Scarica Alle origini del linguaggio umano - Ferretti e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia del Linguaggio solo su Docsity! 1 ALLE ORIGINI DEL LINGUAGGIO UMANO – Francesco Ferretti I – COMPLESSITA’ Il 1869 fu un anno amaro per DARWIN. Dapprima Alfred Wallance sosteneva che a riprova della diversità degli uomini rispetto agli animali, la coscienza ed il cervello non potevano essere spiegati in riferimento alle leggi naturali. Nello stesso anno MIVART in una serie di scritti attaccava in modo esplicito la teoria dell’evoluzione e non appena Darwin consegnò all’editore le bozze dell’“Origine dell’uomo” comparve “On the genesis of Species” (1871 – St. George Jackson Mivart) il libro che può essere considerato come il più devastante attacco globale arrivato a Darwin. Secondo quanto scritto nel suo libro, se la teoria della selezione naturale fosse vera, il mondo organico risulterebbe essere un mero risultato del caso. Egli contrariamente a Darwin optava invece per un compromesso teologico sostenendo dunque l’esistenza di una guida dall’alto che indicasse un progetto o una direzione nel processo evolutivo. La critica più dura per Darwin riguardava l’argomento degli ORGANI INCIPIENTI, con cui Mivart sosteneva che le differenti caratteristiche che distinguono le specie avrebbero potuto svilupparsi improvvisamente invece che gradualmente e che dunque la selezione naturale non poteva essere il dispositivo alla base del processo evolutivo, colpendo uno dei nodi centrali della teoria darwiniana: il GRADUALISMO che Darwin aveva posto a fondamento della propria ipotesi interpretativa. La questione degli organi incipienti tocca il problema della relazione tra complessità ed evoluzione. Nella sua critica Mivart faceva leva sull’inefficacia esplicativa delle giustificazioni in termini gradualistici della comparsa di organi straordinariamente complessi come gli occhi o le ali. Su cosa poteva operare la selezione naturale se la funzione di un organo è tale solo quando quell’organo è pienamente sviluppato? Egli afferma che la complessità in natura dipende da un evento improvviso in grado di costruirla in un solo colpo e dunque mediante un atto di creazione. Secondo l’argomento degli organi incipienti un dispositivo come l’occhio non può essere il prodotto evolutivo di modificazioni numerose, successive e lievi perché le funzioni che lo caratterizzano come un tutto unitario non sono riscontrabili nelle parti costituenti prese singolarmente: la tesi di Mivart è che dal momento che risultano inutili fin quando non si siano sviluppate le connessioni richieste, tali complesse e simultanee coordinazioni non avrebbero mai potuto essere state prodotte a partire da inizi infinitesimali. Si tratta della dottrina del DISEGNO INTELLIGENTE che mostra la necessità di un architetto divino presentando il famoso argomento per analogia, esemplificato dal caso di un orologio (William Paley). Il “colpo da maestro” di Darwin ‐ Ripresosi dallo stato di frustrazione, Darwin cominciò a pensare alle possibili contromosse. Mivar oltre a mettere in discussione la sua teoria aveva proposto una concezione della natura umana del tutto ineccepibile. Darwin aveva reso gli esseri umani animali tra gli altri animali. Mivart invece considerava gli essere umani (più angeli che animali) entità qualitativamente diverse da tutte le altre specie animali. Per Darwin considerava l’argomentazione di Mivart mossa dal mero fanatismo religioso e la sua risposta si basa su due ordini di giustificazioni: 1. la prima è che non è richiesto che un’ala o un occhio siano in grado di volare o vedere sin dallo stato iniziale, certi organi infatti (come le vesciche natatorie trasformatesi nei polmoni degli anfibi) hanno cambiato funzione nel corso del tempo; 2. la seconda giustificazione ha a che fare con la questione specifica dei rapporti tra gradualismo e selezione naturale: è possibile dimostrare l’esistenza di numerose grad.azioni da un occhio semplice ed imperfetto ad uno complesso e prefetto; esistono diverse forme di occhio, alcune più sofisticate di altre ma tutte ugualmente adattate alla vista. Dawkins ha decritto in modo particolareggiato i passaggi graduali dell’apparizione dell’occhio umano, considerazioni estremamente importanti per far fronte all’argomento degli organi incipienti; ogni grado di efficienza funzionale offre un appiglio alla selezione naturale: vedere anche solo un po’ è sicuramente meglio che non vedere affatto. Vi è una differenza tra i naturalisti e creazionisti, i primi sono attratti dalle cose semplici per cui per quanto possa apparire interessante chiedersi ‘come un nervo sia diventato sensibile alla luce questo non ci riguarda più del modo come la vita stessa si sia originata’, questo non riguarda la transumanza della specie. I creazionisti invece sembrano essere attratti dalla complessità. Semplici complessità – BEHE sembra negare che la macchina fotosensibile (2006) da cui avrebbe inizio il processo di complicazione gradualistica alla base della formazione dell’occhio, possa essere considerata in termini di semplicità, Dawkins infatti non avrebbe preso in considerazione alcuni fattori importanti nella sua teoria (es. la 11‐ cis‐retinale, la rodopsina, e la forma a ‘fossetta’). Fautore del “disegno intelligente” sembra favorire una COMPLESSITA’ IRRIDUCIBILE. Le entità poste alla base del processo evolutivo sono tutt’altro che semplici, anzi 2 proprio per la loro natura complessa il loro avvento non può essere spiegato in termini gradualistici e della selezione naturale. Un sistema irriducibilmente complesso è individuabile in riferimento a due aspetti: la specificazione della funzione e le caratteristiche dei componenti che lo costituiscono ossia la constatazione che tutti i componenti siano necessari alla funzione. È sul secondo aspetto che si concentra Behe: se la struttura interna del sistema venisse a cadere anche per la mancanza di un solo dei componenti che la realizzano, salterebbe ogni possibilità di funzionamento di quel sistema (es. trappola per topi). Behe quindi riconosce che l’evoluzione ad ogni livello presuppone l’esistenza di entità complesse già nei suoi stadi iniziali, e tali considerazioni devono spingerci ad abbandonare la prospettiva selezioni sta e abbracciare l’idea del disegno intelligente governato da un progettista divino. La complessità delle fondamenta della vita ha paralizzato i tentativi scientifici di spiegarla. Fare a meno del progettista ‐ La tesi di Behe non sembra reggere alla prova dei fatti soprattutto in relazione alle conoscenze oggi a nostra disposizione. Il primo modo in cui Darwin fa fronte alle critiche di Mivart è il riferimento ai MODI DI TRANSIZIONE: due organi distinti possono compiere contemporaneamente la stessa funzione nello stesso individuo, basti pensare alla vescica natatoria nei pesci un organo che trova la sua genesi nella funzione idrostatica può trasformarsi in un organo attinente alla respirazione. Tra i primi anni ’80 del novecento il nesso tra struttura e funzione si trova alla base della rivoluzione concettuale con la cosiddetta teoria dell’exattamento (Gould e Vrba). Il secondo modo in cui Darwin risponde a Mivart è il FATTORE USO: in questo caso viene preso in considerazione il passaggio dalla posizione simmetrica a quella asimmetrica degli occhi dei pesci piatti (sogliole o rombi), dunque l’importanza del fattore evolutivo e l’adattamento, in relazione alle loro condizioni di vita. Tali argomentazioni sono in grado di arginare le critiche di Behe fondate sul concetto di complessità irriducibile; riprendendo dunque la questione della trappola per topi regge soltanto se si ammette una relazione univoca tra struttura e funzione, e che sia quindi del tutto inutilizzabile se manca anche uno solo dei pezzi ‐> seconda appunto la logica tutto‐o‐nulla. McDonald (2002) sostiene che possano esistere trappole per topi funzionanti al 50% ma non per questo non funzionanti. CRITICA A BEHE la sua visione meccanicistica della natura umana. Se un sistema fosse irriducibile come intende Behe non dovrebbe avere meccanismi compensatori. DEMBSKI (altro difensore del disegno intelligente) propone una definizione improbabile di sistema complesso irriducibile, sostenendo cioè la possibilità di rimuovere una parte costituente del meccanismo senza che ciò comporti problemi sul funzionamento del sistema. Il tentativo di Dembski di difendere il modello del sistema irriducibile risulta essere vano, in quanto seguendo tale direzione né lui, né tantomeno il collega Behe sono riusciti a dimostrare l’esistenza di alcun sistema biologico che si accordi con la loro stessa definizione. Altra argomentazione trattata da Behe è l’affermazione che la teoria darwiniana comporti una visione dell’evoluzione come un processo guidato dal caso. Come sottolinea Dawkins, interpretare la teoria della selezione naturale come un processo guidato dal caso è un modo di tradire gli intenti di Darwin. Il darwinismo è in effetti la teoria della mutazione casuale combinata con la selezione naturale cumulativa, non casuale. La selezione naturale è l’unica spiegazione in termini naturalistici a nostra disposizione. Prima di Darwin, David Hume (in ‘Dialoghi sulla religione naturale’) metteva già in atto una confutazione del teismo scientifico ma non riuscì ad offrire un’efficacie spiegazione a sostegno della sua teoria seppur logicamente giusta. Bisognerà attendere Darwin e la sua ‘selezione naturale’ per adottare un punto di vista ateo con piena soddisfazione intellettuale. Il linguaggio: una complessità irriducibile? – In tal senso occorre prendere in considerazione una relazione tra linguaggio e approccio evoluzionistico. La tradizione largamente prevalente in scienza cognitiva fa affidamento al modello della GRAMMATICA UNIVERSALE (GU) proposta da NOAM CHOMSKY (intorno alla metà anni ‘50). Per i fautori della GU il linguaggio viene interpretato come un componente innato della Mente‐cervello; per i naturalisti l’idea del linguaggio come prodotto della selezione naturale è fortemente controversa. Chomsky è un sostenitore dell’incompatibilità del linguaggio con l’evoluzione Darwiniana, e ciò trova legittimazione nella sua adesione alla TRADIZIONE CARTESIANA concezione che comporta una serie di difficoltà sul piano evolutivo: l’idea cioè che il linguaggio debba essere analizzato in riferimento alla “differenza qualitativa” tra umani e altri animali, che pone problemi per gli studiosi delle capacità verbali in chiave naturalistica. L’adesione di Chomsky alla tradizione cartesiana è in realtà l’adesione a una concezione in cui si esaltano gli aspetti della creatività del linguaggio umano, ma egli in realtà prende in considerazione un solo aspetto della creatività linguistica ‐> quello della creatività combinatoria. In tal modo però egli lascia del tutto inesplorato un altro aspetto importante. Si tratta di ciò che Chomsky (1988) chiama il problema di Cartesio ‐> alla ricerca di un canone per distinguere gli umani dalle macchine o dagli altri animali, Cartesio (1637) chiama in causa l’aspetto creativo dell’uso del linguaggio. 5 altro sistema di comunicazione animale. Proprio questo alimenta l’idea che l’essere umano sia caratterizzato da uno statuto di specialità che mal si concilia con il naturalismo sbandierato da Chomsky. Parricidio ‐ Chiamato a dover scegliere tra evoluzionismo e grammatica universale, Chomsky non mostra esitazioni: se la GU è incompatibile con l’evoluzione, tanto peggio per l’evoluzione. Contro questa posizione Pinker e Bloom (1990) sostengono che la GU può essere considerata il prodotto della selezione naturale. Secondo Pinker la trasparenza del flusso delle parole, l’assenza di sforzo con cui le parole escono dalla bocca per esprimere i pensieri, la mancanza di coscienza, l’automatismo con cui penetriamo il significato, rappresentano nodi concettuali di grande importanza. Poiché la selezione naturale è un modo convincente di spiegare sistemi di elaborazione di questo tipo, la conclusione da trarre è che il linguaggio deve essere un adattamento biologico. Con questi argomenti Pinker e Bloom mettono in atto il parricidio nei confronti di Chomsky. Con la nozione di COMPLESSITA’ ADATTATIVA un sistema è complesso quando i dettagli della struttura suggeriscono un progetto per eseguire una qualche funzione. Il punto per capire se il linguaggio sia un sistema di questo tipo è stabilire se esso sia caratterizzabile nei termini di una qualche funzione specifica. Secondo Pinker e Bloom la risposta è affermativa: il linguaggio mostra segni dell’esistenza di un progetto finalizzato alla comunicazione di strutture attraverso un canale seriale, quindi è legittimo ipotizzare che il linguaggio rappresenti un caso di complessità adattativa. In sintesi secondo Pinker e Bloom: 1‐ La selezione naturale è la sola spiegazione dell’origine della complessità adattativa; 2‐ Il linguaggio umano mostra un progetto complesso per il fine adattativo della comunicazione; 3‐ Il linguaggio, dunque, è evoluto per selezione naturale. Secondo tale schema, la selezione naturale è l’unica spiegazione in campo dell’origine della complessità di sistemi naturali come il linguaggio. Ora, se il linguaggio è un adattamento dovuto alla selezione naturale, allora l’evoluzione del linguaggio deve essere interpretata in termini di modificazioni numerose, successive e lievi, ovvero in termini gradualistici. Qui si pone nuovamente il problema degli organi incipienti (Mivart), ma la risposta è legata alla possibilità di immaginare grammatiche di complessità intermedia: secondo Pinker e Bloom l’argomento degli organi incipienti vale per il linguaggio come per gli occhi o per le ali. (esempio lingue pidgin, lingue di contatto, lingua dei bambini ecc.). Tuttavia Pinker critica fortemente la tesi secondo cui l’origine del linguaggio dipenderebbe da una evoluzione dai sistemi di comunicazione animale; le scimmie non imparano la lingua dei segni, i loro gesti sono privi di sintassi e carenti sul punto di vista della spontaneità caratterizzante del linguaggio umano. Il linguaggio come exattamento ‐ La natura complessa del linguaggio richiede una spiegazione in termini evoluzionistici. Secondo i neoculturalisti il linguaggio non è il prodotto della selezione naturale perché non è l’entità complessa di cui parlano i fautori della GU. Un’ipotesi interpretativa di questo genere apre la strada ad un modo del tutto nuovo di intendere la natura del linguaggio. > Perché la GU non è compatibile con una prospettiva evoluzionistica: ‐ I tentativi di conciliare la GU con la selezione naturale poggiano sull’ INGEGNERIA INVERSA ‐> il cui fondamento si basa sull’idea che dal modello attuale sia possibile risalire alle condizioni di progettazione che lo hanno generato. Dobbiamo dire però che un approccio guidato dall’ingegneria inversa è giocoforza un approccio “guidato dall’alto”. TOMASELLO (1995‐99) in relazione al primato accordato alla complessità del linguaggio l’errore tipico dell’innatismo filosofico. Inoltre una concezione del linguaggio come quella portata avanti dai fautori della GU è totalmente implausibile dal punto di vista evoluzionistico. Il suo punto di vista risulta essere oggi molto influente per quanto riguarda i rapporti tra il linguaggio e l’evoluzione, in quanto prende in considerazione il tema del neoculturalismo, parte da una prospettiva che mira a riproporre alcune tematiche del pensiero di Vygotskij nel dibattito contemporaneo. L’operazione dei neoculturalisti si concretizza nella forte riconsiderazione degli aspetti del linguaggio considerati “esterni” alla mente degli individui. Secondo Clark il cervello, per alleggerire il suo carico computazionale, si serve di impalcature esterne alla scatola cranica, come la carta e la penna. Nella prospettiva di questo autore, l’impalcatura per eccellenza della mente umana è rappresentata dal linguaggio. Pensare al linguaggio nei termini di una impalcatura esterna alla mente, in effetti, significa considerare le capacità verbali in riferimento alle lingue storico‐naturali, non ad un dispositivo innato della mente‐cervello. Se i fautori della GU considerano l’evoluzione delle facoltà del linguaggio un adattamento piegato alle esigenze di una comunicazione sempre più efficiente, i neoculturalisti esaltano gli aspetti relativi alla differenza, dovuti alla molteplicità e alla varietà delle lingue, esaltando soprattutto la “funzione cognitiva” del linguaggio, il ruolo che esso ha nella formazione del sistema concettuale. Secondo i neoculturalisti, il tentativo di Pinker e Bloom di dar conto del linguaggio in termini di selezione naturale è un tentativo votato al fallimento. La selezione naturale, in effetti, deve far presa su qualche tipo di proprietà manifesta per operare: ora, poiché le uniche proprietà manifeste negli scambi comunicativi sono le proprietà di superficie delle lingue effettive e poiché dal punto di vista manifesto le lingue sono estremamente variabili, come dar credito a questa teoria? La condizione operata dai chomskiani tra le condizioni universali del 6 parlare (competenza) e i casi di effettiva produzione linguistica (esecuzione) si presta a favorire una concezione del linguaggio fortemente sbilanciata in favore della natura astratta dei principi del linguaggio. Il punto dolente della questione è il carattere di indipendenza delle strutture dalle funzioni: è questa indipendenza a rendere la GU incompatibile con l’evoluzionismo. Per i neoculturalisti se la GU non tiene, meglio cambiare strada. Cambiare radicalmente il modello del linguaggio comporta una importante conseguenza sul tema della natura del linguaggio: fare a meno della sua complessità. Semplicità ‐ DEACON sostiene che la complessità del linguaggio è un falso mito; ‘le lingue hanno più bisogno dei bambini che i bambini delle lingue’. Secondo dunque un’interpretazione del linguaggio come un qualcosa che accade fuori dal cervello. L’idea che il rovesciamento di prospettiva sia verso la semplicità del linguaggio sia governato dai processi di apprendimento è stata sviluppata recentemente anche da CHRISTIANSES e CHATER (2008) ‐> è facile apprendere ad usare il linguaggio non perché i nostri cervelli incorporino una qualche conoscenza del linguaggio, ma perché il linguaggio si è adattato ai nostri cervelli. Il prodotto di un’evoluzione culturale piuttosto che biologica. L’idea dei neoculturalisti è che la mente sia composta di numerosi sistemi cognitivi formatisi attraverso la selezione naturale, nessuno dei quali selezionato ai fini specifici della comunicazione verbale. Un modello interpretativo di questo tipo, mantiene insieme l’idea di un’architettura cognitiva articolata in diversi sistemi di elaborazione dovuti alla selezione naturale con l’idea che la comunicazione verbale emerga come risultato dell’operare congiunto di questi sistemi di elaborazione cooptati per fra fronte alle nuove esigenze ambientali. Un modello del genere mette insieme la concezione della mente intesa come un sistema ricco di dispositivi interni di elaborazione con la critica all’idea del linguaggio come un adattamento specifico dovuto alla selezione naturale. L’idea del linguaggio come un artefatto culturale è la direzione che prendono Christianen e Chater: tramite l’acquisizione del linguaggio da parte del bambino sostengono che la comunicazione verbale è un fenomeno che riguarda esclusivamente l’evoluzione culturale e non quella biologica. Quando parlano di complessità del linguaggio i neoculturalisti hanno in mente la complessità della grammatica delle lingue storico‐naturali: un tipo di complessità che deve essere considerata indipendente dal processo evolutivo governato dalla selezione naturale. La biologia non è esclusa del tutto in una prospettiva del genere, ma svolge soltanto il ruolo indiretto di vincolo alle variazioni possibili. L’idea che non esistano adattamenti biologici specifici per il linguaggio porta i neoculturalisti ad abbracciare una concezione exattamentista del linguaggio. All’interno dell’evoluzionismo la discussione ha visto gli studiosi schierarsi su due fronti contrapposti: da una parte gli “ultradarwinisti” dall’altra i “naturalisti”. Ci preme sottolineare due punti: à La prima è la preminenza riconosciuta dagli ultradarwinisti al concetto di adattamento dipende dalla priorità da loro accordata al ruolo della selezione naturale nel processo evolutivo. La seconda riguarda i rapporti tra struttura e funzione: mentre l’idea degli ultradarwinisti è che vi sia una stretta correlazione tra struttura e funzione, per i naturalisti il rapporto tra struttura e funzione è molto più articolato: è possibile che strutture diverse siano utilizzate per una medesima funzione e che funzioni diverse possano essere messe in atto a partire da una medesima struttura. Alla base della visione pluralista dei naturalisti è il concetto di EXATTAMENTO introdotto da Gould e Vrba. Secondo Gould e Vrba. I modi in cui prende forma il fenomeno generale dell’essere utile per la sopravvivenza sono l’adattamento (per selezione naturale) e l’exattamento (per cooptazione funzionale di strutture selezionate per altre finalità). In questa prospettiva, exattamento ed adattamento sono due facce strettamente correlate del processo evolutivo. à Quando i neoculturalisti sostengono che il linguaggio è un exattamento, lo fanno innanzitutto per sottolineare che non è un adattamento biologico: dal loro punto di vista, infatti, il linguaggio è un caso esemplare di un processo di sviluppo che, attraverso la trasmissione culturale, consente agli artefatti culturali di guadagnare una propria indipendenza dalle pastoie della selezione naturale. La critica dei neoculturalisti all’idea del linguaggio come prodotto della selezione naturale è portata avanti per un motivo: la difesa dell’autonomia della natura specificatamente culturale delle pratiche linguistiche. Se il linguaggio è un fenomeno socio‐culturale, l’essere umano che si avvale di un sistema simbolico come la lingua partecipa di una doppia natura (biologica e culturale). Il pensiero simbolico come anomalia evolutiva ‐ Deacon afferma che gli umani sono animali per quanto riguarda la biologia; lo statuto simbolico dei pensieri rende gli esseri umani entità imparagonabili con tutte le altre entità della natura. A questa idea dell’anomalia evolutiva fa eco la tesi della DOPPIA REALTA’ portata avanti da Tomasello secondo il quale le abilità cognitive per eccellenza degli umani (come il pensiero simbolico) dipendono dall’eredità culturale. Concezioni come quelle proposte da Deacon e Tomasello si sposano con l’idea del linguaggio come una forma di exattamento (e non come quello biologico). Un esempio viene dalla paleoantropologia. à Tattersall rappresenta il caso più emblematico del rapporto tra exattamento e prospettiva neoculturalista. Egli sostiene che la simbolicità del pensiero sia alla base di una vera e propria “differenza qualitativa” tra gli umani e tutte le altre specie animali. L’homo sapiens discende da un antenato che non possedeva una cognizione di tipo simbolico, quindi il punto chiave della questione è capire come abbia potuto generarsi un pensiero di questo tipo. Tattersall presenta due possibilità: 7 la prima fa riferimento ad una serie di variazioni lente e graduali di miglioramenti in linea con la selezione naturale; la seconda è quella che guarda all’avvento delle nostre proprietà peculiari come dovuto ad un evento più a breve termine. A favore della seconda opzione, Tattersall usa un argomento che costituisce il nocciolo del suo modello teorico: la rottura del nesso stretto tra struttura e funzioni. Alla base di tale modello è l’idea che nuove funzioni possano essere messe in atto cooptando vecchie strutture e che le stesse funzioni possano essere realizzate da strutture diverse (è un’idea che sfrutta a piene mani la prospettiva exattamentista. Tattersall descrive nei particolari i diversi casi in cui innovazione anatomica e innovazione tecnologica non vanno di pari passo dando corpo all’idea che “nuove specie e nuove tecnologie non siano direttamente correlate”. L’esempio più illuminante dello scarto temporale tra strutture anatomiche e capacità tecnologiche è rappresentato dalla differenza tra i vecchi sapiens e i nuovi sapiens. L’argomento di Tattersall ha un duplice intento teorico: guadagnare l’autonomia degli aspetti culturali dalle strutture anatomiche; mostrare che l’avvento del simbolo dà avvio ad un tipo tutto nuovo di replicazione: l’evoluzione culturale. Tattersall sottolinea che il pensiero simbolico conferisce agli umani uno statuto di specialità nella natura. L’idea che i pensieri siano il prodotto del linguaggio, lo strumento per eccellenza dell’attività simbolica è la sua tesi e sostiene il primato della FUNZIONE COGNITIVA DEL LINGUAGGIO: l’idea per cui la funzione principale del linguaggio, oltre a quella comunicativa riguardi il ruolo da esso svolto nella costituzione dei pensieri. L’argomento di Tattersall tiene soltanto se può offrire una spiegazione adeguata dell’avvento del pensieri simbolico. Un modello del genere è sostenibile soltanto avendo a disposizione una spiegazione dell’origine del linguaggio. Scartando l’idea dell’avvento del linguaggio in termini di variazioni lente e graduali, egli fa riferimento ad un processo molto più rapido nel tempo. Egli affida il cambiamento di homo sapiens all’invenzione del linguaggio: attribuire l’origine del linguaggio ad una scoperta è tuttavia un’operazione del tutto inefficace sul piano esplicativo. Secondo noi non è sufficiente evocare il linguaggio per risolvere la questione dell’origine del pensiero simbolico. Exattamentismo e Innatismo ‐ Chomsky è uno dei fautori principali della biolinguistica: il suo modello teorico si incarna fortemente nella tradizione naturalistica secondo cui il linguaggio è parte del mondo naturale e deve essere indagato attraverso le indagini tipiche del mondo naturale. Quando Chomsky sostiene che la GU non è interpretabile nei termini della selezione naturale, egli non intende negare il fatto che il linguaggio sia un dispositivo mentale evolutosi nel tempo, né tantomeno mettere in discussione la teoria dell’evoluzione. Come mantenere insieme il riferimento alla biolinguistica con il rifiuto della selezione naturale? La risposta di Chomsky passa per la tesi exattamentista del linguaggio ma più che una reale soluzione ai problemi egli ci porta da un vicolo ceco, per diverse ragioni. La prima è di ordine generale. Gould è antimodularista: egli analizza il linguaggio facendo riferimento alla mente come ad un sistema di elaborazione unico e generale per dominio. Una seconda ragione è che l’adesione di Chomsky all’exattamento lo porta a considerare il linguaggio come un “effetto collaterale” dell’organizzazione strutturale del cervello. à La teoria secondo cui il linguaggio umano è un sottoprodotto dell’attività di sistemi di elaborazione nati per altri fini è sposata dai neoculturalisti. Uno degli aspetti maggiormente caratterizzanti i neoculturalisti è in effetti il rifiuto abbastanza accentuato dell’innatismo. (Un fautore della concezione innatista come Chomsky, come è possibile che si affidi allo stesso paradigma interpretativo?) Per quanto l’exattamento sia stato considerato un concetto alternativo a quello di adattamento, un’interpretazione del genere è priva di fondamento. EXATTAMENTO e ADATTAMENTO sono due facce estremamente correlate del processo evolutivo: molto spesso gli exattamenti sfruttano cooptandole strutture formatesi attraverso la selezione naturale; in secondo luogo perché la funzione cooptata può essere selezionata al fine di rendere quella struttura più adatta alla nuova funzione. Uno schema triadico (adattamento‐exaptation‐adattamento secondario) è di notevole interesse. È molto probabile che il linguaggio abbia avuto origine per cooptazione di strutture adibite ad altre funzioni, si pensi al caso dell’apparato fonatorio selezionato, evidentemente, per la respirazione e la nutrizione, non di certo per produrre suoni articolati. Riconoscere exattamenti di questo tipo non dice nulla sulla natura adattativa o meno del linguaggio perché il riconoscimento di funzioni coopta teda strutture originariamente adattate per altri scopi non esclude che queste strutture possano essere riadattate alle nuove funzioni. Da queste considerazioni emerge che il ricorso di Chomsky al concetto di exattamento per sostenere che il linguaggio non è il prodotto della selezione naturale non è sufficiente. Chomsky è in un certo senso costretto ad accettare una lettura adattamentista del linguaggio come exattamento; se le capacità verbali fossero interpretabili sono come un insieme di funzioni cooptate da strutture selezionate per altri fini, verrebbe a cadere uno dei punti fermi della sua teoria: l’idea del linguaggio come un organo innato specifico. Il modello dell’exattamento in effetti è utilizzabile da Chomsky solo a patto di considerare i dispositivi innati specifici per il linguaggio come forme di adattamento 10 l’ambiente muta gli organismi lottano per mantenersi in vita, la chiave di Baldwin è che ciò non ha effetti solo sul fenotipo ma anche sul genotipo. In prospettive di questo tipo l’ambiente non è più soltanto un’entità che preesiste ma è anche il prodotto dell’attività organica. In sintesi: Adattamento in termini di equilibrio tra organismo e ambiente. Il “Sistema Triadico di Radicamento e Proiezione” ‐ Ci sono molti modi per guadagnare un equilibrio adattativo. Qui ci interessa una doppia possibilità esibita dagli organismi: la possibilità di equilibrarsi all’ambiente attraverso risposte stereotipate (quelle cristallizzate nel genoma) e la possibilità di trovare un equilibrio rispondendo in modo flessibile alle difficoltà che ogni organismo incontra. Le condotte umane sono interpretabili in termini di grande flessibilità, il paramecio (pag. 85) è invece un sistema rigido capace di rispondere solo in modo automatico, obbligato e involontario alle sollecitazioni ambientali. Cosa significa essere flessibili? Un’idea è che un sistema è tanto più flessibile quante più risposte alternative al problema è in grado di generare, ma il punto più importante è la capacità di “scegliere” la risposta appropriata tra le diverse opzioni possibili. Un sistema è realmente flessibile solo se è in grado di esibire una forma di FLESSIBILITA’ CONTESTUALMENTE VINCOLATA, che chiama in causa due capacità esibite nei comportamenti intelligenti: 1. la capacità di “ancoraggio” al contesto (la funzione che radica l’organismo alla situazione contestuale); 2. la capacità di “proiezione” dal contesto attuale ad un contesto diverso (la funzione in grado di sganciare o dissociare l’organismo dal qui e ora della situazione presente). Radicamento e proiezione rappresentano le funzioni alla base dei comportamenti flessibilmente appropriati e dunque anche del parlare in modo appropriato. La nostra idea è che negli umani, i comportamenti flessibili, siano legati ad un macrosistema funzionale in grado di garantire operazioni di radicamento e proiezione. Il funzionamento di tale macrosistema che qui definiamo Sistema Triadico di Radicamento e Proiezione (STRP), è garantito da tre diversi sottosistemi di elaborazione: l’intelligenza ecologica; l’intelligenza sociale e l’intelligenza temporale. I tre sottosistemi sono dispositivi di elaborazione strutturalmente indipendenti e distinti ma sono in grado di operare in modo congiunto rispondendo a caratteristiche funzionali comuni. Le proprietà che caratterizzano l’operare congiunto dei tre sistemi di elaborazione (proprietà indirette) sono diverse dalle proprietà che caratterizzano il funzionamento di ogni singolo sistema preso isolatamente (proprietà dirette). Sia le proprietà dirette (la concettualizzazione del tempo, dello spazio e della socializzazione) sia quelle indirette (la proiezione e l’ancoraggio al mondo) hanno un ruolo nell’uso effettivo del linguaggio. > Intelligenza Ecologica ‐ Percepire il mondo e muoversi nell’ambiente fisico è la condizione di base del comportamento di qualsiasi organismo: tutti gli organismi sono radicati all’ambiente fisico in cui vivono e agiscono. Il radicamento all’ambiente di ogni essere vivente dipende dal fatto che gli organismi occupano una certa porzione dello spazio ma non solo: essi agiscono nell’ambiente e lo trasformano a cui sono radicati. Per interpretare in modo efficace il modo in cui un organismo è radicato all’ambiente è necessario mettere insieme le capacità di rappresentare lo spazio con le abilità motorie. L’idea chiave della nozione di sforzo adattivo è esemplificata dal nesso inscindibile tra percezione ed azione. Dobbiamo liberarci della concezione classica che considera il sistema motorio come un dispositivo adibito alla produzione‐controllo del mero movimento. La scoperta del SISTEMA MIRROR fa sì che Rizzolati e Sinigaglia sostengano che i neuroni specchio siano alla base di un sistema interpretativo in grado di distinguere l’agire dal semplice movimento. Quindi il sistema motorio può essere considerato un centro di elaborazione coinvolto nella produzione e nel riconoscimento di “atti” in senso proprio: noi umani non ci limitiamo a muovere il corpo, ma raggiungiamo, afferriamo o mordiamo qualcosa. A questa rivalutazione del sistema motorio fa da cornice una reinterpretazione delle capacità percettive dove attività motoria e percezione sono connesse inestricabilmente. Il riconoscimento degli oggetti è affidato ad una rappresentazione “pragmatica” prima che ad una rappresentazione semantica della realtà. Una concezione della percezione di questo tipo spinge ad ipotizzare il primato della pragmatica sulla semantica. L’ipotesi per cui gli oggetti sono riconoscibili e dunque concettualizza bili per le opportunità pratiche che consentono, oltre ad evidenziare il nesso inscindibile tra percezione ed azione, sostanzia l’idea della percezione come un’attività in cui il soggetto si radica all’ambiente nel trasformarlo costantemente. La flessibilità è una nozione strettamente dipendente dalla capacità degli organismi di radicarsi al contesto, non saremmo gli organismi flessibili che siamo se non fossimo capaci al tempo stesso di sganciarci dalla situazione effettiva per proiettarci in situazioni contestuali alternative a quella attuale. La possibilità di DECENTRAMENTO è parte costitutiva della nostra capacità di ancorarci (flessibilmente) all’ambiente in cui viviamo ed agiamo. 11 Gli umani sono soggetti radicati flessibilmente all’ambiente perché sono capaci di sganciarsi dalla situazione attuale costruendo proiezioni alternative alla situazione effettiva. La dipendenza di ogni rappresentazione spaziale dal punto di vista prospettico dell’osservatore mostra con evidenza che i processi di radicamento dipendono tanto dalle percezioni effettive quanto delle proiezioni immaginative possibili. Le capacità di proiezione alla base del decentramento sono di importanza chiave ai fini del nostro discorso, in quanto il soggetto può immaginare situazioni possibili distinte da quella attuali (senza capacità di questo tipo il comportamento sarebbe inflessibile) ‐> capacità di guardare il mondo con gli occhi degli altri. > Intelligenza sociale ‐ L’abilità di gestire rapporti sia con gli organismi della stessa specie sia con quelli appartenenti ad altre specie è affidata all’intelligenza sociale. Per relazionarsi con altri individui serve la capacità di anticipare le mosse dell’altro; il ruolo del sistema nervoso nelle relazioni con gli altri individui emerge in tutta chiarezza, secondo BERTHOZ (1977), quando si considera il cervello una macchina essenzialmente deputata “a predire il futuro, anticipare le conseguenze dell’azione, a guadagnare tempo”. Rispetto agli individui singoli, i gruppi risolvono molteplici problemi adattativi: essi fanno fronte ai pericoli in modo più efficiente, inoltre il gruppo agisce da forza di dissuasione rispetto agli aggressori. La capacità di predire e controllare il comportamento degli altri organismi è sicuramente una delle sfide adattive più pressanti che i primati hanno dovuto affrontare nel corso della propria storia evolutiva. BYRNE e WHITEN hanno chiamato tale capacità INTELLIGENZA MACHIAVELLICA. L’abilità di anticipare le mosse dell’altro, in modo da intraprendere le giuste contromisure, è alla base dell’intelligenza sociale. Quali sono i dispositivi bio‐cognitivi di cui gli umani si servono per entrare in relazione con gli altri? Lo strumento per eccellenza è il cosiddetto ATTEGGIAMENTO INTENZIONALE. Gli esseri umani attribuiscono stati mentali agli agenti; questa capacità di mentalizzare il comportamento è stata definita TEORIA DELLA MENTE (ToM) da Premack e Woorduff. I due autori hanno sostenuto che gli scimpanzé sono in grado di interpretare il comportamento degli altri attribuendo loro stati mentali. Ai nostri fini è importante ricordare la distinzione tra due modelli: la TEORIA DELLA TEORIA e l’ipotesi SIMULAZIONISTA. La teoria della teoria si caratterizza come una vera e propria teoria del funzionamento della mente e a differenza di questa che esalta il punto di vista in III persona, l’ipotesi simulazioni sta fa affidamento sulla preminenza della prospettiva in prima persona. La teoria della teoria esalta le capacità rappresentazionali di alto livello degli individui: per interpretare il comportamento attribuendo in modo esplicito le credenze all’agente, si deve disporre di un sistema in grado di produrre credenze sulla credenza di chi agisce. Mentre i modelli che fanno riferimento alla teoria della teoria si rivelano particolarmente fecondi ai fini di spiegare i comportamenti umani in cui è necessario mettere in campo diversi livelli rappresentazionali, i modelli che si ispirano alla teoria simulazioni sta si prestano meglio a dar conto delle condizioni evolutive di base della nostra intelligenza sociale. Al giorno d’oggi, esistono dei modelli dove i componenti simulativi sono considerati come l’antecedente evolutivo dei dispositivi di elaborazione alla base della prospettiva in terza persona. Radicamento e proiezione rappresentano le due priorità alla base delle capacità di garantire la “flessibilità vincolata al contesto”. Senza la possibilità di essere radicate al contesto, le azioni umane non potrebbero mai essere appropriate; senza la capacità di sganciare l’agire dalla situazione effettiva gli umani non potrebbero accedere a mondi diversi da quello attuale, limitando la flessibilità comportamentale. Negli umani e nei sistemi cognitivi più evoluti, le condizioni di radicamento sono il portato delle capacità di proiezione. > Intelligenza Temporale ‐ La sopravvivenza degli organismi è legata alla loro capacità di anticipare il futuro (es. migrazione ed ibernazione). La flessibilità ha un ruolo molto importante in questo contesto e ne consegue che un meccanismo fortemente proiettivo sarà anche quello che esibisce un livello di flessibilità più alto. Suddendorf e Corballis hanno elaborato una tassonomia dei sistemi di proiezione del futuro: al gradino più basso troviamo i sistemi della memoria implicita; il livello intermedio è caratterizzato dal sistema della cosiddetta memoria semantica che riguarda la conoscenza delle caratteristiche stabili e regolari dell’ambiente. [La facoltà mentale che permette di decentrare il proprio punto di vista temporale e rivisitare il passato o simulare, anticipandolo, il futuro, è stata definita Mental Time Travel (MTT)]. Il fulcro di tale facoltà è il sistema della memoria episodica dove tramite una sorta di viaggio nel passato possiamo recuperare informazioni particolari per ostruire simulazioni di ciò che potrebbe accadere in futuro. La memoria episodica dà vita a processi di costruzione degli scenari passati e non alla loro semplice ripetizione. L’MTT è il dispositivo di anticipazione del futuro più flessibile di cui disponiamo e che la flessibilità di tale sistema dipende dalla natura fortemente proiettiva delle sue rappresentazioni. Una questione interessante è stabilire se anche altri animali possiedano forme di intelligenza temporale così flessibili (es. ghiandaie e scimpanzé). Un aspetto interessante per l’analisi comparativa dell’MTT è che i comportamenti che dipendono dalla capacità di dissociarsi dal presente e proiettarsi all’interno di uno scenario mentale passato o futuro esibiscono la proprietà più 12 generale di essere sganciati dal contesto percettivo immediato e confrontati con simulazioni di scenari mentali o “mondi possibili” alternativi. Possiamo quindi dire che nel corso dell’evoluzione umana il dispositivo alla base dell’intelligenza temporale è stato ulteriormente affinato dalle pressioni dell’ambiente umano. Ancoraggio, proiezione e flessibilità ‐ Gli esseri umani sono ancorati flessibilmente all’ambiente che li circonda. I sistemi intelligenti sono tali perché sono in grado di mettere in atto quel particolare tipo di elasticità comportamentale cui abbiamo fatto riferimento nei termini di una “flessibilità vincolata al contesto”. Tale capacità è il carattere distintivo dei sistemi cognitivi in grado di trovare il giusto equilibrio tra ancoraggio (radicamento) e dissociazione (proiezione) al fine di produrre risposte flessibili e creative ai problemi. L’analisi dei tre sistemi di elaborazione alla base dell’STRP ha mostrato che la flessibilità vincolata che ne caratterizza il funzionamento dipende da una duplice opportunità: il vincolo importo dal particolare dominio cognitivo proprio di ogni sottocomponente del sistema triadico; il vincolo imposto dal modo di operare congiunto dei tre sottocomponenti cognitivi. È questa seconda opportunità quella di maggior rilievo: la capacità di rispondere in modo flessibile e appropriato alle sollecitazioni dell’ambiente fisico e sociale dipende da una forma di RADICAMENTO INCORCIATO, ovvero dal fatto che i sottocomponenti del STRP siano in grado di convergere verso un ruolo funzionale comune. La convergenza delle informazioni provenienti dai diversi sistemi contribuisce ad una valutazione più efficace in termini di appropriatezza contestuale. Esempio: 1. L’organismo A è alle prese con la ricerca di cibo in un ambiente determinato; 2. L’organismo A è alle prese con la ricerca di cibo in un ambiente determinato in cui c’è anche l’organismo B alle prese con la ricerca di cibo. Il caso 2 (rispetto al caso 1) si caratterizza per l’attivazione congiunta di due diversi sistemi di elaborazione: quello sociale e quello ecologico. L’attività congiunta di tali sottocomponenti (distinti ma completamente convergenti rispetto al compito in esame) amplifica il contesto di riferimento vincolando la scelta da intraprendere. E’ la possibilità dei componenti dell’STRP di operare in maniera congiunta ciò che spiega quella flessibilità ancorata al contesto capace di spiegare l’appropriatezza comportamentale. I dispositivi alla base del radicamento comportamentale hanno una priorità su quelli di proiezione. Tutti i sistemi cognitivi in grado di proiezione poggiano su capacità di radicamento, ma non tutti i sistemi capaci di radicamento sono in grado di proiezione. Negli organismi cognitivamente più complessi, l’ancoraggio al mondo è strettamente dipendente dalla funzione di proiezione: senza tale dipendenza sarebbe impossibile dar conto del “radicamento in modo flessibile” al contesto. BUCKNER e CARROLL (2007) hanno dato prova della convergenza funzionale e strutturale dei tre sistemi: i tre sistemi cognitivi trovano un punto di convergenza nella capacità di sganciare l’organismo dalla situazione attuale per proiettarlo in situazioni alternative nello spazio, nel tempo e nell’ambiente sociale. Tale convergenza è testimoniata dall’operare congiunto dei sottocomponenti implicati in vari compiti cognitivi. Arrivati a questo punto possiamo sostenere che il sistema triadico di radicamento e proiezione è il dispositivo che governa la produzione dei comportamenti flessibilmente appropriati. Tornando all’idea di Chomsky, in merito al fatto che il ‘problema di Cartesio’ appartenga ai misteri insolubili della mente umana, a tal punto dovrebbe iniziare a chiarirsi la strategia che si intende seguire per tentare di rispondere al problema lasciato irrisolto da Chomsky: Se attraverso la nozione di ‘flessibilità vincolata al contesto’ (resa possibile dal sistema triadico di radicamento e proiezione) è possibile rispondere al problema dell’appropriatezza comportamentale, allora p probabile che tale nozione possa essere utilizzata per provare a spiegare anche l’appropriatezza del linguaggio. Senza le condizioni di radicamento, le espressioni linguistiche non avrebbero possibilità di essere appropriate; se fossero soltanto ancorate al contesto, le espressioni linguistiche perderebbero quel carattere di flessibilità indispensabile per parlare di realtà che non abbiamo di fronte o possiamo solo immaginare. IV – ORIENTAMENTO La capacità di alcuni animali di orientarsi nello spazio ci appare tanto più incredibile quanto più la commisuriamo alla nostra capacità di umani civilizzati. La navigazione nello spazio richiede un equilibrio continuo tra cause distali ed ostacoli prossimali. In questo capitolo sosterremmo che i processi a fondamento della comunicazione umana presentano forti affinità con la navigazione spaziale. La comunicazione è governata da processi di orientamento e direzione e che questi processi sono alla base sia dell’origine del linguaggio umano sia della comunicazione effettiva. Lo sforzo cognitivo messo in atto nei continui riadattamenti tra parlante ed ascoltatore per l’equilibrio comunicativo è in buona parte lo sforzo di mantenere orientamento e direzione nel flusso parlato. 15 Alle origini del linguaggio ‐ Arrivati a questo punto, la nostra idea è che il sistema triadico debba essere posto anche a fondamento dell’origine del linguaggio. L’argomento prende avvio dal caso della comprensione di codici fortemente deteriorati come il pidgin. La discussione su questi codici ha dimostrato che la comunicazione può andare avanti anche in assenza di un codice pienamente strutturato. I dispositivi di radicamento e proiezione possono mantenere in vita la comunicazione anche nel caso dell’origine del linguaggio. L’STRP favorisce la comprensione delle espressioni iniziali e questo ha luogo perché il sistema garantisce la costruzione di un filo di continuità tra gli indizi espressivi ancorandoli al contesto fisico e sociale. Un conferimento di questo tipo è di estrema importanza ai fini del nostro argomento: considerare l’origine del linguaggio a partire dalla priorità assegnata alla natura discorsiva dei primi scambi comunicativi permette in effetti di giustificare non soltanto l’avvento del SIMBOLO ma anche l’avvento del SISTEMA SIMBOLICO. Alle origini del simbolo ‐ La questione dell’origine del linguaggio è duplice: dar conto del passaggio da una situazione iniziale in cui le espressioni comunicative si avvalgono dei segni meccanici determinati dalla situazione a quella dei segni flessibili e appropriati tipici del codice simbolico; dar conto dell’avvento del sistema simbolico. DEACON: non è possibile parlare di linguaggio in assenza di un sistema simbolico. L’idea della priorità del sistema simbolico sugli elementi costituenti apre la strada ad un circolo vizioso: se le proprietà dei simboli dipendono dal codice simbolico, il codice simbolico deve precedere i simboli; ma il codice simbolico per essere tle deve essere costituito da simboli, il che significa che non è possibile avere il codice in assenza degli elementi costituenti, ovvero che i simboli devono precedere il sistema simbolico. Discorso senza linguaggio – DONALD (1991): distingue tre tipi di cultura fondati su tre diversi sistemi rappresentazionali: la CULTURA EPISODICA delle australopitecine e dei primati non umani; la CULTURA MIMICA di Homo erectus; la CULTURA SIMBOLICA di Homo sapiens. Per Donald le grandi scimmie sono inchiodate al presente mentre l’homo sapiens si caratterizza per la capacità di sganciarsi dalla situazione in cui vivono per proiettarsi in situazioni distanti nel tempo e nello spazio. Il linguaggio verbale rappresenta il caso per eccellenza della possibilità di un individuo di dissociarsi dalla situazione presente e di proiettarsi verso situazioni diverse da quella attuale. Una possibilità di questo tipo è intimamente connessa alla peculiare natura dei simboli. Per giustificare il massaggio dalla natura meccanica e determinata dei segnali animali, alle proprietà dell’espressione simbolica dobbiamo prendere in considerazione che le proprietà dei simboli dipendono dai SISTEMI COGNITIVI che li producono e la soluzione sia da ricercare nelle peculiarità dei sistemi cognitivi. Per Donald la comparsa di Homo Erectus segna un decisivo passo in avanti perché i suoi comportamenti evidenziano capacità intellettive in grado di svincolarlo dalla situazione presente. Alla base di tale progresso vi è la mimesis per mezzo della quale riesce a costruire una rappresentazione della realtà utilizzando forme espressive. La MIMESIS è l’anello di congiunzione ideale per il passaggio dalla cultura episodica a quella simbolica. Tuttavia la sua spiegazione è troppo rapida e Zaltev e colleghi gli muovono una critica facendo una rivisitazione del modello di Donald, a cui hanno dato il nome di BODILY MIMESIS, incentrato sull’idea che le caratteristiche della mimesis devono essere poste alla base di un continuum. La rappresentazione mimica presenta caratteristiche essenziali per l’avvento del linguaggio. CORBALLIS: la grammatica del gesto (vecchia di 2 mln di anni) non è una prerogativa di Homo Sapiens. Riconoscere la priorità del gesto sulla parola, emancipando l’origine del linguaggio dagli aspetti fonici della verbalizzazione, è una mossa di grande rilievo ai fini di una prospettiva continuista. Sarebbe un grave errore analizzare il linguaggio umano in totale indipendenza dagli studi sulla comunicazione animale; infatti dopo alcuni studi condotti su scimpanzé è risultato che è possibile una comunicazione basata su un codice visivo‐motorio. Le scoperte relative al SISTEMA MIRROR hanno portato nuova linfa vitale alle intuizioni di Condillac: i neuroni specchio avvalorano l’idea che le origini del linguaggio umano vadano interpretate nei termini di adattamenti visivo‐manuali piuttosto che uditivo‐vocali. La concezione gestuale del linguaggio è di grande importanza a sostegno di un approccio interpretativo che, diversamente dalla tradizione chomskiana e dai modelli fondati dalla ingegneria inversa, affronta il tema della natura a partire dai costituenti più semplici e basilari della cognizione umana. Una prospettiva del genere permette di far fronte a due importanti questioni: la prima riguarda il problema se la comunicazione gestuale debba essere considerata soltanto come un precursore dell’avvento dei simboli verbali; la seconda se tale forma di comunicazione debba essere interpretata come parte integrante del funzionamento effettivo del linguaggio verbale e non soltanto del processo di avvio. CORBALLIS critica DONALD DONALD ‐> la mimesis non è ancora proto linguaggio, bensì un mero precursore. Il linguaggio si sarebbe evoluto come realizzazione vocale, mentre la mimesis si nutre, del linguaggio corporeo, della comunicazione non verbale ecc. CORBALLIS ‐> la mimesis può essere considerato un protolinguaggio, visto che coinvolge azioni combinabili. 16 Ed è in riferimento alla natura protolinguistica che è possibile comprendere come le prime espressioni verbali possano inserirsi in un sistema espressivo che è già grammaticale ben prima dell’avvento della grammatica del linguaggio verbale. HEWES: la verbalizzazione ha preso il posto della gestualità. Quindi è necessario chiarire il passaggio dal gesto (dalla mano) ai simboli arbitrari del codice verbale (alla bocca). Cosa ha permesso questo passaggio? Convenzionalizzazione ‐ Una prima risposta è che anche il sistema verbale può essere interpretato come un sistema gestuale. Nella prospettiva di CORBALLIS sono gesti a pieno titolo tanto le espressioni del volto quanto i movimenti della bocca. Egli riconosce la validità della teoria motoria della percezione verbale secondo cui i suoni verbali sono compresi in riferimento a come vengono articolati e non a come vengono percepiti acusticamente. Alla base della trasformazione del gesto nella parola è legittimo ipotizzare diverse spinte selettive (come la possibilità di comunicare al buio, o la possibilità di parlare avendo le mani occupate a fare altro), ma non spiega come il passaggio possa essere avvenuto. Secondo BURLING (2005) il passaggio è stato reso possibile da un processo di convenzionalizzazione; un processo di questo tipo fa espliccito riferimento al carattere sociale e culturale della comunicazione umana. Questo processo inoltre apre la strada ad un “accordo” tra emittente e ricevente ed è un fattore decisivo nella comunicazione. Il passaggio al simbolico può essere garantito dal sistema cognitivo: più nello specifico la nostra idea è che un passaggio del genere debba chiamare in causa un dispositivo in grado di mantenere in vita la comunicazione a dispetto della vacuità del codice espressivo: è il carattere di “macchina baldwiniana” del sistema triadico a garantire il passaggio da un tipo di codice iconico ad uno arbitrario. A mandare avanti la comunicazione in casi di questo tipo sono i processi governati dall’STRP: processi che interpretano un indizio comunicativo radicandolo al contesto fisico e sociale. I sistemi cognitivi di proiezione e radicamento mantengono in vita la comunicazione e riescono a farlo perché proiettano tale espressione nel flusso comunicativo radicandola al contesto: è solo per un radicamento di questo genere che un’espressione del tutto nuova può essere compresa dall’ascoltatore. Questo mantenere in vita la comunicazione è la condizione essenziale dell’avvio del processo di convenzionalizzazione, soltanto se risulta comprensibile la nuova espressione può sedimentarsi nelle pratiche comunicative del codice in costruzione. Mantenere in vita la comunicazione significa permettere ad una certa espressione di attestarsi negli scambi comunicativi e che l’ascoltatore si sentirà autorizzato a ripetere quell’espressione la volta successive. È questo “sentirsi autorizzato” alla base della convenzionalizzazione. Appare quindi chiaro come sia possibile sostenere che i sistemi di radicamento e proiezione garantiscono il flusso della comunicazione ben prima dell’apparizione di un sistema simbolico. Il proto linguaggio precede di proto simbolismo: la genesi del simbolo è parassitaria del fatto che la comunicazione va avanti già prima che il simbolo si attesti. Coevoluzionismo ‐ L’indagine portata sinora analizzata mette in rilievo due aspetti particolarmente importanti: la priorità degli adattamenti cognitivi (dell’STRP) su quelli specificatamente linguistici; l’attività fenotipica di cooptazione di tali sistemi ai fini comunicativi. L’idea è che sia opportuno ora presentare una prospettiva interpretativa in grado di integrare la tesi dell’origine gestuale del linguaggio con la concezione del linguaggio come una forma di adattamento biologico. Più nello specifico la nostra idea è che una prospettiva di questo tipo passi per la tesi della coevoluzione tra cervello e linguaggio. Coevoluzionisti per caso ‐ Alcuni autori del gruppo dei neoculturalisti ammettono una forma di coevoluzione tra cervello e linguaggio (CHRISTIANEN e CHATER). La coevoluzione è l’idea che il linguaggio abbia effetti sul cervello tanto quanto il cervello ha effetti sul linguaggio. Il punto riguarda la natura di questi effetti: ci sono effetti che valgono soltanto per il fenotipo e che terminano con la sua morte e ci sono effetti che valgono per la specie: variazioni che divengono adattamenti specifici del linguaggio. Si può parlare di coevoluzione in senso proprio solo nel secondo caso perché è possibile parlare del linguaggio come una forma di adattamento biologico. CORBALLIS, in opposizione a Chomsky, sostiene che il linguaggio deve essere inteso come il prodotto della selezione naturale: tuttavia per lui la grammatica del gesto, la cui origine è da ricondurre alla selezione naturale, è un fatto più antico della grammatica dei simboli arbitrari. Secondo lui l’ordine delle parole nelle frasi è semplicemente una questione di convenzione: come nel caso dell’avvento del simbolo, anche a proposito della costruzione del sistema simbolico è di nuovo il tema della convenzionalizzazione a giocare un ruolo in primo piano: considerata in questo modo, la grammatica del linguaggio verbale, diversamente dalla grammatica del linguaggio gestuale, viene ad essere il prodotto del patto e degli accordi tra i parlanti nella società del tutto svincolato dalla selezione naturale. È giusto considerare in questo modo l’evoluzione della grammatica? 17 Se il linguaggio verbale è il prodotto di una grammatica legata alla convenzionalizzazione, esso resta primariamente un adattamento culturale; solo il proto linguaggio (la grammatica gestuale) può essere considerato un adattamento biologico in senso proprio. Come dar conto del passaggio dalla grammatica motivata del gesto a quella arbitraria del linguaggio verbale? Un interessante caso di studio riguarda l’analisi del linguaggio spaziale. Secondo Talmy e Jackendoff sono tre i componenti alla base del linguaggio spaziale: la figura, lo sfondo e la relazione tra i due. “L’oggetto‐figura” è l’oggetto localizzato dall’espressione linguistica; “l’oggetto‐sfondo” è l’oggetto in riferimento al quale l’oggetto‐ figura è localizzato (es. La bicicletta è a lato della casa / la casa è a lato della bicicletta ‐> pag. 150). L’analisi che emerge è che l’asimmetria in questione è interpretabile nei termini dei vincoli che la rappresentazione concettuale impone alla rappresentazione linguistica. I codici come pure astrazioni non esistono: non esiste una lingua fuori dai reali processi di comprensione e produzione che ne definiscono le condizioni d’uso e ne vincolano la natura. Se come sostiene Corballis, il linguaggio è una forma compiuta di protolinguaggio e se il linguaggio verbale sfrutta parassiticamente il linguaggio gestuale, allora la grammatica del linguaggio non può essere considerata in riferimento a espressioni del tutto arbitrarie. Nel passaggio della grammatica del gesto a quella del linguaggio verbale, la ‘sintassi iconica’ si presta da fare da ponte ideale. In tale senso è possibile considerare la grammatica iconica di cui parla BURLING come condizione intermedia attraverso cui la grammatica gestuale (che precede) e quella verbale (che segue) hanno dato vita ad un virtuoso processo di coevoluzione. Coevoluzionisti per davvero –. Dal punto di vista dei neoculturalisti, il rapporto tra mente e sistema simbolico deve essere interpretato nei termini di una “invasione” della lingua nella scatola cranica. Dal nostro punto di vista (Ferretti) piuttosto che un’entità esterna, il sistema simbolico è un ambiente (una nicchia ecologica) in cui le menti operano e a qui si adattano. Solo una prospettiva del genere apre la strada ad un’ipotesi di coevoluzione tra cervello e linguaggio. E’ proprio dal concetto di nicchia ecologica che occorre partire. Il concetto di nicchia simbolica ‐ In tal contesto assume particolare importanza la concezione degli organismi come costruttori di nicchie ecologiche, in grado di modificare dunque le pressioni della selezione naturale a cui sono sottoposti; quindi la costruzione di una nicchia ecologica non è solo un prodotto dell’evoluzione, ma una causa del cambiamento evolutivo. Tra le nicchie ecologiche costruite dagli umani, particolare rilevanza rivestono le NICCHIE ECOLOGICHE CULTURALI. Secondo BUSS, lo scarto temporale tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale rende plausibile l’idea che gli umani contemporanei si rapportino con l’ambiente utilizzando cervelli evolutivamente arcaici. Noi non siamo d’accordo. Sostenere che l’ambiente di oggi è molto diverso da quello ancestrale apre la strada all’idea che il nostro cervello abbia potuto subire variazioni caratterizzabili come adattamenti biologici. In che senso una nicchia ecologica culturale può comportare variazioni del genere? LALAND e BROWN sostengono che la nicchia d’oggi sia diversa da quella di un tempo e che, diversamente dalle altre specie, gli umani possono rispondere in due modi alla nicchia ecologica in cui vivono: attraverso la costruzione di nuove nicchie culturali o attraverso gli adattamenti dovuti alla selezione naturale. L’opinione dei due è che quando gli esseri umani non sono in grado di risponder al ritardo adattativo attraverso la costruzione di ulteriori nicchie culturali, entra in campo la selezione naturale sui geni (esempio coltivatori Kwa). La conclusione a cui prevengono è che l’influenza delle attività culturali sull’evoluzione genetica degli ominidi sia stata troppo a lungo trascurata. Oggi alcun studi suggeriscono che le attività culturali hanno influenzato la genetica umana modificando spinte selettive e alterando le frequenze dei genotipi in alcune popolazioni. La coevoluzione alla prova dei fatti ‐ Coevoluzione significa rapporto bidirezionale di costituzione: in un rapporto di questo tipo, se il linguaggio si adatta ai vincoli imposti dal cervello anche il cervello deve adattarsi ai vincoli imposti dal linguaggio. Per quanto molti neoculturalisti facciano spesso appello alla coevoluzione , la loro proposta rimane unidirezionalmente legata al primato del cervello sul linguaggio: è il cervello a dare forma al linguaggio, e non viceversa. Per dar corpo all’idea che anche il linguaggio possa dar forma al cervello abbiamo almeno due modi: 1. per considerare “l’effetto di ritorno” del linguaggio sul cervello è in linea con la tesi del linguaggio come adattamento culturale. L’acquisizione del linguaggio di ciascun individuo appartenente ad una data cultura modifica il cervello di quell’individuo: il fenotipo cambia, ma il genotipo no. 2‐ tener conto del fatto che l’avvento del linguaggio comporti un riallineamento adattativo al cervello. Il linguaggio è un artefatto cognitivo di cui la mente umana si serve per potenziare le proprie capacità di elaborazione: è “un’impalcatura esterna”. Sarebbe ingenuo considerare il sistema di simboli alla base delle nostre capacità verbali come un’estensione della mente senza pensare all’impegno cognitivo necessario per utilizzare un sistema di questo tipo.