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Altruisti nati - sintesi schematica ma completa - sostituisce libro, Sintesi del corso di Psicologia Generale

Sintesi del testo, schematica ma completa di ogni capitolo. Con disegni e schemi. Sostituisce il libro

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 23/01/2021

Gabytonda
Gabytonda 🇮🇹

4.2

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13 documenti

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Scarica Altruisti nati - sintesi schematica ma completa - sostituisce libro e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! 2020-2021 GABRIELLA GLORIOSO M TOMASELLO Altruisti nati Perché cooperiamo fin da piccoli Introduzione Gli individui di numerose specie animali apprendono per via sociale (dagli altri per imitazione), quando popolazioni della medesima specie sviluppano diversi modi di fare le cose si parla di cultura. Cultura La specie umana è la specie culturale per antonomasia, inventano nuovi artefatti e pratica comportamentali per far fronte alle esigenze dell’ambiente che li circonda La cultura umana è unica, si differenzia dalle culture degli animali per diverse caratteristiche appartengono esclusivamente alla specie umana:  quantitativamente ->numero di cose che un individuo deve apprendere socialmente, e  qualitativamente -> per due caratteristiche: 1. Evoluzione Culturale Cumulativa o artefatti cumulativi: artefatti e pratiche comportamentali umani diventano più complessi con il passare del tempo – hanno una “storia”. Ciò determina una sorta di dente d’arresto (ratchet effect1) culturale, dal momento che ciascuna versione della pratica resterà saldamente nel patrimonio del gruppo fino a quando salterà fuori qualcuno con un’idea ancora più innovativa e perfezionata. 2. Creazione di Istituzioni Sociali: una serie di pratiche comportamentali regolate da varie norme e regole mutuamente riconosciute. Es. gli esseri umani creano nuove entità definite culturalmente che hanno diritti e doveri culturalmente definiti (definizione di funzioni di status – Searle – marito- moglie o genitori o denaro). Le funzioni di status rappresentano accordi cooperativi per sancire che entità culturalmente definite esistono e hanno diritti e doveri specifici in quanto rappresentative di modalità di interazione organizzate cooperativamente e concordate e che prevedono regole impositive per chi non collabora. Alla base di queste due caratteristiche specifiche della cultura umana vi è una serie di abilità e motivazioni cooperative specie-specifiche. I processi psicologici che soggiacciono alla creazione di istituzioni sociali e che rendono possibili queste forme di cooperazione si definiscono “intenzionalità condivisa ovvero quei processi psicologici soggiacenti che rendono possibili queste forme uniche di cooperazione (capacità di creare con gli altri intenzioni ed impegni congiunti in un’ottica di sforzo cooperativo). Questi vengono strutturati da processi di attenzione congiunta e mutua comprensione per intenti cooperativi di prestare aiuto agli altri e condividere. Le tendenze ipercooperative umane giocano un ruolo nel dente d’arresto culturale. Esse sono chiare se si prendono in esame due caratteristiche dell’evoluzione culturale cumulativa.  Insegnamento : Innanzitutto, gli esseri umani si impegnano attivamente per insegnarsi le cose a vicenda (insegnamento = forma di altruismo basata su una motivazione di aiuto; gli individui donano informazioni agli altri perché possano servirsene) e non riservano le loro lezioni soltanto ai membri della propria famiglia.  Norme di conformità : In secondo luogo, gli esseri umani hanno la tendenza di imitare altri 1 un processo varia facilmente in una direzione ma non altrettanto nella direzione opposta 1 si trovava in situazione di difficoltà). Ciò dimostra che i bb comprendono gli obiettivi altrui e hanno una motivazione altruistica intrinseca. La tendenza infantile ad aiutare il prossimo è l’esteriorizzazione di una propensione spontanea a simpatizzare con qualcuno che si trova in difficoltà, anziché un comportamento indotto dalla cultura e/o da pratiche di socializzazione apprese dai genitori. 5 motivi per cui aiutare ѐ un comportamento spontaneo: 1. Insorgenza precoce di comportamenti altruistici 14/18 mesi (dubbio perché potrebbero averli appresi dagli adulti). 2. Refrattarietà all’incoraggiamento Le ricompense e l’incoraggiamento dei genitori non incentivano/riducono i comportamenti altruistici. In uno studio, oltre a non mostrare cambiamenti del comportamento altruistico in caso di ricompense o meno, i bb si dimostravano indifferenti nei confronti di attività divertenti in quanto impegnati ad aiutare. overjustification effect Un ulteriore studio ha evidenziato come i bb che ricevevano ricompense per aver prestato aiuto, si sono dimostrati meno propensi ad offrire il loro aiuto rispetto a quelli che non avevano ricevuto alcuna ricompensa. Overjustification effect o effetto di sovrammotivazione : Un determinato comportamento è automotivante per cui, eventuali ricompense esterne indeboliscono la motivazione intrinseca, “esternalizzandola” nella ricompensa (i bambini che nella prima fase erano stati ricompensati nella seconda fase si sono dimostrati meno propensi a offrire il loro aiuto rispetto a quelli che non avevano ricevuto nessuna ricompensa) 3. Radici evolutive delle grandi scimmie antropomorfe Gli scimpanzé allevati dall’uomo si comportano nello stesso modo: stesso esperimento effettuato precedentemente sui bb (14/18 mesi), nella situazione in cui l’uomo aveva bisogno di essere aiutato a recuperare oggetti lontani dalla loro portata si sono dimostrati prosociali. In un secondo esperimento, con scimmie allevata da scimmie, vedeva uno scimpanzé in evidente difficoltà in quanto non riusciva ad aprire la porta, un secondo scimpanzé che sapeva che per aprirla era necessario togliere un paletto, lo ha aiutato. Il fatto che i nostri parenti primati manifestino un comportamento di cooperazione simile al nostro dimostra che il comportamento cooperativo degli umani non ѐ il prodotto di un ambiente culturale umano. 4. Resistenza transculturale: anche se gli adulti tendono ad intervenire meno nella crescita dei figli (culture tradizionali), i bb offrono il loro aiuto essenzialmente nelle stesse situazioni e nella stessa età degli altri (culture occidentali). 5. Presenza di emozioni simpatetiche spontanee La propensione all’aiuto dei bb molto piccoli è mediata dalla partecipazione empatica: bb tra 18 e 24 mesi dopo aver osservato un adulto afferrare il disegno che un altro adulto aveva appena fatto e strapparlo intenzionalmente, guardavano la vittima con espressione “partecipe” (più della condizione di controllo in cui il foglio strappato era bianco). Successivamente all’adulto (vittima o figura neutra) veniva tolto di mano un giocattolo e ai bb veniva data l’opportunità di prestare aiuto. I bb aiutavano maggiormente la vittima e, in particolare, i bb che avevano avuto uno sguardo più partecipe nei confronti della 4 vittima, si sono rivelati più propensi ad aiutarla. Per questi 5 motivi si ritiene che la precoce tendenza infantile ad aiutare il prossimo non sia un comportamento indotto dalla cultura e/o da pratiche di socializzazione apprese dai genitori. Piuttosto è esteriorizzazione di una propensione spontanea simpatizzare con qualcuno che si trova in difficoltà Fornire informazioni INFORMAZIONI Esiste una specifica forma di aiuto di cui soltanto i piccoli d’uomo dispongono: la condivisione di informazioni necessarie Questo è scollegato dal linguaggio, infatti sono stati fatti esperimenti su bb in fase prelinguistica che utilizzano per trasmettere info l’atto di indicare pointing (proto dichiarativo: condividere un oggetto di attenzione – proto imperativo: ottenere qualcosa per soddisfare un bisogno). Le scimmie non intendono trasmettere informazioni utili ad altri, né tramite la gestualità né tramite le vocalizzazioni. Indagine sperimentale: bb di 12 mesi in fase prelinguistica osservavano un adulto pinzare dei fogli e maneggiare un altro oggetto. L’adulto esce ed entra un’altra persona che sposta i due oggetti. Quando l’adulto torna e non trova la pinzatrice, inizia a guardarsi intorno con aria interrogativa. I bb indicano la pinzatrice (capiscono il problema e sono motivati ad aiutare) e non sempre l’altro oggetto. Le scimmie non utilizzano il pointing e, se lo fanno, lo fanno con l’uomo (perché l’hanno appreso dal modello umano) e a scopi direttivi (imperativo ovvero per ottenere qualcosa per soddisfare un loro bisogno). Un altro esperimento -Modello ABA- con scimmie e bb umani: nella prima e nella terza sessione i soggetti (scimmie e bambini) indicavano all’adulto uno strumento che era necessario per raggiungere qualcosa destinato a loro; nella seconda sessione lo strumento serviva per recuperare una cosa destinata soltanto all’adulto. Le scimmie davano indicazioni solo se vi era un vantaggio (natura direttiva del pointing); i bb indicavano l’oggetto con la stessa frequenza in entrambe le situazioni. Le scimmie non comprendono la funzione del pointing quando usato a scopi informativi (quando cercano cibo nascosto e l’uomo indica loro una ciotola, non capiscono). I bb capiscono la finalità comunicativo-informativa del pointing e riescono ad inferirne il nesso. Principio di cooperazione di Grice: rendersi conto che gli altri stanno cercando di aiutarmi fornendomi informazioni relative a cose che non sono rilevanti per loro ma per me. Per le scimmie qualunque cosa stiano facendo deve avere a che fare con il proprio vantaggio personale Infatti, i primati non umani lanciano richiami di allarme e connessi al cibo non per informare (in quanto lo fanno anche in presenza del resto del gruppo) ma per il proprio vantaggio personale (chiamare rinforzi; assicurarsi protezione durante il pasto). In conclusione, le scimmie antropomorfe non intendono trasmettere info utili ad altri, né tramite 5 la gestualità né ricorrendo alle vocalizzazioni I bb possono tradurre gli imperativi secondo una logica cooperativa: gli imperativi umani non sono ordini (dammi l’acqua!) ma qualcosa di più indiretto, l’enunciazione di un desiderio (gradirei un po’ d’acqua) questo perché so che gli altri come me sono cooperativi che il semplice fatto di venirne a conoscenza li induce a volerlo soddisfare. Ricerca in cui una donna chiedeva ai bb la batteria. Nella stanza c’erano due batterie, una vicina alla ricercatrice, una lontana. I bb capivano che era una richiesta d’aiuto (e non un ordine) e quindi prendevano la pila più lontana. Quando sono in gioco informazioni e non un semplice aiuto strumentale, gli esseri umani fanno alcune cose secondo una logica di cooperazione, mentre le scimmie no. Quindi l’altruismo non è un tratto indifferenziato: le motivazioni altruistiche possono sorgere in alcuni ambiti e in altri no. La libera condivisione di informazioni sembra essere un comportamento spontaneo nei bb piccolissimi. I bb imparano presto anche a mentire ma soltanto dopo che vi sia una base di cooperazione e fiducia (menzogna nasce a causa della tendenza a credere nell’affidabilità degli altri). Condividere BENI I bb si sono dimostrati più generosi con il cibo e altri beni rispetto alle scimmie. Gli scimpanzé si comportano sempre come se fosse il loro ultimo pasto. Quando stanno patendo la fame, anche gli esseri umani sono egoisti. 1. esperimento 1: cibo e asticelle: egoismo o equità? La scimmia doveva scegliere quale di due asticelle tirare verso di sé. Su ciascuna c’erano due vassoi premio: uno accessibile al soggetto esaminato, l’altro ad un secondo scimpanzé posto nella gabbia vicina. Due situazioni: una in cui un’asticella ospitava un pezzo di cibo per il soggetto esaminato e nulla per il compagno; un’altra in cui entrambi ricevevano il cibo (sforzo identico; ricompensa invariata). Gli scimpanzé sceglievano in modo indiscriminato: erano focalizzati nell’ottenere cibo per sé ciò che accade agli altri è irrilevante Condizione di controllo in cui l’altra gabbia era vuota con il cancelletto aperto: gli scimpanzé sceglievano allora la doppia razione. I bb di 25 mesi e quelli in età scolare scelgono maggiormente l’opzione equa rispetto a quella egoista. 2. esperimento 2: cibo e asticelle: cooperazione? I soggetti erano posti davanti un’asticella sospesa carica di cibo fissata a due corde che poteva essere spostata solo con la cooperazione di entrambi i soggetti. Quando la condivisione del cibo era problematico (ovvero non era già suddiviso in due parti 6 Perché i bb rispettano le norme sociali? Piaget sosteneva che tale forza scaturisce da 1. Autorità ovvero dall’interazione con gli adulti. In un primo stadio di sviluppo i bb rispondono solo a norme fondate sull’autorità che poggiano sul potere superiore degli adulti. 2. Reciprocità ovvero interazione tra pari. Le norme sociali vere e proprie, che si fondano sulla reciprocità, emergono solo al termine della fase prescolare (abbandono dell’egocentrismo, i bb vedono sé e gli altri come agenti autonomi alla pari). Norme sociali basate sulla reciprocità devono il loro potere ad una sorta di contratto sociale tra pari fondato sul mutuo rispetto, perciò sono norme a tutti gli effetti. L’interpretazione di Piaget non è del tutto corretta esperimento pupazzo Tomasello smonta la teoria di Piaget: i bambini non solo rispettano le norme sociali in prima persona ma si impegnano anche per farle rispettare agli altri. Bambino di 3 anni a cui veniva mostrato il funzionamento del gioco. Successivamente un pupazzo inizia a giocare ma in modo diverso: il bambino protesta (dichiarazione di tenore generico e normativo – disapprovazione perché il pupazzo gioca in modo improprio). Questo esperimento evidenzia due fatti:  norme di natura costitutiva come portatrici di forza sociale -> le norme su come si fa un gioco non appaiono semplicemente come linee guida strumentali sull’efficacia della loro azione ma sono norme costitutive;  dando una dimostrazione pratica su come funziona un gioco, i bb capiscono come il gioco deve essere svolto, senza necessaria mente dover osservare un adulto commettere un errore ed autocorreggersi. 3. Intenzionalità del “noi” Tomasello sostiene che autorità e reciprocità non bastano per spiegare perché i bb fanno rispettare le norme. Egli crede che, alla base del comportamento che spinge i bb a far rispettare le norme sociali c’è la promozione del rispetto come atto di altruismo . Perfino i bb più piccoli conoscono l’intenzionalità condivisa: sentono di far parte di una dimensione internazionale, cosiddetta intenzionalità del “noi” i bb in veste di terzi, si impegnano a far rispettare agli altri alcune norme sociali, in particolar modo quello non fondate sulla cooperazione ma su regole costitutive che sono arbitrarie. I bb, inoltre, non possono rispondere ad un principio di reciprocità se il gioco di cui si sono apprese le regole prevede un’attività in solitaria. Il rispetto infantile per le norme sociali, dunque, non dipende solo dal fatto di essere soggetti all’autorità e alla reciprocità. Nagel parlerà di attitudine al “lui è come me” ovvero una propensione a identificarsi con gli altri e una concezione del sé come uno tra tanti. Questo emerge con chiarezza nelle attività cooperative basate sull’intenzionalità condivisa: l’obiettivo comune crea interdipendenza, crea un “noi”. Nelle attività cooperative condivise la mia razionalità individuale – io voglio fare x e quindi dovrei fare y – si trasforma in una razionalità sociale di interdipendenza – noi vogliamo fare x e quindi io dovrei fare y e tu x. 9 Comprensione delle norme sociali Per i bb è importante la conformità al gruppo anche al di fuori di attività cooperative. Inizialmente identificano questo senso del noi con soggetti rilevanti (“l’altro significativo” Mead), poi lo generalizzano in norme culturali impersonali fondate sull’identificazione con qualche genere di gruppo culturale (“l’altro generalizzato”). In questo modo i bb diventano sempre più consapevoli della (a) natura arbitraria delle norme basate sul consenso e (b) dell’indipendenza delle norme da qualsiasi individuo specifico (il loro status di agente-neutrale) (d) l’universalità delle norme sociali, ed il loro ruolo chiave nell’evoluzione umana, è evidente-> gli esseri umani hanno sviluppato emozioni specifiche in virtù di determinate norme sociali (su cosa una persona può o non può fare) soprattutto negli ambiti biologici rilevanti quali cibo e sesso. Da qui le emozioni specifiche quali il senso di colpa e la vergogna. Queste due presuppongono una norma sociale o almeno il giudizio sociale, che le persone interiorizzano e utilizzano per giudicare sé stesse (quindi sono una forma di autopunizione che serve a rendere meno probabile che in futuro indulga nella stessa trasgressione e a dimostrare agli altri che in realtà, anche se non è stata rispettata in quel caso, si condivide la norma). Si è rivelato inutile il cercare di promuovere norme sociali tramite rinforzi: i bb non interiorizzano le norme sociali per uniformarsene. Per favorire l’interiorizzazione delle norme e dei valori societari, è invece molto efficace comunicare ai bb gli effetti delle loro azioni sugli altri e la razionalità dell’azione sociale cooperativa (stile genitoriale induttivo). 10 Conclusione Lo sviluppo delle tendenze altruistiche nei bb piccoli, perciò, è evidentemente modellato dalla socializzazione 1. I bb arrivano a questo processo con una predisposizione all’aiuto ed alla cooperazione 2. Ma poi imparano ad essere selettivi nel decidere a che prestare aiuto, fornire info o coinvolgere nella condivisione. 3. Imparano anche a gestire le impressioni che possono suscitare negli altri la reputazione e il Sé pubblico , come modo di influenzare le azioni di quei soggetti altri nei loro confronti 4. Inoltre, imparano le norme sociali che caratterizzano il monto culturale in cui vivono e si impegnano a identificarle e a rispettarle 5. Cominciano addirittura a contribuire al processo di rafforzamento ricordando agli altri quelle norme (dicono agli altri “come si fa”) e punendo sé stessi attraverso il senso di colpa e la vergogna se non le rispettano Tutto ciò suffraga non solo la tesi di una sensibilità umana ai vari generi di pressione sociale ma anche di una sorta di identità di gruppo e di razionalità sociale insite in tutte le attività che presuppongono un’intenzionalità condivisa o un “del noi”. 11 l’imboscato “chiude” la preda, impedendole la fuga. Da qui sembrerebbe che vi siano ruoli complementari e fine congiunto. Tomasello, però, cambiando le scelte lessicali mette in dubbio questa affermazione: la caccia ha inizio quando uno scimpanzé maschio inizia ad inseguire il colobo tra i rami degli alberi, consapevole che i suoi compagni di gruppo sono nei paraggi. Gli altri scimpanzé vanno ad occupare la collocazione spaziale più favorevole, ancora disponibile in quel determinato momento. Il secondo scimpanzé blocca il colobo, il terzo sorveglia un’altra via di fuga, altri rimangono a terra nel caso in cui la scimmia si lasciasse cadere giù. Questa prospettiva evidenzia che le scimmie si impegnano in attività di gruppo in termini di I- mode (“modalità io”) e non, come gli umani, in “modalità noi” – We-mode. (1)FINE CONGIUNTO 1.1 Esperimento: FINE CONGIUNTO? I bb di età compresa tra i 14 e i 24 mesi; 3 giovani scimpanzé allevati in cattività. 4 diverse attività collaborative: due prove strumentali (obiettivo concreto) e due giochi sociali (senza obiettivo – finalità: gioco in sé). Il compagno umano adulto smetteva di partecipare alle prove (valutare se i soggetti avessero compreso l’impegno dell’adulto nell’attività condivisa). Gli scimpanzé non manifestavano interesse nei confronti dei giochi sociali ma si sono sincronizzati con l’adulto umano nelle prove del problem solving. Quando l’umano smetteva di partecipare, nessuno scimpanzé cercava qualche atto comunicativo per tornare a coinvolgerlo (no fine congiunto). I bb collaboravano in tutte le attività, a volte trasformando le prove strumentali in giochi sociali (mettevano a posto la ricompensa per ricominciare a giocare). Quando l’adulto smetteva di partecipare, i bb lo incoraggiavano a riprendere il suo posto (fine condiviso). 1.2 Esperimento: FINE CONGIUNTO RAGGIUNTO SOLO SE ENTRAMBI NE TRAGGONO BENEFICIO? Coppia di bb di 3 anni dovevano sollevare e trasportare un’asta pesante lungo una specie di scala. 1.3 Esperimento: FINE CONGIUNTO E IMPEGNO NELL’ATTIVITÀ. Bb e adulti iniziavano un’attività collaborativa in una condizione con accordo esplicito di impegno congiunto (A: “Facciamo questo gioco, ok?” B: assenso); in un’altra – controllo – l’adulto si aggiungeva successivamente di sua iniziativa. In entrambe le condizioni, l’adulto smetteva improvvisamente di giocare. I bb di 3 anni (ma non quelli di 2) si comportavano in modo diverso a seconda che si fossero presi o meno un reciproco impegno formale con l’adulto. Se quest’ultimo si era impegnato i bb insistevano di più affinché riprendesse l’attività. In una variante: i bb venivano allettati dall’adulto con una attività più divertente per cui si 14 All’estremità dell’asta erano state fissate due ciotole-premio che poteva essere riscosso nelle vicinanze. Ad uno dei due bb, però, veniva data la possibilità di prendere il premio prima dell’altro grazie ad un’apertura sul plexiglass. O tornavano ad impegnarsi nell’attività per aiutare il compagno ad ottenere il suo premio oppure prima di incassare il premio aiutavano il compagno. Sentivano di avere un FINE CONGIUNTO allontanavano ma quelli che si erano esplicitamente impegnati nell’attività con l’adulto si congedavano (dicendogli qualcosa, porgendogli il giocattolo o guardandolo in faccia prima di allontanarsi. (2)COORDINAZIONE DEI RUOLI Oltre a un fine congiunto, una vera attività collaborativa prevede una qualche forma di suddivisione del lavoro e che ciascun partener comprenda il ruolo dell’altro 2.1 INVERSIONE DEI RUOLI = Ruoli di agente neutrale esperimento COMPRENSIONE DEL RUOLO DELL’ALTRO? Bb (circa 18 mesi) che si dedicavano ad un’attività di collaborazione con un ricercatore. Nella fase successiva invertivano i ruoli, così i bb erano costretti a giocare un ruolo che non avevano mai sperimentato. Questi si adattavano prontamente al ruolo, lasciando intendere che durante la precedente attività, ne avevano compreso la prospettiva e il ruolo. Stessa ricerca con 3 giovani scimpanzé allevati in cattività: fallita. I bb assumono per l’attività congiunta un punto di vista “a volo d’uccello” (fine congiunto e ruoli complementari entrambi rientravano in un format rappresentazionale). Gli scimpanzé assumono una prospettiva in prima persona per interpretare la propria azione e in terza per quella del partner: non avevano una visione generale né dell’interscambiabilità dei ruoli. Le attività collaborative umane vengono svolte attraverso ruoli generalizzati potenzialmente attribuibili a chiunque: ruoli di agente neutrale. Ulteriori caratteristiche delle attività collaborative: (3)ATTENZIONE CONGIUNTA Nel momento in cui gli individui coordinano le loro azioni con quelle di un altro nell’ambito di un’attività collaborativi, coordinano anche la loro attenzione, è l’attività di attenzione congiunta. Mentre giocano i bb monitorano l’adulto e la sua attenzione, e lo stesso fa l’adulto con il piccolo in un loop attenzionale che è reso possibile dalla presenza di un fine congiunto. Infatti, se entrambi sappiamo il fine congiunto di costruire questo strumento sarà abbastanza facile per entrambi capire dove si focalizzerà l’attenzione dell’altro perché il locus della ns/ attenzione è il medesimo. Modalità bottom-up  un tipo di attenzione congiunta che prende le mosse da un evento che cattura l’attenzione (es.: rumore forte che attira l’attenzione di entrambi). Dal basso VS l’alto: da un evento si sale (si passa) all’attenzione congiunta. Crescendo, i bb possono entrare nella modalità di attenzione congiunta anche in assenza di un fine congiunto. 15 Modalità top-down  l’attenzione congiunta insorge solo quando esiste un fine congiunto, poiché sono i fini degli attori a determinare l’attenzione. Dall’altro VS il basso ovvero da un fine congiunto si scende (si crea) l’attenzione congiunta Nelle attività collaborative i partecipanti non solo prestano congiuntamente attenzione a elementi rilevanti per l’obiettivo comune ma hanno anche una propria prospettiva personale 3.1 Prospettiva personale Nelle attività collaborative i partecipanti non solo prestano congiuntamente attenzione a elementi rilevanti per l’obiettivo comune ma hanno anche una propria prospettiva personale Struttura attenzionale è su due livelli (focus attenzionale condiviso e diversificazione in prospettive personali) ed è perfettamente parallela alla struttura intenzionale, anch’essa su due livelli (fine condiviso e ruoli individuali) Struttura attenzionale Focus attenzionale condiviso Diversificazione in prospettive Struttura intenzionale Fine condiviso Ruoli individuali Nella comunicazione umana la prospettiva insita nella attenzione congiunta gioca un ruolo chiave Esperimento: bb di 1 anno. Un adulto entrava in una stanza, guardava un giocattolo particolarmente complesso ed esclamava “Oh, ma che bello! Guardate lì!”. I bb che non avevano mai avuto contatti con l’adulto inferivano che la sua reazione dipendesse dal bellissimo giocattolo che vedeva per la prima volta; i bb che avevano avuto occasione di giocare con quell’oggetto insieme a lui supponevano che l’adulto non potesse riferirsi all’oggetto in sé (giocattolo già noto, appartenente al loro terreno comune). 3.2 Esperimento: ATTENZIONE CONGIUNTA NELLE SCIMMIE: le grandi scimmie non conoscono l’attenzione congiunta Molti dati indicano che uno scimpanzé sa che il suo compagno di gruppo vede la 16 protestando si trovava il modo di giungere ad una equa distribuzione. Si presuppone che i bb trovino un modo per dividere le ricompense è per fa si che durante le prove si mantenga un buon livello di collaborazione Ipotesi per cui gli esseri umani diventano più tolleranti Esistono numerose ipotesi evolutive circa il contesto in cui gli esseri umani diventarono più socialmente tolleranti e meno competitivi riguardo al cibo. a) Nell’ambito del procacciamento del cibo: quando la collaborazione diventò obbligatoria, chi era già più tollerante e meno competitivo si trovò ad avere un vantaggio adattivo. b) Dal momento che le società di cacciatori-raccoglitori erano in linea di massima egualitarie, e allontanavano o uccidevano i prepotenti, gli esseri umani andarono incontro ad una sorta di auto- domesticazione per cui gli individui aggressivi vennero eliminati dal gruppo. c) Cooperative breeding (cure genitoriali cooperative). In tutte le specie di grandi scimmie è la mamma che provvede completamente alla cura dei figli. Tra esseri umani, invece, la cura della mamma è suddivisa al 50% con quella di altri aiutanti che adottano comportamenti prosociali probabilmente in virtù delle modalità in cui gli umani dovevano procurarsi il cibo ed anche per le relazioni monogame tra maschi e femmine (in pratica qualcuno doveva pensare ai bb mentre si andava a procurarsi il cibo) Quando si è impegnati in un’attività reciprocamente vantaggiosa, quando io ti offro il mio aiuto dandoti informazioni o sostegno concreto sto di fatto aiutando anche me: il tuo successo nel tuo ruolo è fondamentale per il nostro successo complessivo.  Le attività mutualistiche offrono un ambiente protetto per l’evoluzione delle motivazioni altruistiche.  Un ulteriore passaggio e dato dall’evolversi di condizioni che permettono all’individuo di estendere la loro propensione all’aiuto anche al di fuori di questo ambiente protetto e questo grazie alla reciprocità e reputazione ma anche punizione e norme sociali). Norme e istituzioni Per passare dal procacciamento del cibo al fare la spesa servono alcuni mutamenti a livello di gruppo ovvero ci servono norme e istituzioni sociali Norme sociali ->aspettative reciprocamente riconosciute e concordate socialmente, dotate di forza sociale, controllate e fatte rispettare da terzi. Tomasello ritiene che le grandi scimmie non abbiano norme sociali. Due comportamenti affini alle norme nelle scimmie: 1. Esperimento dell’asticella - esclusione. In un’altra versione era previsto che gli scimpanzé scegliessero il partner con cui affrontare la prova. I ricercatori avevano precedentemente svolto dei test per cui sapevano chi era un collaboratore valido e chi fosse scadente. Gli scimpanzé sceglievano il partner maggiormente propenso a collaborare (massimizzare il guadagno, no punizione). Questa scelta scoraggia i collaboratori scadenti che finiscono per essere esclusi da opportunità vantaggiose (potrebbe essere un’antenata della punizione). 2. Esperimento del ladro - rivalsa. Se uno scimpanzé ruba del cibo a un altro, la vittima reagirà 19 impedendo al ladro di tenersi e mangiarsi il cibo. Se il furto è ai danni di qualcun altro, non ostacolano il ladro in nessun modo. In entrambi i casi (esclusione e rivalsa) non hanno niente a che vedere con l’applicazione di qualche norma sociale, o almeno non nel senso di un agente neutrale nella posizione di un soggetto terzo. Gli umani invece operano sulla base di due tipologie di norme sociali: 1. Norme di cooperazione (compreso le norme sociali) 2. Norme di conformità (comprese le regole costitutive) Norme di cooperazione provengono da situazioni in cui gli individui s’imbattono in qualche modo l’uno nell’altro. Emergono una serie di aspettative reciproche e forse gli individui tentano di indurre gli altri a comportarsi diversamente, oppure concordano su un piano egualitario di comportarsi in certi modi, con il risultato di raggiungere una sorta di equilibrio. Nella misura in cui tale equilibrio è governato da aspettative di comportamento reciprocamente riconosciute, e che tutti gli individui concorrono a far rispettare, si può iniziare a parlare di norme o regole sociali. Le attività cooperative a cui si dedicano i bb piccoli rappresentano la culla della varietà cooperativa, contengono i semi di due degli ingredienti chiave: a. le norme sociali hanno forza Questa forza dipende sia dalla minaccia di punizione che dalla dimensione razionale: interdipendenza individuale per cui da normatività individuale dell’agire razionale – per arrivare al mio obiettivo dovrei fare x – a normatività dell’azione razionale congiunta – per arrivare al nostro obiettivo io dovrei fare x e tu dovresti fare y; di conseguenza, se tu non fai y falliremo e me la prenderò con te e se io non faccio x falliremo lo stesso, proverò simpatia nei tuoi confronti e mi arrabbierò con me stesso. La forza delle norme cooperative deriva dalla nostra interdipendenza reciprocamente riconosciuta e dalle nostre reazioni spontanee al fallimento – nostro e altrui. b. le norme sociali sono creano giudizi normativi generalizzati disapprovazione sociale I giudizi normativi richiedono un qualche standard generalizzato in base al quale vengono valutate le attività specifiche del singolo. Le pratiche sociali (che nascono dalla reiterazione di un’attività) in cui noi agiamo insieme in modo interdipendente e con ruoli interscambiabili in vista di un fine congiunto generano, nel corso del tempo, mutue aspettative che conducono a giudizi normativi impersonali e generalizzati (raccogliere il miele delle api: 3 ruoli interscambiabili; chi occupa quel ruolo deve rispettare lo standard, in modo tale da ottenere il successo collettivo). Nascita di una pratica sociale e dimensione normativa: un bb di 18 mesi osserva l’adulto che ripone un plico di riviste nell’armadietto; l’adulto ha qualche problema ad aprire le ante perché ha le mani piene di riviste, il b lo aiuta; il b ha capito come funziona la situazione e, quindi, anticipa tutto aprendo in anticipo l’armadietto e facendo da apripista nell’attività collaborativa (a volte indica all’adulto dove vanno messe le riviste con il pointing). Sulla base di un’unica esperienza nel contesto di un’attività collaborativa, i bb inferiscono subito che le cose vanno fatte così, che è così che “noi” le facciamo. 20 Norme di conformità o convenzionalità Oltre alle norme di cooperazione, il comportamento umano è guidato da leggi di conformità o convenzionalità. Ad un certo punto della storia evolutiva vi fu l’urgenza di comportarsi tutti nello stesso modo. La motivazione principale che è essere come gli altri vuol dire venire accettati dal gruppo e quindi far parte di quel “noi” che lo costituisce e che entra in competizione con altri gruppi. Se vogliamo funzionare come gruppo, dobbiamo fare le cose in modi che in passato si sono dimostrati efficaci e dobbiamo distinguerci da altri che non conoscono questi modi: l’imitazione e la conformità possono creare un alto grado di omogeneità intra-gruppo e di eterogeneità inter-gruppo. In virtù di ciò divenne possibile un nuovo processo di selezione culturale di gruppo (gruppi sociali umani si differenziarono più di tutti). Sia le norme di cooperazione sia quelle di conformità sono cementate dal senso di colpa e dalla vergogna che presuppongono una qualche forma di norma sociale, o almeno di giudizio sociale. Boyd ha sostenuto che la punizione e le norme trasformano i problemi di competizione in problemi di coordinazione: un attore individuale pensa a come potrebbe ottenere del cibo ma se vuole evitare la punizione deve coordinarsi con le aspettative e i desideri del gruppo, e quindi condividere il cibo con gli altri. Le norme forniscono quello scenario di fiducia in cui ruoli di agenti neutrali e attività cooperative condivise con fini congiunti e attenzione congiunta rendono possibili le istituzioni sociali. Ma le realtà create convenzionalmente hanno bisogno di un altro ingrediente: immaginazione e comunicazione simbolica. Origine della comunicazione simbolica: dipesa da modi cooperativi di svolgere determinati compiti e ha avuto inizio con il ricorso al pointing nel contesto di attività di attenzione congiunta. Successivamente, nacquero i gesti iconici (mimare in una specie di messa in scena). Gioco del “fare finta di” nei bb “far finta di” è un assaggio della comunicazione simbolica ed ha origini sociali. I bb prendono un impegno reciproco a trattare un oggetto/persona come se fosse un’altra cosa, es prendono il reciproco impegno a trattare questo bastone come se fosse un cavallo: hanno creato una funzione di status5; questa ha una grande forza normativa anche tra i bb piccoli. Esperimento: si stabiliva che un oggetto era un pezzo di pane da mangiare e un altro una saponetta per lavarsi. Quando un pupazzo confondeva gli status assegnati, tentando di addentare il sapone, i bb si opponevano. L’accordo congiunto tra i bb rappresenta un primo passo verso la realtà istituzionale in cui si conferisce status deontico a oggetti e comportamenti attraverso una qualche forma di accordo e pratica collettivi. Tali funzioni di status, create socialmente sul piano dell’immaginazione sono l’elemento precursore dell’accordo collettivo in base al quale questo pezzo di carta è denaro o quella persona è il presidente, con tutti i diritti e doveri che questi accordi comportano. 5 Funzione di status: tutti quanti condividono la dimensione simbolica – che diventa il frutto di un accordo tra persone 21 Parte seconda - Discussione Joan B. Silk In un epoca in cui abbiamo fin troppe dimostrazioni di quanto male gli esseri umani si possano fare a vicenda -o al pianeta-, suona un po' ironico che gli incredibili processi compiuti dalle scienze umane abbiano evidenziato con tanta chiarezza la nostra capacità di cooperare, il nostro interesse per il bene altrui e le nostre preferenze sociali altruistiche. È davvero entusiasmante vedere le scienze umane convergere sul grande quesito di come gli uomini si siano potuti evolvere in una specie così altruistica. Tomasello evidenzia alcune differenze osservabili tra grandi scimmie e umani che potrebbero influire sulle loro capacità di cooperare: 1. non conoscono l’attenzione congiunta; 2. basso livello di fiducia e tolleranza; 3. minor propensione a partecipare ad attività che prevedano benefici di gruppo. Silk aggiunge che gli umani: 4. sanno gestire la cooperazione in gruppi con preferenze non allineate; 5. dimostrano maggior interesse al benessere sociale altrui (preferenze sociali altruistiche). Quando gli interessi del singolo e quelli del gruppo sono perfettamente allineati, la collaborazione garantisce risultati notevolmente superiori a quelli che i singoli potrebbero ottenere agendo da soli (come nella caccia al cervo in cui la ricompensa è sufficiente a soddisfare tutti e quindi non c’è rischio di contezioso). Spesso, però, le circostanze che si incontrano in natura non hanno contorni così netti. Il rischio dell'inganno è sempre in agguato ogni volta che gli interessi delle due parti non sono perfettamente allineati, cosa che capita piuttosto spesso. Sappiamo che la cooperazione nei primati non umani è potenzialmente soggetta a conflitti di interesse. Nelle relazioni collaborative, la sfida adattativa è affrontare l'imperfetto allineamento degli interessi dei partecipanti. Perfino nel miglior scenario possibile per il mutualismo, gli individui sono motivati dai benefici che otterranno personalmente, non dal loro interesse per il benessere altrui. Si tratta dunque di un gioco di coordinazione in cui la migliore strategia per me dipende dalla strategia del mio partner (e viceversa). Il mutualismo si mantiene stabile solo quando rappresenta l'opzione migliore per il singolo, e gli interessi di quest'ultimo sono ragionevolmente allineati con quelli del gruppo. Una comunicazione onesta, la fiducia reciproca e la tolleranza possono essere estremamente utili per orchestrare le interazioni mutualistiche, ma è probabile che onestà, fiducia e tolleranza finiscano per sbriciolarsi se i nostri interessi non sono perfettamente allineati. Il mutualismo non genera interesse per gli altri, anzi: genera tattiche manipolatorie. Le interazioni reiterate sono un modo per creare fiducia e tolleranza. La teoria della reciprocità contingente si basa sull'intenzione che la cooperazione reciproca tra partener può rilevarsi vantaggiosa per entrambi ed essere anche una strategia stabile finché entrambi continueranno a cooperare. Il difetto di questo meccanismo è che funziona solo in gruppi ridottissimi 24  Perché gli umani sono capaci di cooperare e collaborate? E perché i comitati6 funzionano così bene? Credo che la risposta stia nel fatto che abbiamo preferenze sociali altruistiche che ci inducono a dare valore ai benefici per il gruppo. Ciò ci permette di allineare i nostri interessi con quelli del gruppo e di contribuire ad attività che abbiano esiti vantaggiosi per il gruppo in quanto tale. Questo non significa che diventiamo totalmente indifferenti alle nostre preferenze o a nostro benessere personale, ma che attribuiamo un valore positivo a risultati che siano di beneficio per altri. Abraham Lincoln disse: “fare del bene mi fa stare bene”, e recenti indagini di neurobiologia hanno confermato che noi umani troviamo gli atti filantropici di per sé gratificanti. È l'assenza di questo genere di preferenze sociali nella maggior parte degli altri animali a rendere così difficile lo sviluppo del mutualismo tra conspecifici. Nell'interpretazione di Tomasello, le preferenze sociali altruistiche hanno origine dai vantaggi della cooperazione mutualistica, ma è possibile che l'ordine dei fattori sia un altro. Silk -> cooperative breeding, selezione culturale di gruppo, reciprocità ecc.… una volta che queste preferenze sociali altruistiche si sono evolute hanno aperto la strada ai tratti della cognizione e della socialità umanità. Carol S. Dweck Dweck pensa che l’altruismo non sia innato ma sia frutto dell’apprendimento. Nel primo capitolo Tomasello sostiene che già a partire dal primo anno di vita i bb siano naturalmente portati all'aiuto, alla condivisione di informazioni e alla generosità in generale, e che tali propensioni non siano il prodotto di ricompense esterne, addestramento o acculturazione. L'influenza degli adulti, dunque, non è responsabile della predisposizione infantile all'aiuto: essa emerge spontaneamente. Tuttavia, in una fase dello sviluppo successiva, incentivi e ricompense culturali potrebbero promuovere l'altruismo e dare forma alle sue manifestazioni. Tomasello con un tocco di eleganza, ha chiamato questa sua interpretazione “ ipotesi Spelke prima, Dweck poi”. Dweck invece sostiene che il bb da quando nasce si trova in situazioni in cui vive l’altro come colui che aiuta, egli è da subito in relazione d’aiuto in cui impara ad aiutare l’altro. A dimostrazione di ciò, la studiosa esplica degli esperimenti sulle differenze dei comportamenti dei bb a seconda che i genitori siano più o meno accudenti. Tesi della Dweck: genitori che accudiscono poco hanno bb pochi altruistici; viceversa, genitori che accudiscono molto hanno bb molto altruistici. Questa è la prova che i bb devono imparare l’altruismo. Tomasello sostiene in realtà che l’altruismo è un’istanza innata ma che poi deve essere sviluppata (ipotesi Spelke prima, Dweck poi). 1. Esperimento: divisione di bb sicuri/insicuri nell’attaccamento. Si fa vedere ai bb un filmato: su una scalinata, una mamma abbandona un b piangente. I bb sicuri erano molto sorpresi di vedere il filmato (lo guardano più a lungo); i bb insicuri erano molto meno sorpresi (lo guardano meno a lungo). 2. Esperimento: bb abusati che se vedevano un bb in difficoltà non si mostravano interessati; i bb sicuri 6 Sono la versione adulta dei lavori di gruppo a scuola 25 empatizzavano. I bb abusati hanno l’idea che se sei nei guai devi cavartela da solo. Categoria buono/cattivo già molto discriminante nei bb piccoli: già sono portati a sostenere che se sei buono, sei propenso all’aiuto. 26 Elizabeth S Spelke Michael Tomasello si propone si spiegare le doti cognitive assolutamente uniche della nostra specie. Il suo lavoro prende le mosse da due osservazioni generali. Prima di tutto gli essere umani sono dei primati. Le capacità di base che ci consentono la percezione, l'azione, l'apprendimento, la memoria e le emozioni presentano profonde somiglianze con quelle di altre grandi scimmie. Gli scienziati possono fare importanti scoperte sulla nostra specie attraverso lo studio di altri animali. In secondo luogo, utilizziamo il nostro cervello di primati per fare cose piuttosto bizzarre: gli esseri umani si dedicano ad attività assolutamente estranee ad ogni altro animale. Cosa spinge gli umani sui sentieri che conducono a risultati così stupefacenti? Per affrontare la questione, Tomasello ed altri hanno adottato un triplice approccio comparativo allo studio della cognizione umana.  Innanzitutto, lui e altri esperti di cognizione animale, confrontano le capacità cognitive di diverse specie individuando abilità e propensioni che ricorrono in tutti gli animali ed altre che si manifestano solo nei primati, nelle grandi scimmie o negli umani.  In secondo luogo, lui ed altri studiosi dello sviluppo, confrontano le capacità cognitive di bambini di età diverse per scoprire quali capacità emergono in una fase più precoce dello sviluppo e a quali traguardi porteranno in seguito.  In terzo luogo, lui ed altri linguisti e antropologi, confrontano le doti cognitive di bambini e adulti in culture diverse per distinguere le abilità e le propensioni che ricorrono in tutti gli esseri umani da quelle che dipendono dalle rispettive eredità culturali e dalle circostanze specifiche. Dunque, quali sono le differenze innate tra esseri umani e altri animali che portano a doti cognitive esclusivamente umane? Tomasello sostiene che i tratti distintivi della cognizione umane affondano le loro radici nell'evoluta, specie-specifica capacità e motivazione all'intenzionalità condivisa che porta alla nascita di diversi generi di comunicazione e all'azione congiunta. Nella sua concezione, gli esseri umani sono naturalmente spinti a cooperare tra loro e condividere informazioni, compiti ed obiettivi. Da questa capacità hanno origine tutte le nostre altre conquiste distintive, dall'utilizzo di utensili alla matematica e ai simboli. Come Tomasello, io (Spelke) cerco di scoprire le origini dell'unicità umana confrontando capacità cognitive di diverse specie, epoche e culture, ma ci concentriamo su capacità cognitive che si manifestano nei primi mesi di vita, per scoprire se sono presenti anche in altri animali e cosa ne è di loro nel corso dello sviluppo umano nella nostra e in altre culture. Credo che ci sia la prova di alcuni sistemi cognitivi negli infanti più giovani: quelli che ho definito sistemi di Core Knewledge (conoscenze di base). Tali sistemi permettono di rappresentare e ragionare su (1) oggetti materiali inanimati e loro movimenti, (2) agenti intenzionali e loro azioni finalizzate all'obiettivo, (3) luoghi nell'ambiente circostante esplorabile e loro reciproche reazioni geometriche, (4) serie di oggetti o eventi e loro relazioni numerica basata sull'ordine e l'aritmetica, (5) partner sociali che avviano interazioni reciproche con l'infante. Ciascuno di questi sistemi cognitivi emerge presto nell'infanzia (in alcuni casi è innati) e permane, essenzialmente immutato, nel corso della crescita. Questi sistemi, dunque, sono universali nella nostra specie, nonostante le molte differenze nelle pratiche e nei sistemi di credenze di soggetti appartenenti a gruppi culturali diversi. 29 La cosa più importante però, è che questi sistemi Core Knowledge sono relativamente distinti gli uni dagli altri e limitati nei loro domini di applicazione (si parla dunque di conoscenze dominio- specifiche). Il core system deputato alla rappresentazione degli oggetti può aiutare a capire meglio queste scoperte. Tuttavia, le rappresentazioni essenziali degli oggetti non sono patrimonio esclusivo degli umani. Scimmie rese in stato di semi-libertà formano le stesse rappresentazioni degli oggetti, con gli stessi limiti dominio-specifici, osservati negli infanti. Anche sei sistemi di core knowledge osservati nei bambini non sono un'esclusiva umana, lo studio di essi fornisce strumenti preziosi per quello della cognizione umana. Nel corso del secondo anno di vita, però, i bambini, e loro soltanto, cominciano a mettere insieme in modo produttivo informazioni sugli oggetti e sulle azioni. In pratica, iniziano a vedere ogni oggetto nuovo come corpo meccanico dotato di una forma particolare e come uno strumento potenzialmente utile, con una funzione specifica che può favorire un'azione finalizzata. Da cosa dipende quest'esplosione di apprendimento riguardo agli artefatti? Ricerche compiute di recente riconoscono che i concetti di artefatto abbiano due origini:  il core system della rappresentazione degli oggetti appena descritto è quello utilizzato per rappresentare (i soggetti) agenti e le loro azioni finalizzate. Già da una fase precocissima dello sviluppo, gli infanti rappresentano le azioni di altre persone o altri animali come dirette a un obiettivo, e simili -nello scopo e nella forma- alle azioni del sé. Come per quelle degli oggetti, le rappresentazioni essenziali delle azioni finalizzate sono molto simili negli infanti e nei primati non umani.  Nel loro secondo anno di vita, però, i bambini cominciano a mettere insieme in modo produttivo le informazioni sugli oggetti e sulle azioni. L'abbinamento produttivo di rappresentazioni di oggetti e rappresentazioni di azioni sembra propria soltanto della nostra specie, nonostante non lo siano i core systems dai quali dipendano tali capacità. Che cosa causa questo profilo di sviluppo di concetti di strumento nei bambini? Molte ricerche suggeriscono che dipenda in qualche modo dal fatto che i bambini apprendono parole che identificano tipologie di oggetti. Il linguaggio -sistema combinatorio per antonomasia- serve a combinare rappresentazioni di oggetti e azioni in modo rapido, flessibile e produttivo, dando origine alla nostra prolifica capacità di comprendere la natura e gli usi degli strumenti. Ora mi sono concentrata sullo sviluppo dell'utilizzo degli strumenti, ma anche altre capacità tipicamente umane sembrano conoscere uno schema di sviluppo simile. Tre tratti assolutamente distintivi della cognizione umana -utilizzo degli strumenti, numeri naturali e geometria- sembrano dipendere da una capacità combinatoria esclusivamente umana, connessa al linguaggio naturale. Se si confrontano questi dati con la ricerca presentata da Tomasello, sorge spontanea una domanda: come si relaziona la capacità naturale degli umani -e la forza combinatoria che esso comporta- alla capacità umana di intenzionalità condivisa? Tomasello non nega che il linguaggio sia uno strumento cognitivo importante, o addirittura essenziale, per gli esseri umani, tuttavia sostiene che l'acquisizione del linguaggio richieda a sua volta una spiegazione e che questa ci venga offerta proprio dalla nostra fondamentale capacità di intenzionalità condivisa. In questa interpretazione, dunque, il linguaggio naturale è il prodotto, non l'origine delle modalità con le quali soltanto noi umani cooperiamo e comunichiamo. Spelke Tuttavia, è possibile che la freccia della causalità punti nella direzione opposta. 30 Forme esclusivamente umane di intenzionalità condivisa potrebbero dipendere dalla nostra esclusivamente umana capacità di combinare in modo produttivo rappresentazioni essenziali. In questa contro-interpretazione non esistono- in alcun dominio cognitivo sostanziale- core system unicamente umane. Soltanto il linguaggio presenta un nucleo di fondamento che è soltanto umano, che serve a rappresentare ed esprimere concetti all'interno di ogni altro dominio conoscitivo specifico. La nostra socialità essenziale -il nostro interesse per le altre persone e le nostre capacità di percepirle ed interagire con loro- non è esclusiva della nostra specie. Inoltre, il core system che consente di vedere gli altri come partner sociali sembra essere sganciato da quello che ci fa percepire gli altri come agenti intenzionali. Sebbene i bambini molto piccoli (e altri animali) vedano gli altri membri della loro specie sia come agenti che operano sugli oggetti sia come partner che condividono i loro stessi stati mentali, non vi sono prove che sappiano combinare tali nozioni in modo flessibile o produttivo. È ipotizzabile che i bambini riescano a costruire il triangolo dell'intenzionalità condivisa al termine del primo anno di vita, sfruttando la forza del linguaggio naturale. Le espressioni di quest'ultimo potrebbero infatti trasformarsi nel collegamento cruciale tra agenti, partner sociali, e oggetti, perché le parole hanno due facce: (1) si riferiscono a oggetti; (2) sono un medium di scambio sociale. Forme di comunicazione e cooperazione esclusivamente umane potrebbero perciò dipendere da capacità combinatorie esclusivamente umane. 31
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