fra tutte le possibili forme di religiosità proprio quella religiosa subisca questa demonizzazione può trovare risposta in una qualche presunta natura del cristianesimo e dei monoteismi. Si tratta di religioni che si prestano a un’interpretazione monolitica che non lascia spazio alle genti di religioni diverse. L’Europa altomedievale era un insieme di società magmatiche, nelle quali si mescolavano elementi religiosi e dottrinali diverse: tradizioni precristiane, l’arianesimo, l’ebraismo, l’Islam... la novità della riforma della Chiesa e l’idea di crociata spingono la società europea in una direzione nuova, secondo una narrazione nella quale la Christianitas viene proposta quale principio di identificazione identitaria in un mondo nel quale gli elementi di omogeneità non sono molti. Alla Cristianità si accompagna una lingua (latino) altro fattore unificante. La nuova identità unificante è data dal cristianesimo e il non- conformismo diviene eresia. L’Europa di questi secoli ha visto la costruzione di poteri in cerca di legittimazione, sia ecclesiastici che laici, anche se il linguaggio in cui parlano è sovente religioso anche lì dove la posta in gioco è ben diversa. Quella di eresia diviene un’accusa spendibile in situazioni differenti, cosa da cui nasce la stregoneria. Il fatto che l’Europa del tardo Medioevo ci appaia come un mondo nel quale c’è minore spazio per l’alterità deriva anche dal processo di esclusione di elementi avvertiti come improduttivi. Un processo che culmina con l’Ottocento e la costruzione del sistema carcerario e manicomiale con la medicazione dell’alterità. La cultura europea costruisce la propria identità intorno ad alcuni capisaldi, fra i quali l’uniformità religiosa figura come essenziale. Intorno ai margini della società Pauperes: bisogna attribuire un senso alla parola “povero” perché di fatto la parola “pauperes” se riferita ai secoli dei quali parliamo, non si può tradurre immediatamente con “povertà”. Pauper è meglio tradotto come “indifeso”. Uno dei principali mutamenti sociali del tempo (che porterà ai pauperes) riguardò la progressiva scomparsa della schiavitù classica, in quanto nei latifondi la manodopera agricola schiavistica fu soppiantata da quella dei coloni. Una figura già conosciuta ma con uno statuto giuridico migliore rispetto che in passato. Il colono perse ad esser sempre più legato alla terra che lavorava, prestava opere obbligatorie e gratuite e dipendeva giuridicamente dal latifondista. Nell’Alto Medioevo si sviluppò una piccola proprietà contadina perché alcune terre furono abbandonate dallo Stato e venivano acquistate dai latifondisti o colonizzate dai contadini liberi, mentre altre tornavano ad essere paludi o boschi (una risorsa nel sistema economico altomedievale). Il calo demografico non fece che approfondire processi già in atto, cosa aggravata da peste e pestilenza. La condizione contadina: un generale diradamento della popolazione dovuto al peggiorare delle condizioni di vita si registra fino all’VIII secolo circa. Terreni un tempo arati e poi abbandonati tornavano all’incolto. Il bosco, la foresta e la palude divennero gli elementi dominanti del paesaggio dell’Europa altomedievale. Ciò che conosciamo della pratica agricola in queste aree rinvia a un impiego assai ridotto del suolo dal quale non provenivano risorse alimentari sufficienti. Il bassissimo rendimento rese l’incidenza dei prodotti cerealicoli sussidiaria rispetto all’allevamento brado nei boschi, il bosco e l’incolto divennero riserve di primaria importanza alla sopravvivenza. I contadini in questo periodo erano anche pastori, cacciatori, allevatori, pescatori, raccoglitori di frutti spontanei. Sulla loro mensa comparivano cibi variati e non necessariamente scarsi. Nell’XI secolo ci fu una ripresa demografica continentale che favorì e rese necessaria la messa a coltura di nuovi campi. Calò però il livello medio pro-capite sia quantitativo che qualitativo. I nuovi campi erano sottratti al bosco e alla brughiera, si riduceva l’habitat di selvaggina, pesci d’acqua dolce, frutti spontanea. Questo a vantaggio di pane provo di poteri nutritivi. Il feudalesimo andò limitando per i ceti subalterni il libero uso della caccia e della pesca, sempre più 2 ristretto ora alla riserva signorile. L'alimentazione dei ceti dirigenti e quella dei ceti subalterni si andò da allora progressivamente distanziando. L'incremento delle rendite per i grandi proprietari si ebbe durante l’età dell’economia curtense. La villa o curtis era un grande centro di residenza e di produzione, al tempo stesso fattoria, laboratorio e azienda agraria residenza del dominus e dei suoi servi, contadini che mantenevano il loro status teoricamente libero ma che si affidavano alla sua protezione. I contadini potevano essere liberi, semi-liberi o servi. La schiavitù sarà maggiormente diffusa nei secoli tardomedievali, crescendo con l’aumento dei traffici commerciali mediterranei. Lo stile di vita condiviso faceva sì che queste figure tendessero ad assomigliarsi molto anche perché, crescendo l’insicurezza, i contadini liberi che preferivano assoggettarsi volontariamente a un signore in cambio di sicurezza aumentarono. Ciò crea una società fatta di pauperes e potentiores. L’Occidente si era impoverito rispetto a ciò che era stato durante l’Età imperiale, quella romana era stata una civiltà contadina ma la sua economia si reggeva sul regime schiavistico. La fine di questo aveva fatalmente ristretto il ruolo dei centri urbani, abbandonati anche per la crescente insicurezza. Nelle città italiche e quelle della Gallia meridionale non si registrò un completo declino. Esse si reggevano sul governo del consiglio di funzionari detti decurioni che decidevano in merito a una molteplicità di questioni. L'accantonamento di grandi fortune permise il formarsi di piccole clientele costituite da quegli indigenti che avevano basato il loro sostentamento sull’evergetismo pubblico. I più fortunati tra i membri del live llo medio dell’amministrazione detti curiali, riuscivano a entrare nel senato che dal V secolo allentò le maglie del reclutamento basandolo più sul censo che sull’origine socio etnica. Attorno alle vecchie famiglie senatorie si formavano più ampie clientele, costituite da indigenti e bisognosi ma anche chiunque avesse necessità di ricorrere a un senatore per intervenire presso un funzionario o ottenere qualche privilegio. I dipendenti dal sistema curtense o da altre forme di organizzazione, i pauperes di questi secoli erano tutto tranne che marginali, costituivano la maggioranza dei ceti produttivi della società. Povertà medicina dei ricchi: il progresso delle tecniche fu accompagnato anche da un miglioramento climatico. Fin dal IX secolo ha inizio un incremento demografico e un aumento dei componenti della famiglia contadina grazie a raccolti più abbondanti, la fine delle carestie e la diminuzione delle malattie e l’innalzamento della vita media. Ci si trovò dinanzi a un quadro del rapporto fra le diverse parti della società assai cambiato che intensificò l’inurbamento dei ceti servili che giocarono un ruolo nella rinascita del mondo urbano e le sue attività professionali. Ma rispetto al mondo germanico la condizione di liberi si era complicata. Dall'Età carolingia ogni contadino libero era potenzialmente un guerriero, le esigenze del combattimento però si ingarbugliarono con l’utilizzo del cavallo ed equipaggiamenti più costosi. Ci fu il disarmo di massa e iniziò il dominio dell’arte militare da parte dei milites, costosi specialisti. Nelle città si andavano affermando anche nuovi ceti di mercanti, banchieri, artigiani che presto cominciarono ad acquisire una coscienza del proprio status. L'arricchimento e la diversificazione dell’economia portarono anche a un’articolazione nuova e più complessa della società, nella quale la vecchia polarizzazione fra potentiores e pauperes trovava continue ridefinizioni. Crebbe una differenziazione sociale di natura puramente economica ma anche uno sguardo nuovo sulla povertà e la creazione di un sistema assistenziale. Se la morale cristiana richiamava alla pratica della carità verso il prossimo per alleviarne le sofferenze, dall’altra non invitava però a sovvertire l’ordine sociale mutando la condizione dei poveri. Nel XII e XIII secolo si assisterà a un’organizzazione nuova delle opere caritatevoli, già nell’Alto Medioevo si conoscono disposizioni sia da parte della Chiesa che del potere politico come la matricula, una lista dei poveri bisognosi di assistenza in cambio della quale prestavano alcuni servizi durante le cerimonie religiose. Il sistema monastico conosceva zenodochia e hospitalia per poveri e pellegrini. I concili della Chiesa ricordano anche gli obblighi di accoglienza dei pauperes e in epoca carolingia ci fu la condanna dei soprusi commessi dai potentiores nei confronti dei deboli. Ci fu anche la richiesta a vescovi e abati di accogliere i poveri affamati o la proibizione ai baroni di acquistare beni dai pauperes condannando il prestito a interesse che gravava su coloro costretti a ricorrere all’usura per sopravvivere. Dal XII secolo sorsero ospedali e confraternite, opere assistenziali che cominciavano a segnare i l tessuto urbano in modo generalizzato. L'esperienza di san Francesco creò un nuovo concetto di carità cristiana solidale con i pauperes al punto da abbracciarne la condizione, ma non invitava a mutarne la condizione. Mirava ad alleviarne le sofferenze, anche se l’esser poveri per scelta e nascere in quella condizione era differente. I secoli XI-XIII erano stati tra i più felici della storia europea con l’incremento della popolazione. La nuova situazione economica portava a una maggior differenziazione tra poveri e ricchi più evidente che in passato poiché si viveva in spazi ristretti. L'abbandono dei bambini era una piaga molto diffusa che prendeva forme differenti. Nei secoli centrali del Medioevo si lasciavano presso istituzioni religiose o famiglie che potevano permettersi di allevarli, sebbene in una situazione del tutto simile a quella schiavile. Nel tardo Medioevo sorsero istituti assistenziali che in teoria avrebbero dovuto migliorarne le sorti, ma le condizioni mediche e igieniche rendevano elevata la mortalità. Rivolte, carestie, epidemie: l’accrescersi delle differenze sociali poteva scatenare rivendicazioni sociali che arrivavano fino alla violenza. Queste potevano riguardare il governo delle città, come nel caso delle sollevazioni antimagnatizie che avevano per protagonisti i centri produttivi non poveri. Vi erano poi rivendicazioni di tipo economico come quelle contro le tasse o le paghe troppo basse. La crisi demografica del Trecento si è manifestata attraverso la fame prima della peste, si ritiene quindi che la sua causa stia per prima cosa in un rapporto sfavorevole tra l’aumento della popolazione e quello della produzione. Il primo sintomo delle difficoltà che minacciavano l’Europa è rappresentato dalla grande carestia del 1315-1317 quando annate consecutive di cattivi raccolti fecero lievitare i prezzi ed espose alla fame i ceti meno protetti. Questa epidemia non colpì un solo luogo come le altre, si caratterizzò per la sua ampiezza e la maggior parte d’Europa si trovò contemporaneamente in difficoltà. Venne meno la possibilità di approvvigionarsi grazie ad altri paesi, come era invece accaduto in passato. A questa grande carestia seguì un’altra ondata di carestie e anche nelle città si avvertirono i segni della crisi. Ciò si manifestava col ristagno della produzione e nello smercio di certi prodotti (come quelli tessili) e nello stallo dei rapporti fra la grande moneta d’oro e le monete d’argento e di metallo con cui si pagavano i salari. Crebbe costantemente il valore dell’oro, dato che ci consente di determinare la buona salute dei traffici internazionali. Una serie di grossi prestit i 5 tradimento era nei confronti della suprema autorità civile. Si trattava di un presupposto gravido di conseguenze per il giudizio su eresia e maleficia in quanto rendeva possibile che la figura dell’imperatore fosse colpita a distanza e senza possibilità di difesa. In ambito cristiano il supremo fons iuris era considerato Dio e l’eresia era come tradimento della maestà divina. Ci fu divieto delle interpretazioni differenti, ormai giudicate ereticali, ovvero non conformi alle decisioni dei concili. Negli anni successivi, specie in Oriente, torme di fanatici cristiani si accanirono nella distruzione degli antichi luoghi di culto e assaltarono persino coloro che si professavano ancora pagani. Il fenomeno fu avvalorato anche dalla pratica del reimpiego, anche se le autorità civili lo mediarono sempre. Rispetto al mondo bizantino e a quello africano le aree europee rimaste nella parte occidentale rimasero comunque piuttosto estranee alle grandi dispute teologiche sorte intorno al monofisismo e al donatismo. Solo a cavallo del IV e V secolo emerse una controversia intorno alle dottrine di un colto monaco irlandese che respingeva il concetto del peccato originale come vincolo per la natura umana (sembrava compromettere il principio del libero arbitrio). L'apparato persecutorio che si era creato a cavallo tra IV e V secolo fu sfruttato con particolare efficacia dall’imperatore Giustiniano che si dedicò alla repressione delle ultime manifestazioni di paganesimo. Puntava a estirparlo radicalmente con la pena di morte per gli apostati o chi rifiutava il battesimo. Nel 529 chiuse definitivamente la Scuola filosofica di Atene anche se l’insegnamento continuò ad Alessandria. Alcuni filosofi neoplatonici trovarono rifugio presso l’imperatore persiano. Soltanto la grande rivolta di Nika pose fine momentaneamente alle persecuzioni. Nel 542 il monaco Giovanni cominciò a condurre campagne di evangelizzazione in Asia e a Bisanzio ripresero le persecuzioni antipagane fino ad arrivare al falò di libri e oggetti pagani e la distruzione di numerosi templi. Giustiniano fece anche imprigionare il vescovo di Roma, Virgilio, poiché si rifiutava di legittimare l’editto dei Tre Capitoli e unirsi nella condanna di alcune opere su cui ricadeva il sospetto di nestorianesimo. Giustiniano fu spietato verso i gruppi considerati da tempo come eretici. Il pontefix occidentale: all’imperatore più che allo stesso clero spettava la tutela dell’ortodossia cristiana. A Occidente però, l’orizzonte politico e religioso era completamente differente rispetto a quello orientale. Cominciò la costruzione d i un’autocoscienza del papato come guida della Cristianità ma anche la concorrenza tra potere imperiale e papale. Papa Leone Magno aveva assunto per sé e i suoi successori il titolo di pontifex maximus abbandonato dagli imperatori. Nella parte occidentale gran parte dell’autorità imperiale passò progressivamente alla personalità/funzione considerata la più prestigiosa della città di Roma, il capo della Chiesa patriarcale che in Roma aveva il suo centro metropolitano. Con Clodoveo e la conversione sua e del suo popolo anche le popolazioni romano-barbariche iniziarono ad abbracciare il rito e la disciplina della Chiesa romana. La Chiesa di Roma cominciò a raccogliere e mantenere in Occidente l’eredità imperiale, a lei Dio aveva affidato la sicurezza della Chiesa. L'impulso definitivo alla conversione era giunto da papa Gregorio Magno. Essendo venute meno nella parte occidentale autorità e istituzioni imperiali, le gerarchie sacerdotali della Chiesa si trovarono a tutelare direttamente e da sole l’ortodossia assumendo uffici e funzioni di tipo civile, politico, e militare. Anche le istituzioni laicali non potevano disinteressarsi del problema delle eresie, Isidoro di Siviglia teorizzò che spettava ai principi far osservare con la forza della legge quelle verità di fede che i sacerdoti insegnavano con la parola. Gli eretici rischiavano ora l’esilio, la prigione, la confisca dei beni, la privazione dei diritti civili e la pena capitale. Però una persecuzione antiereticale in Occidente non ci fu perché mancavano i presupposti. Il nuovo impero e i pagani: l’incoronazione di Carlo Magno a Natale dell’800 crea un Europa un potere nuovo, a lui passava il compito di vegliare sull’ortodossia della cristianità occidentale e di espanderne i confini. Il papato in quel periodo aveva come obiettivo la creazione di un Patrimonium Sancti Petri ovvero un territorio libero da poteri temporali. Carlo Magno sapeva bene che i papi si erano voluti scrollare di dosso il dominio bizantino e avevano poi chiamato i Franchi a difenderli contro i Longobardi proprio per questo. Ma comunque le due parti avevano entrambe da guadagnare. Nel 795 salì al soglio pontificio papa Leone III, un pontefice controverso la cui elezione suscitò il malcontento. Egli fu successivamente assalito e fatto prigioniero, riuscì ad evadere e raggiunse Carlo. Una fazione di aristocratici romani inviò ambasciatori per accusare il papa di varie colpe, tra cui quella di lascivia e spergiuro. Carlo Magno scelse di reintegrarlo per un accorto calcolo politico (il papa gli sarebbe stato debitore). Dopo un anno di trattative diplomatiche, Carlo fece il suo ingresso trionfale a Roma nel 24 novembre dell’800. Il papa doveva discolparsi tramite una dichiarazione giurata in cui negava di aver commesso le colpe imputategli, un’umiliazione a cui si dovette prestare. Giurando la propria innocenza ottenne la piena reintegrazione. Quando fu celebrata la messa a Natale nella basilica di San Pietro, il papa pose sulla testa di Carlo Magno una corona d’oro e si prostrò ai suoi piedi in atto di adorazione. Quel gesto restaurava in Occidente un impero nato direttamente cristiano e latino, sotto la protezione del vescovo di Roma. Carlo Magno e i suoi successori non avevano eretici da combattere ma avevano pagani ai confini dell’impero, avviarono così una campagna di cristianizzazione. La storia dei Sassoni è esemplare, Carlo Magno impose loro la conversione con un’azione militare ai limiti del genocidio. I pochi sassoni superstiti si convertirono. Carlo Magno, nella sua nuova veste di imperatore, si ergeva a guida e difensore del cristianesimo imponendo con forza la nuova fede. Dissidenze Il papato e l’impero, la Chiesa e i laici: all’alba del nuovo millennio, diverse novità nella società europea portano a una maturazione delle due istituzioni (papato e impero). Dopo l’incoronazione di Carlo Magno, anche nell’ambito di quella che era stata la pars Occidentis dell’impero era comparsa di nuovo un’autorità imperiale che era sentita come universale e superiore a quella dei re d’origine barbarica. Ecco perché i papi continuarono ad attribuire la corona imperiale. Era al papa che spettava incoronare gli imperatori, il papa era il detentore e dispensatore dir diritto della dignità imperiale. All'origine di tale prerogativa stava il falso documento “Donazione di Costantino” secondo il quale l’imperatore aveva donato al papa la città di Roma 6 cedendogli anche l’uso delle insegne imperiali. Nel 962 la corona imperiale finì nelle mani del principe sassone Ottone I, da allora in poi le sorti dell’impero e dei tre regni tedesco, italico e borgognone sarebbero state unite. Tale complesso di poteri sovrani è quel che noi conosciamo come Sacro Romano Impero della nazione tedesca. Sacro e Romano in quanto considerato in eredità di quell’impero romano che (nella testa dei contemporanei) non era mai caduto ma aveva visto le sue istituzioni deteriorarsi ne lla pars Occidentis mentre era rimasto vitale nella pars Orientis. Il pontificato del X secolo aveva vissuto una grave crisi, in 65 anni si erano succeduti 20 pontefici. Le elezioni papali erano nelle mani di famiglie aristocratiche di Roma che insediavano al soglio pontificio i propri rampolli. Con l’incoronazione ricevuta a San Pietro nel 962, Ottone I voleva fare in modo che il papato fosse sottoposto al controllo dell’impero. Con il privilegium Othonis ogni nuova elezione pontificia necessitava della conferma imperiale. Iniziò anche l’opera di moralizzazione del papato che ottenne l’effetto di far maturare in seno a una parte del clero una nuova autocoscienza del ruolo della Chiesa. Tuttavia, in una parte inizialmente minoritaria del mondo ecclesiastico cresceva la preoccupazione per il problema della libertas ecclesiae intesa come libera sia dai condizionamenti dei ceti dirigenti laici che dalle preoccupazioni e abitudini mondane. Contro la Chiesa mondana si erano già levate voci di protesta incanalate nella fondazione di nuovi ordini religiosi come quello dei camaldolesi. La riscossa di una Chiesa rinnovata dal suo interno giunse soprattutto dall’abbazia di Cluny, fondata nel 910 da Guglielmo duca di Aquitania seguendo la regola benedettina. La ricca abbazia intendeva costituirsi a modello d’indipendenza dai poteri temporali per questo il duca rinunziò al patronato su di essa affidandola a quello della sede pontificia. Divenne così un modello e si trovò a capo di una vera e propria congregazione. Ciò le procurò però anche parecchi avversarsi come l’imperatore Enrico III. Enrico III si impegnò da subito a proseguire nella linea di condotta stabilita dai suoi predecessori in materia di intervento nella nomina dei vescovi esigendo da loro un comportamento più consono al loro rango. Il severo giudizio dell’imperatore si incontrò con tutti i cristiani rigoristi. L'imperatore cominciò a scegliere i vescovi non più dai ranghi della nobiltà ma anche dai monasteri e dai ceti emergenti cittadini. Doveva porsi anche il problema del papato, così scese in Italia nel 1046 per cingere la corona imperiale come voleva la tradizione inaugurata da Carlo Magno. Ma nello stesso tempo si pose come patricius romanorum, moderatore e garante della città di Roma e quindi responsabile della sicurezza dell’elezione del suo vescovo. Depose tre cand idati in favore di Clemente II, inaugurando una serie di papi tedeschi. A quel punto però, il programma di riforma imperiale non era più ben accetto ai rigoristi perché Enrico III non si era limitato ad esercitare il vecchio privilegium Othonis ma aveva direttamente indicato il suo candidato. Quando fece salire al soglio pontificio Leone IX, questi riprese l’elezione canonica e cominciò a contornarsi di collaboratori noti per la loro ferma volontà di giungere a una vera riforma della Chiesa. Iniziò a cercare nuovi alleati che trovò nel governo bizantino in sud Italia che stava lottando contro i Normanni, ora visti come nemici anche dal papa. Il papa fu fatto da loro prigioniero, ma i normanni lo usarono per ottenere la legittimazione alla conquista dell’Italia meridionale ponendosi come vassalli del papa (cosa che tornerà al papato utile in futuro). Ma ora serviva al papa una scusa per voltare le spalle a Bisanzio, fortuna volle che in quel tempo fosse patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario, avverso ai latini tanto da criticarne riti e credenze. Cominciò una fitta polemica su temi dogmatici finché i riformatori romani elaborarono la dottrina del primato di Pietro ovvero il primato del vescovo di Roma sulle altre sedi patriarcali, quindi la sua egemonia sull’intera Chiesa. Si arrivò alla reciproca scomunica tra papa e patriarca andando incontro allo scisma d’Oriente del 1054, mai ricomposto. Enrico III comprese che la situazione gli stava sfuggendo di mano ma morì solo due anni dopo, lasciando un figlio bambino sotto la reggenza della moglie. Di questo vuoto di potere si approfittarono i riformatori. Il papa cominciò ad essere scelto dal collegio dei cardinali, preti e diaconi dell’Urbe e di vescovi delle diocesi suburbicarie. Da allora nessun ecclesiastico poteva accettare cariche da un laico e fu imposto il celibato al clero, un celibato caro al movimento dei patarini inizialmente alleati dei riformatori. Salì poi al soglio pontificio il papa cluniacense Gregorio VII che comprese che era giunto il momento di portare a fondo l’attacco contro l’impero. Nel 1075 vietò a tutti i laici d’investire un ecclesiastico, pena la scomunica. Formulò le sue teorie di superiorità del papa nei Dictatus papae elaborando la sua concezione secondo la quale il pontefice aveva in terra potere assoluto ed era in grado di deporre gli stessi sovrani laici. Un accordo necessario: iniziò la lotta per le investiture tra Gregorio VII ed Enrico IV dalla quale le due istituzioni uscirono profondamente cambiate. Il papato aveva ormai imposto il suo dominio sulla vita ecclesiastica, i vescovi erano ormai strumenti del papato. Gregorio VII aveva usato lo strumento della scomunica sull’imperatore e il pontificato si intromise pesantemente nella vita politica. Alla morte di Gregorio VII e l’abdicazione di Enrico IV, si doveva trovare un accordo tra le esigenze della riforma e quelle della continuità di vita della Chiesa. Salì al soglio pontificio Urbano II che rafforzò il potere dei vescovi e tentò di trovare un nemico comune bandendo la prima “crociata” (allora pellegrinaggio armato) nel 1095. Nel 1122 con il concordato di Worms ai vescovi fu riconosciuta la duplice funzione, spirituale e temporale. La loro elezione sarebbe avvenuta in ogni diocesi sotto l’esclusivo controllo del clero e del popolo tranne in Germania dove presenziava l’imperatore. Nel 1123 si tenne a Roma il Pr imo concilio lateranense, il primo della Chiesa occidentale. Furono ribadite le linee di fondo della nuova concezione di una Chiesa gerarchicamente organizzata sotto la guida del papa e fu stabilito il primato della Chiesa di Roma sulle altre Chiese. Durante gli anni della lotta contro l’impero erano nati nuovi ordini monastici come i camaldolesi o i certosini che fecero riscoprire agli occidentali l’eremitismo. Il coinvolgimento del mondo monastico a favore della riforma aveva condotto gli stessi monaci a sviluppare un’azione pastorale che li aveva portati al di fuori dei monasteri, tra questi Pier Damiani. Nel concilio lateranense si decretò che i monaci dovessero essere sottoposti ai propri vescovi. Nacque anche il nuovo ordine cistercense seguace della povertà assoluta. Le decisioni conciliari e la nascita di questi nuovi movimenti risolvevano il problema del rapporto tra clero e laicato; tuttavia, mancava ancora una riforma della cura animarum. Si rese necessario uno sforzo verso la predicazione pubblica. I laici reclamavano un proprio ruolo all’interno dell’ecclesia e i prodomi di questa richiesta si erano già manifestati nella seconda metà dell’XI secolo con la formazione a Milano del movimento della pataria. Essi rifiutavano di considerare valida la consacrazione 7 eucaristica fatta da preti simoniaci, così furono condannati dai concili ecclesiastici nonostante inizialmente i patarini e riformatori furono alleati. I riformatori erano sostenuti dall’abbazia di Cluny, partigiana di una rigorosa riforma morale delle abitudini del clero. Lo scopo dei riformatori era dare vita a una Chiesa guidata e gestita dall’alto clero. Riformatori ed ecclesiastici e patarini si sostennero a lungo finché i patarini si resero conto che la loro Chiesa dei poveri non sarebbe mai stata fondata. Il papato recuperò le vecchie gerarchie contro le quali si era combattuto. 1022, gli eretici di Orléans: nei primi decenni dell’XI secolo si registrarono anche dissidenze all’interno della Chiesa stessa. In Francia, ad Orléans, si vide l’incriminazione e la condanna al rogo di un gruppo di chierici di alto livello perseguitati come eretici . Nel 1017 un concilio provinciale aveva condannato la dottrina manichea e si pensava che questi colti canonici fossero manicheisti. Se si trattasse davvero di un’adesione al manicheismo è difficile da dirsi. Secondo i manichei il Cristo non era nato dalla Vergine Maria, non era statu ucciso e posto nel sepolcro, non era risorto. Essi non credevano alla funzione salvifica del battesimo o dell’eucarestia, pensavano che il culto dei santi non valesse nulla. Furono anche accusati di praticare un rito singolare che coinvolgeva atti di cannibalismo e la presenza del diavolo. Questo rito sicuramente non corrisponde ad alcuna realtà, ma inaugurò una tradizione destinata ad avere grande successo fino ad arrivare alla stregoneria. Polemiche del genere erano prima di allora state attestate nelle contese fra cristiani e pagani e i diversi filoni del cristianesimo. La figura del demonio aveva acquisito una centralità maggiore rispetto al passato, nonché una spendibilità politica. L'accusa dell’omaggio al demonio andava ad arricch ire il bagaglio polemico. Non è errato pensare che nel caso degli eretici d’Orléans non si trattasse di manicheismo ma forme di dissenso generatesi all’interno di questa (come altre) comunità liquidate con la repressione e la scorciatoia di attribuir loro un’etichetta immediatamente riconoscibile. Fu su iniziativa di chierici e laici provenienti da territori al di fuori di Orléans che la vicenda ebbe inizio. Arefat era un cavaliere zio materno del duca Riccardo II di Normandia, il quale ascoltò il discorso pronunciato da un ecclesiastico del suo entourage che si era recato a Orléans presso un gruppo di dotti chierici che lo avevano abbagliato. L'ecclesiastico voleva convincere il suo signore della qualità della riflessione dei canonici ma Arefat pensò fosse stato ingannato. Riferì al duca di Normandia che a sua volta si rivolse al re. La città di Orléans era in una posizione particolare molto importante e si voleva esercitare su di essa un controllo. Venne organizzato un sinodo per risolvere la questione e i canonici furono condannati. Si narra di una pressione dal popolo per aggredire gli accusati ma probabilmente questo fu convinto dagli ecclesiastici. I chierici dissidenti finivano per screditare l’intermediazione delle gerarchie ecclesiastiche, dal papa ai vescovi. Battesimo, eucarestia, culto dei santi erano strumenti essenziali nel rapporto tra la Chiesa e i fedeli. I chierici minavano la Chiesa in quanto istituzione in un momento cruciale per la nascita della riforma. L'indispensabile mediazione del clero nell’accesso alle Scritture garantivano che la Chiesa fosse mediatrice essenziale tra Dio e il popolo dei laici. Contestata dai canonici di Orléans, tale mediazione si rendeva potenzialmente inutile. Nell'episodio di Orléans si verificano una serie di condizioni importanti in tutta la storia dei movimenti eterodossi a partire dall’XI secolo: intrecci politici fra laici ed ecclesiastici, accuse standardizzate contro i dissidenti e l’esito tragico e plateale. Da Monforte a Roma, la dissidenza perseguitata: altri episodi simili a quello d’Orléans si verificarono negli anni appena successivi come quello di Monforte, anch’esso collegato a una precoce diffusione del catarismo. Nel 1028 l’arcivescovo di Milano venne a sapere che nel castello di Monforte vivevano alcuni eretici. Li chiamò a colloquio e tra i rappresentanti emerse un certo Gerardo che rimase saldo nelle sue posizioni. L'arcivescovo fece dare l’assalto al castello e trascinò i prigionieri a Milano dove furono condannati al rogo perché rifiutavano l’abiura. Questi negavano la realtà dell’incarnazione e della passione di Cristo in base a una sorta di interpretazione allegorica della Trinità, nella quale Gesù rappresentava l’anima degli esseri umani amati da Dio e lo Spirito Santo era la capacità di intendere la scienza divina. L'intermediazione ecclesiastica era esclusa dal credo. Anche gli eretici di Monforte sono spesso stati iscritti al manicheismo cataro, probabilmente la lettura delle Scritture aveva generato posizioni rigoriste su temi come castità, digiuno, interpretazione della Trinità e ruolo del clero. Anche in questo caso la repressione si verificò in un accordo tra laici ed ecclesiastici. A partire da questi primi casi le denunce di movimenti eterodossi di moltiplicarono, soprattutto in concomitanza o subito dopo la riforma. Ci fu anche il caso di Pietro di Bruys con i suoi cinque punti sui quali si discostava dagli insegnamenti eterodossi: il rifiuto del battesimo ai bambini, la svalutazione dei luoghi di preghiera istituzionali, il rifiuto della croce, rifiuto della grazia sacramentale e il rigetto delle preghiere ed elemosine per i morti. Anche lui finì sul rogo ma dopo un ventennio di predicazione itinerante che gli fece guadagnare svariati seguaci. Tra i suoi discepoli ci fu Enrico di Losanna, predicatore inizialmente apprezzato sia dal clero che dal popolo. Quando il popolo cominciò a mostrare atteggiamenti ostili nei confronti del clero locale, di ciò fu incolpato Enrico. Il vescovo lo cacciò dalla città ma poi Enrico continuò la sua opera di predicazione. Fu arrestato e abiurò, ma poi continuò a predicare e venne di nuovo arrestato. Dopo il secondo arresto di lui si perdono le tracce. Queste vicende sembrano seguire un pattern simile: un inizio all’interno della Chiesa che si trasforma in predicazione che viene percepita come dissidente e quindi marginalizzata e perseguita. Da segnalare anche il caso di Arnaldo da Brescia, canonico la cui predicazione aveva causato non pochi problemi al vescovo. Arnaldo andò in Francia dove fu alla guida di un gruppo di studenti poveri. Tornò in Italia dove fu accolto a Roma come penitente, ma avviò una campagna di predicazione moralizzatrice su linee patarinico-evangeliche che incontrò i favori dei cives romani e del senato in guerra col papato. Fra la predicazione di Arnaldo e le politiche filo repubblicane del senato forse non c’erano molti elementi in comune, ma comune era il nemico (il papa). In quel periodo il papa Eugenio III incrociò i suoi interessi con Federico Barbarossa che stava impostando le linee generale della sua azione di governo. A Costanza prese i necessari accordi col pontefice e alcuni signori e comuni lombardi. Scese in Italia verso Roma, ma a Roncaglia ci fu una dieta nella quale alcuni comuni si 10 • La crociata: era sempre più strumento nelle mani dei pontefici che necessitavano però dei laici per metterla in atto. • Lo strumento inquisitoriale: senza il potere esecutivo dei laici non avrebbe avuto alcuna efficacia. Il papato iniziò a servirsi della crociata come un’arma da volgere contro i suoi nemici politici per questo dovette legittimare e chiarire i fondamenti e i caratteri specifici della santa impresa. Per l’intero XII secolo valse la norma che una crociata potesse venir bandita solo dal pontefice, come fu quella contro i catari. Per i pagani l’ignoranza della Verità non era una colpa mentre gl i eretici si erano allontanati volontariamente dalla Chiesa; quindi, andavano puniti e costretti a rientrare nei ranghi che avevano abbandonato. Si ammetteva anche la predicazione della croce contro gli eretici e chiunque li proteggesse. Nel Sud della Francia, dopo l’uccisione del legato pontificio Pietro, ci fu il patto tra Innocenzo III e il re di Francia. Si organizzò un esercito che investì e saccheggiò la città di Béziers sterminandone gli abitanti. La città fu ceduta a un signore feudale che era stato a capo dell’armata, la posta del conflitto non era più dunque solo la repressione dell’eresia ma anche le ricche province meridionali. La crociata presentava innumerevoli vantaggi per quanti vi aderivano e rendeva difficile l’opposizione. Il papa si sforzò sia di regolare il carattere delle sanzioni che si sarebbero dovute adottare contro gli eretici che le pretese dei capi della crociata. Duecento catari furono bruciati vive col proseguire della crociata e si aprì un lungo periodo di persecuzione e di terrore che portarono alla cancellazione della chiesa catara. Lo strumento della crociata si era rivelato essenziale per eliminare l’eresia dal Sud della Francia, così come sarebbe stato usato poi contro gli avversari del papato. Fu usata anche contro i contadini liberi chiamati Stedinger, che a causa delle troppe tasse avevano dato via a una rivolta. Furono dichiarati eretici perché incendiarono monasteri e chiese. Gregorio IX concesse l’indulgenza plenaria a tutti coloro che avessero preso la croce e combattuto contro di loro, la cosa finì con numerosi massacri (anche di donne e bambini). In quell’occasione si assistette alla trasformazione di una protesta su temi economici in una questione ereticale, con la crociata a chiudere i conti con i ribelli. L’Inquisizione: nel frattempo si andavano mettendo a punto altri strumenti per contrastare l’eresia. Gregorio IX aveva avviato la sistematica repressione dell’eresia avocandone la guida alla Santa Sede con gli “Statuti della Santa Sede”, i quali prescrivevano la confisca dei beni degli eretici e una forte ammenda per qualsiasi favoreggiatore. È da questi documenti che il termine inquisitor assume il valore di “inquisitore” nel senso che siamo abituati ad attribuirgli. Questi statuti furono tiepidamente accolti dai vescovi che vedevano ridotte le proprie prerogative ed erano preoccupati che la persecuzione degli eretici desse adito a una serie di alibi per vendette politiche o personali. Gregorio IX reagì conferendo nuova autorevolezza all’Ordine dei Predicatori che si occuparono della repressione e della riforma della Chiesa. I vescovi erano obbligati ad appoggiarli senza riserve. Ai Predicatori si aggiunsero i membri dell’Ordine dei Minori. L'attività di ricerca degli eretici doveva andar di passo con una sistematica predicazione in grado di contestare l’insegnamento eterodosso e l’influenza dei buoni cristiani sulle popolazioni. I vescovi accolsero con malumore le decisioni papali, spesso si rifiutarono di accogliere gli inquisitori e denunciarono i loro eccessi. La sede romana aggirò l’ostacolo appoggiandosi di più alle autorità laiche, interessate a loro volta a lucrare sulle confische dei beni e accusare i propri nemici politici. La condanna degli eretici spettava alla Chiesa, ai laici l’esecuzione materiale delle condanne. Tuttavia, i laici riuscivano ad esercitare pressioni dirette o indirette subordinando i tribunali ecclesiastici alle autorità civili. L'Inquisizione si diffuse si s’insediò in tutta l’Europa cristiana, gli inquisitori agivano su segnalazione. L'accusato doveva comparire davanti al tribunale e non poteva avere avvocati. Bastavano due testimonianze giudicate fondate per far formulare una condanna anche senza la confessione dell’imputato, il quale non era messo a contatto con i testimoni ma era solo informato delle deposizioni. Tuttavia, si preferiva sempre la confessione ottenibile anche con la tortura, la quale però veniva raramente menzionata nei verbali. La sentenza si pronunciava durante una seduta solenne dotata di un forte valore simbolico. Venivano condannati a morte i rei impenitenti che si rifiutavano di abiurare e coloro che ritrattavano una confessione. La Chiesa in tal caso consegnava il reo al braccio secolare. In Italia la lotta politica si intrecciò spesso con quella antiereticale, il partito ghibellino si oppose spesso agli inquisitori. Nuove sette Commercio col demonio: nel Duecento inizia a diventare sempre più presente la narrazione dell’orgia con la presenza del demonio, la quale si ritrova in ambienti differenti. Certamente si diffuse anche grazie alla predicazione. Nel 1258 Alessandro IV esprimeva un parere negativo sull’inclusione delle forme di magia nelle ricerche degli inquisitori a meno che gli atti non potessero essere tacciati di eresia. È probabile che gli inquisitori si trovassero davanti a pratiche eterodosse nelle quali pensiero ereticale e pratiche magiche non erano facilmente distinguibili. Una svolta si ebbe negli anni Venti del Trecento con la bolla “Super illius specula” di Giovanni XXII nella quale stigmatizzava coloro che stipulano un patto con l’inferno e per questo immo lano ai demoni e li adorano, fabbricando oggetti atti a compiere malefici. Essi sono equiparati agli eretici e al pari di questi sottoposti all’azione degli inquisitori e passibili di condanna al rogo. Fino alla fine del XIII secolo la teologia non aveva mostrato particolare interesse per l’azione dei demoni, al di là di alcune riflessioni sulla caduta di Satana e il problema del male. La situazione mutò intorno al 1270 quando apparvero i grandi trattati della scolastica, all’interno dei quali i poteri dei demoni e i loro rapporti con gli esseri umani sono ampiamente presi in considerazione. Nell'arco di questi decenni si ha un mutamento nel ruolo accordato al diavolo nella teologia e nella società. Tuttavia, ancora al tempo della Super illius specula la mossa del pontefice poteva sembrare azzardata: tradizionalmente, l’accusa di eresia riguardava la sfera dell’interpretazione dottrinale, non quella dell’azione; l’assimilazione del maleficio all’eresia comportava un netto cambiamento nella definizione di quest’ultima così le concezioni considerate eretiche non avevano bisogno di essere esposte ma si deducevano dai comportamenti. Chi compiva malefici con l’aiuto del diavolo era eretico perché implicitamente contraddiceva la dottrina della Chiesa che proibiva di cercare quell’aiuto. È probabile che Giovanni XUU nutrisse preoccupazioni anche personali nei confronti delle possibilità del maleficio; infatti, aveva già 11 subito un attentato che però fu scoperto. Il successore proseguì sulla stessa linea mostrando grande attenzione alle diverse forme di maleficio e di commercio con i demoni. Si cominciò anche a parlare dell’utilizzo di elementi liturgici con finalità magiche, un tratto tipico del tempo. Il confine tra superstizione e pratiche ereticali era sottile, il discrimine passava attraverso l’evocazione dei demoni. Un altro momento fondamentale si ebbe nel 1398 quando la Facoltà di Teologia di Parigi pronunciò una condanna delle arti magiche in 28 articoli. Il commercio con i demoni aveva ovviamente un ruolo di primo piano mentre mancavano ancora accenni alla stregoneria. Il parere dei teologi apparve anche svalutativo nei confronti dei poteri che il patto col diavolo avrebbe conferito. Filippo il Bello e Bonifacio VIII: l’ampliamento dell’ambito dell’eresia fino a coinvolgere le pratiche demonolatriche uscì ben presto dal solo dominio ecclesiastico per essere abbracciato dai poteri laici. Ci furono celebri processi come quello contro Bonifacio VIII grazie al re di Francia Filippo il Bello, deciso a combattere la presenza politica ed economica della Chiesa nel suo regno con l’appoggio dei propri funzionari che avevano elaborato per lui una serie di tesi politiche regalistiche. Secondo queste il re non riconosceva nessun altro sopra di sé, era imperatore del suo regno. In tal modo rompeva definitivamente con la tradizione che voleva la cristianità riunita in un solo corpo sociopolitico da cui si originerà lo stato assoluto. Egli aveva ottenuto l’approvazione di un disegno fiscale che comprendeva la tassazione del clero, alcuni vescovi vi si opposero in nome della libertas ecclesiae. Tra questi vi era Saisset che fu arrestato e accusato di aver diffuso false profezie, cercato di organizzare una congiura, aver insultato il re dandogli del bastardo... accuse alle quali si aggiunsero quelle di eresia. Papa Bonifacio VIII rispose con la bolla “Unam sanctam” del 1302 che fondava una vera e propria teoria generale del diritto dei pontefici a porre il loro primato su qualunque potere della terra. Al pontefice romano, in quanto vicario di Cristo in terra, spettavano le due spade (spirituale e temporale, la seconda la affidava ai sovrani del mondo). In passato i papi avevano disposto di una forza politica e contrattuale concreta mentre Bonifacio VIII si trovava isolato e accusato di essere corrotto e assetato di potere. Il re di Francia convocò un’assemblea nella quale Bonifacio fu dichiarato scismatico, eretico e simoniaco. Il principale consigliere del re fu inviato in Italia per catturarlo contando sull’aiuto della famiglia romana nemica del papa, i Colonna. Questi lo umiliarono e catturarono ad Anagni, luogo però fedele al pontefice. Anagni insorse e Bonifacio fu liberato e tornò a Roma dove però morì. Filippo il Bello fece imbastire un processo per eresia contro il suo avversario defunto per dimostrare il proprio zelo contro un papa eretico. Qui testimoniò uno dei Colonna, il quale disse che al papa piaceva molto udire auguri come “Dio ti conceda lunga e buona vita”. Ma “augurio” significava in questo caso “pratiche magiche”. Il papa stregone: si diceva che Bonifacio VIII avesse favorito gli eretici dando loro consigli, aiuti e denaro. Aveva ostacolato il lavoro degli inquisitori facendone pure incarcerare alcuni lasciando che anche uno di questi morisse in cella. Aveva sostenuto la superiorità dei dogmi musulmani rispetto a quelli cristiani e negò pubblicamente i principali dogmi della religione cristiana (cosa assai improbabile). Fra le accuse, numerose riguardano il ricorso alla magia demoniaca equiparata all’eresia. I demoni che agivano presso il pontefice erano tre e gli obbedivano tramite anelli magici. In effetti, Bonifacio aveva una collezione di strani anelli. Era anche accusato di aver compiuto evocazioni, rituali e di possedere un idolo nefasto al cui interno era rinchiuso uno spirito diabolico. Si faceva riferimento anche ai suoi medici, uno dei quali lo aveva guarito dai calcoli renali tramite un sigillo astrologico. All'epoca il limite fra medicina e magia naturale era labile mentre le pratiche negromantiche delle quali era accusato appartenevano a un ambito differente. Infine, vi erano accuse circa la sua condotta sessuale. Il processo terminò con un nulla di fatto, anche perché nel frattempo si era aperto un altro caso che fece lavorare insieme il re di Francia e il papa. Il processo contro i Templari. Templari e cavalieri di San Lazzaro a processo: alla fine del Duecento la crescente cattiva fama degli ordini militari e del Tempio era cresciuta. Il loro compito era difendere la Terrasanta ma la sua caduta in mano agli infedeli costituiva una denuncia del loro fallimento e la loro inutilità. Non si capiva perché dovessero continuare a mantenere tante ricchezze dato che non servivano più in Palestina e apparivano dei parassiti. Pochi erano ormai in Europa i frati che erano anche milites. I Templari furono gli ultimi difensori della piazzaforte di Acri, estremo baluardo crociato in Oltremare. Il casus belli fu l’opposizione del maestro dei Templari a un prestito di 400.000 fiorini d’oro che il tesoriere del Tempio di Parigi aveva concesso al re di Francia, cosa che portò al processo. Questo si originò con le confessioni di un templare pentito che rivelò infiltrazioni ereticali nell’ordine. Il re di Francia iniziò una campagna di arresti motivati da accuse di blasfemia e oscenità. Secondo l’accusa i Templari rinnegavano Cristo, praticavano atti osceni verso la croce, adoravano gli idoli, rifiutavano i sacramenti, erano sodomiti, si arricchivano indebitamente, adoravano i gatti, baciavano sull’ombelico o sull’ano il maestro all’entrata nell’ordine. Le accuse furono riconosciute come vere anche se erano deboli e ricalcavano quelle mosse tra XI e XII secolo contro gli eretici fatte proprie dal re di Francia anche contro Bonifacio VIII. Tuttavia, le accuse sulla condotta sessuale e i riti di iniziazione non sarebbero da escludere. Queste confessioni arrivarono solo in Francia, paese in cui fu praticata la tortura. Le motivazioni di Filippo il Bello potevano essere diverse: • Natura economica: doveva denaro al Tempio e così sperava che una volta eliminato l’ordine queste finissero nelle casse della corona. • Ridurre la Chiesa di Francia sotto il suo controllo: eliminando le forze fedeli al papa, come i Templari. • Misticismo del sovrano: realmente convinto delle voci sui Templari. Il pontefice comprese che l’ordine era finito e lo sciolse, la cosa finì nel 1312 con il rogo dell’ultimo maestro. Successivamente ci furono altri processi simili come quello ai lebbrosi accusati di aver avvelenato i pozzi in Aquitania e di aver pianificato un attacco generalizzato alla Cristianità. Il complotto fu letto come un attacco alla maestà del re, la notizia si sparse e cominciarono tumulti e linciaggi. Il confinamento dei lebbrosi sembrò quasi una misura per proteggerli portandoli all’interno dei lazzaretti. Il complotto 12 sarebbe stato patrocinato dai Cavalieri di San Lazzaro ma anche l’emiro di Granada e il sultano di Baghdad (peccato che in quel periodo lì non ci fosse alcun sultano). Probabilmente, la caduta di Acri aveva fomentato l’odio per l’Islam. L'azione contro i lebbrosi serviva a colpire l’Ordine di San Lazzaro. Tuttavia, venne concesso loro il perdono probabilmente perché il re si rese conto dell’errore o ormai la repressione aveva sortito l’effetto desiderato ed era dunque inutile insistere. La nascita del sabba: nel corso del Trecento il campo dell’eresia si era esteso oltre i limiti originari, finendo per comprendere anche casi nuovi come quelli che coinvolgevano la magia e la demonolatria. Diviene difficile capire chi potesse sentirsi al sicuro da accuse di eresia e maleficio dato che l’accusa era uno strumento che si prestava bene a regolare conti politici, ma che finiva per raggiungere una pervasività sociale tale da renderlo facilmente spendibile in molti contesti. È in questo modo che vediamo nascere l’idea del sabba, una riunione di una setta di adoratori del demonio, organizzata così come si rappresentavano i vecchi eretici. La nuova setta riuniva streghe e stregoni. Durante il concilio di Basilea del 1431-1449 si risolsero molte questioni che attanagliavano la Cristianità, tra queste si verificarono i prodromi della caccia alle streghe. Diversi teorici della stregoneria presero parte al consiglio e tramite diverse opere scritte mostrarono una chiara equiparazione tra eresia e il volo magico, una delle pratiche più comunemente associate alla stregoneria. Secondo gli scritti, gruppi di streghe si riunivano intorno a uno spirito malefico per i loro riti che prevedevano infanticidio e cannibalismo. I membri delle sette erano colpevoli del crimine di lesa maestà. Gli appartenenti a queste sette venivano spesso chiamati catari e valdesi. Si arrivò ai primi casi di caccia a streghe e stregoni con molte condanne alla pena capitale. Un'altra caratteristica mostrata da questi testi è il probabile legame con l’antigiudaismo dilagante nella regione, un riferimento alla sinagoga luogo nel quale streghe e stregoni si incontravano col diavolo. Lo stesso nome “sabba” sarebbe un riferimento alla demonizzazione degli ebrei e il sabato ebraico, un nome che emerge sempre dal concilio. Il nome potrebbe anche avere un rapporto con i gruppi ereticali, i Poveri di Lione “Waudenses” a volte chiamati anche sabatati. Abbiamo quindi un uso chiaramente politico dell’accusa di connivenza con la setta stregonica. Nell'Italia centro-settentrionale si diffusero precocemente idee in materia di stregoneria con i predicatori francescani dell’Osservanza, gli inquisitori francescani e quelli domenicani. Tra questi in prima linea Bernardino da Siena che apportò e usò l’elemento dell’orgia rituale. Nelle opere di Bernardino il riferimento a fenomeni che possiamo definire “stregonici” è piuttosto frequente. La predicazione degli Osservanti francescani produsse in Italia numerosi interventi sugli statuti cittadini e lo svolgimento dei primi processi per stregoneria sul modello romano. Nel 1486 fu scritto il Martello delle Streghe che non apportò alcuna novità assoluta rispetto a quanto si era visto, ma fu il primo manuale inquisitoriale interamente dedicato al solo fenomeno delle streghe. Il libro dettagliò come si presenta e come dev’essere individuato e combattuto, si focalizza l’attenzione sulla stregoneria al femminile. Sulla scia del Martello vennero scritti numerosi altri trattati tesi a definire i caratteri comuni del fenomeno. Agli inquisitori occorreva conoscere la stregoneria poiché rientrava tra le loro competenze in quanto forma di eresia e apostasia. Quello delle streghe fu descritto come un fenomeno moderno (150 anni), cosa importante poiché traccia una cesura rispetto allo scetticismo espresso da molti in passato circa i reali poteri delle streghe. Non mancavano le opinioni critiche a proposito di queste posizioni; tuttavia, l’adesione al teorema della totale realtà dei poteri stregoneschi avrebbe guadagnato progressivamente terreno. La ricerca di questa nuova setta ereticale necessitava di inquisitori in grado di occuparsene, ma all’alba dell’Età moderna le autorità civili non erano quasi mai ben disposte ad accogliere inquisitori nominati dai pontefici. Da qui la creazione di apparati persecutori su basi statali. Liminalità religiose Gli ebrei nella cristianità: insieme con l’accrescersi dell’interesse verso l’eterodossia religiosa, abbiamo visto comparire riferimenti al ruolo degli ebrei accanto ai lebbrosi nell’avvelenamento dei pozzi o nei testi che denunciano le nuove sette di streghe e stregoni. In Europa le minoranze religiose avevano poco spazio anche se agli ebrei era consentito vivere fra i cristiani, ma con uno statuto e condizioni particolari. Già Costantino aveva previsto la pena di morte per ogni contaminazione fra un ebreo e una donna cristiana ma anche tutta una serie di norme che confluirono nel Codice teodosiano, con cui però l’ebraismo restava religio licita. Le discussioni sul ruolo degli ebrei in quella che era diventata la cristianità erano frequenti ma l’atteggiamento sposato a lungo dalla Chiesa sarà quello proposto da sant’Agostino: lo scopo dei cristiani dev’essere la conversione non forzata degli ebrei, ogni violenza nei loro confronti va esclusa perché Dio ne ha scelto la condizione (la diaspora) per testimoniare l’annuncio della venuta di Cristo. Gli ebrei vivevano in un limbo giuridico, da una parte come soggetti economici, giuridici, istituzionali erano a pieno titolo cittadini dell’impero; come gruppo risaltava invece la loro marginalità rispetto alla comunità cristiana. La condizione degli ebrei però fu quasi ovunque stabile tranne nella Spagna visigota dove, dalla conversione di Recaredo, si ebbe un peggioramento della loro condizione. Nulla di troppo diverso da ciò che già prevedeva il Codice teodosiano, anche se solo un secolo più avanti i sovrani applicarono normative molto più severe. La Chiesa si dichiarava contraria alle conversioni forzate ma una volta che queste erano avvenute impediva il ritorno alla religione originaria. In questo periodo la situazione delle comunità non era delle migliori; infatti, non stupisce che la conquista islamica del 711 fu ben accetta se non favorita. Nell'Europa carolingia gli ebrei non erano legati in modo particolare alle attività creditizie, erano per lo più mercanti o liberi allodolieri. La letteratura ecclesiastica non era però priva di toni accusatori. Nell'Italia carolingia gli ebrei erano autorizzati a commerciare schiavi, rivestire ruoli amministrativi, avere manodopera cristiana e risolvere le questioni giuridiche intracomunitarie anche se pagavano tasse più elevate rispetto ai cristiani. Nel corso dei secoli altomedievali individui e comunità ebraiche erano parte integrante del sistema economico e sociale euro-occidentale. 15 Il mito e le origini: la storia dei romanì presenta difficoltà analoghe a quelle di altre minoranze in Europa più alcune specifiche. L'odio per i romanì in Europa non nasce col loro arrivo, nel corso del Quattrocento le reazioni davanti al loro arrivo furono varie e diversificate. Alla fine del secolo cominciarono misure di esclusione divenute la norma nel Cinquecento. Il bando di Venezia aprì la strada agli altri. La costruzione dello stereotipo negativo che resterà incollato ai romanì sarà accompagnata da un interesse crescente, soprattutto in campo artistico. Il termine “romanì” si riferisce alla loro lingua, un termine che si adotta per sopperire alla mancanza di un nome collettivo. In Europa, all’interno della famiglia romanì, troviamo differenze linguistiche profonde e diverse comunità: • Rom • Sinti • Manouches • Kale • Romanicel • Lur La loro origine è da porsi nelle regioni settentrionali dell’India, da dove migrarono verso la Persia e poi ancora in Occidente e nel Vicino Oriente. Alcuni ricercatori pensano che tutti i gruppi della famiglia romanì non siano di origine indoaria, è indubbio che vi siano stati incroci fra diversi gruppi di nomadi. Probabilmente c’erano comunità con stili di vita simili che hanno dato orig ine a incroci e prestiti fra gruppi che originariamente non avevano nulla in comune. La lingua romanì ci dice che la zona di origine è il Nord dell’India o almeno con quell’area esistono le maggiori somiglianze linguistiche. Poco possiamo dire sulle ragioni della loro diaspora, si trattava probabilmente di nomadi che furono costretti a stabilizzarsi. Gli atsinganoi a Bisanzio e nel Mediterraneo: Bisanzio offre le prime notizie storiche e attendibili sui romanì. È qui che essi ricevono il nome più comune ovvero atsinganoi che deriva da athinganoi, col quale era indicata una setta cristiana eterodossa con caratteri monarchiani e giudaizzanti (considerano Dio uno e non trino, osservano il sabato e praticano la circoncisione). Dopo il IX secolo le fonti cessano di parlarne; il punto in comune fra gli eretici e i romanì sta nel fatto che entrambi vengono accusati di dedicarsi a pratiche di magia. I romanì praticavano attività quasi nella totalità legate all’ambito magico, in genera a carattere divinatorio ma anche quello del gioco circense. Fra gli euro-occidentali le prime descrizioni dei romanì appartengono ai diari dei pellegrini nel Vicino Oriente mediterraneo. Da queste fonti sappiamo che si dedicavano anche ad attività di artigianato e che addirittura nel 1380 sotto il dominio veneziano a Corfù c’era un feudo dove abitava una comunità romanì notevole e organizzata, in rapporti istituzionali con i dominanti e le altre comunità. Per essere registrati con una certa frequenza dalla metà del Trecento, probabilmente si erano spostati da Bisanzio nel corso del secolo precedente. Le ragioni possono essere molteplici e non uguali a tutti i gruppi: il vagabondare connaturato alle loro attività, l’avanzata turca, l’arrivo della peste. La leggenda dei pellegrini penitenti: le prime informazioni attendibili nei paesi dell’Europa sud-orientale e centrale risalgono alla fine del XIV secolo. All’arrivo in Europa dei romanì il loro destino cambia di zona in zona. In alcune fonti ci viene detto che furono servi-schiavi in zone come Dubrovnik, Zagabria e Lubiana dove c’era un elevato numero di zingari che si inserirono nel sistema della schiavitù, allora molto diffuso. Lo fecero diventando quasi gli unici schiavi del paese tanto che il termine “zingaro” divenne sinonimo di “schiavo”. La condizione schiavile era dura ma meno di quella degli schiavi di altre parti del mondo poiché i proprietari non potevano disporre a piacimento della vita dello schiavo. Qualsiasi libero che avesse ucciso uno schiavo era passibile di morte. Le leggi erano piuttosto generose anche in rapporto ai furti, la marginalità di queste comunità faceva sì che dovessero ricorrervi per ovviare al loro stato di povertà quindi in qualche caso erano perdonati. Fra l’epoca dell’arrivo e la prima Età moderna appare evidente che è solo l’inquadramento sociale schiavile a unificare i romanì, i quali potevano essere sia sedentari che nomadi. Alcuni erano nomadi anche se schiavi in quanto non legati alla terra ma al padrone. Essi svolgevano anche mansioni differenti. Altrove i romanì ebbero anche una sorte diversa, come in Polonia o nei paesi dell’Europa occidentale dove si arrivò a bandirl i. In Ungheria ebbero diritti di cittadinanza, cosa che ci fa escludere che i romanì arrivati lì fossero schiavi fuggiti. In alcuni casi divennero notabili o alti ufficiali. In quei tempi l’immagine dei romanì non corrisponde affatto a quella che conosciamo dai documenti del XVIII e XIX secolo, sono tutt’altro che semplici vagabondi, senzatetto, ladri o musicanti. Ciò ci fa capire che la migrazione fu di famiglie senza problemi di integrazione con il resto della popolazione. I romanì potrebbero aver raggiunto l’Ungheria già nel Trecento. In rapporto all’Ungheria, la storia dei romanì è importante per il legame con Sigismondo, re d’Ungheria dal 1387, re dei Romani dal 1411 e imperatore del Sacro Romano Impero dal 1433 incoronato da papa Eugenio IV. Egli lasciò diversi lasciapassare e alcuni romanì gli chiesero una lettera di protezione, che gli fu concessa. I romanì ne ricevettero un’altra in Slovacchia con cui si mossero in Germania e poi altrove. Questi salvacondotti gli servivano a muoversi nell’Europa occidentale. Il loro pellegrinare è giustificato da una leggenda che si incrocia con la realtà. I romanì portavano con loro un lasciapassare di Sigismondo, che imponeva a tutte le città, villaggi e castelli di accoglierli e trattarli umanamente poiché erano migranti penitenti. Essi erano tornati al paganesimo dopo essersi convertiti al cristianesimo per poi pentirsi; dunque, dovevano stare in esilio per sette anni per scontare la loro pena. In questo modo ottennero permessi da papi e imperatori. Fatto sta, che ultimati i sette anni questa storia verrà riproposta continuamente anche se con elementi diversi (i turchi li costrinsero a convertirsi ma poi tornarono al cristianesimo e il papa li condannò a pellegrinare sette anni). I sette anni di pellegrinaggio potrebbero rinviare alla narrazione biblica, il pellegrinare di Caino. 16 1422, una compagnia di romanì attraversa l’Italia: l’Europa conobbe i romanì come gruppi itineranti, in Italia le prime menzioni sono datate al 1422. L'arrivo è attestato da tre fonti diverse che si riferiscono allo stesso numeroso gruppo. Questi attraversarono Bologna e si diressero poi a Roma dal papa. Nelle fonti vengono descritti come selvatici, brutti, ladri e si dice che venissero dall’India. Alcuni, per evitare furti, li accoglievano con donativi. Altre fonti parlano di un gruppo più modesto che aveva con sé privilegi imperiali e papali che gli permettevano di vagabondare senza pedaggi o gabelle, anche questi rubavano. Nel frattempo, dovevano essere numerosi i casi in cui singoli individui e famiglie di etnia romanì si erano inseriti nel tessuto sociale con lavori e incarichi vari. In alcuni luoghi come il Sud Italia finirono con lo stabilizzarsi, qui la comunità dei romanì era comparata alle università (godevano quindi di autonomia giuridica che consentiva loro di vivere secondo le consuetudini). Nel Regno di Napoli però la situazione peggiorò presto, un ruolo importante lo giocarono le onde migratorie degli anni Trenta del Cinquecento che portarono tanti profughi dalle guerre contro i Turchi. I romanì si trovarono allora coinvolti nelle misure contro il vagabondaggio e quelle repressive contro altre minoranze, come gli ebrei. Da merveilles a banditi: diverse cronache europee ci riferiscono di buoni rapporti fra la popolazione stanziale e i gruppi itineranti. Quando questi arrivavano in un luogo, la popolazione rimaneva colpita dai bambini con le orecchie traforate o le donne con lunghi veli, l’esercizio delle arti divinatorie insieme al possesso dei cavalli (non associati a una bassa condizione). Venivano qualificati come merveilles, tuttavia in alcune città si cominciava a pagarli per non farli entrare fino ad arrivare al 1442 quando, anche in città dove in passato erano stati accolti, venne negato loro l’ingresso senza alcun pagamento. I provvedimenti di espulsione arrivarono insieme alle prime misure contro gli ebrei. Nel giro di 19 anni i sovrani cambiarono idea su di loro, nel 1499 furono esortati a diventare sedentari o lasciare la Castiglia. Un cambiamento efficace solo in parte poiché tendevano a tornare. Un peso in questo cambiamento lo ebbero sia il decreto di espulsione degli ebrei che il concetto della limpieza de sangre, anche se nel caso dei romanì la differenza non accettata era il loro essere girovaghi e un aspetto fisico differente. Si chiedeva loro un adeguamento al resto della popolazione. Iniziarono i bandi, quando venivano messi al bando alcuni restavano e altri andavano in altri paesi, che li mettevano al bando a loro volta. Dal Cinquecento in poi le misure divennero restrittive e spesso persecutorie. Abbiamo quindi una storia complicata e composita sulla quale certamente incise uno stereotipo, il quale però aveva delle fondamenta. I romanì avevano comportamenti standardizzati (furto, attività ai limiti dell’illecito, divinazione) che derivava dalla loro condizione di nomadi, la quale imponeva loro di ricorrere a illeciti per sopravvivere. La casistica ci mostra però che sempre i romanì in alcuni casi intrapresero altre strade. Cosa interessante è che in loro non sia sopravvissuta una religione, tendevano ad adeguarsi a quella del paese in cui arrivavano... d’altronde altrimenti non si poteva fare in un’Europa che era poco propensa all’alterità religiosa.
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