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Aleksandr Sergeevič Puškin, Appunti di Letteratura Russa

Biografia di Aleksandr Sergeevič Puškin e riassunto delle sue opere più importanti (Il prigioniero del Caucaso, Evgenij Onegin, La figlia del capitano).

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 20/04/2020

MonicaCernetig
MonicaCernetig 🇮🇹

4.5

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Scarica Aleksandr Sergeevič Puškin e più Appunti in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! PUSKIN BIOGRAFIA Aleksàndr Sergéevič Puškin nasce il 26 maggio 1799 a Mosca, da una famiglia di proprietari terrieri. Da parte di padre apparteneva a un antico ceppo aristocratico che, dalla fine del sec. XVII, aveva cominciato a prestare servizio presso la corte degli zar moscoviti. Sia il padre che lo zio erano appassionati lettori di opere classiche, modesti autori di versi e conoscitori della lingua e letteratura francese. Secondo il costume in vigore nelle classi agiate, il giovane Puškin ebbe precettori francesi, che gli insegnarono a leggere e scrivere in francese meglio che in russo. Ma soprattutto lo appassionò alla lingua russa la governante Arina Rodionovna, che con le sue storie gli fece conoscere la profonda ricchezza di questa lingua negli ambienti popolari, al punto che alcune delle opere migliori di Puškin provengono proprio, come fonte ispiratrice, dalle favole che ascoltava: es. la ballata Lo sposo, ispirata a una leggenda in cui una fanciulla, smarritasi nel bosco, trovò scampo in un rifugio di banditi, assistendo, di nascosta, alle loro imprese e scoprendo che il suo promesso sposo altri non era che il capo della banda). Inoltre, i genitori di Puskin organizzavano delle serate letterarie alle quali partecipavano illustri letterati del tempo come Karamzin, Vjažemskij, Zukovskij che Puskin ebbe dunque modo di conoscere. Nel 1811 supera l’esame d’ammissione al Liceo di Tsarskoe Selo, riservato ai rampolli dell’aristocrazia destinati a una prestigiosa carriera nella burocrazia zarista. Tuttavia, sia gli studi nella casa paterna che quelli scolastici non furono contrassegnati da particolari successi, a motivo della sua pigrizia e del suo disinteresse per le materie scolastiche, anche se nel corso del periodo liceale si appassionò moltissimo di letteratura francese, specialmente di Molière. Nel 1812 Napoleone invade la Russia e i liceali condividono con l’intero paese l’entusiasmo per l’eroica resistenza contro l’invasore. Cominciò a comporre versi poetici e nel 1814 fu pubblicata sulla rivista di Mosca “il notiziario dell’Europa” la sua prima poesia, All'amico versificatore, firmata N. k. s. p., invertendo le iniziali del suo cognome. Nel 1817, concluso il liceo, gli viene assegnato un impiego al Ministero degli esteri e fino al 1820 vive a Pietroburgo, dividendo il suo tempo tra feste, balli, spettacoli teatrali, frequentazioni letterarie e riunioni politiche, a cui partecipa, senza peraltro iscriversi a nessuna delle società segrete che in quegli anni nascono, con l’intenzione di preparare una rivolta contro l’autocrazia, che scoppierà nel 1825. A Pietroburgo aderisce all'associazione culturale "Arzamas" e nel 1819 scrive il primo dei suoi grandi poemi: Ruslan e Ljudmila, che per la straordinaria leggerezza del verso e la bellezza della lingua, lo rese immediatamente famoso (e il cui stile ricorda quello dell’Orlando furioso). La storia che vi si racconta parla dell'antico eroe russo Ruslan, che cerca la sua promessa sposa Ljudmila, rapita dal mago Černomor. Nel complesso domina una limpida ironia di tipo volterriano. Ma non dimentichiamo ch'egli aveva studiato assiduamente anche Byron, Shakespeare e Goethe. Attratto dalle idee di libertà e di riforma in senso borghese-costituzionale dello Stato, espresse dai decabristi, comincia a scrivere poesie serie e satiriche, che criticano il regime autocratico. In particolare non piacciono gli epigrammi contro lo zar Alessandro I e contro Arakceev, che dirigeva il governo in luogo dello zar, troppo occupato a reprimere i moti rivoluzionari in Europa. Il 6 maggio 1820 viene quindi confinato nella lontana Ekaterinoslav (Dnepropetrovsk). Qui contrae una malattia per curare la quale deve usare le acque termali del Caucaso: intanto scrive, suggestionato dalle bellezze della catena montuosa e sotto l'influenza di Byron, allora molto famoso in Europa, Il prigioniero del Caucaso. Fu ospite della famiglia Raevskij. Seguì poi i Raevskij in un viaggio in Crimea (dove scrive La fontana di Bachčisaraj) e nel Caucaso, ma alla fine del 1820 dovette andare in Moldavia. Vi restò fino al 1823, quando ottenne il trasferimento a Odessa. A Odessa gli si presenta un problema: la posizione del poeta nella società. Pus si sente profondamente umiliato di dover offrire le sue opere come una merce, ma contemporaneamente vede in questo l’unico modo per liberarsi dal giogo del servizio e della famiglia, In settembre 1822 esce in volume a Pietroburgo Il prigioniero del Caucaso. Nel 1823 inizia a scrivere l'Eugenio Onegin, che lo terrà impegnato per ben sette anni e che resta il suo principale capolavoro. Compone poesie quali La notte e Il demone e inizia il poema Gli zingari che verrà terminato l’anno successivo e pubblicato soltanto nel 1827. Alla fine degli anni '20 presenta due volte le dimissioni dall'incarico amministrativo che aveva, ma lo zar gliele respinge. Una lettera del 1823, in cui esprimeva idee favorevoli all'ateismo, lo tradisce. Sicché dopo i quattro anni di confino già scontati, per altri due viene esiliato nella sua residenza di Michajlovskoe, in isolamento quasi completo, dopo essere stato licenziato dalla burocrazia imperiale. Ma la fama di Puškin, nonostante la forzata segregazione, aumentava di continuo: quando poi compone a Michajlovskoe alcuni capitoli dell'Onegin e il Boris Godunov letteralmente esplode. Quest'ultimo gli dà una fama eccezionale prima ancora d'essere pubblicato (lo sarà solo nel 1831), tanto che nel settembre 1826 gli viene permesso di tornare a Pietroburgo, anche se lo zar in persona vorrà preventivamente sottoporlo a una sorta di "test di fedeltà", obbligandolo a mettere per iscritto ciò che pensava a proposito dell'educazione della gioventù. Non dimentichiamo che quella era l'epoca della condanna a morte di molti decabristi. A Pietroburgo riprende il suo posto in società, ma con un grado assai inferiore al suo rango. E' riammesso anche al Ministero degli Esteri, ma ogni suo scritto è sottoposto a una doppia censura: quella ufficiale e quella esercitata da un incaricato dello zar. Inevitabilmente l'essere sceso a compromessi con il potere gli aliena l'entusiasmo dei giovani. Nel 1829 chiede il permesso di seguire, senza potervisi arruolare, l'esercito russo nella vittoriosa spedizione antiturca contro la Persia: scrive nell'occasione Il viaggio ad Arzerum, città di cui vede la conquista. Nell'autunno del 1830 conclude il romanzo in versi Evgenij Onegin, ch'era stato pubblicato a capitoli a partire dal 1824. Suscitò un incredibile entusiasmo: nessuno prima di lui aveva descritto così bene i costumi della società russa. Gli argomenti trattati erano così tanti che l'opera fu definita una sorta di "enciclopedia della vita russa". Ai primi del '31 gli muore l'amico più caro, sin dai tempi del liceo: Del’vig, poeta anche lui. Nel febbraio dello stesso anno sposa, dopo molte esitazioni, Natalja Gončarova, un'aristocratica abituata agli agi e alla vita mondana di corte. Quand'egli la conobbe, era corteggiata da un nobile francese al servizio dello zar, tale barone Dantès, di cui Puškin era geloso. La gelosia sembrò attenuarsi quando il barone chiese e ottenne la mano della sorella della Gončarova. Nel 1833 Puškin inizia a scrivere La figlia del capitano, altro capolavoro che ci riporta all'epoca della rivolta di Pugaciov. Ma la vendita di questi libri non sono sufficienti per mantenere la posizione economica cui la moglie e lui stesso erano abituati. Chiede allo zar di potersi ritirare in campagna debitrice, da Dostoevskij a Tolstoj fino ai poeti delle avanguardie novecentesche. Ma gli è debitore soprattutto Gogol’, suo amico e contemporaneo nonché autore di alcuni tra i più grandi capolavori della letteratura europea, tra cui Il naso (1832-1836) e Il cappotto (1842). Pare infatti che il soggetto del suo unico romanzo, Le anime morte (1852), satira feroce e altro spartiacque della letteratura russa, gli fu suggerito proprio dall’amico poeta. Ma la cosa forse più sorprendente del poema puškiniano è l’assoluta aderenza tra ciò che racconta e la vita del poeta stesso. Anzitutto, l’autore è presente nella propria opera: interviene, commenta, entra in rapporto con i membri della società dove il libro è ambientato; guarda dall’alto il mondo che descrive e lo ritrae, raccontandone i risvolti sociali, il costume, le beghe politiche ed esprimendo opinioni sul proprio tempo. Ma non solo: è stato scritto che nella figura di Lenskij, Puškin avrebbe adombrato se stesso. Forse le cose non sono così semplici, eppure è vero che il poeta si sposò con una delle donne più belle e desiderate di Pietroburgo, Natal’ja Gončarova, che fu a lungo corteggiata - si sospetta con successo - da un barone francese di stanza in Russia: Georges D’Anthès. Gelosissimo, Puškin sfidò a duello il barone, dopo anni in cui la società pietroburghese aveva chiacchierato a proposito dei due amanti. Il 27 gennaio (8 febbraio per il nostro calendario) del 1837 il duello ebbe luogo. Come Lenskij, Puškin riportò una ferita mortale all’addome e spirò due giorni più tardi. LA FIGLIA DEL CAPITANO “La figlia del capitano” è un romanzo storico pubblicato nel 1836 e scritto dall’autore russo Aleksàndr Sergéevič Puškin. Si tratta della più celebre opera narrativa dello scrittore, considerata una delle pietre miliari della grande letteratura russa. I protagonisti della storia sono il giovane ufficiale Pëtr Andréevič Grinëv e la figlia del capitano Mar’ja che, dopo varie disavventure e peripezie, riusciranno a coronare il loro sogno d’amore. Fondamentale è l’analisi del periodo storico in quanto Puškin riesce a descrivere con estrema precisione ciò che è realmente accaduto nel 1700 in Russia (la rivolta di Pugaciov), evidenziandone gli aspetti più brutali. E’ stato scritto parallelamente con La storia della rivolta di Pugaciov. TRAMA Il giovane Piotr Andreic’ Griniov soprannominato da tutti Petruscia era figlio di un militare ormai in pensione, era rimasto solo perché tutti i suoi fratelli erano morti, cosi il padre e la madre si dedicarono completamente a lui, fu affidato a un anziano signore chiamato Savelic che venne rimpiazzato dopo tanti anni da un certo Beaupre che insegnò al ragazzo tre lingue e le scienze. Quando Petruscia diventò adulto il padre decise di mandarlo a militare, pensò di mandarlo in Siberia visto che nelle grandi città come Pietroburgo non si lavorava duramente come voleva il padre. La mattina dopo il ragazzo parti alla volta di Oremburg; Andreic’ era accompagnato dal suo fedele servitore Savelic che doveva fare le veci del ragazzo, tenergli la contabilità e mantenerlo in buona salute come gli aveva ordinato il padre. La prima tappa del viaggio fu Simbirsk, qui il giovane Petruscia conobbe un certo Zurin che lo sfidò a biliardo ma il ragazzo perse una somma considerevole; la mattina disse il tutto a Savelic che era all’oscuro della vicenda e anche se l’aio cercò di far riflettere il ragazzo, questo volle in ogni caso saldare il debito perché ne sarebbe andato del suo onore. Ripreso il viaggio, sulla carrozza c’era il silenzio più totale e ognuno pensava ai fatti suoi; quando il vetturale attirò l’attenzione e affermò che si avvicinava una tormenta e quindi bisognava tornare indietro, ma il ragazzo che non voleva fare tardi all’appuntamento decise spavaldamente di continuare e quando si addentrarono nella bufera, se non era per un uomo che fece strada alla carrozza, i tre sarebbero morti assiderati. L’uomo li ospitò per una notte e la mattina ripartirono, Andreic’ però volendo ringraziare l’uomo gli donò il giubbotto di lepre, anche se Savelic non era assolutamente d’accordo. Arrivati finalmente ad Oremburg Andreic’ andò dal generale, e gli fece leggere la lettera scritta da suo padre, il generale dopo poche righe decise di mandare il ragazzo alla fortezza di Bielogorsk al confine con le steppe Chirghiso-Cosacche, a circa 40 km dalla città. Durante il viaggio Andreic’ pensava alla fortezza come un grande e possente castello comandato da persone senza comprensione ma quando arrivò trovò solo un piccolo villaggio. Condotto nell’isba del comandante il ragazzo trovò una gentile signora, una certa Vassilla Jegorovna, che disse al ragazzo che Ivan Kuzmic, cioè suo marito, non era in casa; così la donna si preoccupò di trovargli la sistemazione e lo invitò a cena a casa del comandante la sera stessa. Il ragazzo fu accompagnato nella sua sistemazione dall’altra parte del fiume, con lui dividevano la casa il proprietario, anch’esso un ufficiale, e un certo Svabrin; quando Andreic’ ebbe sistemato le sue cose lasciò Savelic e si diresse di nuovo verso l’isba del comandante, quando entrò si presentò subito a “Ivan Kuzmic” il comandante. Durante il pranzo Andreic’ si accorse di una bella ragazza, Maria Ivanovna, la figlia del capitano. Quando la cena fu terminata lui e Svabrin s’incamminarono verso la loro isba. Passato diverso tempo il giovane Piotr scoprì molte caratteristiche positive sul forte e sulle persone che vi abitavano, in particolare di Maria Ivanovna di cui s’innamorò; un giorno si decise a scriverle una lettera d’amore che però fu letta anche da Svabrin e questo, geloso del rapporto che Andreic’ aveva con la ragazza iniziò ad insultarlo, ridicolizzandolo e andò a finire che i due si sfidarono a duello. Per due volte rischiarono la vita: al primo duello furono fermati appena in tempo perché si era saputo che i due dovevano duellare quel giorno, al secondo il nostro protagonista fu ferito alla spalla. Quando il ragazzo guarì chiese in sposa Maria Ivanovna e mandò una lettera al padre per la benedizione delle nozze, che però fu rifiutata dall’uomo deciso più che mai a far cambiare fortezza al figlio; ma questo non accadde. Però Masa non gli parlava più, la sua vita diventò insopportabile, cadde in una tetra malinconia che l’isolamento e l’inazione alimentavano. Perdette il gusto della lettura e della letteratura, il suo spirito si accasciò e temette di impazzire. Dopo circa un anno dall’arrivo di Piotr alla fortezza di Bielogorsk si scatenò una ribellione contro il regime. Un certo Jemelian Pugaciov con una banda di ribelli stava sottomettendo alcune zone Cosacche con lo scopo di raccogliere alleati per irrompere a Mosca e avanzava verso la fortezza del capitano Ivan Kuzmic. La fortezza era pronta a difendersi, l’unico inconveniente fu che Vassilla Jegorovna e Maria Ivanovna non ebbero il tempo di rifugiarsi ad Oremburg, quando Pugaciov attaccò; lo scontro fu durissimo ma la battaglia breve. I soldati furono fatti prigionieri e solamente chi dichiarava Pugaciov suo sovrano aveva salva la vita, molti morirono compreso il capitano e sua moglie ma molti soldati cosacchi divennero dei traditori, Maria Ivanovna si salvò fingendosi nipote del prete, Svabrin si dichiarò fedele a Pugaciov e Andreic’ fu salvo grazie a Savelic che andò da Pugaciov e gli ricordò il regalo fattogli da Piotr durante la bufera, infatti, il rivoluzionario era l’uomo che li aveva guidati fuori dalla tormenta e a cui Andreic’ aveva regalato un giubbotto di lepre. Il ragazzo, dopo aver pranzato con Pugaciov e aver salutato Maria Ivanovna, si rifugiò alla fortezza di Oremburg perché ancora fedele alla regina Caterina II; arrivato alla città insieme a Savelic andò ad informare dell’accaduto il generale sul da farsi, c’era chi voleva stare sulla difensiva chi sull’offensiva come Piotr ma infine si optò per aspettare il nemico. Dopo poco tempo i ribelli arrivarono fino ad Oremburg e qui iniziò una battaglia molto lunga, in quei giorni di guerra Andreic’ ricevette una lettera di Maria che denunciava al fidanzato i soprusi di Svabrin che la voleva in moglie; così Piotr decise di intervenire. Di li a poco il ragazzo fu fermato da delle guardie e portato al cospetto di Pugaciov che lo riconobbe; trattenutosi per la notte i due parlarono del problema di Andreic’ ed anche Pugaciov si convinse che il suo seguace Svabrin era un uomo ignobile che non meritava di vivere, così il gran sovrano decise di seguire il viaggio per punire Svabrin. Arrivati finalmente alla fortezza Svabrin fu graziato e il giovane e la sua futura sposa dopo aver infinitamente ringraziato Pugaciov se ne andarono e decisero come meta Simbirsk dove Piotr voleva far conoscere ai suoi genitori Maria Ivanovna; i due erano accompagnati da Savelic e da Palaska, la serva della ragazza. Ai posti di blocco era sufficiente dire “Un amico del sovrano” per poter passare ma naturalmente questo non funzionò nelle città fedeli alla regina Caterina II dove Piotr fu arrestato e portato al cospetto del maggiore del forte. Questo era Zurin, col quale Piotr Andreic’ aveva giocato a biliardo perdendo molti soldi e dopo una breve spiegazione della vicenda, ad Andreic’ fu fatta la proposta di rimanere nell’esercito sotto il comando del maggiore. Così, a suo malgrado Andreic’, dovette far proseguire Maria, Savelic, e la serva Palaska a casa dei genitori senza di lui. Passato molto tempo si seppe che Pugaciov era tornato alla carica con un nuovo esercito di alleati e voleva assaltare Mosca, per fermarlo le truppe di Zurin si mossero verso Simbirsk dove già ardeva la rivoluzione Ben presto Pugaciov fu arrestato e la rivoluzione soppressa, però Andreic’ fu arrestato anche lui e mandato a Kazan perché colpevole di un supposto complotto col nemico. L’accusatore di Andreic’ era Svabrin, il quale disse che Pugaciov l’aveva assoldato come spia. Piotr e decise di liberarlo. L’ultima volta che Andreic’ vide Pugaciov fu quando questo fu condotto al supplizio, si salutarono amichevolmente, e Piotr ripensò ai momenti passati insieme, mentre adesso la sua testa rotolava sul terreno tra le acclamazioni del pubblico. Piotr Andreic’ Griniov e Maria Ivanovna infine si sposarono vissero nella vecchia casa nella campagna di Simbirsk con i loro figli. COMMENTO Con il suo romanzo Puškin descrive in modo lucido e accurato la situazione storica della Russia del 1700, mettendo in risalto le sofferenze e le precarie condizioni di vita dei contadini e delle popolazioni più povere, costrette a ribellarsi con sommosse che spesso finiscono nel sangue. Solo la fede in Dio fornisce all’uomo la forza per affrontare il male e il peccato tanto che i deboli non possono che affidarsi alla preghiera in attesa della salvezza. La figura più emblematica del romanzo è il protagonista Andréevič: il giovane ufficiale, nel corso della storia, è messo a dura prova e sarà costretto ad affrontare ostacoli di ogni tipo per raggiungere i suoi obiettivi. Grazie al coraggio e alla fede il ragazzo, alla fine, ne uscirà vincitore conquistando la libertà e la donna amata. L’opera è stata definita da Belinksij “il miracolo della perfezione”.
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