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Ambiente e sostenibilità dello sviluppo (F. Boggio, G. Dematteis, M. Memoli.), Sintesi del corso di Ricerca-Azione di Cooperazione Allo Sviluppo

Riassunto del settimo capitolo di Geografia dello sviluppo. Spazi, economie e culture tra ventesimo secolo e terzo millennio, F. Boggio, G. Dematteis, M. Memoli.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 25/11/2020

SandraUselli
SandraUselli 🇮🇹

4.3

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Scarica Ambiente e sostenibilità dello sviluppo (F. Boggio, G. Dematteis, M. Memoli.) e più Sintesi del corso in PDF di Ricerca-Azione di Cooperazione Allo Sviluppo solo su Docsity! Ambiente e sostenibilità dello sviluppo Da sempre, l’uomo ha modificato l’ambiente in cui vive per la continua ricerca di nuove risorse e la necessità di soddisfare esigenze alimentari crescenti. Da un lato, è capace di rendere produttive aree marginali e rispetto al passato è consapevole che le sue scelte influenzano l’ambiente e che l’ambiente stesso non potrebbe reggere una pressione maggiore in termini di fattore di consumo, dato dal rapporto fra consumo di risorse e produzione di rifiuti; dall’altro, è capace di distruggere elementi ambientali essenziali come acqua ed atmosfera con i suoi scarti e non riesce a governare molti dei processi che mette in moto in quanto non ne conosce i meccanismi evolutivi, portando così al degrado ambientale. Quest’ultimo è poi strettamente connesso alla conflittualità interna a molti paesi poveri. Il crollo dei redditi e delle disponibilità alimentari sono una delle cause principali di conflitto. A differenza dei paesi avanzati dove la spesa per il cibo rappresenta solo il 10-20%, nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS) può arrivare a rappresentare il 60-80%. Tra il 2006 e il 2008, l’aumento del 93% del prezzo dei cereali è stato la causa di scontri in 12 paesi di 3 continenti. Al fine di prevedere i cambiamenti climatici, sono stati studiati i modelli di calcolo GCM (General Circulation Models). Alcuni studi dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) hanno individuato 4 possibili scenari futuri, le cosiddette famiglie di scenari A1, A2, B1, e B2, prendendo in considerazione la crescita demografica, lo sviluppo economico, le risorse disponibili (fonti primarie di energia) e le tecnologie: - A1: descrive un futuro con una crescita economicamente molto rapida dove la popolazione globale raggiungerà un massimo nel 2050 per poi diminuire e dove verranno introdotte nuove ed efficienti tecnologie. Si sviluppa in 3 gruppi che descrivono direzioni alternative nei cambiamenti tecnologici del sistema energetico: A1F1 futuro con combustibili fossili, A1B1 equilibrio con combustibili fossili e altre fonti e A1T risorse non fossili. - A2: descrive un mondo molto eterogeneo dove si avrà un continuo aumento demografico e dove la crescita economica pro-capite e i cambiamenti tecnologici sono molto frammentati e lenti. - B1: è ipotizzata una crescita demografica che raggiungerà un massimo nel 2050 per poi declinare con un rapido cambio nella struttura economica verso un’economia d’informazione e servizi, con una riduzione dei materiali e l’introduzione di tecnologie per le risorse efficienti e pulite; si avrà uno sviluppo sostenibile con un uso contenuto delle risorse. - B2: la popolazione cresce continuamente, ma con un tasso minore rispetto allo scenario A2, sviluppo economico con livelli intermedi, cambiamenti tecnologici differenziati e orientati ad uno sviluppo sostenibile. I principali cambiamenti individuati dai modelli dopo l’aumento di concentrazione di gas serra nell’atmosfera sono: 1) il riscaldamento globale della bassa atmosfera e della superficie terrestre; 2) l’accelerazione del ciclo dell’acqua nell’atmosfera e nel suolo; 3) l’aumento del livello dei mari. L’aumento della temperatura del suolo è data dall’emissione di gas serra i quali contribuiscono alla produzione dell’85% dell’energia globale, in particolare l’anidride carbonica (CO2) prodotta dall’uso di combustibili fossili come petrolio, carbone e gas naturale. Il mantenimento degli attuali livelli di concentrazione di CO2 nell’atmosfera richiederebbe di limitare l’emissione dei gas serra, in che significa ridurre la produzione di energia da fonti fossili dell’80%. Tuttavia, secondo l’IEA tra il 2005 e il 2030 la domanda mondiale di energia crescerà dando luogo a un’ulteriore crescita delle emissioni di CO2 e conseguentemente porterà all’acidificazione degli oceani, all’aumento della temperatura nell’atmosfera e negli oceani, all’alterazione del ciclo dell’acqua con lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento del livello dei mari e all’aumento di eventi estremi per frequenza e intensità, come desertificazioni e alluvioni. Malgrado il loro impatto, le grandi dighe contribuiscono a contenere questo processo. Se da un lato si assiste all’aumento della desertificazione dal Mediterraneo al Sahel e dall’Africa meridionale all’Asia meridionale, dall’altro aumentano le terre coltivabili alle alte altitudini in Scandinavia, Siberia, Groenlandia e Canada. Dalla necessità condivisa di ridurre le emissioni nasce il Protocollo di Kyoto, uno strumento di politica economica internazionale in campo ambientale i cui negoziati per la sua definizione furono avviati a Berlino nel 1995 e completati a Kyoto nel 1997. La strategia ambientale si compone di due fasi: la prima, avrà termine nel 2012 e punterà alla mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso il Protocollo di Kyoto, mentre la seconda prenderà avvio in seguito coinvolgendo i paesi avanzati e in teoria i PVS. Il Protocollo è entrato in vigore il 16 febbraio 2005 e nel 2006 è stato ratificato da 164 paesi. I paesi firmatari si sono impegnati a ridurre le emissioni del 5,2% dei principali gas serra (CO2, metano, protossido d’azoto, idroflorurocarburi, perfluoruricarburi ed esafloruro di zolfo) entro il 2012; tale riduzione è ripartita in modo diverso per i paesi. I paesi coinvolti sono i paesi OCSE, i paesi a economia in transizione e i PVS. Gli impegni, la loro modalità di attuazione in ambito nazionale con azioni statali e in ambito di cooperazione internazionale con i cosiddetti “meccanismi flessibili”, e le modalità di monitoraggio e gestione di tutte le attività del Protocollo nella fase di attuazione degli impegni, sono contenuti nel Protocollo stesso. Per la seconda fase, l’UE propone di fissare un livello di stabilizzazione tale da prevenire interferenze con il sistema climatico, dal momento che dal livello delle concentrazioni atmosferiche si ritiene possibile desumere di quanto tempo occorra ridurre le emissioni antropogeniche di gas serra per rendere stabile questo livello. Dagli anni ‘90 al 2003 le emissioni di 38 dei 40 paesi OCSE più le economie di transizione dell’Europa centro-orientale sono scese del 5,9%. Il quadro attuale è tuttavia improntato alla crescita, e quindi all’aumento dei consumi, specialmente da parte dei paesi emergenti che vogliono accrescere il loro sviluppo, come Cina e India, ma anche da parte di quelli che puntano alla conservazione dei livelli di sviluppo raggiunti, come USA ed Europa. La crescita dei consumi non potrà essere impedita nemmeno da modelli estrattivi più conservativi come quelli utilizzati dalle IOC (International Oil Companies) che negli anni ’70 controllavano il 75% delle risorse e l’80% della produzione. Oggi il 66% delle risorse mondiali è controllato dalle NOC (National Oil Companies) dei paesi produttori che esprimono gli interessi di paesi non occidentali in crescita. Si prevede un aumento dei prezzi quando la domanda sarà superiore all’offerta o quando si accentuerà l’attuale scenario speculativo. Il fallimento di strategie di diversificazione dei luoghi di estrazione è stato pagato a caro prezzo in Nigeria, nel Golfo di Guinea e in Iraq.
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