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Alessandro Manzoni - I Promessi Sposi, Appunti di Letteratura Italiana

Riassunto dei capitoli, vita e analisi del romanzo di Alessandro Manzoni

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 27/06/2019

campanellino92
campanellino92 🇮🇹

4.5

(25)

39 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Alessandro Manzoni - I Promessi Sposi e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! I Promessi Sposi Infobox: • Autore: Alessandro Manzoni • Cosa: I Promessi Sposi • Quando: 1827 (prima edizione, Ventisettana), 1840 (seconda edizione, Quarantana) • Caratteristiche: Romanzo storico • Movimento letterario: Romanticismo • Frase celebre: «Questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai» 1. Introduzione a “I Promessi Sposi” Primo romanzo della letteratura italiana. Ci vollero 21 anni, I promessi sposi sono il primo romanzo della letteratura italiana. Un lavoro di ben ventuno anni servì a Manzoni per terminare il suo capolavoro, con cui avrebbe cambiato per sempre la storia della nostra letteratura. Questo romanzo, infatti, non è solo un’opera nata per il diletto; la sua importanza attraversa diversi piani. Manzoni cercava di andare incontro a un pubblico ampio che mostrasse interesse a comprendere le radici del proprio passato e a trarne un insegnamento morale, in particolare riguardo al problema del dolore nella propria esistenza. Inoltre, così come la televisione negli anni ’50/’60 contribuì alla creazione di un italiano unitario, I promessi sposi fecero altrettanto nell’Ottocento. Fecero cultura a tutti i livelli, adattandosi a diversi piani di lettura. Da subito questo romanzo fu introdotto nelle scuole e resiste da generazioni, non senza motivo. 2. Il genere del romanzo storico I promessi sposi sono un romanzo storico. Il romanzo storico è un particolare tipo di romanzo in cui l’ambientazione storica ha un valore documentaristico perché intende trasmettere lo spirito, i comportamenti e le condizioni sociali attraverso dettagli realistici e con un'aderenza, fittizia o meno, ai fatti documentati. Può contenere personaggi realmente esistiti oppure una mescolanza di personaggi storici e di invenzione. Nacque durante il Romanticismo perché forte era l’attrazione verso il passato, in particolare della propria nazione, interpretato come radice del presente; inoltre permetteva di evadere con la fantasia. Nel romanzo storico la Storia ha una funzione dimostrativa Manzoni, a differenza di Walter Scott che agiva talvolta con libertà e fantasia sulla ricostruzione storica per piegarla alla piacevolezza della narrazione, cerca nel suo unico romanzo una tesi, partendo da un’accuratissima ricostruzione: in altre parole, la Storia è utilizzata quindi con funzione dimostrativa e non solo come ambientazione. Dall’Ottocento in poi il romanzo storico fu un genere molto adoperato: anche le Ultime lettere di Jacopo Ortis (1817) mostrano il problema della storia e di come essa si intrecci alle vicende personali del protagonista. Negli anni successivi a Manzoni, il suo romanzo, come ogni opera che fondi una tradizione, fu ripreso e sconfessato più volte. 3. Le cose da sapere I Promessi Sposi è un romanzo storico considerato pietra miliare della letteratura italiana non solo perché primo romanzo moderno della nostra tradizione ma anche perché un passaggio importantissimo e fondamentale per la nascita e l’evolversi della lingua italiana così come noi la conosciamo oggi. I Promessi Sposi è considerato l’opera che meglio rappresenta il romanticismo italiano grazie anche alla profondità dei suoi temi e al modo in cui vengono affrontati: temi come la filosofia, la storia, e temi legati al cristianesimo come la Provvidenza o la Grazia Divina vengono affrontati e narrati con dovizia di particolari, assumendo ruoli talmente rilevanti da poter essere considerati dei veri e propri personaggi della storia (l’esempio lampante è la Divina Provvidenza). Tra le prime volte segnate da I Promessi Sposi c’è anche quella del primo romanzo ad avere come protagonisti gli umili e non i potenti e i ricchi che riscuote un così grande successo all’epoca. Il romanzo de I Promessi Sposi ha avuto talmente tanto successo e ha scatenato talmente tanto interesse sia da parte del pubblico che da parte della critica letteraria tra XIX e XX secolo che è stato rielaborato in diverse forme artistiche, dalla rappresentazione teatrale all’opera lirica, passando per il cinema e anche per la fumettistica. Il romanzo ha anche un finale che non viene mai narrato a scuola, limitandosi a dire agli studenti che Renzo e Lucia hanno il loro lieto fine con il matrimonio, ma la storia va oltre. Dopo il matrimonio, il cui banchetto si tiene al castello del defunto Don Rodrigo per volere del marchese suo erede, che vuole in qualche modo rimediare ai torti subiti dai due giovani, quest’ultimo acquista le proprietà dei due novelli sposi a un prezzo molto più alto di quello che valgono. I due giovani, insieme alla famiglia, possono così trasferirsi prima a Bartolo, paese che poi lasceranno per incompatibilità ambientale, e poi di acquistare un filatoio in un paesino in provincia di Bergamo. Qui i due si stabiliranno, ottenendo successo sia a livello lavorativo che a livello familiare: i giovani infatti avranno una figlia, che chiameranno Maria, con la prospettiva di altri bimbi in arrivo, tutti educati da nonna Agnese. I due giovani, andando avanti con le loro vite, hanno anche modo di trarre una morale da tutte le peripezie vissute: fatti simili capitano a chi si comporta in modo incauto, come il baldanzoso Renzo, ma anche a chi non ha colpe, come l’innocente Lucia. La sola via d’uscita è la fede in Dio, che aiuta a sopportare i guai e a farne lezioni di vita. Celebri sono le parole di chiusura del romanzo, in cui è Manzoni stesso a lasciare i lettori facendo chiarezza sulle sue intenzioni sin dall’inizio e sui risultati che spera di aver ottenuto con il suo scritto: “Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia. La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta”. 4. L'ambientazione L’ambientazione scelta da Manzoni è l’area lombarda dei primi decenni del 1600, che si trova sotto la dominazione spagnola. Si tratta di una scelta molto interessante perché Manzoni vuole dimostrare le caratteristiche di un malgoverno con l’occhio critico di uno storiografo illuminista. Quello spagnolo in Lombardia è infatti «il governo più arbitrario combinato con l’anarchia feudale e l’anarchia popolare» animato da «un’ignoranza profonda, feroce, pretenziosa»; infine martoriato da «una peste che ha dato modo di manifestarsi alla scelleratezza più consumata e svergognata, ai pregiudizi più assurdi e alle virtù più commoventi» (dalla lettera a Fauriel, novembre 1822). Inoltre, Manzoni comincia a scrivere questo romanzo proprio dopo il fallimento dei moti del marzo 1821. Sceglie il romanzo per indagare le radici storiche dell’arretratezza italiana con l’intento di offrire alla borghesia progressista, come in un negativo fotografico, la futura società da fondare. Per contrasto, l’autore vuole proporre una società ideale, che sia libera, con un saldo potere statale, una legislazione agile e snella e tutori della legge che non siano in connivenza con i potenti; le classi sociali devono essere in armonia tra loro, evitando prevaricazioni. Quindi l’ambientazione storica non è solo lo sfondo su cui collocare in modo astratto i propri personaggi: è elemento fondante e pieno di significato. I personaggi, di conseguenza, assumono un forte rilievo drammatico e, anche quando inventati, si armonizzano perfettamente al corso degli eventi narrati. Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli... 5. Trama Lorenzo Tramaglino e Lucia Mondella stanno per sposarsi. I preparativi fervono ma a intralciare la loro felicità c’è don Rodrigo, signorotto del paese, che ha messo gli occhi sulla promessa sposa. Il matrimonio viene impedito con la forza perché due bravi di don Rodrigo impediscono a don Abbondio (curato del paese) di celebrarlo dietro minaccia di morte. I due promessi chiedono l’intercessione di padre Cristoforo – il padre spirituale di Lucia – ma questi non riesce a smuovere don Rodrigo. Si rivolgono allora a un avvocato, Sono tanti i personaggi che compaiono nel romanzo di Alessandro Manzoni e ognuno di loro ha, a modo suo, un posto importante all'interno della storia narrata. Manzoni per ciascuno fornisce accurate descrizioni che riguardano il ruolo, le caratteristiche socio-economiche, la psicologia ed il comportamento. I personaggi principali, ossia i protagonisti, sono ovviamente tre: Renzo, l’eroe; Don Rodrigo, l’antagonista; e Lucia, che rappresenta l’oggetto del desiderio. Tutti gli altri personaggi si possono raggruppare in due grandi gruppi: quello dei buoni e quello dei cattivi. Il primo gruppo è costituito da quelli che aiutano i promessi sposi a realizzare il loro desiderio di sposarsi, mentre i secondi fanno di tutto per ostacolarli. Bisogna tenere a mente, però, che in realtà nessuno dei personaggi descritti da Manzoni può essere definito del tutto buono o del tutto malvagio e che diversi personaggi, nel corso della storia, cambiano molto. 6.4 SCHEMA DEI RUOLI Una prima suddivisione tra i vari personaggi si può comunque fare secondo lo schema vittima-oppressore. Renzo e Lucia sono le vittime, mentre Don Rodrigo è l'oppressore. Gli alleati di Don Rodrigo sono l’Innominato, il cugino Attilio, il Conte Zio, i bravi e l'Azzecca-garbugli. Invece Fra Cristoforo, il cardinal Federigo Borromeo, Agnese, Perpetua e gli amici al paese, Tonio e il fratello Gervaso, possono annoverarsi fra gli aiutanti delle vittime. Ma bisogna ricordare anche don Abbondio, che, con la sua paura di ribellarsi al signorotto del paese, dà il via alla vicenda, rinviando il matrimonio tra Renzo e Lucia. Oppure la Monaca di Monza che collabora al rapimento di Lucia. 6.5 PERSONAGGI STATICI E DIMAMICI I personaggi possono essere ulteriormente suddivisi in due categorie a seconda della loro staticità o dinamicità rispetto allo spazio, se cioè restano fermi in un determinato luogo o sono portati dalle vicende a decidere autonomamente di spostarsi (in questo senso Lucia è statica perché "viene spostata" contro la sua volontà e diviene dinamica solo alla fine quando decide insieme al marito di andare a Bergamo, ma anche qui con una buona dose di staticità, perché in fondo segue il marito). 1. Statici Nel corso della storia non mutano e restano fedeli a se stessi nel corso del tempo. Sono personaggi statici‚ (o piatti) quelli che non modificano la propria personalità nel corso della narrazione, come don Abbondio. Egli, infatti, proprio perché si comporta in una maniera diversa da come si dovrebbe comportare un normale parroco, non solamente diverte il lettore, che sorride alle sue eccessive paure, alla sua pavidità di coniglio, al suo egocentrismo, alle sue ansie per la propria tranquillità, alle meschinità messe in atto per non compiere scomodi doveri, ma anche riflette sulle proprie piccinerie: in fondo don Abbondio è il personaggio nel quale meglio si riflettono i difetti degli uomini e, soprattutto, le paure e gli egoismi dei mediocri. 2. Dinamici Quelli che nel corso del racconto modificano la loro personalità, cambiano opinione, posizione. RENZO TRAMAGLINO: Ai personaggi statici (o piatti), si contrappongono i personaggi a tutto tondo‚ (o dinamici), ossia quelli che si evolvono e cambiano nel corso della narrazione, come l'innominato oppure Renzo. Il dinamismo di Renzo, protagonista maschile della storia, non riguarda soltanto la sua trasformazione a livello mentale da giovane ingenuo in accorto imprenditore, attraverso le numerose peripezie a Milano, durante i tumulti e poi all'epoca della peste. Renzo è dinamico anche a livello fisico perché le circostanze lo portano a percorrere, a piedi, chilometri e chilometri facendo acquisire dinamismo anche all’azione narrativa spostandosi da un luogo all'altro del Milanese. Potremmo definire il suo pellegrinare un’odissea poiché, convinto di lasciare il paesino per trovare ospitalità a Milano per qualche tempo, si trova al centro di fatti più grandi di lui. Inseguito dalla polizia, che lo crede una spia responsabile dei tumulti, fugge in direzione di Bergamo. Continua ad essere ricercato ed è costretto a non dare troppa confidenza agli osti e agli avventori nelle taverne dove si ferma a riposare. Poi, quando l'anno successivo torna al paese in cerca di Lucia, viene a sapere che si trova a Milano, ospite di una nobile famiglia. Eccolo ancora nel capoluogo lombardo, scambiato prima per un untore e poi per un monatto, e in questa veste raggiunge Lucia che è ricoverata al lazzaretto: anche in questo luogo di dolore non mancano avventure. Ritrovata la fidanzata, comincia un viaggio interminabile tra il paese, Bergamo (dove torna per allestire la casa) e Pasturo, dove Agnese si è rifugiata per evitare il contagio. LUCIA MONDELLA: Nel corso di tutto il romanzo questo personaggio rimane fedele a se stesso. Il Manzoni ne fa, riguardo a talune vicende, una specie di strumento della Provvidenza Divina come avviene ad esempio nel castello dell'Innominato in cui alcune parole che dice impulsivamente, circa il perdono di Dio, che viene concesso anche solo per un'opera di misericordia, hanno un effetto dirompente sul cattivo signore, in crisi di identità e, ancora inconsciamente, desideroso di mutar vita, stanco di commettere violenze contro innocenti. Lucia sembra essere un mezzo della Grazia Divina, ma non tutti i personaggi sanno accoglierla come accade per la monaca di Monza che si affeziona alla ragazza e si consola al pensiero di poterle fare del bene e di riuscire a cambiare la propria vita grazie alla sua influenza. DON RODRIGO: è un personaggio statico: lo troviamo sempre nel suo palazzotto, dal quale dirige le operazioni per far arrendere Lucia; a un certo punto, vista la sua impotenza, è costretto a spostarsi nel castello dell'innominato per chiedere aiuto, e alla fine viene letteralmente trascinato al lazzaretto, dove finisce la sua miserabile esistenza: in questo senso lo possiamo definire come il simbolo dell'eterna staticità del male nella sua essenza. PADRE CRISTOFORO: si tratta di uno dei frati cappuccini del convento di Pescarenico, padre confessore della protagonista, Lucia. Il suo ruolo è quello di alleato di Renzo e Lucia contro i soprusi di Don Rodrigo, anche se non sempre riesce nell’aiutare i due giovani. Ha circa sessant’anni, una lunga barba bianca e un aspetto che denota fierezza e dignità pur non tralasciando i segni di tutte le privazioni della vita monastica. AGNESE: mamma di Lucia, la donna è descritta come estremamente attaccata alla figlia. Vedova, vive solo con lei nella casa in fondo al paese. Ha una certa età e fa di tutto per aiutare i due promessi sposi, amando Renzo come fosse un secondo figlio. DON ABBONDIO: è il curato del paese di Renzo e Lucia, colui che dovrebbe unirli in matrimonio. Primo personaggio a comparire all’inizio del primo capitolo del romanzo, viene caratterizzato immediatamente per via dell’incontro con i bravi: è un uomo pavido, meschino e codardo, tutte caratteristiche che lo hanno portato a farsi prete. 6.6 PERSONAGGI STORICI L'INNOMINATO: ispirato alla figura di Bernardino Visconti, feudatario di Ghiara d'Adda, di cui parlano le cronache milanesi del Seicento. Storicamente ha cambiato vita grazie a Federigo Borromeo, vivendo in maniera retta e onesta gli ultimi anni della sua vita dopo aver licenziato i suoi bravi. LA MONACA DI MONZA: è un personaggio costruito sulla figura di Marianna De Leyva, figlia di don Martino, costretta a farsi monaca con il nome di suor Virginia. Anch'ella si pentì, come narrano gli storici e, dopo aver subito un processo a causa delle sue malefatte venne murata viva e morì in odore di santità. Questi due personaggi sono "rivisitati" in chiave poetica da Manzoni utilizzando come base ciò che viene tramandato di loro nelle cronache ma andando ad aggiungere altro, analizzando ciò che la storia non può rendere: pressioni psicologiche, speranze, timori, disagio esistenziale il bisogno di amore, di bontà, di chiarezza nella vita. ANTONIO FERRER: protagonista di una delle più vivaci sequenze durante i tumulti di Milano, viene presentato con le sue caratteristiche storiche e nelle sue connotazioni psicologiche. L'autore immagina il suo atteggiamento umile e cortese di fronte alla folla in rivolta e gli pone in bocca frasi in due lingue: in spagnolo dice ciò che pensa veramente, in italiano pronuncia frasi di circostanza per ammansire i Milanesi inferociti: «è vero, è un birbante, uno scellerato» dice alla gente, ma subito, chinato sul vicario che sta portando in salvo, mormora in spagnolo: «Perdone, usted» (cap. XIII). 8. Concetti chiave • Il romanzo storico • Il romanzo storico ha valore di documentario • Nasce durante il Romanticismo, un’epoca che guarda molto al passato • La storia ha una funzione dimostrativa • Dall’Ottocento in poi diventa un genere molto usato • Pensiero di Manzoni ed edizioni dell'opera • Manzoni in una prima fase è neoclassico • Storia come continua ricerca del senso dell’agire umano • Nel 1823 conclude la stesura del Fermo e Lucia • Nel 1824 inizia una nuova fase di elaborazione • Nel 1827 esce, in tre tomi, I promessi sposi • L’edizione definitiva arriva solo nel 1840 • Ambientazione e contesto storico • L’ambientazione è la Lombardia dei primi decenni del 1600 • Inizia a scrivere il romanzo subito dopo il fallimento dei moti del 1821 • Con questo romanzo cerca di indagare le radici dell’arretratezza italiana • Temi del romanzo • Il male nella storia e la sofferenza degli innocenti • Manzoni descrive con accuratezza il male morale e il dolore • La conversione: la Grazia divina agisce sull’uomo misteriosamente • La provvidenza: imperscrutabile nel suo agire sulla sfera terrena; solo nell’aldilà dona certezza del premio 9. Riassunto capitoli Introduzione In principio fu un manoscritto del Seicento. Questo è quanto Manzoni vuole farci credere nell’introduzione de I promessi sposi facendo leva su di un espediente letterario, che, fra l’altro, è lo stesso del Don Chisciotte di Cervantes, utile a conferire maggior realismo al suo romanzo. L’autore nell’incipit finge infatti di aver ritrovato un antico scritto anonimo in cui “si vedrà in angusto Teatro luttuose Tragedie d'orrori, e Scene di malvagità grandiosa, con intermezzi d'Imprese virtuose e bontà angeliche, opposte alle operazioni diaboliche”. Fin dalle prime righe la vicenda che sta per essere narrata prende forma sotto i nostri occhi come un racconto che darà spazio ad alcuni eventi realmente accaduti sotto il dominio spagnolo e che, proprio per via della veridicità del racconto, si è scelto di tener segrete le reali identità dei protagonisti, alcuni dei quali di umili origini. Così facendo Manzoni qualifica immediatamente I Promessi Sposi come un romanzo storico, un genere non diffuso in Italia dove i romanzi erano ancora scarsi e, soprattutto, considerati espressioni letterarie poco nobili. Dopo aver trascritto alcuni passi, però, l’autore avverte la necessità di intervenire in prima persona e si domanda: "Ma, quando io avrò durata l'eroica fatica di trascriver questa storia da questo dilavato e graffiato autografo, e l'avrò data, come si suol dire, alla luce, si troverà poi chi duri la fatica di leggerla?". Il quesito introduce quella che è poi stata definita dai critici come la questione della lingua. Il motivo di tale incertezza, è infatti legato allo stile in cui la storia è narrata definito “dozzinale” e addirittura “rozzo insieme e affettato”. È proprio per via di questa lingua ostica, scrive Manzoni , che non ci si è limitati ad una mera trascrizione ma si è scelto di riscrivere la storia modificandone essenzialmente la lingua. Questa considerazione, che ad un primo sguardo può sembrare poco importante, è invece fondamentale dato che è strettamente collegata all’intenzione manzoniana il licenziamento del servo e la sua reclusione in una delle stanze del palazzo. Sola e minacciata di venir ulteriormente punita in seguito, la ragazza scrive di nuovo al padre implorando il suo perdono. Capitolo 10 Il principe padre manda a chiamare Gertrude convincendola così a sottomettersi al proprio volere. La fanciulla prende così i voti dichiarando al vicario e alla madre badessa, solo per paura, che la sua è una libera scelta. Le tappe che la conducono a diventare monaca per sempre sono intrise del senso d’angoscia provato da questo personaggio che non vuole rassegnarsi al proprio destino. Confinata in alcune stanze più isolate la giovane inizia una relazione segreta con il depravato Egidio le cui proprietà confinano con i suoi appartamenti. La tresca viene però scoperta da una conversa, immediatamente fatta sparire. Tormentata dal sospetto di quella strana scomparsa la Monaca di Monza ha così vissuto per circa un anno quando decide di ospitare Lucia a cui rivolge domande riguardanti la sua storia e i suoi sentimenti dirette al punto da farla arrossire. Rimasta sola con la madre la ragazza racconterà poi l’accaduto alla madre ottenendo come risposta che “I signori, chi più, chi meno, chi per un verso, chi per un altro, han tutti un po' del matto”. Capitolo 20 Il capitolo si apre con una descrizione del castello dell’Innominato, una vera e propria fortezza dall’aria tetra e austera situata in cima ad un monte e da cui è possibile sorvegliare ogni via d’accesso. Proprio alle pendici del monte vie è la locanda della Malanotte da cui Don Rodrigo, dopo aver lasciato le armi e abbandonato la sua scorta, parte alla volta del castello portando con sé solo il Griso. Manzoni passa quindi a descrivere l’Innominato: un uomo bruno con pochi capelli bianchi e con un volto che, nonostante le rughe, sprigiona una forza persino superiore a quella di un ragazzo. Dopo aver ascoltato la richiesta di Don Rodrigo egli accetta e decide di coinvolgere nei suoi piani un suo amico, Egidio, che abita nei pressi del convento di Monza e che il lettore ha già incontrato nel capitolo dieci. La determinazione dell’Innominato, però, viene meno poco dopo quando, rimasto solo, l’uomo scopre dentro di sé non un vero e proprio pentimento, ma una certa uggia legata al senso di inquietudine che da un po’ di tempo a quella parte lo aveva colto. Il pensiero della morte, infatti, in quei giorni si era spesso accompagnato a quello delle sue malefatte di cui temeva di dover rendere conto a un Dio che, se da una parte non riconosceva, dall’altra non si sentiva di negare. Ciononostante manda a chiamare il Nibbio, il più fidato dei suoi bravi, allo scopo di inviarlo presso Egidio che, grazie al potere conferitogli dall’uccisione della novizia che aveva scoperto la sua relazione con Gertrude, riesce a convincere la Monaca di Monza a collaborare. Così il piano prende vita e Lucia, come stabilito, viene mandata dalla sua soccorritrice a chiamare il padre guardiano. La giovane, impaurita dalla strada deserta, ubbidisce e lungo il tragitto viene avvicinata da due uomini che, fingendo di domandarle la strada per Monza, riescono a rapirla. L’angoscia e il terrore sono tali da far perdere i sensi alla ragazza che, una volta rinvenuta, trova un po’ di conforto nella preghiera. Nel frattempo l’Innominato, ancora inquieto, è in attesa della carrozza e, appena la vede arrivare, manda una vecchia portantina a prendere Lucia affinché la consoli e la conduca al castello. Capitolo 21 La vecchia arriva alla Malanotte e, eseguendo gli ordini, prende in consegna Lucia per portarla al castello dove si reca anche il Nibbio per far rapporto all’Innominato. Durante il colloquio il bravo ammette di aver provato compassione per la ragazza e riceve due ordini contrastanti: il suo padrone prima gli intima di recarsi immediatamente da Don Rodrigo per chiedergli di venire a prendere al più presto la giovane, poi, a causa di un “no” che l’Innominato sente crescere dentro di sé e che gli impedisce di proseguire, viene spedito a dormire. Le parole del Nibbio hanno infatti instaurato nell’Innominato un forte desiderio di conoscere Lucia. Il primo incontro con la giovane avviene nella stanza della vecchia, dove ella si è rannicchiata sul pavimento. Appena lo vede lo supplica di ricondurla dalla madre e, nel suo discorso, gli parla del perdono divino, una grazia che, in seguito ad un pentimento e ad un’opera di misericordia, lui è ancora in tempo per ottenere. L’uomo cerca allora di consolarla e di infonderle coraggio, poi, prima di andarsene, le promette che tornerà il giorno dopo. Rimasta sola Lucia riceve la visita di una donna che le porta il paniere del cibo ma si rifiuta sia di mangiare che di sdraiarsi rimanendo rannicchiata a terra tra il sonno e la veglia. Il suo animo è così prostrato dalle preoccupazioni e dalle paure che riesce a trovare pace e ad addormentarsi solo dopo aver fatto voto alla Madonna di rinunciare a Renzo in cambio della salvezza. Anche la notte dell’Innominato è tormentata dai dubbi e dai pensieri perché il ricordo dei propri peccati riempie il signore di rabbia e di disperazione. La sua frustrazione è tale da spingerlo ad accarezzare il pensiero del suicidio, atto estremo che decide di non compiere pensando a Dio e ad una vita futura. Solo le parole di Lucia gli danno conforto e speranza. La narrazione si conclude con un cambio di registro: è l’alba e le campane suonano a festa. Uno dei bravi viene mandato a informarsi sul motivo di tanto giubilo inaspettato. Capitolo 27 Don Gonzalo Fernandez di Cordoba, governatore di Milano, era stato colto dalla rivolta della sua città mentre era già impegnato nella guerra di successione del Ducato di Mantova e del Monferrato. Tornato a Milano e venuto a conoscenza della vicenda di Renzo, temendo che Venezia volesse schierarsi contro la Spagna, aveva ricordato al governo della Repubblica la propria autorità affidandogli il compito di cercare il fuggiasco. Così facendo aveva trasformato la vicenda di Renzo in poco più di un pretesto e si era dimenticato ben presto della vicenda del giovane che, ignaro di tutto, era invece rimasto ben nascosto preoccupandosi solo di trovare un modo per comunicare con Lucia e sua madre. Dopo aver raccontato questo antefatto Manzoni rientra in medias res e riprende il racconto dal giorno in cui il ragazzo riceve da Agnese una lettera con cinquanta scudi d’oro contenente la notizia del voto fatto da Lucia ma decide comunque di non arrendersi. La ragazza, ospite di donna Prassede, sta intanto cercando di dimenticarlo con scarso successo dato che la signora non smette di nominarlo. A tenere impegnata la gentildonna, però, fortunatamente c’è anche la sua famiglia: cinque figlie alle quali vuole dettar legge e un marito, don Ferrante, a cui non piace né comandare né ubbidire preferendo trascorrere il tempo nel suo studio. La vita dei due promessi scorre così per diversi mesi fino a che, nell’autunno del 1629, Agnese e Lucia decidono di fissare un incontro. Il loro piano, però, è destinato a fallire per colpa di un “avvenimento pubblico” che l’autore si accinge a raccontare nel capitolo successivo perché per far comprendere al meglio i “fatti privati” in questo caso occorre prima spiegare quelli pubblici. Capitolo 31 Siamo nell’ottobre del 1929 e l’esercito dei lanzichenecchi si è appena ritirato lasciando dietro di sé il flagello della peste che miete le sue prime vittime a Lecco e a Bellano. A Milano, però, in molti sono convinti che le morti siano ancora dovute alla carestia e non al contagio. La smentita arriva in fretta. Il primo a portare la malattia in città è un soldato italiano dell’esercito spagnolo fermatosi per fare visita ai parenti. Dopo la sua morte tutti gli abitanti della casa, per ordine del Tribunale della Sanità, vengono condotti al lazzaretto dove le persone iniziano ad ammalarsi e a morire. La peste inizia così a propagarsi lentamente ma, ciò nonostante, in molti durante i primi mesi del 1930 non credono che la malattia abbia iniziato a diffondersi. Gli ammalati vengono portati al lazzaretto dove i frati di cappuccini si occupano di loro e finiscono con l’essere contagiati. Tra questi vi è anche padre Felice Casati. Nessuno vuole arrendersi all’evidenza e, così, strane voci iniziano a circolare sulla cause della malattia. Alcuni arrivano persino a credere che gli untori imbrattino le case e i luoghi pubblici spinti da motivazioni criminali o da fini politici. Per fare sì che il popolo si renda conto della situazione, allora, il Tribunale della Sanità decide di far portare in giro, durante una delle feste della Pentecoste, un carro con sopra i corpi nudi di un’intera famiglia sterminata. Capitolo 33 Siamo alla fine dell’agosto del 1630 e Don Rodrigo, che non è più tornato da Milano, inizia ad avvertire una strana sensazione di caldo e di fiacchezza. Dopo aver passato la notte tormentato dagli incubi scopre, al mattino, di aver contratto la peste e manda a chiamare il dottore. Il Griso, invece, avverte i monatti e, dopo aver svuotato la casa di tutto quello che poteva portare con sé, lo abbandona portandosi via il suo bottino. Il morbo però non risparmia nessuno e il bravo muore il giorno dopo sul carro che lo sta trasportando al lazzaretto. La peste contagia anche Renzo che sopravvive grazie alla sua tempra e, ormai non più ricercato, torna a lavorare insieme a suo cugino Bortolo. La malattia fa sorgere in lui una forte nostalgia di Lucia e, così, decide di partire per Milano. Lungo la via, si ferma al suo paese dove incontra Tonio, reso idiota dalla peste, e Don Abbondio, anche lui provato dalla malattia. Proprio dal curato ottiene le informazioni che desidera: Lucia è a Milano, Agnese dai suoi parenti a Pasturo, Fra Cristoforo, invece, dopo essere stato allontanato non è più tornato. Il parroco, preoccupato dalla presenza del giovane, cerca poi di convincerlo a ripartire elencandogli i nomi delle vittime della peste tra cui c’è anche Perpetua. Il ragazzo decide comunque di trattenersi. Trovata la sua casa invasa dai topi e la sua vigna coperta da erbacce, si fa ospitare per la notte da un suo amico che gli rivela sia della fuga di Don Rodrigo a Milano, che il casato di Don Ferrante. Il mattino seguente Renzo si mette in cammino e dopo un solo giorno arriva a Milano, tra Porta Orientale e Porta Nuova. Capitolo 34 Nonostante non abbia il permesso necessario, Renzo riesce ad entrare a Milano e si dirige verso il Naviglio dove cerca di ottenere informazioni da un passante che, credendolo un untore, preferisce ignorarlo. Lungo il cammino il giovane si imbatte in diverse scene dense di pathos. In una casa vi è una donna con i suoi bambini che è stata chiusa dentro da coloro che la credevano un’untrice. Renzo le regala due pani acquistati lungo il cammino e la segnala ad un prete da cui riesce anche ad ottenere le indicazioni per recarsi da Don Ferrante. Dolore, morte e abbandono sono ovunque. In piazza Duomo un convoglio di carri trasporta cadaveri e dappertutto trionfa l’abbandono. Il cuore del ragazzo rimane particolarmente colpito da una scena: una madre consegna davanti ai suoi occhi la figlia ai monatti, una bimba di nove anni vestita con l’abito della festa. La donna, una volta rientrata in casa, prende in braccio la figlia minore, anch’essa malata. Giunto finalmente a destinazione Renzo apprende da Don Ferrante che Lucia si è ammalata ed è stata portata al lazzaretto. Nel frattempo, però, una vecchia lo scambia per un untore e lo costringe a fuggire su un carro di monatti diretto proprio al lazzaretto la cui entrata è letteralmente invasa dagli ammalati. Capitolo 35 Il lazzaretto ospita ben sedicimila appestati. In mezzo a questa folla Renzo inizia a cercare Lucia ma si accorge di essere nel reparto degli uomini. Intanto cala la nebbia e, in lontananza, si ode il rumore di alcuni tuoni che preannunciano un temporale. Giunto ad un assito scheggiato, dove sono ricoverati piccoli allattati da balie o da capre, il giovane scorge Fra Cristoforo con in mano una scodella che si avvia verso la capanna. Qui Manzoni con un flash back ci racconta cosa gli è accaduto durante tutti quei mesi. Il frate dopo l’arrivo della peste ha infatti chiesto di essere trasferito a Milano per poter assistere gli ammalati e la sua domanda è stata accolta sia per via della morte del conte zio, sia perché, data la situazione, c’era più bisogno di infermieri che di politici. Il portamento del frate è stentato e i suo volto appare provato, eppure nei suoi occhi la scintilla di un tempo non si è spenta: la carità vi accende un fuoco più potente di quello che l’infermità sta tentando di spegnere. Cristoforo accoglie Renzo con gioia, lo nutre e, dopo aver ascoltato la sua storia, gli indica il reparto delle donne consigliandogli di recarsi prima alla cappella al centro dell’edificio, dove Padre Felice sta per radunare tutti coloro che sono guariti per farli uscire in processione. Il giovane viene allora colto da un attacco d’ira al pensiero che Lucia non sia tra i sopravvissuti e promette che, in caso, si vendicherà su Don Rodrigo. Lo scatto gli frutta un rimprovero da parte del frate che lo invita a riflettere sul dolore che li circonda e, poi, lo conduce in una capanna dove giace Don Rodrigo, reso irriconoscibile dalla peste. Dopo aver pregato per lui i due si separano. Capitolo 36 Nella cappella, dove Padre Felice sta esortando i sopravvissuti a ringraziare il Signore e a fare buon uso della vita avuta salva, Renzo non trova Lucia e, quindi, si incammina verso il reparto delle donne. Qui sente la voce dell’amata provenire da una capanna e, una volta entrato, vede la giovane china su una vedova divenuta
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