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Aleksandr Blok simbolismo russo, Appunti di Letteratura Russa

Simbolista di prima generazione

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 06/07/2022

gianluca-nigro-3
gianluca-nigro-3 🇮🇹

5

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Scarica Aleksandr Blok simbolismo russo e più Appunti in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! LETTERATURA RUSSA I Aleksandr Blok (Алекс ндр Бл к) 1880-1921 а́ о́ Aleksandr Block fu una delle figure più importanti del simbolismo russo ma anche della poesia russa del 900. Block fu il meno teorico tra i vari simbolisti e difatti, a differenza di Ivanof, Merejkovskij o Belyj, lui non elaborò nessun sistema di tipo filosofico-estetico, ma utilizzò una terminologia e delle immagini che riprese da altri. Block fu un poeta lirico, e come tale parlava soprattutto di se stesso, ponendosi al centro della sua poesia. Importante e molto fertile fu la lunga amicizia che legò il poeta ad Andrej Belyj; fu una amicizia durata tutta la vita, molto travagliata e ricca di contrasti, caratterizzata da un alternarsi di momenti di crisi e di riavvicinamenti. Angelo Maria Ripellino definisce Blok “un sensibilissimo sismografo” proprio perché era molto sensibile ai cambiamenti della sua epoca e alla crisi che attraversò la società della sua epoca. Dunque anche Blok fu uno di quei poeti che presagiva catastrofi, cambiamenti e crisi varie. Il simbolo secondo Block:  doveva diventare dinamico: quindi non essere una parola che rimandava a significati precisi ma una parola in continuo movimento i cui significati cambiavano sempre;  doveva trasformarsi in mito: ossia diventare una narrazione di tipo mitico (Mito: narrazione verosimile in forma simbolico-allegorica il quale descrive realtà intangibili da parte della ragione);  doveva permettere il passaggio dalla simbolizzazione al simbolico. L’arte secondo Blok doveva essere teurgica e conforme all’ordine conosciuto dal poeta il quale doveva scoprire un mondo nuovo e costruirlo nel nome di uno spirito santo, attraverso un progetto che andava dalla realtà ad una realtà ancora più reale. L’arte simbolista russa, a questo proposito, aveva un approccio realistico proprio perché descriveva la realtà delle essenze. Essa era anche di tipo dionisiaco perché l’artista doveva avere un’esperienza irrazionale, di tipo religioso perché si doveva avere un’esperienza del sacro, di tipo mitico poiché doveva esprimersi attraverso il mito e di tipo collettivo (conciliare) perché doveva parlare a tutti ed accomunare tutta una comunità. Il simbolo alludeva, era oscuro ed inesauribile nei suoi infiniti significati, era dinamico perché significava moltissime cose, era vivo e si rinnovava. Il poeta, con la sua esperienza, attingeva ad esperienze antiche, proprie dell’umanità. L’arte doveva essere popolare, non compresa ma rivolta a tutti. a BIOGRAFIA : Aleksandr Blok nacque a Pietroburgo nel 1880, da Alexander Liuvovich, docente universitario di diritto costituzionale a Varsavia (la Polonia all’epoca era parte dell’impero russo), e da Alexandra Beketeva, figlia di un famoso docente universitario di botanica, al tempo rettore dell’Università di Pietroburgo. Il matrimonio tra i genitori di Blok fu molto infelice; il padre Alexander aveva un carattere molto irruento ed era un tipo dispotico, avaro e violento nei confronti della moglie; nel 1880, anno di nascita del futuro poeta, i due coniugi tornarono a Pietroburgo, da Varsavia, dove il padre avrebbe dovuto discutere la tesi di dottorato in diritto. La moglie Aleksandra, da quel momento in poi, non tornò mai più con lui a Varsavia e si trasferì dunque nella casa dei genitori, proprio a causa dei contrasti con il coniuge. Alexandra Beketeva si risposò nel 1889. Il piccolo Block crebbe dunque nella famiglia del nonno materno, tra la sua casa a Pietroburgo e la tenuta Shakmatova (Šachmatovo), in campagna a circa 20 km da Mosca. La doppia residenza era infatti tipica della Russia del tempo ma anche della Russia attuale, motivo per il quale le famiglie più benestanti avevano sia una residenza principale o a Mosca o a Pietroburgo e sia una tenuta di campagna, usata soprattutto durante l’estate. Il poeta, dunque, crebbe soprattutto con le zie, con la nonna ed ovviamente con sua madre; tutte queste figure che lo circondavano erano appassionate di letteratura: ad esempio la nonna traduceva molti romanzi dal francese e dall’inglese, le zie scrivevano poesie e coltivavano arti quali la letteratura e la musica, ed infine la madre componeva poesie per bambini e traduceva in russo, dal francese. Blok e la moglie si conobbero sin da piccoli perché le famiglie si frequentavano ed erano vicini di tenuta di campagna. Il matrimonio tra i due fu molto tradizionale, e riferendosi alla moglie, in qualche modo, nelle fattezze della Bellissima Dama, Blok aveva trovato nell’amore che provava per lei, una via di fuga da una realtà pesante. All’inizio del 900, Blok entrò in contatto con altri poeti che si rifacevano alle idee di Salaviof; prima di allora era solo un poeta esordiente che scriveva poesie sulla base di ciò che leggeva, senza nessun compagno o circolo letterario. Dopo la morte di Salaviof, a Mosca si formò un circolo letterario filosofico, chiamato “Il circolo degli argonauti” di cui facevano parte il fratello di Salaviof, Mikhail Sergeevič Solovëv, sua moglie Olga Mikhailovna ed il loro figlio Serghei. In questo circolo entrò anche Andrej Belyj, che era amico di Serghei Salaviof. Tutti loro si ispiravano alla filosofia di Salaviof, che veniva considerato come un vate, una divinità, e come lui credevano nella ricerca della Bellissima Dama. La madre di Blok, Aleksandra Beketeva, era la cugina di Olga Mikhailovna, e quando Blok scrisse le poesie dedicate alla Bellissima Dama, la madre sapendo che nel circolo si dedicavano alla stessa cosa, mandò i versi del figlio a Mosca; così tutti loro si conobbero. Anche i membri del circolo degli argonauti iniziarono allora ad identificare la Bellissima Dama nella moglie di Blok, attorno alla quale si creò una sorta di culto, diventando per loro l’incarnazione della Divina Sofia. Nel 1904, i coniugi Blok si recarono a Mosca per conoscere i membri del circolo e fu proprio in questa occasione che i membri diedero il proprio meglio nel culto di Lyubov Dmitrievna Mendeleeva; a seconda di come la donna vestita o di come portava i capelli, i membri del circolo cercavano di cogliere dei presagi o degli auspici. Tutto questo interesse nei confronti della moglie, ritenuto esagerato, provocò in Blok molto nervosismo, che culminò quando Andrei Belyj finì per innamorarsi di lei. Blok non ammetteva la possibilità di un triangolo amoroso e ciò contribuì ad una rottura, non definitiva con Belyj. RACCOLTE E POESIE: ANTELUCEM Le prime liriche di Block erano raccolte in una raccolta dal titolo latino, “Antelucem” (prima della luce). La raccolta conteneva poesie scritte tra il 1898 e il 1900 che rispecchiavano l’atmosfera serena che si respirava nella casa del nonno. In tali versi, Block descrive la natura russa, ma lo fa in modo molto particolare: si parla di una natura nordica dai paesaggi lunari innevati, che si potevano ammirare nei boschi della Russia, la quale lascia presagire delle presenze provenienti da un mondo trascendente. 1. “Pigre e pesanti nuotano le nuvole” 1900. tutte le immagini si concentrano, si ha appunto il simbolo, il quale ha infiniti significati. A seconda del grado di consapevolezza della persona che legge i versi, il simbolo si arricchisce ancora di più. CROCICCHI La raccolta di versi che segue era intitolata “Crocicchi” (Распутья: rasputia) conteneva le poesie scritte tra il 1902 e il 1904. Il titolo in russo traduce la parola “crocicchio, svincolo” e la parola contiene la radice di “пут” (put) ossia “cammino, via” e “Рас” ossia “allontanamento verso direzioni diversi”, dunque la parola Распутья non significa solo “crocicchio” ma anche “strade diverse”. Il titolo della raccolta è dunque programmatico e fa capire l’allontanamento di Block dai circoli letterari, in particolar modo da quello degli argonauti. I versi contenuti in questa raccolta, hanno toni completamente diversi rispetto alle altre poesie, poiché sono caratterizzati da presenze inquietanti come diavoletti, streghe, indovini, gobbi, e soprattutto dalle maschere della commedia dell’arte, raffigurati ad esempio nei quadri di Somof. (sotto tutte le maschere c’era in realtà la morte). 1. “Ero tutto brandelli variopinti” 1903: l’io lirico in questi versi si raffigura come una maschera (tipo Arlecchino vestito di stracci variopinti con una maschera sul viso), che rideva e si torceva sugli angoli delle strade, raccontando favole scherzose/ buffonesche. Tutto ciò che lui ha raccontato fino a quel momento, viene ora definito come un insieme di favole da buffone, parlava di leggende di vecchi, di paesi senza nome, di una ragazza con gli occhi di un bambino (divina sofia); qualcuno prendeva per scherzo questa cosa, ma qualcun’altro provava davvero dolore; quando l’io perde il filo del discorso, dalla follia gridavano “basta”; esprime dunque la crisi che davvero Block sta attraversando, degrada la sua poesia e rende la bellissima dama una ragazza dagli occhi di bambino. 2. “Tu mi vestirai d’argento” 1904: A differenza dei versi contenuti nella prima raccolta di Block “Antelucem” in cui la Luna era vista come volto della presenza femminile, in questi versi la Luna si tramuta in una sorta di pagliaccio (pierrot celeste) diventando anch’essa un buffone che non rivela nulla; è muta così come la realtà che non comunica nulla. (così come non vi era nessun tipo di comunicazione durante i primi poeti decadenti.) Dunque, questa luna, che potrebbe anche rappresentare l’autore stesso, diventa un personaggio inquietante, che spaventa la civetta notturna. Solitamente sono le preghiere e l’anima ad elevarsi verso il cielo (elementi positivi), mentre qui ciò che si eleverà verso il cielo non sarà altro che la puzza dell’alito del poeta quando morirà da vecchio grinzoso ed impudico, il quale puzza a causa dell’alcol. 3. “La fabbrica”1903: si fa riferimento alla realtà della Russia di quegli anni, ossia la realtà delle fabbriche, degli scioperi, del malessere ecc. In questa poesia viene descritta una fabbrica di notte, le cui finestre sono gialle (illuminate); l’io lirico vede tutto ciò da una finestra: ogni notte gli operai del turno notturno si avvicinano al portone ed entrano, l’ombra di qualcuno (probabilmente il caporeparto) li fa entrare in silenzio, l’ombra è una figura minacciosa con una voce forte che invita i lavoratori a lavorare e a curvare la schiena; dalle finestre gialle della fabbrica l’io lirico sente delle risate, probabilmente appartenenti ai padroni della fabbrica, che ridono per aver preso in giro i poveri. Nei versi seguenti viene descritta una città terribile, il cui colore prevalente è il rosso (rosso sangue, inquietante). BOLLE DELLA TERRA La raccolta poetica successiva si intitola “Bolle della terra” con versi scritti tra il 1904 e il 1905. “Bolle della terra” è una citazione del “Macbeth” di William Shakespeare (William Shakespeare era uno degli autori più amati da Blok, difatti prima di conoscere la moglie e durante la giovinezza, voleva dedicarsi al teatro e diventare un attore) e fanno riferimento alle parole pronunciate da Banquo sulla sparizione delle streghe “la terra ha bolle d’aria, come l’acqua e costoro (riferendosi alle streghe) erano bolle dove sono svanite?”. Ciò ci fa pensare ad una natura maligna, in cui si respirano i fetori della palude e di marcio; le paludi sono coperte da presenze inquietanti quali streghe maligne, diavoletti di palude, spiritelli, forze malefiche e così via. Dunque le bolle d’aria che si dissolvono, così come si erano dissolte come bolle le streghe nel “Macbeth”, alludono ad una visione malefica del reale e quindi ad una realtà evanescente che non si riusciva a cogliere. (dunque si tratta ancora una volta di un’esistenza illusoria). 1. “Diavoletti palustri”: il poeta descrive se stesso in compagnia di un diavoletto di palude, in un paesaggio caratterizzato da acque putride, malate; il verde qui rappresenta un colore negativo che fa riferimento alle alghe, al marcio, alla palude. “Siamo le tracce smarrite di un misterioso abisso”: questo fa pensare che nel mondo terreno, gli oggetti sono tracce di una realtà più misteriosa. Dunque si rappresenta nuovamente la realtà sdoppiata: da una parte vi è un misterioso abisso oscuro e dall’altra il constatare che le tracce hanno perso il contatto con la realtà e sono smarrite e l’abisso dunque rimane misterioso, insondabile e non vi è possibilità di conoscerlo, mai. 2. “La palude e l’orbita profonda”: Si parla ancora una volta della natura che è diventata una palude, raffigurata come “l’orbita profonda dell’occhio enorme della terra” (metafora). La terra aveva pianto così a lungo tanto da consumare gli occhi, facendo rimanere solo l’orbita vuota che si era coperta di un’erba intristita. L’io lirico immagina la palude come un occhio dall’orbita vuota, ricoperta di erbe descritte come ciglia chiuse; vede un fuoco che guizza e si spegne nella palude. La natura, non soltanto è terribile, ma canzona e prende in giro gli esseri umani. Le ragazze sono forse una speranza nella realtà terribile (questo non si sa per certo). 3. “La violetta notturna” è un poemetto scritto tra il 1905 e il 1906; esso è un breve racconto in versi in cui il poeta racconta un sogno che ha avuto; sogna di uscire dalla città e di inoltrarsi nel bosco, qui si ritrova nel paesaggio palustre terribile dove sboccia il fiore verde-lilla chiamato appunto violetta notturna. La violetta notturna è in realtà una morta fanciulla che per secoli fila al suo telaio, in una capanna marcia ed ammuffita, nelle fattezze della Bellissima Dama, che si è trasformata appunto nello spettro della fanciulla morta. Si tratta di una fanciulla brutta, dal volto insignificante, ne’ giovane ne’ vecchia che fila in silenzio in un angolo; ogni tanto interrompe il lavoro e fissa il vuoto con il volto inespressivo; il poeta ricorda di averla già vista, probabilmente si trattava della dama che aveva reso protagonista dei suoi versi precedentemente. Fuori dalla capanna ci sono dei guerrieri del seguito della principessa: anche loro siedono immobili con lo sguardo perso nel vuoto (forse questi guerrieri sono gli argonauti, i compagni del tempo), lui prova a parlarci ma non viene riconosciuto. Accanto ad una botte di birra ci sono poi un re ed una regina vecchissimi, che indossano corone di metallo arrugginito; un po’ più lontano vi è poi un uomo intristito (si rende conto di vedere se’ stesso nel sogno, invecchiato) accanto ad un boccale di birra che non aveva bevuto, con in testa un solo pensiero che ritornava eternamente. Dunque possiamo dire che nel sogno si vede con la Divina Sofia (forse la moglie), dopo secoli, ormai sono cadaveri a fare sempre le stesse cose, compagni di un tempo che ormai non lo riconoscono. Parti tratte da “La violetta notturna” “Così io ho saputo di me stesso…dei signori della Scandinavia”(descrive il sogno ed il momento in cui vede la capanna”) (izbà: capanna di legno tipica dei contadini russi). La natura descritta nei versi di Antelucem era nordica tipica del paesaggio scandinavo; nel sogno si ricorda di quando un tempo aveva cantando di questa fanciulla ambientando le proprie poesie in quel paesaggio così nordico. Rivede se stesso sotto le sembianze di un altro uomo. Rivela che la violetta notturna è una reginotta. La principessa continua a filare, il filare è metafora di un qualcosa di monotono, un movimento che si ripete costantemente. La conclusione è molto amara perché dice che lui ancora una volta cercherà di vedere l’avvicinarsi di qualcosa di nuovo, di una nuova realtà, completamente rinnovata, di cui aveva auspicato l’avvento con gli altri poeti. Intanto la violetta notturna fiorisce, nella realtà della palude notturna e maleodorante. Questo poema esprime la crisi ed il senso di oppressione che prova Block in quel periodo. Blok era inghiottito dalla vita notturna della città: ristoranti, osterie dove trascorre la notte con prostitute ed ubriachi; la relazione con la moglie era finita, lei faceva l’attrice e lui era disperato. Ogni giorno dopo le sue nottate prova ribrezzo e vergogna uscendone ancora più distrutto di prima. *In un diario, in data 10 novembre 1911, Block descrive come aveva passato la notte, in compagnia di una ragazza, ossia una prostituta. 4. “La baracca dei saltimbanco/burattini” 1906: un dramma teatrale la cui scena si apre con un tavolo illuminato, attorno al quale sono seduti dei mistici, di entrambi i sessi, che attendono l’avvento della bellissima dama; ad un lato del tavolo è seduto un Pierrot intristito, senza baffi e sopracciglia, che non è altro che il poeta, il quale vorrebbe cantare la colombina. Improvvisamente entra in scena la fanciulla con una treccia (la parola che traduce “treccia” in russo vuol dire anche “falce”) e dunque una falce, elemento che fa capire cosa davvero lei rappresenta, ossia la morte. (così come accadeva nei quadri di Somof, in cui la morte era sempre dietro le maschere). La fanciulla però non contraccambierà l’amore per il Pierrot (il poeta) ma quello di Arlecchino (il quale potrebbe far pensare ad Andrej Belyj, innamoratosi della moglie di Blok); in questi versi è tutto illusorio, perfino la morte, la quale non è vera in questa realtà funesta e teatralizzata: infatti il sangue che sgorgava dai corpi non era altro che succo di mirtillo. LA CITTÀ Un’altra raccolta di poesie di Block fu “La città”, la quale conteneva versi scritti tra il 1904 e il 1908. In questi versi il poeta non descrive più la natura paludosa, ma la città frequentata assiduamente in quegli anni di crisi, in cui la relazione con la moglie era oramai solo amicizia. In questi anni Block non faceva che ubriacarsi costantemente, ogni sera, nelle bettole in cui incontrava prostitute. Tra i personaggi che animano questa città, miserabili, disgraziati, prostitute, il poeta crede ancora una volta di vedere la bellissima dama. 1. Una poesia di questa raccolta fu “La sconosciuta” nella quale descrive la città notturna in cui egli vagabondava tra i ristoranti e le bettole, animata da ubriachi e coppie che passeggiavano, dove il cielo era ormai abituato ad ogni cosa; in tale ambiente degradato, il poeta è ogni sera solo con se stesso e l’unico amico che ha è il suo stesso riflesso su un bicchiere di vino con il quale si ubriaca, che è come lui stordito e sottomesso, attorniato da altri ubriachi con gli occhi
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