Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Alle origini del linguaggio umano - Ferretti, Sintesi del corso di Filosofia del Linguaggio

Riassunto del testo del prof. Ferretti 'Alle origini del linguaggio umano' per ESAME FILOSOFIA, LINGUAGGI E COMUNICAZIONE - RomaTre

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 05/05/2018

Valensia
Valensia 🇮🇹

4.5

(78)

16 documenti

1 / 18

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Alle origini del linguaggio umano - Ferretti e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia del Linguaggio solo su Docsity! 1    ALLE ORIGINI DEL LINGUAGGIO UMANO – Francesco Ferretti   I – COMPLESSITA’ Il  1869  fu  un  anno  amaro  per DARWIN.  Dapprima Alfred Wallance  sosteneva  che  a  riprova  della  diversità  degli  uomini rispetto agli animali, la coscienza ed il cervello non potevano essere spiegati in riferimento alle leggi naturali.  Nello stesso anno MIVART in una serie di scritti attaccava in modo esplicito la teoria dell’evoluzione e non appena  Darwin  consegnò  all’editore  le  bozze  dell’“Origine  dell’uomo”  comparve  “On  the  genesis  of  Species”  (1871  –  St.  George Jackson Mivart) il libro che può essere considerato come il più devastante attacco globale arrivato a Darwin.  Secondo quanto scritto nel suo libro, se la teoria della selezione naturale fosse vera, il mondo organico risulterebbe  essere  un  mero  risultato  del  caso.  Egli  contrariamente  a  Darwin  optava  invece  per  un  compromesso  teologico  sostenendo  dunque  l’esistenza  di  una  guida  dall’alto  che  indicasse  un  progetto  o  una  direzione  nel  processo  evolutivo.  La  critica  più  dura  per  Darwin  riguardava  l’argomento  degli  ORGANI  INCIPIENTI,  con  cui Mivart  sosteneva  che  le  differenti  caratteristiche  che  distinguono  le  specie  avrebbero  potuto  svilupparsi  improvvisamente  invece  che  gradualmente e che dunque la selezione naturale non poteva essere il dispositivo alla base del processo evolutivo,  colpendo uno dei nodi centrali della teoria darwiniana: il GRADUALISMO che Darwin aveva posto a fondamento della  propria ipotesi interpretativa.  La  questione  degli  organi  incipienti  tocca  il  problema  della   relazione  tra  complessità  ed  evoluzione.  Nella  sua  critica  Mivart  faceva  leva  sull’inefficacia  esplicativa  delle  giustificazioni  in  termini  gradualistici  della  comparsa  di  organi  straordinariamente  complessi  come  gli  occhi  o  le  ali.  Su  cosa  poteva  operare  la  selezione  naturale  se  la  funzione di un organo è tale solo quando quell’organo è pienamente sviluppato? Egli afferma che la complessità in  natura  dipende  da  un  evento  improvviso  in  grado  di  costruirla  in  un  solo  colpo  e  dunque  mediante  un  atto  di  creazione.  Secondo  l’argomento  degli  organi  incipienti  un  dispositivo  come  l’occhio  non  può  essere  il  prodotto  evolutivo  di  modificazioni  numerose,  successive  e  lievi  perché  le  funzioni  che  lo  caratterizzano  come  un  tutto  unitario non sono riscontrabili nelle parti costituenti prese singolarmente:  la tesi di Mivart è che dal momento che  risultano inutili fin quando non si siano sviluppate le connessioni richieste, tali complesse e simultanee coordinazioni  non avrebbero mai potuto essere state prodotte a partire da inizi infinitesimali.  Si  tratta  della  dottrina  del  DISEGNO  INTELLIGENTE  che mostra  la  necessità  di  un  architetto  divino  presentando  il  famoso argomento per analogia, esemplificato dal caso di un orologio (William Paley).  Il “colpo da maestro” di Darwin  ‐ Ripresosi dallo stato di  frustrazione, Darwin cominciò a pensare alle possibili  contromosse. Mivar oltre a mettere in discussione la sua teoria aveva proposto una concezione della natura umana  del tutto  ineccepibile. Darwin aveva reso gli esseri umani animali tra gli altri animali. Mivart  invece considerava gli  essere umani  (più  angeli  che  animali)  entità  qualitativamente diverse da  tutte  le  altre  specie  animali.  Per Darwin  considerava l’argomentazione di Mivart mossa dal mero fanatismo religioso e la sua risposta si basa su due ordini di  giustificazioni:  1. la prima è che non è richiesto che un’ala o un occhio siano in grado di volare o vedere sin dallo stato iniziale, certi  organi infatti (come le vesciche natatorie trasformatesi nei polmoni degli anfibi) hanno cambiato funzione nel corso  del tempo;   2.  la  seconda  giustificazione  ha  a  che  fare  con  la  questione  specifica  dei  rapporti  tra  gradualismo  e  selezione  naturale:  è  possibile  dimostrare  l’esistenza  di  numerose  grad.azioni  da  un  occhio  semplice  ed  imperfetto  ad  uno  complesso e prefetto; esistono diverse forme di occhio, alcune più sofisticate di altre ma tutte ugualmente adattate  alla  vista.  Dawkins  ha  decritto  in  modo  particolareggiato  i  passaggi  graduali  dell’apparizione  dell’occhio  umano,  considerazioni estremamente importanti per far fronte all’argomento degli organi incipienti; ogni grado di efficienza  funzionale offre un appiglio alla selezione naturale: vedere anche solo un po’ è sicuramente meglio che non vedere  affatto.   Vi è una differenza tra  i naturalisti e creazionisti,  i primi sono attratti dalle cose semplici per cui per quanto possa  apparire interessante chiedersi ‘come un nervo sia diventato sensibile alla luce questo non ci riguarda più del modo  come la vita stessa si sia originata’, questo non riguarda la transumanza della specie. I creazionisti invece sembrano  essere attratti dalla complessità.  Semplici complessità – BEHE sembra negare che la macchina fotosensibile (2006) da cui avrebbe inizio il processo  di  complicazione  gradualistica  alla  base  della  formazione  dell’occhio,  possa  essere  considerata  in  termini  di  semplicità, Dawkins infatti non avrebbe preso in considerazione alcuni fattori importanti nella sua teoria (es. la 11‐ cis‐retinale,  la  rodopsina,  e  la  forma  a  ‘fossetta’).  Fautore  del  “disegno  intelligente”  sembra  favorire  una  COMPLESSITA’  IRRIDUCIBILE.  Le  entità  poste  alla  base  del  processo  evolutivo  sono  tutt’altro  che  semplici,  anzi  2    proprio per la loro natura complessa il loro avvento non può essere spiegato in termini gradualistici e della selezione  naturale.   Un sistema irriducibilmente complesso è individuabile in riferimento a due aspetti: la specificazione della funzione e  le caratteristiche dei componenti che lo costituiscono ossia la constatazione che tutti  i componenti siano necessari  alla funzione. È sul secondo aspetto che si concentra Behe: se la struttura interna del sistema venisse a cadere anche  per  la mancanza di un solo dei componenti  che  la  realizzano, salterebbe ogni possibilità di  funzionamento di quel  sistema (es. trappola per topi). Behe quindi riconosce che l’evoluzione ad ogni livello presuppone l’esistenza di entità  complesse già nei suoi stadi  iniziali, e  tali considerazioni devono spingerci ad abbandonare  la prospettiva selezioni  sta e abbracciare l’idea del disegno intelligente governato da un progettista divino. La complessità delle fondamenta  della vita ha paralizzato i tentativi scientifici di spiegarla.    Fare a meno del progettista ‐ La tesi di Behe non sembra reggere alla prova dei fatti soprattutto in relazione alle  conoscenze oggi a nostra disposizione. Il primo modo in cui Darwin fa fronte alle critiche di Mivart è il riferimento ai  MODI DI TRANSIZIONE: due organi distinti possono compiere contemporaneamente  la stessa funzione nello stesso  individuo,  basti  pensare  alla  vescica  natatoria  nei  pesci   un  organo  che  trova  la  sua  genesi  nella  funzione  idrostatica può trasformarsi in un organo attinente alla respirazione. Tra i primi anni ’80 del novecento il nesso tra  struttura e funzione si trova alla base della rivoluzione concettuale con la cosiddetta teoria dell’exattamento (Gould  e  Vrba).  Il  secondo  modo  in  cui  Darwin  risponde  a  Mivart  è  il  FATTORE  USO:  in  questo  caso  viene  preso  in  considerazione  il  passaggio dalla posizione  simmetrica  a quella  asimmetrica  degli  occhi  dei  pesci  piatti  (sogliole o  rombi),  dunque  l’importanza  del  fattore  evolutivo  e  l’adattamento,  in  relazione  alle  loro  condizioni  di  vita.  Tali  argomentazioni  sono  in  grado  di  arginare  le  critiche  di  Behe  fondate  sul  concetto  di  complessità  irriducibile;  riprendendo dunque  la  questione  della  trappola  per  topi  regge  soltanto  se  si  ammette  una  relazione  univoca  tra  struttura e funzione, e che sia quindi del tutto inutilizzabile se manca anche uno solo dei pezzi ‐> seconda appunto la  logica tutto‐o‐nulla.  McDonald  (2002)  sostiene  che  possano  esistere  trappole  per  topi  funzionanti  al  50%  ma  non  per  questo  non  funzionanti.  CRITICA A BEHE   la  sua  visione meccanicistica della natura umana. Se un  sistema  fosse  irriducibile  come intende Behe non dovrebbe avere meccanismi compensatori.  DEMBSKI  (altro  difensore  del  disegno  intelligente)  propone  una  definizione  improbabile  di  sistema  complesso  irriducibile, sostenendo cioè la possibilità di rimuovere una parte costituente del meccanismo senza che ciò comporti  problemi sul funzionamento del sistema. Il tentativo di Dembski di difendere il modello del sistema irriducibile risulta  essere  vano,  in  quanto  seguendo  tale  direzione  né  lui,  né  tantomeno  il  collega  Behe  sono  riusciti  a  dimostrare  l’esistenza di alcun sistema biologico che si accordi con la loro stessa definizione. Altra argomentazione trattata da  Behe è  l’affermazione che  la teoria darwiniana comporti una visione dell’evoluzione come un processo guidato dal  caso. Come sottolinea Dawkins, interpretare la teoria della selezione naturale come un processo guidato dal caso è  un modo di tradire gli intenti di Darwin. Il darwinismo è in effetti la teoria della mutazione casuale combinata con  la selezione naturale cumulativa, non casuale. La selezione naturale è l’unica spiegazione in termini naturalistici a  nostra  disposizione.  Prima  di  Darwin, David Hume  (in  ‘Dialoghi  sulla  religione  naturale’) metteva  già  in  atto  una  confutazione  del  teismo  scientifico  ma  non  riuscì  ad  offrire  un’efficacie  spiegazione  a  sostegno  della  sua  teoria  seppur logicamente giusta. Bisognerà attendere Darwin e la sua ‘selezione naturale’ per adottare un punto di vista  ateo con piena soddisfazione intellettuale.     Il linguaggio: una complessità irriducibile? – In tal senso occorre prendere in considerazione una relazione tra  linguaggio  e  approccio  evoluzionistico.  La  tradizione  largamente  prevalente  in  scienza  cognitiva  fa  affidamento  al  modello della GRAMMATICA UNIVERSALE (GU) proposta da NOAM CHOMSKY (intorno alla metà anni ‘50). Per i  fautori della GU  il  linguaggio viene interpretato come un componente innato della Mente‐cervello; per i naturalisti  l’idea del  linguaggio  come prodotto della  selezione naturale  è fortemente  controversa.  Chomsky è un  sostenitore  dell’incompatibilità  del  linguaggio  con  l’evoluzione  Darwiniana,  e  ciò  trova  legittimazione  nella  sua  adesione  alla  TRADIZIONE CARTESIANA  concezione che comporta una serie di difficoltà sul piano evolutivo:  l’idea cioè che  il  linguaggio  debba  essere  analizzato  in  riferimento  alla  “differenza  qualitativa”  tra  umani  e  altri  animali,  che  pone  problemi  per  gli  studiosi  delle  capacità  verbali  in  chiave  naturalistica.  L’adesione  di  Chomsky  alla  tradizione  cartesiana è in realtà l’adesione a una concezione in cui si esaltano gli aspetti della creatività del linguaggio umano,  ma  egli  in  realtà  prende  in  considerazione  un  solo  aspetto  della  creatività  linguistica  ‐>  quello  della  creatività  combinatoria.  In  tal  modo  però  egli  lascia  del  tutto  inesplorato  un  altro  aspetto  importante.  Si  tratta  di  ciò  che  Chomsky (1988) chiama il problema di Cartesio ‐> alla ricerca di un canone per distinguere gli umani dalle macchine  o dagli altri animali, Cartesio (1637) chiama in causa l’aspetto creativo dell’uso del linguaggio.   5    altro sistema di comunicazione animale. Proprio questo alimenta l’idea che l’essere umano sia caratterizzato da uno  statuto di specialità che mal si concilia con il naturalismo sbandierato da Chomsky.  Parricidio ‐ Chiamato a dover scegliere tra evoluzionismo e grammatica universale, Chomsky non mostra esitazioni:  se  la GU è  incompatibile  con  l’evoluzione,  tanto peggio per  l’evoluzione. Contro questa posizione Pinker e Bloom  (1990) sostengono che la GU può essere considerata il prodotto della selezione naturale.  Secondo Pinker  la trasparenza del flusso delle parole,  l’assenza di sforzo con cui  le parole escono dalla bocca per  esprimere i pensieri, la mancanza di coscienza, l’automatismo con cui penetriamo il significato, rappresentano nodi  concettuali  di  grande  importanza.  Poiché  la  selezione  naturale  è  un  modo  convincente  di  spiegare  sistemi  di  elaborazione di questo tipo, la conclusione da trarre è che il  linguaggio deve essere un adattamento biologico. Con  questi argomenti Pinker e Bloom mettono in atto il parricidio nei confronti di Chomsky.   Con  la  nozione  di  COMPLESSITA’ ADATTATIVA  un  sistema  è  complesso  quando  i  dettagli  della  struttura  suggeriscono un progetto per eseguire una qualche  funzione.  Il  punto per capire se  il  linguaggio sia un sistema di  questo  tipo è  stabilire  se esso  sia  caratterizzabile nei  termini di una qualche  funzione  specifica.  Secondo Pinker e  Bloom la risposta è affermativa: il linguaggio mostra segni dell’esistenza di un progetto finalizzato alla comunicazione  di  strutture  attraverso  un  canale  seriale,  quindi  è  legittimo  ipotizzare  che  il  linguaggio  rappresenti  un  caso  di  complessità adattativa. In sintesi secondo Pinker e Bloom:  1‐ La selezione naturale è la sola spiegazione dell’origine della complessità adattativa;  2‐ Il linguaggio umano mostra un progetto complesso per il fine adattativo della comunicazione;  3‐ Il linguaggio, dunque, è evoluto per selezione naturale.  Secondo tale schema,  la selezione naturale è  l’unica spiegazione  in campo dell’origine della complessità di sistemi  naturali come il linguaggio. Ora, se il linguaggio è un adattamento dovuto alla selezione naturale, allora l’evoluzione  del  linguaggio  deve  essere  interpretata  in  termini  di modificazioni  numerose,  successive  e  lievi,  ovvero  in  termini  gradualistici.  Qui  si  pone  nuovamente  il  problema  degli  organi  incipienti  (Mivart),  ma  la  risposta  è  legata  alla  possibilità di immaginare grammatiche di complessità intermedia: secondo Pinker e Bloom l’argomento degli organi  incipienti vale per il  linguaggio come per gli occhi o per le ali. (esempio lingue pidgin, lingue di contatto, lingua dei  bambini ecc.).  Tuttavia Pinker  critica  fortemente  la  tesi  secondo cui  l’origine del  linguaggio dipenderebbe da una evoluzione dai  sistemi di comunicazione animale;  le scimmie non  imparano  la  lingua dei  segni,  i  loro gesti  sono privi di  sintassi e  carenti sul punto di vista della spontaneità caratterizzante del linguaggio umano.  Il linguaggio come exattamento  ‐  La  natura  complessa  del  linguaggio  richiede  una  spiegazione  in  termini  evoluzionistici. Secondo i neoculturalisti il linguaggio non è il prodotto della selezione naturale perché non è l’entità  complessa di cui parlano i fautori della GU. Un’ipotesi interpretativa di questo genere apre la strada ad un modo del  tutto nuovo di intendere la natura del linguaggio.  >  Perché  la  GU  non  è  compatibile  con  una  prospettiva  evoluzionistica:  ‐  I  tentativi  di  conciliare  la  GU  con  la  selezione naturale poggiano sull’ INGEGNERIA INVERSA ‐> il cui fondamento si basa sull’idea che dal modello attuale  sia possibile risalire alle condizioni di progettazione che  lo hanno generato. Dobbiamo dire però che un approccio  guidato dall’ingegneria inversa è giocoforza un approccio “guidato dall’alto”.   TOMASELLO  (1995‐99)  in  relazione  al  primato  accordato  alla  complessità  del  linguaggio  l’errore  tipico  dell’innatismo  filosofico.    Inoltre  una  concezione del  linguaggio  come quella  portata  avanti  dai  fautori  della GU  è  totalmente implausibile dal punto di vista evoluzionistico. Il suo punto di vista risulta essere oggi molto influente per  quanto  riguarda  i  rapporti  tra  il  linguaggio  e  l’evoluzione,  in  quanto  prende  in  considerazione  il  tema  del  neoculturalismo,  parte  da  una  prospettiva  che  mira  a  riproporre  alcune  tematiche  del  pensiero  di  Vygotskij  nel  dibattito contemporaneo. L’operazione dei neoculturalisti si concretizza nella forte riconsiderazione degli aspetti del  linguaggio  considerati  “esterni”  alla  mente  degli  individui.  Secondo  Clark  il  cervello,  per  alleggerire  il  suo  carico  computazionale, si serve di  impalcature esterne alla scatola cranica, come la carta e  la penna. Nella prospettiva di  questo autore, l’impalcatura per eccellenza della mente umana è rappresentata dal linguaggio. Pensare al linguaggio  nei termini di una impalcatura esterna alla mente,  in effetti, significa considerare  le capacità verbali  in riferimento  alle  lingue  storico‐naturali,  non  ad  un  dispositivo  innato  della  mente‐cervello.  Se  i  fautori  della  GU  considerano  l’evoluzione  delle  facoltà  del  linguaggio  un  adattamento  piegato  alle  esigenze  di  una  comunicazione  sempre  più  efficiente,  i  neoculturalisti  esaltano  gli  aspetti  relativi  alla  differenza,  dovuti  alla  molteplicità  e  alla  varietà  delle  lingue, esaltando soprattutto la “funzione cognitiva” del linguaggio, il ruolo che esso ha nella formazione del sistema  concettuale.  Secondo  i  neoculturalisti,  il  tentativo  di  Pinker  e  Bloom  di  dar  conto  del  linguaggio  in  termini  di  selezione naturale è un tentativo votato al fallimento. La selezione naturale, in effetti, deve far presa su qualche tipo  di  proprietà manifesta  per  operare:  ora,  poiché  le  uniche  proprietà manifeste  negli  scambi  comunicativi  sono  le  proprietà  di  superficie  delle  lingue  effettive  e  poiché  dal  punto  di  vista  manifesto  le  lingue  sono  estremamente  variabili,  come  dar  credito  a  questa  teoria?  La  condizione  operata  dai  chomskiani  tra  le  condizioni  universali  del  6    parlare (competenza) e i casi di effettiva produzione linguistica (esecuzione) si presta a favorire una concezione del  linguaggio  fortemente  sbilanciata  in  favore della natura  astratta  dei  principi  del  linguaggio.  Il  punto dolente della  questione  è  il  carattere  di  indipendenza  delle  strutture  dalle  funzioni:  è  questa  indipendenza  a  rendere  la  GU  incompatibile  con  l’evoluzionismo.  Per  i  neoculturalisti  se  la  GU  non  tiene,  meglio  cambiare  strada.  Cambiare  radicalmente il modello del linguaggio comporta una importante conseguenza sul tema della natura del linguaggio:  fare a meno della sua complessità.    Semplicità  ‐ DEACON sostiene che la complessità del  linguaggio è un falso mito;  ‘le  lingue hanno più bisogno dei  bambini che i bambini delle lingue’. Secondo dunque un’interpretazione del linguaggio come un qualcosa che accade  fuori dal cervello. L’idea che il rovesciamento di prospettiva sia verso la semplicità del linguaggio sia governato dai  processi di apprendimento è stata sviluppata recentemente anche da CHRISTIANSES e CHATER (2008) ‐> è facile  apprendere ad usare il linguaggio non perché i nostri cervelli incorporino una qualche conoscenza del linguaggio, ma  perché il linguaggio si è adattato ai nostri cervelli. Il prodotto di un’evoluzione culturale piuttosto che biologica. L’idea  dei  neoculturalisti  è  che  la  mente  sia  composta  di  numerosi  sistemi  cognitivi  formatisi  attraverso  la  selezione  naturale,  nessuno  dei  quali  selezionato  ai  fini  specifici  della  comunicazione  verbale.  Un modello  interpretativo  di  questo tipo, mantiene insieme l’idea di un’architettura cognitiva articolata in diversi sistemi di elaborazione dovuti  alla  selezione  naturale  con  l’idea  che  la  comunicazione  verbale  emerga  come  risultato  dell’operare  congiunto  di  questi sistemi di elaborazione cooptati per fra fronte alle nuove esigenze ambientali. Un modello del genere mette  insieme  la concezione della mente  intesa come un sistema ricco di dispositivi  interni di elaborazione con  la critica  all’idea del linguaggio come un adattamento specifico dovuto alla selezione naturale. L’idea del linguaggio come un  artefatto culturale è  la direzione che prendono Christianen e Chater: tramite  l’acquisizione del  linguaggio da parte  del  bambino  sostengono  che  la  comunicazione  verbale  è  un  fenomeno  che  riguarda  esclusivamente  l’evoluzione  culturale e non quella biologica. Quando parlano di  complessità del  linguaggio  i neoculturalisti hanno  in mente  la  complessità  della  grammatica  delle  lingue  storico‐naturali:  un  tipo  di  complessità  che  deve  essere  considerata  indipendente dal processo evolutivo governato dalla selezione naturale. La biologia non è esclusa del  tutto  in una  prospettiva del genere, ma svolge soltanto il ruolo indiretto di vincolo alle variazioni possibili. L’idea che non esistano  adattamenti biologici specifici per il linguaggio porta i neoculturalisti ad abbracciare una concezione exattamentista  del linguaggio. All’interno dell’evoluzionismo la discussione ha visto gli studiosi schierarsi su due fronti contrapposti:  da  una  parte  gli  “ultradarwinisti”  dall’altra  i  “naturalisti”.  Ci  preme  sottolineare  due  punti:  à  La  prima  è  la  preminenza riconosciuta dagli ultradarwinisti al concetto di adattamento dipende dalla priorità da loro accordata al  ruolo della selezione naturale nel processo evolutivo. La seconda riguarda i rapporti tra struttura e funzione: mentre  l’idea degli ultradarwinisti è che vi sia una stretta correlazione tra struttura e funzione, per i naturalisti il rapporto tra  struttura  e  funzione  è  molto  più  articolato:  è  possibile  che  strutture  diverse  siano  utilizzate  per  una  medesima  funzione e che funzioni diverse possano essere messe  in atto a partire da una medesima struttura. Alla base della  visione pluralista dei naturalisti è il concetto di EXATTAMENTO introdotto da Gould e Vrba. Secondo Gould e Vrba. I  modi  in  cui  prende  forma  il  fenomeno  generale  dell’essere  utile  per  la  sopravvivenza  sono  l’adattamento  (per  selezione naturale) e l’exattamento (per cooptazione funzionale di strutture selezionate per altre finalità). In questa  prospettiva, exattamento ed adattamento sono due facce strettamente correlate del processo evolutivo.  à Quando i  neoculturalisti sostengono che il  linguaggio è un exattamento,  lo fanno innanzitutto per sottolineare che non è un  adattamento biologico: dal  loro punto di vista,  infatti,  il  linguaggio è un caso esemplare di un processo di sviluppo  che,  attraverso  la  trasmissione  culturale,  consente  agli  artefatti  culturali  di  guadagnare  una propria  indipendenza  dalle  pastoie  della  selezione  naturale.  La  critica  dei  neoculturalisti  all’idea  del  linguaggio  come  prodotto  della  selezione naturale è portata avanti per un motivo:  la difesa dell’autonomia della natura specificatamente culturale  delle pratiche linguistiche. Se il linguaggio è un fenomeno socio‐culturale, l’essere umano che si avvale di un sistema  simbolico come la lingua partecipa di una doppia natura (biologica e culturale).  Il pensiero simbolico come anomalia evolutiva ‐ Deacon afferma che gli umani sono animali per quanto riguarda  la biologia; lo statuto simbolico dei pensieri rende gli esseri umani entità imparagonabili con tutte le altre entità della  natura.  A  questa  idea  dell’anomalia  evolutiva  fa  eco  la  tesi  della  DOPPIA  REALTA’  portata  avanti  da  Tomasello  secondo il quale  le abilità cognitive per eccellenza degli umani (come il pensiero simbolico) dipendono dall’eredità  culturale. Concezioni  come quelle proposte da Deacon e Tomasello  si  sposano con  l’idea del  linguaggio come una  forma di exattamento (e non come quello biologico). Un esempio viene dalla paleoantropologia.  à  Tattersall  rappresenta  il  caso  più  emblematico  del  rapporto  tra  exattamento  e  prospettiva  neoculturalista.  Egli  sostiene  che  la  simbolicità del pensiero  sia  alla base di una vera e propria  “differenza qualitativa”  tra gli  umani e  tutte le altre specie animali.  L’homo sapiens discende da un antenato che non possedeva una cognizione di tipo simbolico, quindi il punto chiave  della questione è capire come abbia potuto generarsi un pensiero di questo tipo. Tattersall presenta due possibilità:  7    la prima fa riferimento ad una serie di variazioni lente e graduali di miglioramenti in linea con la selezione naturale;  la seconda è quella che guarda all’avvento delle nostre proprietà peculiari come dovuto ad un evento più a breve  termine.  A favore della seconda opzione, Tattersall usa un argomento che costituisce  il nocciolo del suo modello teorico:  la  rottura del nesso stretto tra struttura e funzioni. Alla base di tale modello è l’idea che nuove funzioni possano essere  messe in atto cooptando vecchie strutture e che le stesse funzioni possano essere realizzate da strutture diverse (è  un’idea che sfrutta a piene mani la prospettiva exattamentista.  Tattersall descrive nei particolari i diversi casi in cui innovazione anatomica e innovazione tecnologica non vanno di  pari passo dando corpo all’idea che “nuove specie e nuove tecnologie non siano direttamente correlate”.  L’esempio  più  illuminante  dello  scarto  temporale  tra  strutture  anatomiche  e  capacità  tecnologiche  è  rappresentato  dalla  differenza tra i vecchi sapiens e i nuovi sapiens.  L’argomento di Tattersall ha un duplice intento teorico: guadagnare l’autonomia degli aspetti culturali dalle strutture  anatomiche;  mostrare  che  l’avvento  del  simbolo  dà  avvio  ad  un  tipo  tutto  nuovo  di  replicazione:  l’evoluzione  culturale. Tattersall sottolinea che il pensiero simbolico conferisce agli umani uno statuto di specialità nella natura.  L’idea che i pensieri siano il prodotto del linguaggio, lo strumento per eccellenza dell’attività simbolica è la sua tesi e  sostiene il primato della FUNZIONE COGNITIVA DEL LINGUAGGIO: l’idea per cui la funzione principale del linguaggio,  oltre a quella comunicativa riguardi il ruolo da esso svolto nella costituzione dei pensieri. L’argomento di Tattersall  tiene soltanto se può offrire una spiegazione adeguata dell’avvento del pensieri simbolico. Un modello del genere è  sostenibile soltanto avendo a disposizione una spiegazione dell’origine del linguaggio. Scartando l’idea dell’avvento  del linguaggio in termini di variazioni lente e graduali, egli fa riferimento ad un processo molto più rapido nel tempo.  Egli  affida  il  cambiamento di  homo  sapiens  all’invenzione del  linguaggio:  attribuire  l’origine del  linguaggio  ad una  scoperta è tuttavia un’operazione del tutto inefficace sul piano esplicativo. Secondo noi non è sufficiente evocare il  linguaggio per risolvere la questione dell’origine del pensiero simbolico.  Exattamentismo e Innatismo  ‐ Chomsky è uno dei fautori principali della biolinguistica:  il suo modello teorico si  incarna fortemente nella tradizione naturalistica secondo cui il linguaggio è parte del mondo naturale e deve essere  indagato attraverso le indagini tipiche del mondo naturale. Quando Chomsky sostiene che la GU non è interpretabile  nei  termini  della  selezione  naturale,  egli  non  intende  negare  il  fatto  che  il  linguaggio  sia  un  dispositivo mentale  evolutosi  nel  tempo,  né  tantomeno mettere  in  discussione  la  teoria  dell’evoluzione.  Come mantenere  insieme  il  riferimento alla biolinguistica con il rifiuto della selezione naturale?  La risposta di Chomsky passa per la tesi exattamentista del linguaggio ma più che una reale soluzione ai problemi egli  ci porta da un vicolo ceco, per diverse ragioni.  La  prima è  di  ordine  generale. Gould  è  antimodularista:  egli  analizza  il  linguaggio  facendo  riferimento  alla mente  come ad un sistema di elaborazione unico e generale per dominio.  Una  seconda  ragione  è  che  l’adesione  di  Chomsky  all’exattamento  lo  porta  a  considerare  il  linguaggio  come  un  “effetto collaterale” dell’organizzazione strutturale del cervello.  à La teoria secondo cui  il  linguaggio umano è un sottoprodotto dell’attività di sistemi di elaborazione nati per altri  fini è sposata dai neoculturalisti. Uno degli aspetti maggiormente caratterizzanti i neoculturalisti è in effetti il rifiuto  abbastanza accentuato dell’innatismo. (Un fautore della concezione innatista come Chomsky, come è possibile che si  affidi allo stesso paradigma interpretativo?)  Per quanto l’exattamento sia stato considerato un concetto alternativo a quello di adattamento, un’interpretazione  del  genere  è  priva  di  fondamento.  EXATTAMENTO e ADATTAMENTO  sono  due  facce  estremamente  correlate  del  processo evolutivo: molto spesso gli exattamenti sfruttano cooptandole strutture formatesi attraverso la selezione  naturale; in secondo luogo perché la funzione cooptata può essere selezionata al fine di rendere quella struttura più  adatta alla nuova funzione.  Uno schema triadico (adattamento‐exaptation‐adattamento secondario) è di notevole interesse. È molto probabile  che  il  linguaggio  abbia  avuto  origine  per  cooptazione  di  strutture  adibite  ad  altre  funzioni,  si  pensi  al  caso  dell’apparato  fonatorio  selezionato, evidentemente, per  la  respirazione e  la nutrizione, non di  certo per produrre  suoni articolati. Riconoscere exattamenti di questo tipo non dice nulla sulla natura adattativa o meno del linguaggio  perché il riconoscimento di funzioni coopta teda strutture originariamente adattate per altri scopi non esclude che  queste strutture possano essere riadattate alle nuove funzioni.  Da queste considerazioni emerge che il ricorso di Chomsky al concetto di exattamento per sostenere che il linguaggio  non è il prodotto della selezione naturale non è sufficiente. Chomsky è in un certo senso costretto ad accettare una  lettura adattamentista del linguaggio come exattamento; se le capacità verbali fossero interpretabili sono come un  insieme di funzioni cooptate da strutture selezionate per altri fini, verrebbe a cadere uno dei punti fermi della sua  teoria: l’idea del linguaggio come un organo innato specifico.  Il modello dell’exattamento in effetti è utilizzabile da  Chomsky  solo  a  patto  di  considerare  i  dispositivi  innati  specifici  per  il  linguaggio  come  forme  di  adattamento  10    l’ambiente muta gli organismi  lottano per mantenersi  in vita,  la chiave di Baldwin è che ciò non ha effetti solo sul  fenotipo ma anche sul genotipo.  In prospettive di questo tipo l’ambiente non è più soltanto un’entità che preesiste ma è anche il prodotto dell’attività  organica.   In sintesi: Adattamento in termini di equilibrio tra organismo e ambiente.    Il “Sistema Triadico di Radicamento e Proiezione” ‐ Ci sono molti modi per guadagnare un equilibrio adattativo.  Qui  ci  interessa  una  doppia  possibilità  esibita  dagli  organismi:  la  possibilità  di  equilibrarsi  all’ambiente  attraverso  risposte stereotipate (quelle cristallizzate nel genoma) e la possibilità di trovare un equilibrio rispondendo in modo  flessibile  alle  difficoltà  che  ogni  organismo  incontra.  Le  condotte  umane  sono  interpretabili  in  termini  di  grande  flessibilità, il paramecio (pag. 85) è invece un sistema rigido capace di rispondere solo in modo automatico, obbligato  e involontario alle sollecitazioni ambientali.  Cosa  significa  essere  flessibili?  Un’idea  è  che  un  sistema  è  tanto  più  flessibile  quante  più  risposte  alternative  al  problema è in grado di generare, ma il punto più importante è la capacità di “scegliere” la risposta appropriata tra le  diverse opzioni possibili. Un sistema è realmente flessibile solo se è  in grado di esibire una forma di FLESSIBILITA’  CONTESTUALMENTE VINCOLATA, che chiama in causa due capacità esibite nei comportamenti intelligenti:  1. la capacità di “ancoraggio” al contesto (la funzione che radica l’organismo alla situazione contestuale);  2.  la  capacità  di  “proiezione”  dal  contesto  attuale  ad  un  contesto  diverso  (la  funzione  in  grado  di  sganciare  o  dissociare l’organismo dal qui e ora della situazione presente).  Radicamento  e  proiezione  rappresentano  le  funzioni  alla  base  dei  comportamenti  flessibilmente  appropriati  e  dunque anche del parlare in modo appropriato.  La nostra idea è che negli umani, i comportamenti flessibili, siano legati ad un macrosistema funzionale in grado di  garantire operazioni di radicamento e proiezione. Il funzionamento di tale macrosistema che qui definiamo Sistema  Triadico di Radicamento e Proiezione  (STRP),  è garantito da  tre diversi  sottosistemi di elaborazione:  l’intelligenza  ecologica; l’intelligenza sociale e l’intelligenza temporale.  I tre sottosistemi sono dispositivi di elaborazione strutturalmente indipendenti e distinti ma sono in grado di operare  in modo congiunto rispondendo a caratteristiche funzionali comuni.  Le proprietà che caratterizzano l’operare congiunto dei tre sistemi di elaborazione (proprietà indirette) sono diverse  dalle proprietà che caratterizzano  il  funzionamento di ogni  singolo sistema preso  isolatamente  (proprietà dirette).  Sia le proprietà dirette (la concettualizzazione del tempo, dello spazio e della socializzazione) sia quelle indirette (la  proiezione e l’ancoraggio al mondo) hanno un ruolo nell’uso effettivo del linguaggio.  >  Intelligenza Ecologica ‐  Percepire  il  mondo  e  muoversi  nell’ambiente  fisico  è  la  condizione  di  base  del  comportamento di qualsiasi organismo: tutti gli organismi sono radicati all’ambiente fisico in cui vivono e agiscono. Il  radicamento all’ambiente di ogni essere vivente dipende dal  fatto  che gli  organismi occupano una  certa porzione  dello spazio ma non solo: essi agiscono nell’ambiente e lo trasformano a cui sono radicati.  Per interpretare in modo efficace il modo in cui un organismo è radicato all’ambiente è necessario mettere insieme  le  capacità  di  rappresentare  lo  spazio  con  le  abilità  motorie.  L’idea  chiave  della  nozione  di  sforzo  adattivo  è  esemplificata dal nesso inscindibile tra percezione ed azione.  Dobbiamo  liberarci  della  concezione  classica  che  considera  il  sistema  motorio  come  un  dispositivo  adibito  alla  produzione‐controllo  del  mero  movimento.  La  scoperta  del  SISTEMA  MIRROR  fa  sì  che  Rizzolati  e  Sinigaglia  sostengano  che  i  neuroni  specchio  siano  alla  base  di  un  sistema  interpretativo  in  grado  di  distinguere  l’agire  dal  semplice movimento. Quindi  il  sistema motorio  può essere  considerato un  centro di  elaborazione  coinvolto  nella  produzione  e  nel  riconoscimento  di  “atti”  in  senso  proprio:  noi  umani  non  ci  limitiamo  a  muovere  il  corpo,  ma  raggiungiamo,  afferriamo  o  mordiamo  qualcosa.  A  questa  rivalutazione  del  sistema  motorio  fa  da  cornice  una  reinterpretazione delle  capacità  percettive  dove  attività motoria  e  percezione  sono  connesse  inestricabilmente.  Il  riconoscimento degli oggetti è affidato ad una rappresentazione “pragmatica” prima che ad una rappresentazione  semantica  della  realtà.  Una  concezione  della  percezione  di  questo  tipo  spinge  ad  ipotizzare  il  primato  della  pragmatica sulla semantica.  L’ipotesi  per  cui  gli  oggetti  sono  riconoscibili  e  dunque  concettualizza  bili  per  le  opportunità  pratiche  che  consentono,  oltre  ad  evidenziare  il  nesso  inscindibile  tra  percezione  ed  azione,  sostanzia  l’idea  della  percezione  come un’attività in cui il soggetto si radica all’ambiente nel trasformarlo costantemente.  La  flessibilità  è  una  nozione  strettamente  dipendente  dalla  capacità  degli  organismi  di  radicarsi  al  contesto,  non  saremmo  gli  organismi  flessibili  che  siamo  se  non  fossimo  capaci  al  tempo  stesso  di  sganciarci  dalla  situazione  effettiva  per  proiettarci  in  situazioni  contestuali  alternative  a  quella  attuale.  La  possibilità  di  DECENTRAMENTO  è  parte costitutiva della nostra capacità di ancorarci (flessibilmente) all’ambiente in cui viviamo ed agiamo.  11    Gli umani sono soggetti radicati flessibilmente all’ambiente perché sono capaci di sganciarsi dalla situazione attuale  costruendo proiezioni alternative alla situazione effettiva. La dipendenza di ogni rappresentazione spaziale dal punto  di  vista  prospettico  dell’osservatore  mostra  con  evidenza  che  i  processi  di  radicamento  dipendono  tanto  dalle  percezioni  effettive  quanto  delle  proiezioni  immaginative  possibili.  Le  capacità  di  proiezione  alla  base  del  decentramento sono di importanza chiave ai fini del nostro discorso, in quanto il soggetto può immaginare situazioni  possibili distinte da quella attuali (senza capacità di questo tipo il comportamento sarebbe inflessibile) ‐> capacità di  guardare il mondo con gli occhi degli altri.  >  Intelligenza sociale  ‐  L’abilità  di  gestire  rapporti  sia  con  gli  organismi  della  stessa  specie  sia  con  quelli  appartenenti ad altre specie è affidata all’intelligenza sociale.  Per relazionarsi con altri individui serve la capacità di anticipare le mosse dell’altro; il ruolo del sistema nervoso nelle  relazioni con gli altri  individui emerge  in  tutta chiarezza,  secondo BERTHOZ (1977), quando si considera  il  cervello  una macchina  essenzialmente  deputata  “a  predire  il  futuro,  anticipare  le  conseguenze  dell’azione,  a  guadagnare  tempo”. Rispetto agli individui singoli, i gruppi risolvono molteplici problemi adattativi: essi fanno fronte ai pericoli in  modo più efficiente, inoltre il gruppo agisce da forza di dissuasione rispetto agli aggressori.  La capacità di predire e controllare il comportamento degli altri organismi è sicuramente una delle sfide adattive più  pressanti  che  i  primati  hanno  dovuto  affrontare  nel  corso  della  propria  storia  evolutiva.  BYRNE  e WHITEN hanno  chiamato  tale  capacità  INTELLIGENZA  MACHIAVELLICA.  L’abilità  di  anticipare  le  mosse  dell’altro,  in  modo  da  intraprendere le giuste contromisure, è alla base dell’intelligenza sociale.  Quali sono i dispositivi bio‐cognitivi di cui gli umani si servono per entrare in relazione con gli altri? Lo strumento per  eccellenza è  il cosiddetto ATTEGGIAMENTO INTENZIONALE. Gli esseri umani attribuiscono stati mentali agli agenti;  questa  capacità  di  mentalizzare  il  comportamento  è  stata  definita  TEORIA  DELLA  MENTE  (ToM)  da  Premack  e  Woorduff. I due autori hanno sostenuto che gli scimpanzé sono in grado di interpretare il comportamento degli altri  attribuendo loro stati mentali. Ai nostri  fini è  importante ricordare  la distinzione tra due modelli:  la TEORIA DELLA  TEORIA  e  l’ipotesi  SIMULAZIONISTA.  La  teoria  della  teoria  si  caratterizza  come  una  vera  e  propria  teoria  del  funzionamento della mente e a differenza di questa che esalta il punto di vista in III persona, l’ipotesi simulazioni sta  fa  affidamento  sulla  preminenza  della  prospettiva  in  prima  persona.  La  teoria  della  teoria  esalta  le  capacità  rappresentazionali di alto livello degli individui: per interpretare il comportamento attribuendo in modo esplicito le  credenze all’agente, si deve disporre di un sistema in grado di produrre credenze sulla credenza di chi agisce.  Mentre i modelli che fanno riferimento alla teoria della teoria si rivelano particolarmente fecondi ai fini di spiegare i  comportamenti umani in cui è necessario mettere in campo diversi livelli rappresentazionali, i modelli che si ispirano  alla teoria simulazioni sta si prestano meglio a dar conto delle condizioni evolutive di base della nostra intelligenza  sociale.  Al giorno d’oggi, esistono dei modelli dove  i componenti simulativi sono considerati come  l’antecedente evolutivo  dei dispositivi di elaborazione alla base della prospettiva in terza persona.  Radicamento e proiezione rappresentano le due priorità alla base delle capacità di garantire la “flessibilità vincolata  al  contesto”.  Senza  la  possibilità  di  essere  radicate  al  contesto,  le  azioni  umane  non  potrebbero  mai  essere  appropriate;  senza  la  capacità  di  sganciare  l’agire  dalla  situazione  effettiva  gli  umani  non  potrebbero  accedere  a  mondi  diversi  da  quello  attuale,  limitando  la  flessibilità  comportamentale. Negli  umani  e  nei  sistemi  cognitivi  più  evoluti, le condizioni di radicamento sono il portato delle capacità di proiezione.  > Intelligenza Temporale ‐ La sopravvivenza degli organismi è legata alla loro capacità di anticipare il futuro (es.  migrazione ed  ibernazione). La  flessibilità ha un ruolo molto  importante  in questo contesto e ne consegue che un  meccanismo fortemente proiettivo sarà anche quello che esibisce un livello di flessibilità più alto.  Suddendorf e Corballis hanno elaborato una  tassonomia dei  sistemi di proiezione del  futuro: al  gradino più basso  troviamo i sistemi della memoria implicita; il livello intermedio è caratterizzato dal sistema della cosiddetta memoria  semantica che riguarda  la conoscenza delle caratteristiche stabili e  regolari dell’ambiente.  [La  facoltà mentale che  permette di decentrare il proprio punto di vista temporale e rivisitare il passato o simulare, anticipandolo, il futuro, è  stata definita Mental Time Travel (MTT)].  Il fulcro di tale facoltà è il sistema della memoria episodica dove tramite una sorta di viaggio nel passato possiamo  recuperare  informazioni  particolari  per  ostruire  simulazioni  di  ciò  che  potrebbe  accadere  in  futuro.  La  memoria  episodica  dà  vita  a  processi  di  costruzione  degli  scenari  passati  e  non  alla  loro  semplice  ripetizione.  L’MTT  è  il  dispositivo di anticipazione del futuro più flessibile di cui disponiamo e che la flessibilità di tale sistema dipende dalla  natura fortemente proiettiva delle sue rappresentazioni.  Una questione interessante è stabilire se anche altri animali possiedano forme di intelligenza temporale così flessibili  (es. ghiandaie e scimpanzé).  Un aspetto  interessante per  l’analisi comparativa dell’MTT è che  i comportamenti che dipendono dalla capacità di  dissociarsi dal presente e proiettarsi all’interno di uno scenario mentale passato o futuro esibiscono la proprietà più  12    generale  di  essere  sganciati  dal  contesto percettivo  immediato  e  confrontati  con  simulazioni  di  scenari mentali  o  “mondi  possibili”  alternativi.  Possiamo  quindi  dire  che  nel  corso  dell’evoluzione  umana  il  dispositivo  alla  base  dell’intelligenza temporale è stato ulteriormente affinato dalle pressioni dell’ambiente umano.  Ancoraggio, proiezione e flessibilità ‐ Gli esseri umani sono ancorati flessibilmente all’ambiente che li circonda. I  sistemi  intelligenti  sono  tali  perché  sono  in  grado  di  mettere  in  atto  quel  particolare  tipo  di  elasticità  comportamentale cui abbiamo fatto riferimento nei termini di una “flessibilità vincolata al contesto”. Tale capacità è  il  carattere  distintivo  dei  sistemi  cognitivi  in  grado  di  trovare  il  giusto  equilibrio  tra  ancoraggio  (radicamento)  e  dissociazione (proiezione) al fine di produrre risposte flessibili e creative ai problemi.  L’analisi dei tre sistemi di elaborazione alla base dell’STRP ha mostrato che la flessibilità vincolata che ne caratterizza  il funzionamento dipende da una duplice opportunità: il vincolo importo dal particolare dominio cognitivo proprio di  ogni  sottocomponente  del  sistema  triadico;  il  vincolo  imposto  dal  modo  di  operare  congiunto  dei  tre  sottocomponenti cognitivi. È questa seconda opportunità quella di maggior rilievo: la capacità di rispondere in modo  flessibile  e  appropriato  alle  sollecitazioni  dell’ambiente  fisico  e  sociale  dipende  da  una  forma  di  RADICAMENTO  INCORCIATO, ovvero dal fatto che i sottocomponenti del STRP siano in grado di convergere verso un ruolo funzionale  comune.  La  convergenza  delle  informazioni  provenienti  dai  diversi  sistemi  contribuisce  ad  una  valutazione  più  efficace in termini di appropriatezza contestuale. Esempio:  1. L’organismo A è alle prese con la ricerca di cibo in un ambiente determinato;  2. L’organismo A è alle prese con la ricerca di cibo in un ambiente determinato in cui c’è anche l’organismo B alle  prese con la ricerca di cibo.   Il caso 2 (rispetto al caso 1) si caratterizza per l’attivazione congiunta di due diversi sistemi di elaborazione: quello  sociale  e  quello  ecologico.  L’attività  congiunta  di  tali  sottocomponenti  (distinti  ma  completamente  convergenti  rispetto  al  compito  in  esame)  amplifica  il  contesto  di  riferimento  vincolando  la  scelta  da  intraprendere.  E’  la  possibilità  dei  componenti  dell’STRP  di  operare  in maniera  congiunta  ciò  che  spiega  quella  flessibilità  ancorata  al  contesto capace di spiegare l’appropriatezza comportamentale.  I  dispositivi  alla  base del  radicamento  comportamentale hanno una priorità  su quelli  di  proiezione.  Tutti  i  sistemi  cognitivi  in grado di proiezione poggiano su capacità di  radicamento, ma non tutti  i  sistemi capaci di  radicamento  sono in grado di proiezione.   Negli organismi cognitivamente più complessi,  l’ancoraggio al mondo è strettamente dipendente dalla funzione di  proiezione: senza tale dipendenza sarebbe impossibile dar conto del “radicamento in modo flessibile” al contesto.  BUCKNER e CARROLL (2007) hanno dato prova della convergenza funzionale e strutturale dei tre sistemi: i tre sistemi  cognitivi  trovano  un  punto  di  convergenza  nella  capacità  di  sganciare  l’organismo  dalla  situazione  attuale  per  proiettarlo in situazioni alternative nello spazio, nel tempo e nell’ambiente sociale. Tale convergenza è testimoniata  dall’operare congiunto dei sottocomponenti implicati in vari compiti cognitivi.  Arrivati a questo punto possiamo sostenere che  il sistema triadico di radicamento e proiezione è  il dispositivo che  governa la produzione dei comportamenti flessibilmente appropriati.    Tornando all’idea di Chomsky,  in merito al  fatto che  il  ‘problema di Cartesio’ appartenga ai misteri  insolubili della  mente umana, a tal punto dovrebbe iniziare a chiarirsi la strategia che si intende seguire per tentare di rispondere al  problema lasciato irrisolto da Chomsky:   Se attraverso la nozione di ‘flessibilità vincolata al contesto’ (resa possibile dal sistema triadico di radicamento  e proiezione) è possibile rispondere al problema dell’appropriatezza comportamentale, allora p probabile che  tale  nozione  possa  essere  utilizzata  per  provare  a  spiegare  anche  l’appropriatezza  del  linguaggio.  Senza  le  condizioni di radicamento, le espressioni linguistiche non avrebbero possibilità di essere appropriate; se fossero  soltanto  ancorate  al  contesto,  le  espressioni  linguistiche  perderebbero  quel  carattere  di  flessibilità  indispensabile per parlare di realtà che non abbiamo di fronte o possiamo solo immaginare.    IV – ORIENTAMENTO   La capacità di alcuni animali di orientarsi nello spazio ci appare tanto più incredibile quanto più la commisuriamo alla  nostra  capacità di umani  civilizzati.  La navigazione nello  spazio  richiede un equilibrio  continuo  tra  cause distali  ed  ostacoli  prossimali.  In  questo  capitolo  sosterremmo  che  i  processi  a  fondamento  della  comunicazione  umana  presentano  forti affinità con  la navigazione spaziale.  La comunicazione è governata da processi di orientamento e  direzione e che questi processi sono alla base sia dell’origine del linguaggio umano sia della comunicazione effettiva.  Lo sforzo cognitivo messo in atto nei continui riadattamenti tra parlante ed ascoltatore per l’equilibrio comunicativo  è in buona parte lo sforzo di mantenere orientamento e direzione nel flusso parlato.  15    Alle origini del linguaggio  ‐ Arrivati a questo punto,  la nostra  idea è che  il  sistema triadico debba essere posto  anche  a  fondamento  dell’origine  del  linguaggio.  L’argomento  prende  avvio  dal  caso  della  comprensione  di  codici  fortemente  deteriorati  come  il  pidgin.  La  discussione  su  questi  codici  ha  dimostrato  che  la  comunicazione  può  andare  avanti  anche  in  assenza  di  un  codice  pienamente  strutturato.  I  dispositivi  di  radicamento  e  proiezione  possono  mantenere  in  vita  la  comunicazione  anche  nel  caso  dell’origine  del  linguaggio.  L’STRP  favorisce  la  comprensione  delle  espressioni  iniziali  e  questo  ha  luogo  perché  il  sistema  garantisce  la  costruzione  di  un  filo  di  continuità tra gli indizi espressivi ancorandoli al contesto fisico e sociale.  Un  conferimento  di  questo  tipo  è  di  estrema  importanza  ai  fini  del  nostro  argomento:  considerare  l’origine  del  linguaggio a partire dalla priorità assegnata alla natura discorsiva dei primi scambi comunicativi permette in effetti di  giustificare non soltanto l’avvento del SIMBOLO ma anche l’avvento del SISTEMA SIMBOLICO.    Alle origini del simbolo  ‐  La  questione  dell’origine  del  linguaggio  è  duplice:  dar  conto  del  passaggio  da  una  situazione iniziale in cui le espressioni comunicative si avvalgono dei segni meccanici determinati dalla situazione a  quella dei segni flessibili e appropriati tipici del codice simbolico; dar conto dell’avvento del sistema simbolico.  DEACON: non è possibile parlare di  linguaggio  in assenza di un sistema simbolico. L’idea della priorità del sistema  simbolico  sugli elementi  costituenti apre  la  strada ad un circolo vizioso:  se  le proprietà dei  simboli dipendono dal  codice  simbolico,  il  codice  simbolico  deve  precedere  i  simboli; ma  il  codice  simbolico  per  essere  tle  deve  essere  costituito da simboli, il che significa che non è possibile avere il codice in assenza degli elementi costituenti, ovvero  che i simboli devono precedere il sistema simbolico.    Discorso senza linguaggio  –  DONALD  (1991):  distingue  tre  tipi  di  cultura  fondati  su  tre  diversi  sistemi  rappresentazionali:  la CULTURA EPISODICA delle australopitecine e dei primati non umani;  la CULTURA MIMICA di  Homo erectus;  la CULTURA SIMBOLICA di Homo sapiens. Per Donald le grandi scimmie sono inchiodate al presente  mentre  l’homo  sapiens  si  caratterizza  per  la  capacità  di  sganciarsi  dalla  situazione  in  cui  vivono per  proiettarsi  in  situazioni distanti nel tempo e nello spazio.  Il linguaggio verbale rappresenta il caso per eccellenza della possibilità di un individuo di dissociarsi dalla situazione  presente  e  di  proiettarsi  verso  situazioni  diverse  da  quella  attuale.  Una  possibilità  di  questo  tipo  è  intimamente  connessa  alla peculiare  natura dei  simboli.  Per  giustificare  il massaggio dalla natura meccanica e determinata  dei  segnali animali, alle proprietà dell’espressione simbolica dobbiamo prendere in considerazione che le proprietà dei  simboli dipendono dai SISTEMI COGNITIVI che li producono e la soluzione sia da ricercare nelle peculiarità dei sistemi  cognitivi.  Per Donald la comparsa di Homo Erectus segna un decisivo passo in avanti perché i suoi comportamenti evidenziano  capacità intellettive in grado di svincolarlo dalla situazione presente. Alla base di tale progresso vi è la mimesis per  mezzo della quale  riesce a costruire una rappresentazione della  realtà utilizzando  forme espressive. La MIMESIS è  l’anello di congiunzione ideale per il passaggio dalla cultura episodica a quella simbolica. Tuttavia la sua spiegazione  è  troppo  rapida e Zaltev e  colleghi gli muovono una critica  facendo una  rivisitazione del modello di Donald, a  cui  hanno dato il nome di BODILY MIMESIS, incentrato sull’idea che le caratteristiche della mimesis devono essere poste  alla  base  di  un  continuum.  La  rappresentazione  mimica  presenta  caratteristiche  essenziali  per  l’avvento  del  linguaggio. CORBALLIS:  la grammatica del gesto (vecchia di 2 mln di anni) non è una prerogativa di Homo Sapiens.  Riconoscere  la  priorità  del  gesto  sulla  parola,  emancipando  l’origine  del  linguaggio  dagli  aspetti  fonici  della  verbalizzazione,  è  una  mossa  di  grande  rilievo  ai  fini  di  una  prospettiva  continuista.  Sarebbe  un  grave  errore  analizzare  il  linguaggio  umano  in  totale  indipendenza  dagli  studi  sulla  comunicazione  animale;  infatti  dopo  alcuni  studi  condotti  su  scimpanzé è  risultato  che  è possibile una  comunicazione basata  su un  codice  visivo‐motorio.  Le  scoperte relative al SISTEMA MIRROR hanno portato nuova linfa vitale alle intuizioni di Condillac: i neuroni specchio  avvalorano l’idea che le origini del linguaggio umano vadano interpretate nei termini di adattamenti visivo‐manuali  piuttosto che uditivo‐vocali.  La  concezione  gestuale  del  linguaggio  è  di  grande  importanza  a  sostegno  di  un  approccio  interpretativo  che,  diversamente dalla tradizione chomskiana e dai modelli fondati dalla ingegneria inversa, affronta il tema della natura  a partire dai costituenti più semplici e basilari della cognizione umana. Una prospettiva del genere permette di far  fronte  a  due  importanti  questioni:  la  prima  riguarda  il  problema  se  la  comunicazione  gestuale  debba  essere  considerata soltanto come un precursore dell’avvento dei simboli verbali; la seconda se tale forma di comunicazione  debba essere interpretata come parte integrante del funzionamento effettivo del linguaggio verbale e non soltanto  del processo di avvio. CORBALLIS critica DONALD   DONALD  ‐>  la mimesis non è ancora proto  linguaggio, bensì un mero precursore.  Il  linguaggio si sarebbe evoluto  come realizzazione vocale, mentre la mimesis si nutre, del linguaggio corporeo, della comunicazione non verbale ecc.  CORBALLIS ‐> la mimesis può essere considerato un protolinguaggio, visto che coinvolge azioni combinabili.  16    Ed  è  in  riferimento  alla  natura  protolinguistica  che  è  possibile  comprendere  come  le  prime  espressioni  verbali  possano  inserirsi  in  un  sistema  espressivo  che  è  già  grammaticale  ben  prima  dell’avvento  della  grammatica  del  linguaggio verbale.  HEWES: la verbalizzazione ha preso il posto della gestualità. Quindi è necessario chiarire il passaggio dal gesto (dalla  mano) ai simboli arbitrari del codice verbale (alla bocca). Cosa ha permesso questo passaggio?    Convenzionalizzazione  ‐  Una  prima  risposta  è  che  anche  il  sistema  verbale  può  essere  interpretato  come  un  sistema gestuale. Nella prospettiva di CORBALLIS sono gesti a pieno titolo tanto le espressioni del volto quanto i  movimenti  della  bocca.  Egli  riconosce  la  validità  della  teoria motoria  della  percezione  verbale  secondo  cui  i  suoni  verbali sono compresi in riferimento a come vengono articolati e non a come vengono percepiti acusticamente. Alla  base della trasformazione del gesto nella parola è legittimo ipotizzare diverse spinte selettive (come la possibilità di  comunicare al buio, o la possibilità di parlare avendo le mani occupate a fare altro), ma non spiega come il passaggio  possa  essere  avvenuto.  Secondo  BURLING  (2005)  il  passaggio  è  stato  reso  possibile  da  un  processo  di  convenzionalizzazione;  un  processo  di  questo  tipo  fa  espliccito  riferimento  al  carattere  sociale  e  culturale  della  comunicazione umana. Questo processo  inoltre apre  la  strada ad un “accordo”  tra emittente e  ricevente ed è un  fattore decisivo nella comunicazione.  Il  passaggio  al  simbolico  può  essere  garantito  dal  sistema  cognitivo:  più  nello  specifico  la  nostra  idea  è  che  un  passaggio  del  genere  debba  chiamare  in  causa  un  dispositivo  in  grado  di mantenere  in  vita  la  comunicazione  a  dispetto della vacuità del codice espressivo: è il carattere di “macchina baldwiniana” del sistema triadico a garantire  il passaggio da un tipo di codice iconico ad uno arbitrario.  A  mandare  avanti  la  comunicazione  in  casi  di  questo  tipo  sono  i  processi  governati  dall’STRP:  processi  che  interpretano  un  indizio  comunicativo  radicandolo  al  contesto  fisico  e  sociale.  I  sistemi  cognitivi  di  proiezione  e  radicamento mantengono in vita  la comunicazione e riescono a farlo perché proiettano tale espressione nel flusso  comunicativo  radicandola  al  contesto:  è  solo  per  un  radicamento  di  questo  genere  che  un’espressione  del  tutto  nuova può essere compresa dall’ascoltatore. Questo mantenere in vita la comunicazione è la condizione essenziale  dell’avvio  del  processo  di  convenzionalizzazione,  soltanto  se  risulta  comprensibile  la  nuova  espressione  può  sedimentarsi nelle pratiche comunicative del codice in costruzione.  Mantenere  in  vita  la  comunicazione  significa  permettere  ad  una  certa  espressione  di  attestarsi  negli  scambi  comunicativi  e  che  l’ascoltatore  si  sentirà  autorizzato  a  ripetere  quell’espressione  la  volta  successive.  È  questo  “sentirsi autorizzato” alla base della convenzionalizzazione.  Appare quindi chiaro come sia possibile sostenere che  i  sistemi di  radicamento e proiezione garantiscono  il  flusso  della  comunicazione  ben  prima  dell’apparizione  di  un  sistema  simbolico.  Il  proto  linguaggio  precede  di  proto  simbolismo: la genesi del simbolo è parassitaria del fatto che la comunicazione va avanti già prima che il simbolo si  attesti.    Coevoluzionismo  ‐ L’indagine portata sinora analizzata mette  in rilievo due aspetti particolarmente importanti:  la  priorità  degli  adattamenti  cognitivi  (dell’STRP)  su  quelli  specificatamente  linguistici;  l’attività  fenotipica  di  cooptazione di tali sistemi ai fini comunicativi.  L’idea  è  che  sia  opportuno  ora  presentare  una  prospettiva  interpretativa  in  grado  di  integrare  la  tesi  dell’origine  gestuale  del  linguaggio  con  la  concezione  del  linguaggio  come  una  forma  di  adattamento  biologico.  Più  nello  specifico  la  nostra  idea  è  che  una  prospettiva  di  questo  tipo  passi  per  la  tesi  della  coevoluzione  tra  cervello  e  linguaggio.  Coevoluzionisti per caso  ‐ Alcuni autori del gruppo dei neoculturalisti ammettono una forma di coevoluzione tra  cervello e  linguaggio  (CHRISTIANEN e CHATER).  La coevoluzione  è  l’idea  che  il  linguaggio abbia effetti  sul  cervello  tanto  quanto  il  cervello  ha  effetti  sul  linguaggio.  Il  punto  riguarda  la  natura  di  questi  effetti:  ci  sono  effetti  che  valgono  soltanto  per  il  fenotipo  e  che  terminano  con  la  sua  morte  e  ci  sono  effetti  che  valgono  per  la  specie:  variazioni che divengono adattamenti specifici del linguaggio. Si può parlare di coevoluzione in senso proprio solo nel  secondo caso perché è possibile parlare del linguaggio come una forma di adattamento biologico.  CORBALLIS, in opposizione a Chomsky, sostiene che il linguaggio deve essere inteso come il prodotto della selezione  naturale: tuttavia per lui la grammatica del gesto, la cui origine è da ricondurre alla selezione naturale, è un fatto più  antico  della  grammatica  dei  simboli  arbitrari.  Secondo  lui  l’ordine  delle  parole  nelle  frasi  è  semplicemente  una  questione di convenzione: come nel caso dell’avvento del simbolo, anche a proposito della costruzione del sistema  simbolico è di nuovo  il  tema della convenzionalizzazione a giocare un  ruolo  in primo piano: considerata  in questo  modo, la grammatica del linguaggio verbale, diversamente dalla grammatica del linguaggio gestuale, viene ad essere  il prodotto del patto e degli accordi tra i parlanti nella società del tutto svincolato dalla selezione naturale.  È giusto considerare in questo modo l’evoluzione della grammatica?  17    Se il linguaggio verbale è il prodotto di una grammatica legata alla convenzionalizzazione, esso resta primariamente  un adattamento culturale; solo il proto linguaggio (la grammatica gestuale) può essere considerato un adattamento  biologico in senso proprio.  Come dar conto del passaggio dalla grammatica motivata del gesto a quella arbitraria del linguaggio verbale?  Un  interessante  caso  di  studio  riguarda  l’analisi  del  linguaggio  spaziale.  Secondo  Talmy  e  Jackendoff  sono  tre  i  componenti  alla  base  del  linguaggio  spaziale:  la  figura,  lo  sfondo  e  la  relazione  tra  i  due.  “L’oggetto‐figura”  è  l’oggetto  localizzato  dall’espressione  linguistica;  “l’oggetto‐sfondo”  è  l’oggetto  in  riferimento  al  quale  l’oggetto‐ figura è  localizzato  (es.  La bicicletta è a  lato della  casa  /  la  casa è a  lato della bicicletta  ‐> pag. 150).  L’analisi  che  emerge è che l’asimmetria in questione è interpretabile nei termini dei vincoli che la rappresentazione concettuale  impone alla rappresentazione linguistica.   I  codici  come  pure  astrazioni  non  esistono:  non  esiste  una  lingua  fuori  dai  reali  processi  di  comprensione  e  produzione che ne definiscono le condizioni d’uso e ne vincolano la natura. Se come sostiene Corballis, il linguaggio è  una  forma  compiuta  di  protolinguaggio  e  se  il  linguaggio  verbale  sfrutta  parassiticamente  il  linguaggio  gestuale,  allora la grammatica del linguaggio non può essere considerata in riferimento a espressioni del tutto arbitrarie.  Nel  passaggio  della  grammatica  del  gesto  a  quella  del  linguaggio  verbale,  la  ‘sintassi  iconica’  si  presta  da  fare  da  ponte  ideale.  In  tale  senso  è  possibile  considerare  la  grammatica  iconica  di  cui  parla  BURLING  come  condizione  intermedia attraverso cui la grammatica gestuale (che precede) e quella verbale (che segue) hanno dato vita ad un  virtuoso processo di coevoluzione.    Coevoluzionisti per davvero  –.  Dal  punto  di  vista  dei  neoculturalisti,  il  rapporto  tra mente  e  sistema  simbolico  deve essere  interpretato nei termini di una “invasione” della  lingua nella scatola cranica. Dal nostro punto di vista  (Ferretti) piuttosto che un’entità esterna, il sistema simbolico è un ambiente (una nicchia ecologica) in cui le menti  operano e a qui si adattano. Solo una prospettiva del genere apre la strada ad un’ipotesi di coevoluzione tra cervello  e linguaggio. E’ proprio dal concetto di nicchia ecologica che occorre partire.  Il concetto di nicchia simbolica ‐ In tal contesto assume particolare importanza la concezione degli organismi come  costruttori  di  nicchie  ecologiche,    in  grado  di modificare  dunque  le  pressioni  della  selezione  naturale  a  cui  sono  sottoposti; quindi la costruzione di una nicchia ecologica non è solo un prodotto dell’evoluzione, ma una causa del  cambiamento evolutivo.  Tra le nicchie ecologiche costruite dagli umani, particolare rilevanza rivestono le NICCHIE ECOLOGICHE CULTURALI.  Secondo BUSS,  lo  scarto  temporale  tra evoluzione biologica ed evoluzione  culturale  rende plausibile  l’idea  che gli  umani  contemporanei  si  rapportino  con  l’ambiente  utilizzando  cervelli  evolutivamente  arcaici.  Noi  non  siamo  d’accordo. Sostenere che l’ambiente di oggi è molto diverso da quello ancestrale apre la strada all’idea che il nostro  cervello abbia potuto subire variazioni caratterizzabili come adattamenti biologici.  In che senso una nicchia ecologica culturale può comportare variazioni del genere?  LALAND e BROWN sostengono che la nicchia d’oggi sia diversa da quella di un tempo e che, diversamente dalle altre  specie,  gli umani possono  rispondere  in due modi alla nicchia ecologica  in  cui  vivono: attraverso  la  costruzione di  nuove nicchie culturali o attraverso gli adattamenti dovuti alla selezione naturale. L’opinione dei due è che quando  gli  esseri  umani  non  sono  in  grado  di  risponder  al  ritardo  adattativo  attraverso  la  costruzione  di  ulteriori  nicchie  culturali, entra in campo la selezione naturale sui geni (esempio coltivatori Kwa). La conclusione a cui prevengono è  che l’influenza delle attività culturali sull’evoluzione genetica degli ominidi sia stata troppo a lungo trascurata. Oggi  alcun studi suggeriscono che le attività culturali hanno influenzato la genetica umana modificando spinte selettive e  alterando le frequenze dei genotipi in alcune popolazioni.    La coevoluzione alla prova dei fatti ‐ Coevoluzione significa rapporto bidirezionale di costituzione: in un rapporto  di questo tipo, se il linguaggio si adatta ai vincoli imposti dal cervello anche il cervello deve adattarsi ai vincoli imposti  dal  linguaggio. Per quanto molti neoculturalisti  facciano spesso appello alla coevoluzione ,  la  loro proposta rimane   unidirezionalmente  legata  al  primato  del  cervello  sul  linguaggio:  è  il  cervello  a  dare  forma  al  linguaggio,  e  non  viceversa. Per dar corpo all’idea che anche il linguaggio possa dar forma al cervello abbiamo almeno due modi:  1.  per  considerare  “l’effetto  di  ritorno”  del  linguaggio  sul  cervello  è  in  linea  con  la  tesi  del  linguaggio  come  adattamento culturale. L’acquisizione del linguaggio di ciascun individuo appartenente ad una data cultura modifica  il cervello di quell’individuo: il fenotipo cambia, ma il genotipo no.  2‐ tener conto del fatto che l’avvento del linguaggio comporti un riallineamento adattativo al cervello. Il linguaggio è  un  artefatto  cognitivo  di  cui  la  mente  umana  si  serve  per  potenziare  le  proprie  capacità  di  elaborazione:  è  “un’impalcatura esterna”. Sarebbe  ingenuo considerare  il  sistema di simboli alla base delle nostre capacità verbali  come un’estensione della mente senza pensare all’impegno cognitivo necessario per utilizzare un sistema di questo  tipo. 
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved