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Manzoni: La Vita e Opere di Alessandro Manzoni - Da Ateo a Romantico, Appunti di Italiano

Biografia di Alessandro Manzoni, dal periodo di studi rigidi presso i Padri Somaschi e Barnabiti, alla conversione al cattolicesimo e alla famosa opera 'I Promessi Sposi'. Manzoni rifiuta il principio di verosimiglianza e si dedica alla stesura di 'inni sacri' e 'tragedie'. La vita e le opere di Manzoni sono una testimonianza della sua evoluzione intellettuale e spirituale.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 18/03/2022

robertinamarinoo
robertinamarinoo 🇮🇹

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Scarica Manzoni: La Vita e Opere di Alessandro Manzoni - Da Ateo a Romantico e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! ALESSANDRO MANZONI (1785/1873) BIOGRAFIA: Alessandro Manzoni nasce a Milano nel 1785. La data ci fa comprendere che il poeta sarà a cavallo tra due secoli. Attraverserà le grandi vicende politiche da Napoleone a l’unità d’Italia. Figlio di Pietro Manzoni e Giulia Beccaria. Giulia è la figlia di Cesare Beccaria, uno dei più illustri rappresentanti dell’illuminismo lombardo e scrive “delitti e delle pene” , in cui lotta contro la pena di morte. Probabilmente Pietro Manzoni non fu il suo vero padre, ma fu figlio di una storia che Giulia ebbe con Giovanni Verri, uno dei fratelli dei famosi protagonisti del caffè, ovvero della rivista. (Il cognome resta comunque Manzoni poiché Pietro fu riconosciuto come il padre legittimo.) Il loro matrimonio durò poco, poiché c’era una grande differenza d’età: Giulia 23 mentre Pietro ne aveva una cinquantina e in più aveva un carattere chiuso, ombroso. Studiò fino ai 16 anni presso i padri Somaschi e Barnabiti e questo periodo fu da lui ricordato come il più duro della sua vita e a causa della rigida educazione, Manzoni si proclamò Ateo. Ricevette la tradizionale educazione classica. Per breve tempo lui visse dal padre dove incontrò gli intellettuali del tempo come Vincenzo Monti e Giuseppe Parini. Appena sedicenne scrisse Il Trionfo della Libertà, nel 1801. Nel 1805 lasciò la casa paterna e si trasferì a Parigi dalla madre, che dopo aver divorziato con il marito, si lega a Carlo Imbonati, con il quale viaggia tantissimo, ma alla fine va a convivere con lui a Parigi. IN MORTE DI CARLO IMBONATI: dopo la morte del compagno, Manzoni va a vivere a Parigi, qui compone un carme, dal titolo “In morte di Carlo Imbonati”. (1805) Dobbiamo ricordare quest’opera perché Manzoni immagina che Carlo Imbonati gli appaia in sogno e che gli affida una sorta di “testamento spirituale”. In questo scritto vengono anticipati alcuni dei principi ai quali lo scrittore rimarrà sempre fedele. Addirittura Manzoni immagina che Carlo gli dica “IL SANTO VERO MAI NON TRADIR” = vuol dire la verità, rimani fedele al vero. Manzoni sarà fedele al cosiddetto “principio di verosimiglianza” Sul suo ritorno alla fede cattolica dovette essere determinante l’influenza della giovane moglie, Enrichetta Blondel, che sposò nel 1808, che proprio a Parigi si convertì dal Calvinismo al Cattolicesimo. Ciò fece convertire anche Manzoni. Una leggenda narra invece che non fu questo il vero motivo della conversione di Manzoni. Una data fondamentale nella storia della sua vita è questa: 1810. Cosa avviene: Enrichetta e Manzoni sono invitati al matrimonio di Maria D’austria e di Napoleone, e a causa della confusione la moglie si perde. In preda alla disperazione Manzoni si rifugia nella chiesa di san Rocco e anche se ateo, incomincia a pregare. A questo punto  UTILE  VERO  INTERESSANTE Questa distinzione verrà esposta nel brano “ L’UTILE, IL VERO, L’INTERSSANTE” “L’utile, il vero e l’interessante” è uno scritto teorico che sintetizza i principi fondamentali a cui si ispira Manzoni e il romanticismo italiano. Ovvero, la letteratura deve avere: - L’utile per i scopo = la letteratura deve avere uno scopo civile, di educazione. - Il vero per soggetto = rifiuta l’imitazione, tutto ciò che è fantasioso, inventivo. - Interessante per mezzo = la letteratura deve rivolgersi a tutti. COSA SCRIVE IN GENERALE: PRIMA DELLA CONVERSIONE, LE OPERE CLASSICISTICHE: Tra il 1801 e il 1810, quindi tra i 16 e i 25 anni, Manzoni compone opere che riprendono il gusto classicistico allora dominante. Si tratta di opere scritte: -con un linguaggio aulico -e dotate di rimandi mitologici e dotti (nello stile della poesia montiana e foscoliana). Già nel 1801 scrive una “visione” allegorica in terzine, il “TRIONFO DELLA LIBERTA’”, che richiama ad un genere consacrato da Monti. Il poemetto risente del clima del tempo. Un gruppo di spiriti liberari, esalta la Rivoluzione Francese e si scaglia contro la tirannide politica e religiosa, ma già si rivela delusa dinanzi agli ideali rivoluzionari traditi da Napoleone. Del 1805, è invece il “CARME IN MORTE DI CARLO IMBONATI”. Riprendendo un modulo classico già Manzoni immagina che Imbonati, che egli ammirava come un padre, gli appaia in sogno dandogli insegnamenti di vita e di poesia. In quest’opera, a causa della delusione storica che avrà l’autore, si può veder nascere l’ideale del “giusto solitario”, in cui si rifugia nella propria virtù e nella propria solitudine, dedicandosi al culto delle lettere (un atteggiamento che risente molto di Alfieri e Foscolo.) Nel 1809, scrive il poemetto “URANIA”, che tratta un tema caro alla cultura neoclassica, ovvero il valore della bellezza e delle arti.  DOPO LA CONVERSIONE, LA CONCEZIONE DELLA STORIA E DELLA LETTERATURA. comincia una stagione problematica, anche se molto ricca e creativa. GLI INNI SACRI: La prima opera scritta da Manzone dopo la conversione sono gli “inni sacri”, nati fra il 1812 e il 1815. Già dal titolo comprendiamo che comprendono alla sfera sacra della religione. L’inno= ha carattere liturgico. Quest’opera ci fornisce subito l’esempio concreto di una poesia nuova. Per capire quale fosse realmente la novità basti pensare a qual era il modello politico dominante, quello consacrato da Monti e da Foscolo, fondato sul culto del mondo antico, che ne esaltava le forme e il linguaggio e che aveva la mitologia classica come argomento per eccellenza. Manzoni invece, rifiuta tutto questo, sentendo la materia mitologia e classica ormai morta e decide così di attuare temi che siano vivi, cioè aderenti al vero. Si crea così un tipo di opera che non si rivolge più a una cerchia di letterati, ma “ad un orizzonte popolare”, ovvero una larga massa di persone. Negli inni, l’attenzione è verso gli umili, quindi al centro ci saranno gli umili. Manzoni si rende conto che il messaggio di Cristo è un messaggio Evangelico e che dovrebbe fondarsi sull’uguaglianza, per questo i protagonisti diventano gli umili. (Così come accade nei Promessi sposi) Stile e linguaggio: Manzoni ricorre a metri dal ritmo agile e popolareggiante, versi dal ritmo incalzante. Anche il linguaggio si allontana dalle forme auliche del classicismo. Progetta di scrivere un ciclo di 12 inni sacri, ma ne scrive solamente 5. Dovevano essere dedicati ai principali momenti dell’anno liturgico. (natale, epifania ecc.) Strofa 18= vv 137/139= tieni a freno l’indole troppo sicura di sé dei giovani, quando si è troppo sprezzanti. vv 140/144= sostieni i propositi degli adulti LA LIRICA PATRIOTTICA E CIVILE: Come gli inni sacri, anche nella lirica patriottica e civile vi è una rottura con gli ideali classici. Sono opere che si legano di più al Romanticismo, perché ci troviamo nel periodo del rinascimento, dell’unità d’Italia, quindi vi è un forte senso patriottico, all’esaltazione della patria. Nascono dopo l’incalzare degli eventi politici che seguono l’abdicazione di Napoleone. Dopo due tentativi infelici di canzoni, “APRILE 1814” e “IL PROCLAMA DI RIMINI”, lasciate interrotte, nel 1821 Manzoni compone “L’ODE MARZO 1821”, dedicata ai moti di quell’anno e “IL 5 MAGGIO” ispirata alla morte di Napoleone. Anche qui non resta più niente della tradizione mitologica, di riferimenti storici antichi. Al contrario, i fatti contemporanei sono visti nella prospettiva religiosa. -In MARZO 1821, Manzoni parla dell’Italia, e invita gli Italiani a unirsi contro l’oppressore straniero. Quest’opera è dedicata a Teodoro Corner, un giovane soldato tedesco che era morto a Lipsia combattendo contro Napoleone. Quindi la vocazione è chiaramente patriottica, il soldato è morto per difendere una patria. Quindi è un ode incentrata sul riscatto politico della nazione, e Manzoni invita gli italiani a partecipare direttamente a questa lotta e di unirsi contro l’oppressore straniero. Ad un certo punto, Manzoni parlando dell’Italia dicendo: VV 31/ “Una d’arme, di lingua, d’altare, 32 di memorie, di sangue, di cor.” COSA VUOL DIRE: Una d’arme= fa riferimento all’esercito. L’auspicio è che gli Italiani siano uniti nell’esercito. Di lingua= Manzoni ha dato un contributo fondamentale per il rinnovamento linguistico. D’altare= l’altare è una sorta di immagine che fa riferimento alla religione. Quindi unito dall’esercito, dalla lingua, dalla religione, dalla memoria= quindi dalle tradizioni, dal sangue= dalle stirpi, il sangue che accumuna, dal cor= il cuore, dal sentimento nazionale. Dio stesso soccorre i popoli che lottano per la loro indipendenza, perché opprimere un altro popolo è contro le sue leggi. -Nel 5 MAGGIO, l’alternanza nel raccontare le glorie e le sconfitte di Napoleone, è valutata dalla prospettiva dell’eterno. Anche i cori inseriti nelle due tragedie, rientrano nella poesia lirica e presentano delle caratteristiche innovative. Vicino alle forme di Marzo 1821 è il coro del “CARMAGNOLA”, narra delle lotte politiche che dividevano il popolo italiano nel Quattrocento. Il primo coro “dell’ADELCHI”, è un esempio di poesia nella storia. CHE COSA SINGIFICA= Manzoni va verso il passato con un autentico senso della storia. Il passato viene visto con l’occhio del presente, e viene affrontato per discutere dei problemi politici dell’oggi. A parte si colloca invece, il secondo coro, dedicato alla morte di Ermengarda: tratta dei tormenti interiori dell’infelice eroina, ripudiata dal marito Carlo Magno, e cerca di soffocare la passione amorosa. Compare anche qui la poesia nella storia. LE ODI: Manzoni scrive l’ode “IL 5 MAGGIO”. IL 5 MAGGIO: Il 5 maggio è una delle poesie più celebri di Manzoni, scritte in memoria della figura del francese Napoleone Bonaparte, morto nel periodo passato in esilio nell'isola di Sant'Elena in data 5 Maggio 1821. Nella poesia Manzoni ricorda le grandi battaglie vinte da Napoleone con l'esercito francese, mettendo in risalto gli aspetti principali del suo carattere e della sua personalità. Manzoni aveva conosciuto Napoleone Bonaparte, ma non aveva mai dato un suo giudizio sulla figura del condottiero francese. Nel momento in cui viene a conoscenza della morte del condottiero francese e della sua conversione cristiana in punto di morte, il poeta scrive di getto la lirica il 5 maggio, ricordando la figura del carismatico generale. Manzoni non nomina mai Napoleone, ma usa sempre pronomi per indicarlo. Napoleone ha avuto tutto nella vita, come la gloria grazie a Dio che lo ha aiutato; quando è morto era da solo (è morto esiliato a Sant’Elena, un’isola sperduta nell’Oceano Atlantico). L’unica “persona” che non lo ha abbandonato sul letto di morte è stato Dio. Con questo Manzoni vuole intendere che davanti alla morte siamo tutti uguali. Manzoni nel il 5 maggio riflette quindi LE TRAGEDIE: Come la lirica, anche la tragedia di Manzoni si colloca in posizione di rottura rispetto alla tradizione del genere. La novità la ritroviamo: -nella scelta della tragedia storica -il rifiuto delle unità aristoteliche. La tragedia classicheggiante (ovvero quella di Racine e Alfieri) quando metteva in scena dei personaggi ed eventi storici, isolava l’azione fuori dalla storia, non vi era un legame con un tempo e uno spazio concreto. Seguiva invece rigorosamente l’unità di tempo, di luogo e di azione. I fatti si svolgevano nell’arco di una giornata, non vi erano mutamenti di scena, non si intrecciavano tra loro più azioni diverse. La tragedia nasce in Grecia, grazie ad Aristotele con le regole delle tre unità, PERO’: In queste tragedie Manzoni rifiuterà le REGOLE ARISTOTELICHE. Nel romanticismo infatti, queste regole non possono essere accettate, queste regole sono artificiose, MANCANO DI VEROSIMIGLIANZA. Ne accetta solo una, quella di azione. Concludere un’azione in brevissimo tempo e in un solo luogo, secondo Manzoni, costringe il poeta a esagerare le passioni, per far si che i personaggi in 24h giungano alla conclusione. Da questo nasce il “falso” della tragedia classicistica, ciò che Manzoni chiama Romanzesco= quella forzatura dei caratteri e delle passioni che non corrisponde alla maniera d’agire degli uomini nella realtà. Solo la libertà da queste regole consente di riprodurre il vero. In più, Manzoni ritiene che la falsità della tragedia , ha anche dannosi effetti morali, poiché gli uomini finiscono per applicare nella vita reale i principi e i sentimenti falsi visti sulla scena, quindi è preoccupato dall’influenza che il teatro può esercitare. Solo un teatro che esprimi il vero può per lui avere influssi positivi sul pubblico. Manzoni invece, con il suo teatro tragico, vuole collocare i conflitti dei suoi personaggi in un determinato contesto storico, riconosciuto con fedeltà, quindi reale. I principi che lo guidano sono esposti in un ampio saggio: “Lettre à M. Chauvet. sur l’unité de temps et de lieu dans le tragédie”. Sulla concezione del “culto del vero”, Manzoni afferma che non c’è bisogno di inventare fatti, perché nella storia, ovvero in ciò che gli uomini hanno compiuto, vi è il più ricco repertorio di soggetti drammatici. Per creare una poesia drammatica basta ricostruire un fatto storico, per questo motivo il poeta deve essere fedele al vero. Ciò che lo distingue dallo storico, è che egli completa i fatti drammatici, con “l’invenzione poetica” i pensieri e i sentimenti di chi è stato protagonista di quegli avvenimenti. La convinzione del vero era stata influenzata anche in Manzoni dalla letteratura dei drammi storici di Shakespeare, un autore che ripudiava il gusto classicistico. Contribuì anche la letteratura della delle tragedie storiche di Schiller e Goethe. LE DUE TRAGEDIE PIU’ FAMOSE SONO: “Il Conte di Carmagnola” e “L’Adelchi” . All’interno di queste tragedie ci sono due categorie: VINTI E VINCITORI e OPPRESSI E OPPRESSORI, Manzoni crede nella catarsi= ovvero la purificazione delle emozioni. I TRE PIU’ GRANDI TRAGEDIOGRAFI SONO: Eschilo, Sofocle, Euride. LE DUE TRAGEDIE: IL CONTE DI CARMAGNOLA= Scritta tra il 1816 e il 1820. Questa tragedia si concentra sulla figura di un capitano di ventura del Quattrocento, ovvero FRANCESCO BUSSONE. Al servizio del duca di Milano ottiene molte vittorie e arriva a sposarne la figlia. Passa poi al servizio di Venezia, assicurandogli una clamorosa vittoria su Milano nella battaglia di Maclodio. Ma successivamente, viene sospettato di tradimento dai Veneziani e così attirato a Venezia con un falso pretesto, viene incarcerato e condannato a morte. Il tema centrale è il conflitto tra l’uomo dall’animo elevato e generoso, e la ragion di stato, con i bassi intrighi machiavellici su cui si fonda. non vuole avere la funzione posseduta dal coro nella tragedia greca: -nelle tragedie antiche: il coro era la personificazione dei pensieri e dei sentimenti, era cioè una sorte di spettatore reale, che filtrava le passioni provate dal pubblico reale. -Il coro manzoniano: invece, doveva essere un “cantuccio”, dove l’autore poteva parlare in persona propria, quindi un momento in cui lo scrittore possa esprimere la propria visione e le proprie reazioni soggettive di fronte ai fatti. In questo modo, si evitava che ai personaggi Manzoni prestasse i propri sentimenti. MORTE DI ERMENGARDA: Ci sono delle frasi all’interno delle tragedie che ci fanno riflettere su alcuni concetti che possiamo definire “pilastri” del concetto manzoniano. Una di queste “SOFFRI E SII GRANDE”= si trova nell’Adelchi. E’ rivolta ad Adelchi stesso. Adelchi è un vinto, uno sconfitto. La sofferenza consente ciò che Aristotele definisce “catarsi” ovvero “purificazione”. Manzoni scriverà queste tragedie dopo la sua conversione, quindi è positiva nell’ottica cristiana. E’ un atto di purificazione morale. Adelchi e Ermengarda sono personaggi sconfitti nella vita terrena, Ermengarda è stata ripudiata, per motivi di opportunismo politico, per egoismo, per la logica del potere. Ermengarda si strugge per questo amore che lei definisce “tremendo” e sembra che si muova su tre dimensioni temporali: presente, il passato e il futuro. Ermengarda si isola, si rinchiude in un convento e viene a sapere delle nuove nozze di Carlo Magno, e si lascia morire. In Ermengarda genera sofferenza IL RICORDO, che contribuisce ad aumentare la sua sofferenza. Un altro personaggio in un’altra opera ricorda e soffre nel ricordo della grandezza passata: è NAPOLEONE. Possiamo fare un parallelismo tra i due: Quando Napoleone in letto di morte si ritrova solo e si ricorda della sua gloria passata, ed è una sorta di parabola di Napoleone. Quindi SOFFRI E SII GRANDE, vuol dire che la sofferenza non è vista come qualcosa di inutile. Secondo Manzoni il male è presente nella storia, è presente nella quotidianità, a causa di un disegno interscrutabile, ovvero qualcosa che la ragione umana non può capire, non può arrivare a comprenderne le motivazioni, però il male c’è, è presente nella storia, ma questi personaggi hanno la possibilità di riscattarsi, purificandosi. La sofferenza porta ad una purificazione morale. Un'altra frase molto importante: PATHEA MATHOS Eschilo la cita in una tragedia intitolata Agamennone, inserisce il concetto del PATHEA MATHOS= significa la conoscenza, la saggezza attraverso il dolore. Eschilo indaga sul male, sul dolore, sulla presenza degli dei, la tragedia era caratterizzata sulla presenza degli dei, gli dei influiscono sul destino degli uomini. Cosa vuol dire questo concetto: Il dolore ha un senso, non è inutile. Il dolore può permettere di scavare dentro noi stessi, ci può portare alla conoscenza. La sofferenza diventa origine della propria coscienza. Qual è la chiave di lettura di Manzoni= il dolore può portare ad un riscatto. E’ quello che succede ad Adelchi, ad Ermengarda. Personaggi vinti, sopraffatti da questo male presente nella storia, però sono personaggi a cui è destinato qualcosa. Ecco perché si parla di un altro concetto chiave per Manzoni, ed è quello di PROVVIDA SVENTURA. Sembra quasi essere un’espressione ossimorica, ovvero con due termini in contrasto. SVENUTURA= qualcosa di negativo PROVVIDA= è qualcosa di provvido, qualcosa di positivo. Come fa la sventura ad essere provvida? In realtà, secondo Manzoni la sventura è voluta dalla provvidenza. Concetto che Manzoni affronta nei promessi sposi, i personaggi manzoniani dovranno essere sempre affrontare delle prove. (Renzo, illuminato). Un’altra frase che dice Adelchi: “IN QUESTO MONDO, NON RESTA CHE FAR TORTO O PATIRLO”. Cosa significa: è una visione pessimistica (influenza giansenista). astratto, fuori dal tempo e dallo spazio reali, come nella tradizione classica. Prima di Manzoni aveva scritto dei romanzi, in particolare romanzi epistolari: Ugo Foscolo. Manzoni attua una scelta ben precisa, quella del romanzo storico, da cui prenderà spunto da Walter Scott, un autore scozzese che scrive un’opera ambientata in Inghilterra. Manzoni si preoccupa del vero, della ricerca di verosimiglianza. compie delle indagini, cerca di studiare per bene il contesto storico, che non è la Milano a cavallo tra il 700’ e 800’ ma Manzoni decide di ambientare i promessi sposi nel 1600. In più, per differenziarsi dagli storici, aggiunge l’invenzione poetica. I PROMESSI SPOSI OPERA: Nei promessi sposi, Manzoni ci offre il quadro di un’epoca del passato, ricostruendo tutti gli aspetti della società, il costume, la mentalità, le condizioni di vita, i rapporti sociali ed economici. Secondo il modello Scottiano, protagonisti non sono le grandi personalità storiche, ma personaggi inventati, quelli di cui abitualmente la storiografia non si preoccupa. I grandi avvenimenti e gli uomini famosi costituiscono lo sfondo delle vicende, vissute da questi personaggi che compaiono in quanto vanno a incidere sulla loro vita. La storia viene in tal modo vista dal basso, come si riflette sull’esperienza quotidiana della gente comune. Per tracciare il quadro storico, Manzoni si documenta, va alla ricerca di un autentico storico, leggendo, opere storiografiche sull’argomento, cronache del tempo, biografie. Ciò spiega perché Manzoni pur rifacendosi al modello di Scott sia critico verso di lui, gli rimprovera l’eccessiva disinvoltura con cui tratta la storia, Romanzandola attraverso l’invenzione. Per Manzoni invece personaggi fatti storici devono essere affrontati nel modo più rigoroso. Lo scrupolo del vero lo induce a rendere le vicende personaggi di invenzione così simile alla realtà. Lo stesso scrupolo del vero lo induce a respingere il romanzesco. IL QUADRO POLITICO DEL SEICENTO: la società di cui Manzoni vuole fornire un quadro nel suo romanzo è quella lombarda del seicento sotto la dominazione spagnola. Manzoni si colloca nei confronti del passato con l’atteggiamento dell’illuminista, osservando pregiudizi e ingiustizie. Il seicento lombardo ai suoi occhi segna il trionfo dell’ingiustizia, della prepotenza da parte del governo, da parte dell’aristocrazia e delle masse popolari.ma questa ricostruzione critica del passato ha anche precise valenze politiche riferite alla situazione presente, come già si verifica nei cori delle tragedie. La storia di questi due umili protagonisti si intreccia a grandi eventi storici, in particolare alla peste, alla carestia, i tumulti di san Martino. Quindi per Manzoni è fondamentale delineare nella maniera più attendibile possibile il contesto storico DIFFERENZE TRA LE VARIE STESURE: Del suo romanzo Manzoni ci ha lasciato tre redazioni: -la prima del 1821, pubblicata con il titolo gli sposi promessi, poi, con maggiore fedeltà dell’autore, Fermo e Lucia. - La seconda pubblicata dall’autore nel 1827, (definita la 27ana), già con il titolo definitivo i promessi sposi . In cui attua un profondo lavoro di revisione linguistica. - La terza pubblicata nel 1840, che è quella che abitualmente oggi leggiamo. Tra le due edizioni pubblicate dall’autore, 1827/1840, vi sono essenzialmente differenze linguistiche, nella terza ci avviciniamo all’idea della fiorentinità della lingua che Manzoni elaborò dopo il 1827, Manzoni fa una sciacquatura dei panni in Arno, (l’Arno è il fiume fiorentino) cosa vuol dire: Manzoni vuole utilizzare il fiorentino parlato dalle classi colte, quindi la revisione è di tipo linguistico. mentre la prima redazione, il Fermo e Lucia, presenta differenze profonde, tali che hanno fatto parlare, da parte di molti, di un altro romanzo, di un’opera autonoma rispetto ai promessi sposi. Vi sono innanzitutto differenze nella distribuzione delle sequenze narrative sugli intrecci: mentre nei promessi sposi dopo la fuga del paese, si hanno successivamente la storia di Geltrude, le vicende di Renzo nei tumulti milanesi e la fuga oltre il confine, le vicende del rapimento di Lucia da parte dell’innominato, nel fermo si ha prima di tutto Il blocco delle peripezie di Lucia, poi quelle di fermo. Nel fermo inoltre, vi sono personaggi che hanno una fisionomia completamente diversa da quella della redazione definitiva: il conte del sagrato, che corrisponde all’innominato, non è un personaggio di grande statura spirituale, ma un tipico tiranno. Anche Lucia il sensibilmente diversa, più realistica, più legata ad una determinata condizione sociale, una tipica campagnola lombarda del seicento, nei modi, della mentalità, nel linguaggio. Vi sono cui veniva a contatto. Giunge così alla soluzione per lui definitiva del problema della lingua. La lingua italiana unitaria, quella da usare nella letteratura come nella vita sociale, deve essere il fiorentino delle persone colte, non la lingua morta dei libri del trecento e del 500, ma la lingua viva parlata attuale. In base a questi principi lo scrittore conduce la revisione del romanzo, che lo occupa per lunghi anni. Manzoni lavora, sottoponendo continuamente l’opera a fiorentini colti per averne suggerimenti di vocaboli. Il romanzo nella sua redazione definitiva, si offre, come Esempio di lingua viva, prendo anche per questo aspetto una nuova via alla letteratura italiana. L’ADDIO AI MONTI I tre fuggiaschi raggiungono il lago e salgono su una barca per farsi traghettare all’altra sponda nella notte serena. Quest’ultima macro sequenza si può dividere in tre parti: a)descrizione del paesaggio notturno; b)addio ai monti, congedo di Lucia in forma di monologo interiore; c)avvicinamento alla riva destra dell’Adda. a) Descrizione del paesaggio notturno • Il silenzio notturno è interrotto soltanto dal frangersi del remo nelle acque del lago; il narratore si sofferma sullo sguardo dei tre fuggiaschi che guardano un’ultima volta i luoghi da cui sono costretti a separarsi: villaggi, case, capanne e a dominare su questi, come una minaccia, il palazzotto di don Rodrigo paragonato a un assassino che sta in agguato. • Non si tratta di un dettaglio insignificante: la notte è tranquilla, ma la minaccia del male è sempre presente e incombente. È questa la funzione del palazzotto di DR. • Esso contrasta con la pace del paesaggio e vi introduce il tema dell’opposizione alto/basso, tra potere incombente e minaccioso e umili assoggettati. B) L’Addio ai Monti • Il romanzo aveva avuto inizio con una descrizione geografica, oggettiva “dall’alto”; quello stesso paesaggio ora è divenuto familiare al lettore e viene rivisitato con gli occhi di Lucia che mai avrebbe voluto allontanarsene. • In sostanza protagonisti del romanzo lasciano il paesello natio attraversando quel lago su cui si era aperto il romanzo. La differenza tra l’ampia sequenza descrittiva dell’incipit e il paesaggio evocato nel congedo di Lucia (l’Addio ai monti), è evidente. I luoghi sono gli stessi, vengono citati alcuni particolari identici, (es. cime ineguali = Resegone, le ville sparse sul pendio, i torrenti). Tuttavia nell’incipit del romanzo, l’osservazione imparziale, con focalizzazione zero, oggettiva, si limita a fornire indicazioni topografiche molto precise: il ramo sud-orientale del lago di Como che, a un certo punto, “prende corso e figura di fiume”, il ponte che accentua tale trasformazione, Lecco, il borgo che si avvia a diventare città, la costiera variegata, le strade e le stradette dalle quali si possono ammirare diversi panorami ecc.. • Nel secondo, invece, che è quasi un monologo interiore, anche se espresso con la lingua del narratore, il punto di vista è quello di Lucia (focalizzazione interna) che sta per lasciare forse definitivamente gli unici luoghi che abbia mai conosciuto e su cui ha fondato tutta la propria esistenza, senza alcun desiderio di abbandonarli. A conferma del punto di vista soggettivo, Lucia dà l’addio ai monti come ad esseri umani, (con il passo triste di chi cresciuto tra voi si allontana) e li paragona a presenze care e familiari; i torrenti hanno per lei il suono delle voci domestiche, i villaggi sono pecore al pascolo. • Quando poi si sofferma a guardare la propria casa e quella di Renzo che sarebbe dovuta diventare sua, la visione fa emergere ricordi strazianti: sono l’una la casa in cui ha aspettato l’amore, l’altra quella in cui ha sognato di vederlo realizzato. • Di fronte alla chiesa l’anima raggiunge il culmine del dolore e il ritmo dei pensieri si fa spezzato, con la congiunzione e ripetuta a scandire il climax: benedetto … e… comandato, come se Lucia guardasse i luoghi tra i singhiozzi. Il tema dell’esilio • L’Addio ai monti di Lucia tratta il motivo dell’allontanamento dal paese d’origine, che è insieme sociale e sentimentale: da una parte riflette infatti il fenomeno dell’emigrazione o dell’esilio, indotto dai bisogni economici o da persecuzioni di varia natura; dall’altra esprime l’amore per la propria terra e lo strazio per l’abbandono di luoghi, abitudini e persone che possono rappresentare l’intera vita affettiva di un individuo.
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