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Ammaniti Manuale di psicopatologia, Sintesi del corso di Psicologia Generale

Riassunto completo del testo di Ammaniti

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

In vendita dal 26/10/2016

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Scarica Ammaniti Manuale di psicopatologia e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! Ammaniti Manuale di psicopatologi a dell’adolesce nza Introduzione Il "Manuale di psicopatologia dell'adolescenza" affronta gli aspetti evolutivi e psicopatologici di questa fase della vita, una fase di cambiamenti fisici e psicologici. Il volume è rivolto agli operatori dei servizi, agli studenti e agli studiosi del settore, e fornisce un quadro estremamente aggiornato delle tecniche di valutazione, dei sistemi diagnostici più utilizzati, dei quadri clinici di più frequente riscontro all'interno di una cornice teorico-critica che vuole salvaguardare la complessità delle interazioni tra sfera biologica, psicologica e sociale. 1)Valutazione e diagnosi; Diagnosi e valutazione clinica in adolescenza (Massimo Ammaniti, Giulio Sergi) L’importanza della diagnosi corretta è da collegare con la possibilità, in base ad una buona diagnosi di un buon trattamento ed ipotesi sulla prognosi abbastanza consistenti. Valutare l’adolescenza è difficile per via delle oscillazioni del funzionamento psichico: alcuni altri hanno proposto una valutazione in base ai compiti evolutivi. Nella prima fase 12-14 anni il ragazzo deve affrontare i cambiamenti del proprio corpo e si concentra su di sé, nella seconda fase 14-16 si separa dai genitori e cerca altri oggetti all’esterno, della terza fase 16-19 si costruisce la propria identità. Per quanto riguarda la valutazione degli adolescenti è fondamentale considerare lo spazio psichico allargato, cioè l’ambito relazionale allargato dell’adolescente. Il modello della psicopatologia medica sostiene che le malattie mentali sono diretta espressione di un’alterazione anatomo-funzionale del SNC, che il rapporto tra alterazione e malattia è monastico (ad una data alterazione in una data area del SNC corrisponde una data malattia). La relazione tra lesione e malattia e lineare anche se vi sono concomitanti fattori psicologici e sociali. Il modello medico ha: eziologia, quadro clinico, diagnosi, decorso, prognosi e diagnosi differenziale. Non è applicabile alla psicopatologia perché in questa non si conoscono le cause e sono meglio i concetti della developmental psychopatology di equifinalità e multifinalità. I principali sistemi diagnostici sono: il DSM, che è un sistema ateorico descrittivo e categoriale composto da 5 assi: 1) disturbi e sindromi cliniche, 2)DP e ritardo mentale, 3)condizioni mediche generali, 4)problemi psicosociali, 5)valutazione del funzionamento. Il disturbo si definisce in base alla co-occorrenza di segni e sintomi che si presentano insieme frequentemente tanto da far supporre una stessa base patogenetica e un decorso e una reazione al trattamento comuni. Il Disturbo di Personalità viene descritto come un pattern stabile e duraturo di esperienza interna e comportamento che si discosta dalla cultura di riferimento e che si esprime in almeno 2 tra le seguenti aree: controllo degli impulsi, esperienza cognitiva, affettiva e funzionamento interpersonale. La diagnosi è una diagnosi classificatoria fatta in base ad un criterio soglia. Promuove l’utilizzo di diagnosi di comorbilità, a differenza dell’ICD che propone delle linee guida per i clinici. A proposito della comorbilità vi sono molte proposte: la comorbilità può essere intesa in senso stretto (due sindromi si presentano nello stesso istante) o in senso esteso (due sindromi si presentano nello stesso delimitato periodo di tempo) e si fanno varie o nei casi più gravi compromesso ma mai perduto. Le difese utilizzate sono scissione, identificazione proiettiva, idealizzazione, svalutazione, diniego. Organizzazione psicotica. L’esame di realtà è perduto, L’Io non è integrato (no differenziazione tra Sé e oggetto) e le difese sono le stesse dell’organizzazione borderline, solo che pervasive e più intense. Kernberg sottolinea che nella diagnosi in adolescenza ci sono alcuni problemi: la crisi di identità può essere scambiata per la diffusione di identità, e l’angoscia e la depressione presenti in adolescenza possono risultare simili al ritiro nell’organizzazione borderline. L’adolescente tende ad effettuare molteplici identificazioni e questo può far pensare ad una diffusione dell’identità, i comportamenti antisociali possono essere un adattamento ad un gruppo antisociale piuttosto che manifestazioni borderline e infine si può creare confusione tra organizzazione borderline e forme psicotiche ad esordio adolescenziale. -Coniugi Laufer: sostengono che il compito fondamentale dell’adolescente sia quello di accettare i cambiamenti che avvengono nel suo corpo ed integrarli nella propria identità (anche di genere). Questi cambiamenti però possono essere percepiti come minacciosi dal ragazzo e questo può portare ad un breakdown evolutivo: più precoce è questo breakdown peggio sarà, perché un breakdown in tarda adolescenza vuol dire che l’identità è stata in un certo grado integrata. Per valutare se è avvenuto un breakdown bisogna indagare l’area delle relazioni oggettuali, la valutazione degli oggetti edipici, le identificazioni maschile-femminile, il rapporto con la realtà esterna. Ci sono 3 categoria di gravità: 1) il funzionamento difensivo (può interessare un’area della vita o essere globale, bisogna cercare indicatori per vedere se il processo di integrazione può essere ripreso; 2) situazione di stallo (crisi acuta dell’adolescente che non riesce a contenere l’angoscia. La possibilità di progressione è bloccata, l’adolescente utilizza meccanismi di difesa arcaici con gravi deformazioni dell’immagine corporea, anche episodi psicotici temporanei; 3) conclusione prematura (il processo di integrazione si è concluso integrando un’immagine corporea alterata per evitare l’angoscia) -Jammet: considera la dialettica tra bisogno degli oggetti esterni ed equilibrio narcisistico. Quando l’assetto narcisistico (derivante dagli oggetti internalizzati) è fragile il bisogno degli oggetti esterni diviene una minaccia. I conflitti e le emozioni non riescono ad essere rappresentati nello spazio psichico interno e quindi c’è una tendenza agli agiti: l’adolescente coinvolge l’ambiente familiare, e può cedere ad una persona esterna alcune funzioni del suo apparato psichico. Quando le persone del mondo dell’adolescente diventano portatori di aspetti di lui si parla di spazio psichico allargato. Se questa persona, per esempio un fratello, tradisce il rapporto con l’adolescente questo può vivere l’evento come un’amputazione psichica. -Wilson e la sua “valutazione clinica sistematizzata”: per lui il compito fondamentale dell’adolescente è l’integrazione dell’identità, che il ragazzo raggiunge fluttuando liberamente tra alcune dimensioni antitetiche (dipendenza/onnipotenza, onnipotenza/ impotenza, passività/aggressività, altruismo/narcisismo, femminilità/virilità). L’adolescente psichiatricamente menomato si riconosce nel suo livello di polarizzazione nelle varie aree, che può essere un freno al processo evolutivo. 3 diagnosi: la diagnosi primaria può essere applicata a tutti gli adolescenti oggetto di valutazione, quella secondaria con adolescenti che hanno problemi psicodinamici o distorsioni struttuali a livello di Io, ideale dell’Io e Super-Io, e quella terziaria. La diagnosi primaria è definita “crisi adolescenziale” e si articola in 5 classi in ordine di gravità crescente:1)turbe normalmente presenti in adolescenza; 2)crisi e sintomi legati ai compiti di sviluppo, ma non ci sono stati problemi nelle fasi precedenti; 3)difficoltà pre-adolescenziali con distorsioni strutturali, ma non patologie nelle età precedenti; 4) anche patologie nelle età precedenti; 5)uguali a quelli della quarta classe ma, a differenza di questi, non manifestano preoccupazioni tipiche dell’età adolescenziale -Meltzer parla dello sviluppo dell’adolescente come di un movimento tra 4 comunità: quella dei bambini, quella degli adolescenti, quella degli adulti e quella dell’adolescente isolato. Il concetto fondamentale è quello della conoscenza: la chiave dell’onnipotenza dei genitori immaginata dal bambino è nella conoscenza di come si fanno i bambini. Quando questa fantasia crolla l’adolescente attraversa un momento di confusione, in cui può immaginare di essersi generato da solo oppure di essere figlio di genitori che non sono presenti: questa seconda posizione permetterebbe all’adolescente l’entrata nella comunità degli adolescenti, mentre la condizione di adolescente isolato è descritta come una condizione patologica severa, in cui il ragazzo è immerso in fantasie grandiose e si trova in una condizione di isolamento. Meltzer descrive anche il passaggio dell’adolescente da un tipo di gruppo all’altro: inizialmente l’adolescente si ritrova in gruppi omosessuali, la cui caratteristica è quella di un’identificazione reciproca e parziale basata su processi di scissione la cui funzione fondamentale è quella di proiettare l’angoscia sul gruppo dell’altro sesso. A questo gruppo pubere succede il gruppo adolescenziale o eterosessuale, in cui l’adolescente può sperimentarsi nelle sue relazioni con gli altri. 2) Metodologie e strumenti di valutazione clinica e di ricerca in adolescenza (Angela Cammarella, Loredana Lucarelli) Interviste diagnostiche: K-SADS È un’intervista centrata sull’intervistatore in cui le domande sono costituite dai criteri del DSM per la patologia (l’intervista rileva la patologia e misura la sua stabilità). All’inizio viene fatta questa valutazione categoriale, poi con altre domande diviene possibile fare anche una valutazione di tipo dimensionale. Le fonti di informazioni sono genitori, insegnanti e bambini dai 6 ai 18 anni. Prima si fa un’intervista di screening. L’intervista individua: i disturbi affettivi, quelli d’ansia, quelli del comportamento e quelli psicotici, oltre ad indagare anche l’area della dipendenza da sostanze. Esiste in 3 versioni: K-SADS-P per il Presente, viene indagato il disturbo nell’ultimo anno K-SADS-P/L per il presente e il lifetime, viene indagato il disturbo in tutta la vita K-SADS-E per la ricerca epidemiologica. Dura circa 1h e mezza, affianca il DSM con cui è compatibile. I sintomi possono essere classificati come “normali”, “sotto il range clinico” o “nel range clinico” NIHM Diagnostic Interview Schedule for Children E’ un’intervista centrata sull’intervistato, compatibile con DSM e ICD che dura due ore, è proposta a genitori o adolescenti. Esistono due forme: DISC-Y per i bambini da 9 a 17 anni e DISC-P per i genitori di bambini e adolescenti tra i 6 e i 17 anni. Indaga la presenza del disturbo nel tempo. E’ divisa in 4 parti (la quarta è opzionale): la prima fa da screening, per indagare solo quello che c’è effettivamente. La seconda verifica che siano soddisfatti i criteri del DSM-IV, la terza misura la frequenza e l’età di esordio e la quarta, opzionale, i fattori genetici e psicosociali. I disturbi che è in grado di individuare sono i disturbi affettivi, l’abuso di sostanze, la schizofrenia, i disturbi del comportamento dirompente e i disturbi d’ansia. Siccome ci vogliono 2 ore per la somministrazione ne è stata fatta una versione molto più breve (la DISC Predictive Scale) che è suggerita come strumento di screening SCL 90-R è un questionario self report con 90 sintomi che misura lo status psicologico attuale, completabile in 15 minuti per 4 categorie di persone:1) adulti psichiatrici ma non ricoverati; 2) adulti psichiatrici ricoverati; 3) adulti normali; 4) adolescenti normali (dai 13 ai 19 anni). Viene chiesto di indicare con quale intensità hanno sofferto di quello che c’è scritto nei 7 giorni precedenti. Vi sono 3 indici globali di disturbo: 1) Indice di gravità globale (il più importante, dà un’idea della gravità del disturbo); 2) indice di disturbo dei sintomi positivi (intensità del disturbo); 3) indice totale dei sintomi positivi. Questi permettono 3 direttrici di interpretazione: 1) globale; 2) dimensionale; 3) sintomatica. Le dimensioni indagate sono 9: 1) Somatizzazione; 2) Depressione; 3) Ossessivo compulsiva; 4) Sensibilità Interpersonale; 5) Ostilità; 6) Ansia; 7)Ansia Fobica; 8)Ideazione Paranoide; 9) Psicoticismo cui si sommano 7 item aggiuntivi CHILDREN DEPRESSION INVENTORY: Misura nei bambini dai 6 ai 17 anni la Depressione basandosi sulle ipotesi che: 1) la depressione è presente nei bambini;2)è osservabile e misurabile; 3)ha alcuni aspetti in Q-SORT, sistema di valutazione utilizzato dal clinico che è così costruito: i 200 item descrivono le categorie di ogni prototipo tramite affermazioni riguardo al comportamento o al modo di sentire e parlare del paziente. Il clinico costruisce 8 pile di item in base alla descrizione degli stessi del paziente (da 0 a 7), sapendo che vi possono essere solo un tot di item per ogni grado di rappresentatività. In situazioni cliniche (e non di ricerca) si utilizza una procedura più veloce, che indica il grado di rappresentatività di un intero prototipo per un dato paziente (sempre lo stesso valore da 0 a 7). La SWAP 200 utilizza una serie di categorie prototipiche, che sono: 1)antisociale- psicopatico; 2)istrionico; 3)narcisistico; 4)schizoide; 5)paranoideo; 6)ossessivo; 7)disforico_che presenta altre suddivisioni in disforico evitante, disforico depresso ad alto funzionamento, disforico emozionalmente sregolato, disforico indipendente- masochista, disforico ostile esternalizzante. Tramite questo strumento si può quindi fare una diagnosi categoriale (tramite il punteggio PD più alto) ed una dimensionale andando a vedere gli altri punteggi pD più significativi. La SWAPP 200 A nasce per risolvere quei problemi che sono legati alla difficoltà di rilevare i disturbi di personalità in adolescenza con i sistemi diagnostici classici. Infatti il DSM scoraggia dal fare una diagnosi di disturbo di personalità prima dell’età adulta poiché propone l’utilizzo degli stessi criteri usati per gli adulti senza considerare che per ogni fase evolutiva è presente una configurazione di personalità piuttosto stabile e che il funzionamento mentale in adolescenza presenta delle oscillazioni non contemplate nella rigidità delle categorie diagnostiche. Il borderline confluisce all’interno delle categorie “emozionalmente sregolato” e “istrionico”. La SWAP 200 A segue la stessa modalità della SWAP ed identifica due stili di personalità e 5 veri e propri disturbi di personalità: i due stili sono lo stile disforico- autocritico, riferito ad un adolescente timido e riservato che si sente iperresponsabilizzato e ha la tendenza a sviluppare sensi di colpa pur avendo, come qualità positive la coscienziosità, dei codici morali adeguati e la capacità di empatizzare; c’è poi lo stile disforico-oppositivo in cui il ragazzo si sente infelice e inadeguato, non controlla le emozioni e ha frequenti contrasti con gli adulti. Gli aspetti positivi di questo profilo sono la presenza del senso dell’umorismo, la capacità di indurre simpatia negli altri e di essere di sostegno per altre persone. I 5 disturbi sono: 1) antisociale-psicopatico; 2) istrionico; 3) schizoide; 4)narcisistico; 5)emozionalmente sregolato. SCHEMA QUESTIONNAIRE Young ha identificato una “terapia basata sugli schemi” ottenuta integrando le tecniche psicoterapiche. I principali concetti della Teoria degli Schemi sono: 1) Gli Schemi Disadattativi precoci, cioè pattern comportamentali, cognitivi ed emotivi che sono percorsi da temi che li caratterizzano riguardano se stessi e le relazioni con gli altri sulla base di relazioni inadeguate nell’infanzia. Questi pattern tendono ad automantenersi, quindi le persone sono attratte da quelle situazioni che gli permetteranno di metterli in funzione. Ne sono stati individuati 18, 11 dei quali identificabili anche con il Lifetraps questionnaire. 2) I Domini degli Schemi: cioè le situazioni psichiche (danneggiate) del presente, espressione di bisogni precoci non soddisfatti 3) I Processi di Adattamento agli Schemi tramite i quali la persona cerca di convivere con il suo schema e si differenziano in: -evitamento della situazione che lo può innescare; -arrendersi ad esso; -mettere in atto strategie compensative e opposte. 4) I Modi derivati dagli Schemi: sono delle condizioni psicologiche dominanti che si possono attivare in determinati momenti verso i quali la persona dimostra una certa sensibilità e sono: Modi infantili; Modi maladattativi di coping; Modi genitoriali; Modi Adulti/Sani. Le persone possono presentarsi in modi diversi a seconda della situazione perché il Sé non è sufficientemente integrato. Lo Young Schema Questionnaire presenta una forma lunga che individua 16 schemi e una breve che ne individua 15 (oltre al Lifetraps Questionnaire che ne individua 11 e si usa nel manuale di auto-aiuto) ed è composta da affermazioni rispetto alle quali si chiede al soggetto di indicare quanto siano vere rispetto alla sua persona. Sono presenti altri strumenti per attribuire le origini di uno schema ad un genitore piuttosto che all’altro, per vedere quanto il paziente utilizza l’evitamento e infine per valutare quant utilizza strategie compensative. MANUALE DELLA FUNZIONE RIFLESSIVA La funzione riflessiva è quella capacità che permette di vedere se stessi e gli altri come dotati di stati mentali, e durante la somministrazione della AAI è definita come la capacità della persona di automonitorare la propria narrazione in base a quelli che pensa possano essere gli stati mentali dell’intervistatore. Una persona con una buona funzione riflessiva ha una consapevolezza del carattere evolutivo e della natura degli stati mentali, si esprime sforzando esplicitamente di far emergere gli stati mentali relativi ad un comportamento e mostra consapevolezza degli stati mentali in relazione all’intervistatore. Nella AAI vengono fatti due tipi di domande: le permit questions, che permettono al soggetto di mostrare la propria funzione riflessiva e le demani questions, che invece esigono che lo faccia. Il manuale ha identificato diverse configurazioni della FR: 7 1. Negativa (con risposte di rifiuto in cui il soggetto vive la domanda come un attacco oppure con risposte non integrate in cui gli stati mentali sono dichiarati ma non sono collegati ad emozioni etc, o ancora bizzarre) 2. Assente (con diniego, che ha la stessa risposta del rifiuto ma senza la componente di attacco, oppure con distorsioni al servizio del sé in cui il ricordo dello stato mentale è egocentrico) 3. Dubbia o bassa (risposte ingenue o semplicistiche o iperanalitiche) 4. Chiara 5. Notevole 6. Eccezionale La cornice di riferimento è la Dinamic Skyll Theory che ipotizza la funzione riflessiva come una di quelle abilità che vengono elaborate nel corso dello sviluppo e per permetterlo. Poiché la nascita e lo sviluppo di questa funzione sono fortemente interpersonali questa abilità non è globale ma riferita ad un ambito ben preciso (come le altre abilità secondo questa teoria). 4) I sistemi motivazionali in adolescenza (Sergio Muscetta, Nino Dazzi) Freud dice che nessun comportamento è gratuito e che però spesso le motivazioni sono inconsce. Il ruolo dell’ambiente esterno praticamente non esiste (visto che a malapena esiste quello dell’Io questo non è tanto strano). Rapaport concepisce le motivazioni sia come forze interne che come cause e vi connette il l’autosservazione (il vedersi da fuori). Questo passaggio è fondamentale per stabilire la propria indipendenza dagli altri. Le motivazioni intrinseche, cioè quelle che guidano quelle attività che il soggetto intraprende spontaneamente (come l’esplorazione e l’apprendere) senza che vi siano richieste o meccanismi di rinforzo a determinarle, portano a comportamenti NON casuali ma assolutamente intenzionali, come l’esplorazione. Per questo motivo viene proposta la COMPETENZA come sistema motivazionale, legato soprattutto al Sé e meno all’ambiente, anche se ovviamente quest’ultimo la influenza. Vi è quindi una necessità psicologica INNATA di sentirsi efficaci, che guida i comportamenti di apprendimento ed esplorazione. A questo proposito è interessante ricordare l’importanza attribuita all’esplorazione nella procedura della SS e nel classificare il tipo di attaccamento: i bambini più competenti avrebbero tendenzialmente degli attaccamenti di tipo sicuro. Ma cosa succede ai MOI nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza? La stabilità dei MOI si collega alla stabilità delle relazioni di attaccamento e alla stabilità delle qualità di questa: per questo motivo nel caso in cui intervenissero cambiamenti (in meglio o in peggio) i MOI verrebbero rimaneggiati. Nel momento in cui arriva l’adolescente i genitori svolgono per l’ultima volta (anche se in modo diverso) la funzione di aiutare il figlio a regolare le proprie emozioni: la rinuncia ai genitori come figure di attaccamento procede a salti, e al lutto del figlio per la perdita del Sé infantile fa da riscontro quello della perdita del Sé-giovane da parte del genitore. Inoltre la angosce incestuose bilaterali dovute alla maturazione del corpo sessuato porteranno il figlio a ricercare altre figure adulte (come ad esempio gli insegnanti). In adolescenza si riattiva in maniera massiccia il comportamento di esplorazione: i figli fanno di tutto per superare la dipendenza dai genitori, e questo può portarli ad evitare attivamente i genitori in situazioni di stress: questo comportamento differisce fortemente da quanto avveniva in infanzia, in cui il bambino faceva ritorno dal genitore in caso di eventi stressanti o non familiari. L’indipendenza promuove il futuro sviluppo del figlio, ma questa non mette le proprie basi nell’adolescenza, bensì nell’infanzia tramite un buon uso del genitore come “base sicura”. A questo proposito sono stati identificati 3 pattern di distorsione della base sicura: sopportano il dolore dato dalla separazione dalle loro figure di riferimento, dall’altro i figli evitano la paura di perdere a loro volta le loro. La seconda strada è quella della famiglia PRATICANTE di Minuchin: quello che viene descritto è il funzionamento reale della famiglia, in termini di regole, confini e le trame intergenerazionali. Quello su cui ci si concentra in seduta è il qui e ora e non le rappresentazioni, e in seduta vengono proposte delle modificazioni di comportamento coinvolgendo tutta la famiglia. Descrizione importante fatta da minuchin consiste nell’organizzazione delle famiglie, che si situa lungo un continuum dal polo disimpegnato a quello invischiato e che trova risconto con la teoria dell’attaccamento e le categorie distanziante e preoccupato. Nella famiglia disimpegnata i membri sono così lontani che prendersi cura l’uno dell’altro costituirebbe una minaccia, in quella invischiata si baratta la propria indipendenza per un continuo monitoraggio dello stato dei membri. In adolescenza si realizza lo sviluppo di nuove capacità cognitive da un lato e l’insorgere dei temi di separazione rispetto ai genitori dall’altro. Questi due fattori possono, in alcune condizioni, portare ad un breakdown della capacità di mentalizzare. Importanti non solo una fragilità (magari già presente) dell’adolescente, ma anche l’ambiente. Ci sono 3 fattori che hanno una grande importanza in questa fase: 1. L’adolescente sta sviluppando il Sé autoriflessivo, vale a dire che si rende conto di come persone diverse possano rappresentarsi uno stesso evento in modo di diverso e di come queste rappresentazioni dipendano dalla caratteristiche individuali delle persone. Gli adolescenti acquistano una maggiore/migliore capacità di riflettere sulla propria esperienza mentale. Come diceva Lichtenberg quindi il Sé non è in balia di questo o quel sistema motivazionale, ma ha una funzione organizzatrice indipendente. 2. La formazione del Sé dipende dall’attività di mirroring (rispecchiamento): grande importanza ha il concetto della sintonizzazione affettiva in famiglia, con cui si condividono gli stati emotivi. La sintonizzazione affettiva (che è legata alla funzione riflessiva) prevede anche modelli di non allineamento. In adolescenza viene messa in questione la sintonizzazione affettiva, sia in termini di allineamento (lo stato di una persona viene modificato per adattarsi a quello di un’altra), sia in termini di risonanza (in cui le menti delle persone si influenzano reciprocamente). L’identità si costituisce da un punto in mezzo tra l’indipendenza e l’appartenenza, cioè sia dal sentirsi separato che dal sentirsi parte di un tutto. 3. In adolescenza si devono rimaneggiare le proiezioni reciproche. E’ importante considerare che l’adolescente ha un ruolo omeostatico che a questo punto deve riconfigurarsi: se questo non avviene e non si costruisce una nuova omeostasi ci può essere: -negli adolescenti una difficoltà nel riflettere sull’esperienza mentale e differenziare le emozioni (sia nei genitori che nei figli) -la separatezza dell’altro può essere negata oppure può esserlo il senso di appartenenza. Per quanto riguarda il setting con la famiglia ci si è allontanati dall’idea che includere i genitori volesse dire cadere nella relazione reale o che i problemi dei genitori fossero un problema accessorio rispetto a quelli dei figli. La crisi adolescenziale al contrario va intesa come una crisi gruppale e instaurare un’alleanza con i genitori (fatta comunque sempre salva la confidenzialità verso il paziente adolescente) è molto importante, anche al fine di migliorare la comunicazione che risulta sempre disturbata nelle famiglie in cui c’è un adolescente con difficoltà. La lettura relativa al setting può essere divisa in varie aree: 1. Quella che considera il rapporto genitori/figlio come conseguenza dell’adolescenza (il trattamento va fatto quindi sull’adolescente) 2. Quella che considera i problemi dell’adolescente come il risultato dei problemi dei genitori che non gli permettono l’individuazione (trattamento sui genitori psicopat.) 3. Quella che considera l’adolescenza come un problema globale in cui entrano sia i genitori che gli adolescenti con i loro lutti (trattamento sulla famiglia) La Rustin identifica 4 categorie: 1) Intervento con i genitori per far si che sostengano la terapia del figlio 2) Intervento con i genitori per sostegno alla funzione genitoriale (bambini molto piccoli) 3) Intervento con i genitori per migliorare il funzionamento familiare 4) Intervento con il genitore singolo o con entrambi quando i genitori sono disturbati. Goisis invece sostiene che per prendere in carico un adolescente bisogna considerare le dinamiche familiari in termini di organizzazione intrapsichica e organizzazione familiare e distinguono 3 aree: AREA A: rapporti invischiati e simbiotici, le difese sono la proiezione e la scissione. E’ inimmaginabile fare l’intervento solo sul figli perché il sistema non accetta l’indipendenza dei membri AREA C: le difese sono indirizzate verso l’ambivalenza e la diffusione dei ruoli può portare ad un disturbo di personalità nell’adolescente. Si può pensare di prenderlo in carica individualmente a condizione di considerare i genitori e accogliendoli ogni tanto. AREA B: il processo di individuazione si è avviato, possono essere affrontati i conflitti intrapsichici: questi adolescenti arrivano in consultazione quando il processo si blocca. Le manifestazioni sono di tipo nevrotico (es. fobie), è adeguato un intervento individuale. La famiglia è dunque impegnata in un doppio compito evolutivo: da una parte risolvere le problematiche adolescenziali del figlio, dall’altra rivisitare le dinamiche che legano i genitori alle organizzazioni affettive latenti, che riemergono in questa fase: questi due aspetti possono determinare difficoltà nelle pratiche di coordinazione dell’intera famiglia. 6) Quadri clinici; I disturbi dell’identità in adolescenza (Massimo Ammaniti) Il disturbo dell’identità in adolescenza è stato tolto dal DSM IV per via del fatto che risultava non utilizzato nella pratica clinica e non erano stati prodotti studi empirici a riguardo. Questo disturbo si manifesta nell’incapacità dell’adolescente di integrare alcuni aspetti di sé in un senso di Sé che risulti sufficientemente coerente e accettabile. Questo si può esplicitare nella difficoltà di fare scelte di carriera, di rapporti amicali, di convinzioni morali e religiose e in generale di obiettivi a lungo termine, cioè di come vivere la propria vita (anche nell’ambito della sessualità c’è un’indecisione). Questi sintomi devono durare almeno 3 mesi e solitamente si manifestano nella media o tarda adolescenza, anche se è possibile la comparsa anche nell’età adulta quando eventi di vita come il lavoro o la famiglia mettono in crisi la configurazione difensiva precedente. Per quanto riguarda gli adolescenti essi sono ansiosi e/o depressi e verso la famiglia possono manifestare comportamenti oppositori nel tentativo di affermare la propria identità. Questo disturbo va distinto da una parte dalla crisi adolescenziale dove, nonostante la sofferenza dell’adolescente non comporta delle limitazioni permanenti, e dalla schizofrenia e dal disturbo borderline, in cui il disturbo d’identità e molto più grave. Il disturbo si basa sulla teoria dello sviluppo psicosociale di erikson che sostiene che l’acquisizione dell’identità comporta una chiara definizione di Sé con una certa autoaccettazione e la consapevolezza dell’esistenza di varie identità alternative, un senso di fiducia nel futuro e di unicità e un impegno rispetto alle proprie convinzioni. Nella nostra società i giovani devono acquisire la propria identità prendendo autonomamente delle decisioni riguardo gli obiettivi a lungo termine, cosa che nei tempi passati non succedeva perché erano la famiglia e la comunità a decidere per l’individuo le scelte sessuali, la carriera, le frequentazioni. Inoltre il rapido mutare della società rende difficile il passaggio dei valori tra le generazioni. Per l’identità è fondamentale considerare aspetti temperamentali e sociali e l’importante area delle relazioni interpersonali. Secondo la psicologia dello sviluppo, influenzata da Erickson il passaggio dall’adolescenza all’età adulta è critico per la costruzione dell’identità che si caratterizza secondo due dimensioni psicologiche: da un lato la crisi e dall’altra l’impegno. La crisi è un momento in cui la persona si interroga per raggiungere alcuni obbiettivi per l’identita personale, come le convinzioni ideologiche. L’impegno invece implica la capacità di prendere decisioni e responsabilizzarsi per realizzarle. Marcia a questo proposito a distinto 4 stadi dell’identità: l’acquisizione dell’identità se non si instaura la catena che illustrerò): per reagire al lutto vi è una tendenza naturale ad incorporare l’oggetto. A questo punto però il desiderio di incorporare l’oggetto perduto diventa un’interiorizzazione dello stess e la persona vive l’oggetto interiorizzato come se fosse il proprio Io: poiché l’oggetto amato era anche odiato la persona rivolge l’aggressività che era destinata all’oggetto verso il proprio Io, provocando sentimenti di autosvalutazione e dispresso. La Klein parla della posizione depressiva, la Mahler della fase di separazione-individuazione. Bowlby invece sostiene che la depressione sia un affetto di base, una risposta innata alla perdita della figura di attaccamento: davanti all’evento della perdita l’Io riconoscerebbe la propria impotenza e svilupperebbe i sentimenti di autosvalutazione. Se si considerano operanti nella depressione quindi la perita dell’oggetto amato e il narcisismo, l’ambivalenza e l’aggressività e l’affetto di base si comprende come mai nell’adolescenza, periodo in cui l’adolescente si separa dai genitori (perdita), può percepire uno scarto tra quello che è e quello che dovrebbe essere (rabbia narcisistica), con aggressività scatenata di vissuti d’inferiorità e diretta verso altri o verso se stesso e la noia, che fa pensare ad una rsposta che attiva un’affetto depressivo di base. L’approccio delle relazioni oggettuali invece ha sottolineato l’importanza dell’ambiente primario del bambino, e in particolare di relazioni primarie con scarsa sintonizzazione affettiva ed eccessiva critica, nello stabilire MOI in cui prevale il senso di autocritica, di abbandono e di eccessiva dipendenza dagli altri che possono costituire un fattore di rischio per il disturbo. Secondo il modello cognitivo comportamentale alla base della depressione vi sarebbe uno stile cognitivo negativo, cioè convinzioni negative e pessimistiche su di sé, gli altri, il futuro. Concetti di Beliefs (le convinzioni alla base di un disturbo) e Schemata (assunti mentali negativi). Questo stile cognitivo costituisce un fattore di rischio per la depressione nel momento in cui nella vita della persona si presentino fattori di stress. Il modello neurobiologico e genetico infine ha rilevato disfunzioni endocrine (eccesso secrezione di cortisolo soprattutto nel caso di patologia grave e diminuizione secrezione ormone della crescita), a livello dei neurotrasmettitori (sistema serotoninergico non funziona a dovere), riguardo il sonno delle persone depresse (dormono meno e con un tempo di latenza maggiore) e a livello della corteccia prefrontale (in cui si osserva una riduzione del volume). Quanto agli studi genetici è stata trovata una grande familiarità ma è fondamentale l’influenza dei caratteri ambientali su quelli genetici, come si è visto nelle adozioni. Fondamentale piuttosto è il modo in cui l’adolescente interpreta un certo evento, una situazione negativa, se stesso e il suo futuro. 8) Il disturbo post- traumatico da stress in adolescenza (Paola Carbone, Silvia Cimino) Il problema principale nella definizione del PTSD sembra essere legato alla definizione del trauma che lo provoca. Nel DSM III veniva descritto come un’esperienza traumatica al di fuori della comune esperienza umana, nel DSM-III-R veniva fatto un elenco dei traumi possibili e nel DSM-IV viene descritto come una situazione traumatica che comporta la morte, o la minaccia di morte o di gravi lesioni davanti alla quale il soggetto si sente impotente e prova una paura intensa. E’ da notare come non tutte le persone esposte a traumi da questo tipo manifestino poi un PTSD e fattori che influiscono su questo fatto sono l’ambiente familiare e il genere (le ragazze sembrano essere più sensibili allo stress. I criteri del DSM-IV lo descrivono come un disturbo, inserito nei disturbi d’ansia, della durata di più di un mese dove, a seguito di un trauma (come descritto) la persona manifesta la risperimentazione del trauma (tramite ricordi, sogni ed episodi in cui si sente come se lo stesse rivivendo, allucinanzioni incluse), l’evitamento di aspetti relativi al trauma (come evitamento di situazioni simili e difficoltà a ricordare l’evento), un ottundimento della reattività (con distacco, incapacità di provare emozioni), stati di ansia, aumento dell’arousal (risposte esagerate di allarme, disturbi del sonn), senso di colpa per essere sopravvissuti. In seguito si possono manifestare altri disturbi, come attacchi di panico, fobia sociale ed episodi depressivi. Il disturbo viene suddiviso in acuto (dura meno di 3 mesi), cronico (se dura più di tre mesi), ad esordio tardivo quando si presenta 6 mesi dopo il trauma, e la diagnosi differenziale va fatto rispetto al disturbo acuto da stress (che scompare in pochi giorni) e dal disturbo di adattamento, dove l’evento che lo provoca è meno grave. L’ICD-10 manifesta alcune differenze: descrive il trauma come una situazione molto minacciosa che produrrebbe paura in tutte le persone, non considerando quindi la variabilità nelle risposte individuali, inoltre il criterio del DSM-IV di aumento dell’arousal, considerato fondamentale nella diagnosi nell’ICD-10 può essere sostituito dall’incapacità di ricordare l’evento. Per quanto concerne la psicopatologia del trauma è utile partire dal lavoro sul trauma riguardo il trauma reale: l’evento è reale, esterno, ma diviene un trauma nel mondo interno, in base a come la persona si rappresenta l’evento e gli attribuisce un significato. L’adolescente è particolarmente vulnerabile perché si sta separando dai genitori, quindi è privo dello scudo protettivo che questi rappresentano ma d’altro canto non avendo ancora completato il processo di interiorizzazione dell’altro non è in grado di difendersi. Il trauma agisce in maniera distruttiva, producendo la perdita di comunicazione con l’altro dentro di sé. Freud parla anche di angoscia segnale, cioè quello stato che prepara il soggetto al pericolo. Dopo un PTSD questa funzione dell’angoscia segnale fallisce e la persona sperimenta un ottundimento reattivo. Non solo, ma dal punto di vista neuropsicologico il trauma comporterebbe un disturbo nel sistema di risposta allo stress per cui si crea un cortocircuito in cui l’angoscia automatica si autoalimenta. Infine bisogna sottolineare come il trauma, investendo la coscienza non è elaborabile né veramente ricordabile ma comunque presente e tende a ripresentarsi nelle modalità che sappiamo. Per tenere a bada il ricordo la persona sperimenta incapacità di ricordare e distacco emotivo. Inoltre si manifesta l’aumento dell’arousal a causa di modificazioni neuropsicologiche. In adolescenza questo è particolarmente pericoloso perché l’adolescente per separarsi dai genitori sta già limitando la sua attività di ricordo del passato. Inoltre il trauma agisce retroattivamente, ridefinendo i legami affettivi e questo è particolarmente importante nell’adolescente, che è già impegnato per la peculiarità di questo stadio del ciclo vitale, nel rimaneggiamento delle esperienze infantili. Per il trattamento la rievocazione non è curativa anzi può provocare un irrigidimento delle difese e inasprire i sintomi. La terapia psicoanalitica mira a contenere la sofferenza per permettere all’apparato psichico di riprendere il suo lavoro, mentre quella cognitivocomportamentale lavora sulla modificazione degli aspetti cognitivi dell’aumento dell’arousal. La natura del trauma non è indifferente. Nel caso ad esempio dell’abuso bisogna sottolineare come questo abbia diversi risultati a seconda che sia perpetrato da una persona esterna, dove quindi il nucleo traumatico è insito nel non essere riconosciuto come umano dall’abusatore, e da una persona interna alla famiglia, caso in cui è propri l’umanità dell’abusato che è usata per perpetrare l’abuso e mantenere il silenzio a riguardo: infatti l’adolescente abusato da una persona di famiglia oltre a provare sentimenti di colpa derivati dalle complicate dinamiche seduttive che si instaurano nell’abuso in famiglia si sente in dovere di essere complice nel silenzio. 9) Fobie, ossessioni, disturbi d’ansia in adolescenza (Silvia Andreassi, Alessandra De Coro) L’ansia è caratterizzata da una sensazione di pericolo imminente associato ad uno stato di attesa che provoca smarrimento, ed è una delle emozioni fondamentali e si manifesta in modo diverso a seconda dello stadio si sviluppo: nei bambini più piccoli è legata alle esperienze sensoriali, poi nel primo anno compare l’ansia di separazione e la paura dell’estraneo, in adolescenza prevalgono l’ansia sociale e le preoccupazioni di natura personale e mentre l’adolescente sviluppa la capacità di anticipare gli eventi si sviluppa anche l’ansia anticipatoria. sbandamento e instabilità, depersonalizzazione o derealizzazione, paura di impazzire o perdere il controllo, paura di morire, brividi o vampate. Approccio psicodinamico: l’ansia è un corollario inevitabile dell’adolescenza. La valutazione della patologia si fa in base all’organizzazione di personalità (Kernberg) 1. Mâle: ci sono crisi giovanili semplici e crisi giovanili gravi: entrambe manifestano crisi d’ansia ma le prime si instaurano su una organizzazione nevrotica, le seconde al confine tra nevrotica e morosità 2. Laufer: utilizzano l’angoscia e le difese utilizzate per fronteggiarla come criterio per valutare la patologia. Quanto l’adolescente è consapevole dell’angoscia e delle emozioni in generale (se sì è meglio). Le strategie sono di tipo inibitorio (meglio) o maniacale (peggio)? Le fobie gravi o i pensieri e rituali ossessivi rispetto all’attività masturbatoria o alla mancanza di questa sono un compromesso dei conflitti sessuali (e sono più affrontabili in terapia) mentre comportamenti autolesionisti e/ perversi (disturbo alimentare,abuso di droghe e comportamento delinquenziale) hanno una ricaduta sul piano esperienziale sia interno che esterno e quindi possono portare ad una organizzazione stabile e irreversibile della patologia 6. Marcelli e Braconnier: 3a) Forme fobiche vs forme nevrotiche di canalizzazione dell’ansia. Nelle forme nevrotiche come ipocondria e isteria il corpo traduce il conflitto pulsionale e l’angoscia che lo accompagna o diventandone il mezzo espressivo (ipocondria) oppure o diventando il rappresentante simbolico del conflitto (isteria), mentre nelle forme fobiche è presente un grado di elaborazione secondaria che lascia aperta la porta alla mentalizzazione. 3b) Paura del rifiuto sociale: classiche dell’adolescenza sono dismorfofobia (che è un’esasperazione delle normali preoccupazioni riguardo al proprio corpo) e la fobia della scuola. Nel primo caso la paura viene affrontata “razionalizzandone” la causa, e sembra essere il risultato delle reazioni dei genitori alle trasformazioni del corpo dell’adolescente e dell’ansia rispetto al rifiuto da parte dei coetanei. Il corpo diventa oggetto transizionale su cui vengono proiettati gli affetti ambivalenti rispetto ai genitori. La fobia scolastica si presenta con attacchi di panico durante il percorso e altre manifestazioni depressive ed è analizzabile su due livelli: il primo vede la scuola come oggetto su cui vengono spostate le angosce edipiche. Il secondo invece vede nelle fobie scolastiche il segno di un conflitto tra il desiderio di autonomia dell’adolescente e le conseguenti preoccupazioni inconsce di rimanere solo e ferire i genitori 3c) Fobia sociale: è caratterizzata da un’inibizione relazionale che si può associare ad altre forme di inibizione, come quella intellettiva e quella a fantasticare. La rimozione di pensieri e fantasie ritenuti minacciosi riduce il funzionamento delle normali strategie di sublimazione. La paura del giudizio accompagnata dall’ansia di prestazione fa sì che l’adolescente eviti le attività al punto che si crea una concezione di sé come inadeguato. 3d) il disturbo ossessivo compulsivo: meno specifico dell’adolescenza. Le condotte possono essere egosintoniche nascoste ai genitori. I sintomi possono essere spiegati come il risultato di strategie difensive (formazione reattiva, isolamento, annullamento) per combattere fantasie sessuali caratterizzate dall’erotismo anale. Se l’adolescente mantiene un funzionamento buono le ossessioni e le compulsioni possono essere considerate strategie difensive che contengono gli impulsi ansiogeni (fantasie erotiche o moti aggressivi contro i genitori), strategie che possono evolvere verso difese più mature come l’intellettualizzazione. 3. Kernberg: 4a) possibile sovrapposizione di fobia sociale, disturbo d’ansia generalizzato e disturbo evitante di personalità, spesso prodotto per via di fattori ambientali traumatici (es. abuso sessuale) ma più spesso da stili educativi genitoriali che spingono l’adolescente ad avere timori di ogni genere, oppure da genitori particolarmente ansiosi critici. 4b) Disturbo ossessivo compulsivo di personalità: è egosintonico e tende ad essere persistente. Caratteristiche come il perfezionismo e la preoccupazione per l’ordine tendono a restare fissate nella personalità. I genitori sono spesso severi, molto coinvolti e con elevate aspettative. Le pratiche di allevamento enfatizzano il conformismo, la pulizia, l’obbedienza automatica e le punizioni. 5) Secondo un’ottica interpersonale i disturbi d’ansia sono strategie di coping che affrontano le difficoltà che appaiono per motivi esterni ed interni. L’ansia può paralizzare i processi mentali. Approccio attaccamento: 1. l’ansia come risultato di fallimenti nella regolazione della paura in varie occasioni e in età precoce 2. Bowlby ritiene l’ansia psicopatologica (tranne le fobie per gli animali) come una derivazione dell’angoscia di separazione 3. Cassidy nota presenza di rabbia e sentimenti di vulnerabilità correlati con l’ansia generalizzata che ritiene derivi da esperienze di non responsività o di inversione di ruoli con i genitori 4. Fonagy mette in correlazione l’ansia con la percentuale di traumi e lutti non elaborati 5. i disturbi d’ansia dipendono da un intersecarsi del temperamento del bambino con un tipo di attaccamento insicuro/resistente. Approccio cognitivismo: L’ansia deriverebbe dall’instaurarsi di stili cognitivi (schemi di memoria) che sono correlati con la modalità di allevamento: genitori che sovrastimano i pericoli o sono ipercontrollanti e iperprotettivi trasmettono al figlio l’idea che il mondo è pericoloso e che lui è inadeguato nell’affrontarlo. Secondo loro ci sono due stadi di sviluppo dell’Io: 1) dai 13 ai 17 lo stadio del conformismo (ci si vede dal punto di vista altrui) dove c’è fobia sociale e disturbo d’ansia generalizzata; 2) dai 17 ai 21 anni stadio della consapevolezza di sé (visione di se stessi dall’interno) con attacchi di panico o agorafobia. Approccio neuroscienze: inibizione del comportamento è trasmessa geneticamente e collegata con l’asse ipotalamico pituitario di risposta allo stress. Per questo motivo l’ansia, che è risultata correlata con l’inibizione del comportamento sembra essere su base genetica (studi sui gemelli) e risultato possibile di eventi traumatici (iperproduzione di cortisolo). I disturbi di panico risulterebbero dall’incontro di una vulnerabilità all’ansia su base biologica ed eventi stressanti mentre il disturbo ossessivo compulsivo è associato con le caratteristiche genetiche della sindrome di Tourette ed altre sindromi di tic, e l’ipotesi è che quindi i sintomi ossessivocompulsivi siano il prodotto degli stessi circoli viziosi di feedback. 10) Il disturbo dell’identità di genere in adolescenza (Angela Cammarella) In adolescenza lo stabilirsi dell’identità è inestricabilmente legato allo stabilirsi dell’identità di genere. I cambiamenti morfologici possono spaventare l’adolescente che vive il corpo come diverso da prima e meno rassicurante poiché porta con se la necessità di scegliere di essere maschio o femmina, così come l’orientamento sessuale può provocare angoscia, ancora di più se di tipo omosessuale e bisessuale. La sperimentazione dei ruoli di genere passa un certo grado di rigidità, in cui gli adolescenti rimarcano le differenze tra un genere e l’altro ad un certo grado di flessibilità se identità e identità di genere sono ben costituite. Diverso discorso è da fare per quegli adolescenti che sentono il loro corpo come dissonante: in questi casi vi è una rigida stereotipia nei ruoli di genere e l’adolescente insiste nell’affermare come la propria identità di genere sia contraria al suo sesso biologico. Il cronicizzarsi di un DIG quindi deriva dai cambiamenti fisiologici in seguito all’adolescenza e dall’irrigidirsi della posizione dei genitori riguardo quanto manifestato dal giovane DIG. Terminologia: Sesso: distinzione maschio/femmina sul piano biologico Genere: caratterizza l’essere maschio/femmina da un punto di vista biologico, psicologico e culturale Stoller parla di: 1) identità nucleare di genere, un senso precoce di identità che si stabilisce verso i 2/3 anni per via di variabili biologiche, psicologiche, culturali. Sull’identità nucleare di genere si instaura la 2) identità di genere, che si stabilizza verso i 3/4 anni e indica come la persona si riconosce (maschio/femmina). Money distingue il concetto di identità di genere (esperienza di sé come individuo) che è collegata al ruolo di genere (insieme dei comportamenti che segnalano la propria identità di genere) Infine l’orientamento sessuale si riferisce alla consapevolezza e all’autodichiarazione di sé come omosessuale, eterosessuale o bisessuale secondo quello che per la persona costituisce un’attrattiva sessuale. Disturbo dell’identità di genere: 1) il tuo sesso (femmina) non è meritevole, viene svalutato _identificazione con il sesso opposto (maschio) 2) madre vuole figlio maschio_femmina si identifica con maschio 3) manca un uomo in casa _la figlia ne assume il posto 4) la maschilità è aggressività _figlio maschio se ne allontana 11) Aspetti psicopatologici della tossicomania nell’adolescenza (Philippe Jeammet, Maurice Corcos) La tossicodipendenza è definita dall’OMS come il prodotto dell’uso eccessivo di sostanze tossiche che causa fenomeni di tolleranza (cioè il fatto che per ottenere un certo effetto si debba ricorrere a dosi sempre maggiori della sostanza in questione) e di sindrome di astinenza (fisiologica o psicologica) in caso di una brusca interruzione. Viene distinta quindi la dipendenza dall’abuso di sostanze, inteso come caratterizzato da negative ripercussioni sul piano sociale, familiare e professionale senza la presenza dei caratteri psicologici e fisiologici di dipendenza. Infine viene fatta un’ulteriore distinzione tra soggetti dipendenti con dipendenza fisiologica e soggetti senza questa dipendenza. Per considerare il problema è d’obbligo prendere in considerazione diversi fattori e quindi l’approccio dev’essere multidisciplinare. La dipendenza da sostanze sembra essere un fenomeno peculiare dell’adolescenza (sono rare le persone sopra i 25 anni che diventano tossicodipendenti), e l’emarginazione cui vanno incontro queste persone è responsabile di una maggiore incidenze di HIV, di scompensi psicotici e di decessi per overdose. Eziologia: 1. Per quanto riguarda i FATTORI BIOLOGICI si è puntato il dito sul sistema dopaminergico: questo sarebbe legato al circuito della ricompensa. Le droghe agendo sul sistema dopaminergico andrebbero a legarsi a questo circuito della ricompensa, responsabile della soddisfazione portata dalla droga, che però dal canto suo andrebbe a danneggiare il sistema. Il comportamento di dipendenza appare progressivamente con l’uso ed è seguito dal bisogno impellente e dall’attiva ricerca della sostanza: questo viene chiamato CRAVING. Inoltre si va a stabilire un collegamento tra questo sistema e le condizioni ambientali che accompagnano l’assunzione di droga, motivo per cui qualsiasi condizione simile potrebbe stimolarne il bisogno. Il modello psicobiologico del temperamento di CRONINGER invece si basa sulle dimensioni del temperamento. Esso individua tre dimensioni di temperamento correlate con l’uso di sostanze, che sono a) la ricerca di novità, b) la dipendenza dalla ricompensa, cui è legata una quarta dimensione definita come “persistenza”, e c) l’evitamento del pericolo. Il modello comprende anche 3 dimensioni di carattere: a) determinazione, b) cooperazione, c) trascendenza 2. Per quanto riguarda i FATTORI SOCIOLOGICI bisogna inquadrare la tossicomania nei disturbi del comportamento. Poiché le condotte tossicodipendenti sono in aumento nei paesi occidentalizzati si può far riferimento alla mancanza di ideali, o meglio alla presenza di questi in una condizione di inaccessibilità come uno dei fattori della tossicodipendenza. Inoltre l’importanza della famiglia è cardinale, poiché è al suo interno che si può attribuire al bambino un’eccessiva capacità di controllo degli impulsi e di apprendimento. Inoltre il padre perde progressivamente la sua funzione chiave di “moralizzatore” e con lo sbiadirsi delle barriere intergenerazionali il conflitto trova come unico sfogo il modo indiretto dei disturbi del comportamento. 3. Per quanto riguarda i FATTORI PSICOLOGICI è stato messo in luce come non esista una specifica organizzazione psichica alla base della dipendenza, ma si è ipotizzata una vulnerabilità che può portare i soggetti ad adottare comportamenti di dipendenza. Questi si autorinforzano e fanno sì che la personalità si organizzi intorno a questa vulnerabilità. Poiché la tossicodipendenza compare soprattutto nell’adolescenza, momento in cui l’adolescente si separa per rendersi autonomo si può immaginare che la vulnerabilità sia costituita da un attaccamento non sicuro, che provoca un’impossibilità di autonomia e un comportamento dipendente come strategia difensiva. 4. Il MODELLO INTEGRATIVO propone 3 livelli di analisi della dipendenza: il primo è quello del DSM che distingue l’abuso dalla dipendenza e la dipendenza fisica dalla non dipendenza fisica; il secondo è quello che corrisponde ai criteri utilizzati da Goodman che definisce la dipendenza quando un comportamento che procura piacere e sollievo e adottato tramite una modalità caratterizzata da incapacità del soggetto a controllare il comportamento e il perpetuarsi del comportamento nonostante le conseguenze negative. Il terzo livello è quello psicopatologico, che fa riferimento all’autoerotismo del bambino come possibile solo grazie all’interiorizzazione di un piacere dato da una relazione con la madre di tipo affidabile. Il bambino così sopporta l’attesa del momento di soddisfazione e questo calma le pulsioni e l’aggressività concedendogli un certo grado di dipendenza: il narcisismo dipende quindi dalla dipendenza in infanzia ed è inversamente proporzionale a quanto il bambino si è sentito impotente, così negli episodi di indipendenza c’è contatto con l’Altro. La dipendenza può essere una difesa dalla dipendenza percepita nei confronti dell’altro: viene scelto un oggetto esterno per proteggere il legame oggettuale cui far vivere quello che si è vissuto in infanzia, su cui avere un controllo. Ovviamente questo controllo è relativo, poiché la dipendenza fa sì che la persona sia dipendente dalla sostanza, riproducendo così il legame oggettuale; il legame con la sostanza presto assorbe tutti gli altri facendo in modo che solo tramite essa la persona possa percepire soddisfazione. In questo modo la condotta diventa sempre più totalitaria e si autorinforza. La tossicodipendenza si accompagna con diverse patologie non accomunabili tra loro (borderline, isteria, nevrosi d’angoscia, schizofrenia). Su quale base allora si fondano le tossicodipendenze? Fondamentale è considerare che sono condotte agite in cui si incontrano due gruppi psicopatologici: 1) i soggetti che hanno carenze affettive gravi e ricercano la stimolazione a rischio di disturbo somatico e psichico e hanno scarse capacità di elaborazione e rappresentazione; 2) un gruppo meno deprivato con sindrome ansiosa e depressiva. Il profilo della personalità tossicomanica sembra caratterizzato da: 1) secondo l’MMPI alti punteggi in psicopatia e depressione, 2) secondo altri alessitimia, 3) secondo rorschac borderline e antisociale. Per quanto riguarda l’associazione tra patologie psichiatriche e dipendenza si segnala: la Depressione, forte fattore di rischio. La dipendenza diventa una lotta contro la depressione, che così non viene elaborata e permane: l’elaborazione della dipendenza porterà ad un’eliminazione della tossicodipendenza; i disturbi del comportamento, che anche loro precedono la tossicodipendenza. 12) Disordini alimentari in adolescenza (Massimo Cuzzolaro) I disturbi alimentari generalmente considerati sono l’anoressia e la bulimia nervose, disturbi dei quali si ha notizie da secoli (bulimia anche nell’antichità). Poi vi sono i disturbi alimentari non altrimenti specificati DSM-IV: Anoressia nervosa: rifiuto di mantenere il peso nella norma e costante preoccupazione riguardo il peso, con distorsioni nel modo di sentire il peso e le forme del corpo, che influenzano la valutazione di sé in modo eccessivo. Sottotipi: 1) restrittivo, senza episodi di abbuffate o comportamenti di svuotamento; 2) bulimico, con episodi di abbuffate compulsive e/o condotte di svuotamento. Amenorrea nelle donne, per almeno 3 mesi consecutivi. Bulimia nervosa: presenza di abbuffate (almeno 2 a settimana per 3 mesi). Le abbuffate si caratterizzano per l’assunzione di cibo maggiore della norma e per la sensazione di perdita di controllo durante queste. Comportamenti inappropriati di gruppi di auto-aiuto. La prognosi è globalmente più positiva a breve termine, più negativa a lungo termine Gli strumenti di valutazione sono 4 questionari autosomministrati e un’intervista semistrutturata 1)BITE (Bulimic Investgatory Test) indaga la bulimia ha due scale, una dei sintomi e l’altra della gravità di questi 2) EAT (Eating Attitude) indaga i comportamenti e gli atteggiamenti legati all’anoressia, ha una forma lunga e breve e dispone di 3 sottoscale che misurano 1)la dieta (grado in cui vengono evitati cibi ad alto contenuto calorico); 2)controllo orale (il controllo che la persona esercita sull’alimentazione e la percezione di pressioni esterne perché aumenti di peso); 3)la bulimia e la preoccupazione rispetto al cibo. 3) EDI (Eating Disorder Examination) sia per bulimia che per anoressia: le prime 3 scale per gli aspetti 1) ricerca della magrezza; 2) insoddisfazione per l’aspett fisico; 3) condotte bulimiche, le altre per gli aspetti psicologici 4) BUT: indaga insoddisfazione per il corpo e il peso, 5 fattori: 1) evitamento; 2) controllo compulsivo; 3) depersonalizzazione; 4) preoccupazioni eccessive rispetto al fisico; 5) fobia dell’aumento di peso 5) EDE: intervista semistrutturata su anoressia, bulimia e binge eating disorder. 4 sottoscale: 1) preoccupazione forme del corpo; 2) preoccupazione per il peso; 3) preoccupazione per l’alimentazione; 4) restrizione. 13) Disturbi di personalità e disturbo di borderline in adolescenza (Enrico de Vito) Il disturbo di personalità è definito come un pattern stabile inflessibile e pervasivo di esperienza interna e di comportamento che si discosta in modo significativo dalla cultura di riferimento dell’individuo e che provoca un disagio clinico significativo in almeno 2 delle seguenti aree: cognitiva, affettiva, di funzionamento interpersonale e di controllo degli impulsi. Nel DSM-IV è codificato sull’Asse II ed è diviso in 3 gruppi: CLUSTER A: paranoide, schizoide, schizotipico CLUSTER B: borderline, narcisistico, antisociale, isterico-istrionico CLUSTER C: paranoide, evitante, ossessivo-compulsivo. Ai criteri diagnostici sono state mosse molte critiche a riguardo, intanto perché sembrerebbero non in grado di identificare patologie con espressioni meno gravi di quelle descritte, poi perché vi è una certa tendenza dei disturbi a sovrapporsi, e non si riesce ad inquadrare il DP in adolescenza. Per sopperire ai limiti dei sistemi diagnostici vengono usati i concetti di comorbilità, spettro psicopatologico e la diagnosi multidimensionale (fattori affettivi, comportamentali e cognitivi). Nella psicopatologia del disturbo di personalità possono entrare molti fattori. Secondo Masterson la causa del disturbo borderline sarebbe da riferirsi a 3 fattori: il primo è il processo di separazione-individuazione, e in particolare la fase del riavvicinamento, il secondo è il fatto che la madre borderline manda al figlio un messaggio in questa fase: il messaggio è che allontanandosi il figlio la perderà, mentre non separandosi da lei manterrà il legame. Il terzo fattore è costituito dal fatto che l’adolescenza rappresenta un secondo momento di separazione-individuazione. Per la teoria dell’attaccamento invece la sede del disturbo di personalità è da ricercarsi in un precoce attaccamento disorganizzato, frutto di un altrettanto disorganizzato attaccamento della madre o di traumi e abusi. Questi, secondo fonagy metterebbero il bambino nell’incapacità di accettare lo stato della mente dell’abusante al punto da distruggere la sua capacità riflessiva, cosa che poi porterebbe ad un disturbo borderline. Inoltre anche i fattori sociali, che promuovono la perdità dell’individualità segnerebbero un passaggio da fattori narcisistici nelle persone a diffusione dell’identità. DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA’: è un pattern pervasivo di instabilità dell’immagine di sé, delle relazioni interpersonali e dell’affettività con marcata impulsività. Per la diagnosi sono necessari cinque o più dei seguenti sintomi. 1) tentativi di evitare un abbandono reale o immaginario 2) modalità di relazioni interpersonali instabili e intense caratterizzate da svalutazione e idealizzazione 3) alterazione dell’identità 4) impulsività in almeno due aree potenzialmente pericolose per il soggetto come: spendere, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate 5) minacce, gesti, comportamenti suicidari o condotte automutilanti 6) instabilità affettiva dovuta ad una marcata reattività dell’umore 7) sentimenti cronici di vuoto 8) rabbia improvvisa e intensa e difficoltà a controllarla 9) ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori correlati ad eventi stressanti. Kernberg individua l’organizzazione borderline per diffusione dell’identità, difese (scissione e proiezione) e esame di realtà (mantenuto) Sostiene inoltre che le compromissioni del borderline riguardino: 1)L’identità dell’Io, tramite la quale la persona guadagna un costrutto integrato di sé e dell’altro e la capacità di provare empatia; 2)la Forza dell’Io che comporta la capacità di regolare gli affetti e gli impulsi; 3)il Super-Io. La debolezza dell’Io e la presenza di un Super- Io poco integrato rimandano agli assetti narcisistici: l’adolescente non riesce a mantenere un senso di continuità e di investimento durevole su se stess (quindi un adeguato livello di autostima) cui si accompagna la dipendenza dall’oggetto, cui risponde trattando le pulsioni come oggetti esterni e ad applicare nei confronti di questi le stesse misure difensive (scissione e proiezione predominanti sulle altre (diniego, controllo onnipotente, identificazione proiettiva) che cooperano per sostenerle. 14) Psicosi in adolescenza (Adolfo Pazzagli, Simona di Segni) Il rischio della diagnosi di psicosi in adolescenza è molteplice: da un lato vengono costruiti modelli dell’adolescenza in base alla psicosi e alla depressione (degli adulti) e poi si parte da questi modelli per parlare di psicosi in adolescenza. Senza parlare del fatto che alcuni ritengono l’adolescenza un periodo psicotico fisiologico, mentre altri non la vedono così e pensano che crisi in adolescenza possano fungere da trigger per successive psicosi. La diagnosi di psicosi in adolescenza è complicata perché non appartiene né all’area delle psicosi infantili né a quella delle psicosi degli adulti e gli errori che si fanno sono molti a cominciare dalla diagnosi differenziale tra schizofrenia e disturbo bipolare, poiché in adolescenza la componente affettiva di quest’ultimo è meno presente e può essere sottovalutata. Il termine psicosi può voler dire molte cose: in ambito psicoanalitico viene usato per indicare le nevrosi classiche (schizofrenia, paranoia, psicosi maniacale), in alcuni casi è sinonimo di schizofrenia, in altri fa riferimento alla visione strutturale di diffusione dell’identità, perdita dell’esame di realtà e difese arcaiche. Fino al DSM-III le psicosi comprendevano un grande insieme di disturbi incluso l’autismo. Dal DSM-IV invece si associano diverse sindromi ai fenomeni psicotici, la schizofrenia, i disturbi psicotici indotti da sostanze, il disturbo schizoaffettivo, i disturbi bipolari. Viene fatta una distinzione tra disturbi ad esordio precoce (EO) prima dei 17-18 anni e i disturbi ad esordio precocissimo (VEO) prima dei 13. Si ritiene che sia necessario lo sviluppo maturazionale della pubertà per permettere la nascita della psicosi. DSM-IV: 1. Schizofrenia: durata almeno di 6 mesi, presenza almeno per un mese di sintomi della fase attiva (allucinazioni, deliri, disorganizzazione del’eloquio, comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico) e da sintomi negativi (alogia, abulia, appiattimento dell’affettività). Vi è una fase prodromica, una attiva e una residuale. 2. Disturbo schizofreniforme: durata inferiore ai 6 mesi con assenza di deterioramento del funzionamento (per l’ICD non c’è) 3. Disturbo delirante: durata di almeno un mese (3 per l’ICD) di deliri non bizzarri. La sottotipizzazione si fa in base al contenuto del delirio (delirio erotomanico, delirio di grandezza, delirio di persecuzione, delirio di gelosia, delirio somatico, tipo misto) 4. Disturbo psicotico breve: durata meno di un mese e più di un giorno con presenza solo dei sintomi positivi. Si può distinguere se segue un fattore di stress (psicosi reattiva breve) o no. (Per l’ICD 4 sottotipi a seconda dei sintomi, della durata e del decorso) esterna. Solo che nel caso in cui l’adolescente non riesca a mantenere una distanza relazionale adeguata a causa da un lato della minaccia di abbandono e dall’altra da una vicinanza percepita subito come minacciosa la rassicurazione esterna narcisistica appare subito come la maggiore minaccia all’autonomia. I disturbi dissociativi in adolescenza (Sergio Muscetta) I disturbi dissociativi sono descritti dal DSM-IV come disturbi con sconnessione delle capacità di memoria, della coscienza, dell’identità o della percezione. I sintomi dissociativi possono presentarsi in disturbi acuti da stress, PTSD e nel disturbo di somatizzazione. 1. Amnesia dissociativa: incapacità di ricordare dati personali importanti solitamente di natura traumatica o stressogena 2. Fuga dissociativa: secondo l’ICD si riferisce ad “amnesia per qualche viaggio” e non include, a differenza del DSM l’incapacità di ricordare eventi della propria vita. Secondo il DSM-IV è un allontanamento inaspettato da casa o dal posto di lavoro con incapacità di ricordare il proprio passato, con confusione riguardo la propria identità o assunzione di un’altra identità 3. Disturbo dissociativo dell’identità: presenza di una o più identità o stati di personalità distinta ognuno con il proprio modo di sentire, pensare e relazionarsi. Almeno due di questi si devono alternare nel prendere il controllo del comportamento della persona (non può essere riferito all’esistenza di un amico immaginario per i bambini) 4. Disturbo di depersonalizzazione: La persona si sente in modo ricorrente distaccato o un osservatore esterno dei propri processi mentali o del proprio corpo, ma l’esame di realtà rimane intatto. La sintomatologia clinica è relativamente silenziosa perché i figli e i genitori tendono a nasconderla: non è quindi facile fare diagnosi, anche se la situazione è un po’ migliorata da quando si utilizzano strumenti di screening. A monte della dissociazione si considera sempre di più il trauma: la dissociazione avrebbe quindi una funzione di difesa nei confronti della mente perché compartimentalizzandone una parte e rendendola inaccessibile alla coscienza si preserva il funzionamento della parte restante della mente (e svolge così un’azione di analgesia e fa dimenticare). Uno potrebbe anche pensare: ah, rimozione e dissociazione son la stessa cosa! Ma così non è. Infatti la rimozione è un processo che richiede una scissione orizzontale: L’Io trasferisce dalla coscienza all’inconscio determinati contenuti, mentre nella dissociazione si parla di scissione verticale e il trauma, anche se non espresso a livello simbolico verbale rimane presente in ogni stato del Sé. La base biologico-genetica ipotizzata per il ricorso alla dissociazione risiede negli studi sull’ipnosi: si può individuare le persone con dissociazione più facilmente ipnotizzabili (cadono in trance anche per i fatti loro, checché ne dicesse freud). Inoltre la predisposizione alla dissociazione deriverebbe dall’ambiente familiare, dai fantasmi nella stanza dei bambini di cui parla la Fraiberg che volendo possono essere anche ricondotti (in un’ottica multidisciplinare) all’attaccamento di tipo disorganizzato dei genitori che promuove un identico attaccamento nei figli, con congelamento ed attivo evitamento del genitore come ne avesse paura.
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