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Alan Turing e l'intelligenza delle macchine, Sintesi del corso di Epistemologia

La nascita dello studio di Alan Turing, con riflessioni e confronti con altri pensatori dell'epoca.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 16/10/2023

soniarocca
soniarocca 🇮🇹

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Scarica Alan Turing e l'intelligenza delle macchine e più Sintesi del corso in PDF di Epistemologia solo su Docsity! Storia ed epistemologia delle macchine Alan Turing e l’intelligenza delle macchine – Numerico 1. Turing e la teoria della computabilità Per “macchina di Turing” si intende un dispositivo astratto ideato nel campo della teoria della computabilità, cioè una branca della logica nata negli Anni ’30 del Novecento grazie anche ad un profondo contributo da parte di Alan Turing. Egli immagina la macchina come un modello che sia in grado di rappresentare la capacità di calcolo degli uomini e in qualche modo di riprodurre gran parte dei comportamenti intelligenti tipici degli esseri umani. La macchina di Turing si inserisce nell’ambito delle ricerche sui fondamenti matematici che si ispirano a Hilbert: egli aveva sviluppato un programma che potesse “proteggere” la matematica dal rischio delle antinomie (la più famosa è quella formulata da Russel nel 1901 nei confronti della teoria degli insiemi: Russel evidenzia l’esistenza di un insieme degli insiemi che non contenevano però sé stesso, generando così un paradosso -> tale insieme avrebbe contenuto sé stesso solo nel caso in cui non avesse contenuto sé stesso). La soluzione di Hilbert prevedeva innanzitutto la rappresentazione dell’aritmetica elementare all’interno di un sistema formale assiomatico; l’obiettivo di Hilbert era quello di restituire alla matematica l’antica reputazione di verità incontestabile, cioè garantire l’utilizzo di metodi e dimostrazioni matematiche, in contrapposizione a coloro che ritenevano di dover rinunciare ad alcuni concetti per evitare il manifestarsi delle antinomie. Tutta la matematica doveva essere formalizzata fino a diventare un “patrimonio di formule” dove ogni dimostrazione era un oggetto formale privo di contenuto. Il sistema formale adatto a rappresentare la teoria dei numeri doveva però avere tre proprietà chiave: 1. Completezza -> tutte le verità devono essere dimostrabili dentro il sistema, non esistono quindi proposizioni vere che non appartengono ai teoremi del sistema 2. Coerenza -> dagli assiomi del sistema formale non si possono derivare contraddizioni 3. Decibilità -> richiede l’esistenza di un metodo automatico per decidere se un enunciato del sistema appartiene o meno all’insieme dei teoremi del sistema Secondo Hilbert, la dimostrazione di queste proprietà dovevano basarsi solo sui metodi “finitisti” cioè leciti, sicuri e cognitivamente affidabili. A partire dagli Anni ’20 Hilbert capì che l’affidabilità e la correttezza della matematica non riguardava più la logica bensì una nuova disciplina, la metamatematica. Essa, a differenza della matematica formalizzata in un sistema formale, permetteva il ragionamento contenutistico. Il tema dell’assiomatizzazione della teoria degli insiemi e della coerenza delle teorie matematiche avevano interessato anche John von Neumann, personaggio cardine nella nascita dell’informatica. Neumann introduce la distinzione tra classi e insiemi: • Classi -> enti che tra le loro proprietà non includono quella di essere elementi di altri insiemi • Insiemi -> classi speciali che possono essere membri di una classe Questa distinzione aveva, tra le altre cose, lo scopo di bloccare l’applicazione e gli effetti del paradosso russelliano. Neumann partecipa nel 1930 ad un simposio sui fondamenti della matematica in rappresentanza della posizione formalista hilbertiana; in questa sede, Neumann sostenne la tesi secondo la quale la pratica matematica non poteva essere messa in discussione da questioni teoriche sui fondamenti della matematica. Nello stesso convegno, egli assistette all’intervento di un giovane logico chiamato Kurt Gödel che presentò il suo nuovo risultato sull’incompletezza dell’aritmetica: secondo lui era impossibile ottenere una dimostrazione di completezza e di non contraddittorietà usando metodi previsti dal programma hilbertiano, e cioè metodi formalizzabili dentro il sistema di cui si volevano dimostrare le proprietà. Dopo i risultati di Gödel, rimaneva soltanto uno dei tre problemi posti da Hilbert, cioè quello della decisione per la logica predicativa. Il problema della decisione era connesso con la nozione di calcolabilità effettiva, cioè con una definizione di calcolabilità di una funzione mediante un algoritmo. Questa nozione era collegata con quella di sistema formale usata nel contesto del programma hilbertiano, ma non era mai stata definita con precisione; Gödel aveva definito la classe di funzioni ricorsive, chiamate poi primitive, per la dimostrazione del suo teorema di incompletezza. Turing non identificava una particolare classe di funzioni ma evidenziava il metodo “meccanico” più generale per generare la lista di tutti i “numeri calcolabili”. Questo richiamo al processo meccanico deriva sia da Hilbert che aveva parlato di procedura che usava un numero finito di operazioni, sia da Gödel che usò il termine per riferirsi alla formalizzazione della matematica. La macchina di Turing permette di risolvere il problema della decisione attraverso la costruzione di un processo eseguito da una macchina astratta, mentre la logica si basava fino ad allora sull’attività statica di dimostrare teoremi applicando alle formule regole di inferenza. Turing immagina la macchina dotata di un numero finito di stati interni, di una memoria potenzialmente infinita all’interno della quale potevano essere scritti simboli elementari il cui funzionamento comportava solo operazioni semplici, come leggere, scrivere o cancellare simboli su un nastro indefinitamente lungo, suddiviso in quadrati. Gli stati interni della macchina sono detti m-configurazioni e indicati con q0, q1 ecc; quando veniva raggiunta la configurazione finale, il compito veniva considerato concluso e la macchina poteva fermarsi. La tavola delle istruzioni può essere trasformata in un numero chiamato description number, seguendo il metodo dell’aritmetizzazione usato da Gödel, che attribuiva uno e un solo numero ad ogni simbolo utilizzato. Questo consentì Turing di definire una macchina in grado di eseguire i compiti di qualsiasi altra macchina, quindi universale. Turing vincolò la macchina con una serie di limiti “finitisti” per renderla compatibile con la finitezza della capacità umana nell’eseguire calcoli, proprio per dimostrare che la macchina fosse in grafo di emulare l’attività umana, che fosse quindi considerata da tutti impossibile. L’interesse per i dispositivi pratici si sviluppa già nell’autunno del ’37 quando si trovava ancora a Princeton: qui si occupa di crittografia concentrandosi nello specifico sulla costruzione di un moltiplicatore elettromeccanico per codificare messaggi; per procurarsi i relè (componente elettronico il cui avviamento avviene attraverso magneti) che non erano ancora in commercio, riuscì ad entrare nel laboratorio di fisica grazie ad un amico -> creò il moltiplicatore binario che funzionava perfettamente anche se non aveva molto valore per la decodifica. Negli stessi anni Claude Shannon sviluppa idee simili mentre lavora alla manutenzione dell’Analizzatore Differenziale, una macchina analogica costruita negli Anni ’30 da Bush. Shannon aveva studiato logica e algebra booleana e riuscì a evidenziare la somiglianza tra circuiti elettronici e funzioni booleari; non ci sono certezze che Turing fosse a conoscenza dei progetti di Shannon ma sicuramente i due studiosi si incontrarono pochi anni dopo, ai Bell Labs. Turing e Wittgenstein • Il corso tenuto da Wittgenstein segna una svolta a Cambridge sulla visione della filosofia della matematica e della teoria della conoscenza. La filosofia di Wittgenstein II attaccava persino il principio di non contraddizione e la legittimità stessa di una discussione in termini di fondamenti della matematica svolta all’interno della struttura della matematica e della logica. Turing incarna perfettamente la posizione criticata da Witt: per lui i fondamenti della matematica erano da ricercare con l’aiuto dei sistemi formali immaginati da Hilbert nei quali costruire la dimostrazione della legittimità dei risultati dell’aritmetica. Le lezioni di Witt non sembrano rilevanti per il problema della emulazione dell’intelligenza da parte della macchina, però gli argomenti trattati ebbero influenza sulla posizione maturata da Turing durante e dopo la lotta sulla definizione di “comportamento intelligente”, “giocare a scacchi” e “ragionare per analogia” -> negli scritti dal 1945 in poi Turing si apre verso le posizioni di Witt, inizialmente criticate. Gioco degli scacchi -> è una metafora per rappresentare la matematica, il gioco ha delle regole ben definite e alterando una sola di queste regole si ha un gioco diverso. Se la matematica fosse definita da un insieme di regole come gli scacchi e immaginassimo le conclusioni come posizioni finali, tale che una volta raggiunte è impossibile agire ancora, allora scomparirebbero tutte le questioni relative ai rapporti della matematica con la realtà\verità. Quando possiamo dire di conoscere le regole? Quando abbiamo un metodo ripetibile nel tempo per agire correttamente in relazione ad esse. Turing adottò un metodo simile per risolvere il problema della decisione -> da “esiste un metodo per rispondere a tutte le domande sugli enunciati di un sistema formale” a “esiste una macchina che sia in grado di calcolare la risposta…” La caratterizzazione della matematica di Witt avrebbe reso superfluo il problema dei fondamenti e avrebbe modificato alcune nozioni chiave, come quella di dimostrazione -> la parola dimostrazione cambia significato proprio come la parola “scacchi”: siamo noi che stabiliamo se di una certa proposizione deve esserci una sola dimostrazione, oppure due, oppure molte. Secondo questa visione la matematica si identifica con un insieme di regole convenzionali per manipolare simboli: Witt dichiarava che sono gli interessati a decidere cosa debba contare come dimostrazione di una proposizione. Questa definizione poteva essere messa in relazione con quella sostenuta da Turing in una lettera a Max Newman -> “una dimostrazione che dipende dalle ipotesi adottate e dalle regole prescelte in funzione del risultato da ottenere”. Altri due temi importanti • Ragionamento per analogia -> quando si insegna una tecnica ad un certo punto si suggerisce di provarla con un altro caso, il risultato dipende da molti fattori tra cui la capacità dell’allievo di riconoscere la tecnica da emulare, proprio perché potrebbe seguire diverse scelte analoghe. L’analogia viene definita come una ricerca che può essere guidata solo parzialmente: quello che lo studente ottiene se apprende correttamente è qualcosa di nuovo, che può essere insegnato solo in modo indiretto. • Principio di non contraddizione -> secondo Witt era sbagliato pensare che una contraddizione implicasse automaticamente che un sistema fosse inutilizzabile o sbagliato, in pratica la contraddizione non falsificava nulla. Questo perché i risultati delle dimostrazioni sono il frutto di una scoperta e il matematico era un uomo in grado di creare nuovi modi di pensare. La contraddizione poteva essere usata per comunicare qualche idea: ad esempio dire “è bello o non è belo” riferito al tempo può servire ad indicare che il tempo è incerto, ed è possibile pensare di introdurre un caso simile anche in matematica. Nella lezione 22 Witt chiede a Turing perché non vuole ammettere la contraddizione in matematica: Turing afferma che deve esserci certezza in matematica, perché i calcoli non possono essere applicati con fiducia finché non si sa se contiene contraddizioni nascoste. La decodifica di Enigma Navale La decodifica dei messaggi di Enigma rappresentò per Turing una sfida sia per progredire nella ricerca sia per una sua maturazione personale. Egli fu il primo e a lungo anche l’unico ad occuparsi di Enigma e i suoi contributi furono talmente notevoli da rimanere a lungo alla base del processo di decodifica. I suoi interventi furono principalmente di 2 tipi: • Promosse la costruzione di macchine elettromeccaniche emulatrici di vari esemplari di Enigma • Elaborò un metodo che permetteva di ridurre lo spazio della ricerca della codifica, evitando che la procedura fosse inefficace per l’eccessiva lunghezza Enigma cambiava ogni giorno la posizione degli ingranaggi e ne sceglieva 3: esistevano 336 combinazioni diverse nelle quali la macchina si poteva trovare, rispetto alla posizione degli ingranaggi. Il vero problema però consisteva nello stecker cioè una procedura di sostituzione di 20 delle 26 lettere dell’alfabeto e ogni lettera oltre ad essere codificata sulla base di tre degli otto ingranaggi di Enigma, doveva poi essere ricodificata nello stecker. Esistevano 17.000 posizioni di avvio possibile, che salirono a mezzo milione con l’introduzione di 4 ingranaggi. Per testare tutte le possibilità di una sola giornata, ci sarebbe voluto il lavoro di 5 persone per otto mesi. Turing si rese conto che era impensabile esaminare tutte le possibilità, quindi, ritenne più utile affrontare il problema dal punto di vista opposto -> inventare delle prove che potessero rivelare le combinazioni di codifica contradditorie rispetto alla posizione dello stecker e eliminarle. Un’altra tecnica fu quella detta Bamburismus: attribuiva valore alla misurazione dell’evidenza di certe conclusioni sulla base di ipotesi costruite sul tasso di ripetizione delle lettere in tedesco e sulla ripetizione dei gruppi iniziali delle lettere dei messaggi, nei quali era codificata la combinazione degli ingranaggi per la giornata. 4. Calcolatori a programma memorizzato: Edvac e Ace Von Neumann durante la Seconda Guerra Mondiale sviluppa un interesse per le tecniche computazionali: la sua curiosità nasceva dalle ricerche relative alla dinamica dei gas e all’idrodinamica. Questa competenza lo portò a diventare uno dei consulenti del Manhattan Project -> manifesta un interesse per l’aumento della capacità di calcolo attraverso l’uso di strumenti meccanici. L’incontro con il gruppo della Moore School avvenne in modo casuale: Goldstine, che aveva sostenuto il progetto, lo invitò a visitare il laboratorio dove si stava costruendo l’ENIAC nell’estate del 1944. Von Neumann accettò e dopo aver conosciuto il gruppo e visitato il laboratorio, decise di partecipare alle riunioni per migliorarne architettura e prestazioni. Von Neumann assume da Turing l’idea del “programma memorizzato” e lo applica a ENIAC -> nasce tra il 1942 e 1943 da John Mauchly, un fisico appassionato di meteorologia; il suo desiderio era costruire un calcolatore elettronico per le previsioni del tempo e coinvolse un giovane ingegnere, Presper Eckert. L’idea probabilmente gli era venuta discutendo con John Atanasoff che negli anni precedenti aveva realizzato un rozzo calcolatore elettronico detto ABC. L’analizzatore differenziale è il modello a cui si ispirò la costruzione dell’ENIAC per quanto riguarda l’ingegneria della macchina, mentre le macchine IBM fornirono la fonte di ispirazione per la programmazione. L’ENIAC era composto da 25 unità più un dispositivo di input e uno di output, i soli a non essere elettronici: il centro del calcolatore era costituito dall’accumulatore -> l’architettura somigliava a quella dei dispositivi meccanici del tempo per l’addizione, la moltiplicazione e la divisione, al fine di sfruttare metodi di progettazione già consolidati. Per implementare la memoria elettronica della macchina si usavano i tubi a vuoto, sviluppati per essere usati in modo analogico nelle comunicazioni radiofoniche e lungo occupato di questo problema, in quanto considerava che l’intelligenza della macchina dipendeva dall’ampiezza della memoria. La sua ampiezza rendeva necessario l’accesso casuale al materiale immagazzinato, per non allungare le operazioni di ricerca; tutte le attività della macchina erano sincronizzate attraverso un meccanismo centrale (Clock) ma fu uno strumento molto difficile da realizzare dal punto di vista tecnologico. Turing inventò un metodo di programmazione, Optimum Coding, che consisteva nel dichiarare per ogni istruzione l’indirizzo della successiva e migliorava le prestazioni del calcolatore, a patto di conoscere esattamente la struttura e il funzionamento della memoria, e di eseguire elaborati calcoli per anticipare correttamente la successione dei cicli delle linee di ritardo. Il modello di programmazione dell’ACE era la Macchina Universale e si basava sulla trasformazione delle operazioni complesse in una lunga successione di passi semplici. Le uniche azioni eseguibili direttamente dall’hardware erano: 1. Il trasferimento da una zona della memoria ad un’altra 2. Le operazioni aritmetiche 3. Alcune operazioni logiche 4. Un’operazione di trasferimento dalla memoria alle schede perforate 5. Il salto incondizionato Turing inoltre evidenziò (secondo lui) l’esistenza di tre tipi di errori: 1. Errori dovuti a malfunzionamento\rottura degli impianti -> immagina una sorta di diagnostica inclusa nelle varie componenti hardware 2. Errori temporanei dovuti a interferenza che producono contatti inaspettati non previsti dal normale funzionamento -> continua verifica della tensione della corrente\ programma di manutenzione continua 3. Errori delle tavole di istruzioni sbagliate, trascritte sulle schede perforate in modo impreciso -> controllo effettuato sulle tavole stesse, diverse tavole usate per produrre lo stesso risultato • Differenze tra ACE e EDVAC o Lo scopo -> EDVAC strumento per eseguire calcoli complessi, ACE uno strumento di manipolazione di simboli o L’accesso alla memoria -> ACE permette l’accesso casuale ad ogni cella della memoria, EDVAC non presenta nulla di esplicito o Il programma memorizzato -> ACE ha la possibilità di elaborare i programmi attraverso altri programmi, EDVAC poteva modificare le istruzioni solo nella parte in cui era contenuto l’indirizzo o Modello di programmazione -> in EDVAC era possibile eseguire operazioni complesse direttamente al livello di unità di controllo, in ACE le procedure erano descritte come una successione di istruzioni elementari e i programmi erano per Turing strutture modulabili che si ripetevano ricorsivamente. 5. L’ACE: il primo progetto per una macchina “intelligente” La maggior parte degli scienziati e degli ingegneri che lavorarono alla costruzione dei primi calcolatori avevano in mente di usarlo principalmente come strumento per l’esecuzione di calcoli, mentre Turing si proponeva di costruire un dispositivo capace di emulare compiti umani considerati intelligenti. Fin dal 1900 l’NLP(National Physical Laboratory) si era occupato a livello nazionale di tutte le necessità pratiche per le ricerche fisiche ma alla fine del 1944 per sostenere le esigenze di calcolo, creò una divisione chiamata Mathematics Division che avrebbe dovuto centralizzare tutte le risorse e le capacità volte a favorire lo sviluppo di nuovi metodi di calcolo. John Womersley fu il primo responsabile ed ebbe l’occasione di conoscere von Neumann, che lo incluse nella lista dei destinatari del First Draft; una volta tornato in Inghilterra dovette scegliere il gruppo di collaboratori che lo avrebbero affiancato all’interno della Division: rimasto impressionato dall’articolo sui Numeri Computabili, decise di rintracciare Turing. Egli accettò volentieri sia perché era interessato alla costruzione di una macchina elettronica sia perché l’offerta sembrava più conveniente rispetto a Cambridge. La lettera ad Ashby Ross Ashby, laureato in Zoologia a Cambridge, aveva pubblicato un articolo su Equilibrio e adattamento (1940) in cui si discuteva di dispositivi adattabili all’ambiente e dell’equilibrio dinamico che essi innescavano con il mondo esterno, e un articolo sull’origine dell’adattamento attraverso il metodo della prova ed errore. Ashby fu uno degli esponenti del gruppo dei Cibernetici inglesi, Ratio Club: quest’area di studi riuniva studiosi provenienti da diversi ambiti di ricerca, che si occupavano di meccanismi a retroazione, indipendentemente dalla loro natura organica o artificiale; le capacità di adattamento e auto- organizzazione insieme al controllo automatico delle reazioni, erano le caratteristiche più particolari di questi meccanismi, presenti nella macchina alla quale stava lavorando Ashby -> l’omeostato Nella lettera che Turing gli indirizza, si dichiara interessato alla simulazione dei meccanismi cerebrali di controllo dei comportamenti; ciò che l’aveva spinto ad accettare il lavoro all’NPL per la costruzione dell’ACE era simile agli obiettivi di ricerca di Ashby -> “produrre modelli dell’azione del cervello”. Per Turing la macchina doveva avere una gigantesca memoria, capace di ospitare la lunga ed elaborata programmazione necessaria all’esecuzione di una notevole varietà di compiti complessi. Egli era convinto che l’ACE fosse analogo a una MdT e quindi sosteneva la tesi secondo cui ogni funzione esprimibile attraverso una procedura fosse riproducibile dal calcolatore solo a un prezzo di un rallentamento delle prestazioni rispetto a una macchina costruita per lo scopo preciso. Il 20 febbraio del 1947 Turing venne invitato a tenere una conferenza alla London Mathematical Society sulle caratteristiche dell’ACE: l’intervento consisteva nel descrivere i principi del calcolatore alla comunità di matematici. È un momento molto importante in quanto per la prima volta Turing tratta espressamente il tema dei metodi più adatti per far svolgere compiti intelligenti alla macchina; inoltre dedicò molto spazio al rapporto tra macchina universale astratta e calcolatore in via di costruzione. Secondo Turing l’ACE poteva essere considerato come una versione pratica della macchina astratta -> somiglianza vista principalmente nell’architettura logica, costituita in entrambi i casi da un controllo centrale e da una memoria molto estesa; per il resto, lo studioso tendeva a sottolineare le differenze tra i due dispositivi. La memoria doveva rispondere a criteri completamente nuovi -> accessibilità, economia, compattezza nella rappresentazione delle informazioni, cancellabilità. Tutte caratteristiche che avevano a che fare con la realizzabilità fisica del dispositivo e con i vincoli pratici che una costruzione del genere comportava; alcune di queste proprietà erano in contrasto tra loro: troppa accessibilità avrebbe potuto penalizzare la compattezza delle informazioni e l’economia della tecnologia utilizzata. Turing introduceva anche il tema dell’interazione uomo-macchina, indispensabile nel calcolatore e superfluo nella macchina astratta, senza però scendere nei dettagli; citava i dispositivi input e output, strumenti che specializzavano le proprie prestazioni per facilitare l’interfaccia con la macchina. Nel caso della programmazione, il confronto era più forte: “la macchina universale è tale che, quando gli vengono fornite le istruzioni appropriate, può essere messa in condizione di eseguire qualsiasi processo pratico. Questa caratteristica trova corrispondenza nelle macchine calcolatrici digitali come l’ACE. Quando si deve affrontare un qualunque problema particolare le istruzioni appropriate vengono immesse nella memoria dell’ACE e la macchina è impostata per eseguire il processo”. L’ACE era capace quindi di eseguire ogni compito, purché adeguatamente programmato, così come la macchina universale. Secondo Turing esistevano due aree principali di attività che richiedevano le competenze dei matematici nella programmazione dei calcolatori: da un lato il matematico doveva programmare il calcolatore per risolvere quei problemi matematici impossibili da trattare manualmente, dall’altro aveva il compito di esaminare le dimostrazioni e i risultati forniti dal calcolatore, al quale non ci si poteva affidare per mancanza di buon senso. Gli argomenti a sostegno dell’intelligenza delle macchine Durante la lezione del 1947 Turing scelse di confutare alcune obiezioni immaginarie che potevano opporre al suo progetto. Fondamentalmente erano 3 le posizioni da confutare: 1. “le macchine calcolatrici possono portare a termine i processi per i quali sono stati programmate” -> obiezione di Lady Lovelace La sua proposta era di costruire macchine che potessero intervenire direttamente sulle loro istruzioni, modificandole ai fini di migliorare la loro prestazione. Se questo metodo avesse funzionato per un certo tempo, il programmatore non sarebbe stato più in grado di prevedere il comportamento della macchina, pur avendolo generato in principio. Questa automodifica avrebbe potuto migliorare il comportamento della macchina sia producendo risultati più raffinati, sia ottenendo le stesse soluzioni con un metodo più efficiente. 2. “c’è una contradizione fondamentale nell’idea di una macchina con intelligenza, agire come una macchina è diventato sinonimo di mancanza di adattabilità -> l’adattabilità del calcolatore dipendeva principalmente dall’aumento della capienza della memoria e dall’introduzione della facoltà di scelta (discretion) delle macchine. L’adattamento non era una caratteristica negata a tutte le macchine ma solo a quelle che non macchina costruita emulando gli organi di senso dell’uomo, pur senza ricalcarne la struttura fisica, avrebbe comunque bisogno di “vivere” per apprendere e fare esperienza. Turing ripiega su una versione più leggera che riproduceva solo cune funzioni umane e in particolare quelle del cervello, concentrandosi in particolare su quelle attività la cui procedura poteva essere controllata ed eseguita senza l’intervento del corpo. I compiti nei quali la macchina poteva cimentarsi erano: i giochi, l’apprendimento e la traduzione delle lingue, la crittografia e la matematica. Secondo Turing, quando si raggiunge una configurazione per la quale l’azione è indeterminata, viene compiuta una scelta casuale del dato mancante che viene inserito provvisoriamente nella descrizione e applicato. Quando si ha uno stimolo di dolore tutti gli inserimenti provvisori sono cancellati mentre quando si ha uno stimolo di piacere tutti sono resi permanenti. Oltre all’interferenza di piacere (P) o dolore (D) la macchina veniva descritta con due tipi di espressione: • Espressione-carattere -> il carattere poteva essere soggetto a variazioni casuali e quando cambiava provocava una modifica profonda nella macchina stessa • Espressione-situazione -> la situazione era solo la definizione della macchina descritta dal carattere e il suo cambiamento non necessariamente comportava mutamenti radicali nel dispositivo Gli stimoli P tendevano a fissare il carattere e intervenivano in presenza di un comportamento adeguato, quelli D che entravano in funzione in caso di errore, si prefiggevano di modificare le reazioni. Disciplina e iniziativa Il processo educativo che trasformava una macchina non organizzata in una Macchina Universale non era sufficiente per promuovere l’intelligenza; per realizzarla si richiedeva di più della semplice capacità di obbedire agli ordini. Il concetto di iniziativa che Turing descriveva come un residuo mancante alla disciplina per raggiungere l’intelligenza, rientra nel tema di intuition e ingenuity usati nella tesi di dottorato pubblicata nel 1939. In quella circostanza, Turing aveva confessato di aver tentato invano di eliminare queste due facoltà nelle dimostrazioni logiche per sostituirle con la pazienza nell’esecuzione di regole. Nel 1948 Turing era più consapevole che l’educazione all’iniziativa era parte integrante dell’intelligenza e per questo era espressamente insoddisfatto di un metodo che insegnava alle macchine solo ad obbedire e non ad inventare ed essere creative nella ricerca di soluzioni ai problemi. La mancanza di mezzi tecnologici adeguati non significava che non avesse un modello del processo di addestramento meccanico da proporre: • Le regole di comportamento delle macchine che apprendono si modificano nel corso dell’addestramento • L’insegnante ignora gran parte di quello che si verifica nella macchina proprio come avviene per i veri allievi • Il comportamento intelligente consiste nello staccarsi dal comportamento completamente prevedibile implicato nel calcolo, ma di poco • Introduzione di un elemento casuale in una macchina che impara, in quanto può essere utile quando cerchiamo la soluzione di qualche problema • La capacità di commettere errori è indispensabile alla riuscita dell’addestramento L’articolo del 1948 si concludeva con la presentazione di un piccolo esperimento relativo al gioco degli scacchi per dimostrare la precarietà di ogni giudizio che attribuisca intelligenza a certi comportamenti. Oggi è conosciuto con il nome Test di Turing e consiste in: “la macchina deve provare a fingere di essere un uomo, rispondendo alle domande che le vengono poste, e lo supera solo se la finzione è ragionevolmente convincente. Una parte considerevole della giuria, che non dovrà essere composta di esperti di macchine, dovrà essere ingannata dalla finzione.” L’intento di Turing era quello di proporre un metodo per riconoscere socialmente dei comportamenti intelligenti paragonabili a quelli umani e prodotti da dispositivi meccanici.
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