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Ammaniti - Manuale di Psicopatologia dell'Infanzia CAP.2, Sintesi del corso di Psicopatologia

Riassunto CAPITOLO 2 La diagnosi in età infantile

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 17/12/2020

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Scarica Ammaniti - Manuale di Psicopatologia dell'Infanzia CAP.2 e più Sintesi del corso in PDF di Psicopatologia solo su Docsity! CAPITOLO 2 LA DIAGNOSI IN ETA' INFANTILE L'evoluzione dei sistemi diagnostici Solo a partire dagli anni 50' si è cercato di costruire un sistema diagnistico condiviso, basato sull'esperienza e sulle osservazioni cliniche in modo sistematico. In questo campo si parla di “sindromi psicopatologiche”: raggruppamento di segni e sintomi, basato sulla frequente co-occorrenza, che può far supporre una patogenesi sottostante, un passato, un quadro familiare ed una scelta del trattamento comuni. Segni: manifestazioni oggettive, osservabili e riconoscibili da un osservatore esterno. Sintomi: manifestazioni soggettive, avvertite e vissute direttamente dalla persona interessata. Il DSM I e II (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) presentavano limiti evidenti: ogni quadro clinico veniva definito in termini piuttosto generali, senza specificare, in termini operazionali, quali siano i criteri da utilizzare per arrivare a una diagnosi. Presentavano una bassa attendibilità, e quindi bassi livelli di concordanza fra clinici diversi rispetto allo stesso quadro clinico. Inoltre il decorso clinico non può essere previsto in maniera puntuale. Gli studi di attendibilità diagnostica del DSM III hanno invece dimostrato un miglioramento dell'attendibilità rispetto ai sistemi precedenti. Tuttavia anche questo presentava dei limiti: molti disturbi di personalità, pur essendo clinicamente rilevanti, non soddisfano i criteri del DSM, per cui ci si trova di fronte al fenomeno della falsa negatività: le maglie del sistema diagnostico sono troppo larghe. Il DSM IV costituisce la classificazione più recente basata su un sistema diagnostico multiassiale: per la valutazione tiene conto di vari assi, ciascuno rivolto a uno specifico campo di informazione (asse I: disturbi e sindromi cliniche; asse II: disturbi di personalità e ritardo mentale; asse III: condizioni mediche generali; asse IV: problemi psicosociali e ambientali, asse V: valutazione globale del funzionamento). Le diagnosi sono di tipo categoriale. Una critica importante al DSM IV riguarda la diagnosi di disturbo della personalità prima dei 18 anni: esso mantiene una concezione tradizionale, ignorando quanto è emerso negli ultimi anni nel campo della Infant Research e della Developmental Psychopatology, e cioè che, fin dai primi anni di vita dell'individuo, vi è una complessa strutturazione del funzionamento mentale e l'attivazione e modulazione dei sistemi motivazionali di base. Già al termine del primo anno di vita, il bambino raggiunge alcune capacità di regolare le proprie emozioni secondo una specifica e personale configurazione emotiva, e di stabilire legami di attaccamento stabili con le figure significative che rimarranno fondamentalmente stabili nel corso dell'infanzia e dell'adolescenza. Quindi il DSM IV appare inadeguato durante il periodo dello sviluppo infantile e adolescenziale. Critiche ai sistemi diagnostici Le critiche al sistema DSM sono state molto intense dal mondo psicoanalitico. In primo luogo si critica l'eccessiva attenzione al piano dei segni e dei sintomi: lo stesso sintomo può avere funzioni e significati multipli, per cui basarsi sui sintomi manifestasi può comportare diagnosi falsamente positive o falsamente negative; lo stesso insieme di criteri comportamentali possono essere presenti in disturbi diversi. Altra critica è al tentativo di eliminare i pregiudizi teorici: la teoria non è soltanto inevitabile, ma è essenziale per lo sviluppo di una tassonomia; senza di essa è impossibile valutare la validità del costrutto, centrale in ogni sistema diagnostico. Ancora, vi è un eccessiva attenzione all'attendibilità, a spese della validità, cosa che ha prodotto un sistema tassonomico molto frammentato. L'uso di distinzioni categoriali invece di quelle dimensionali sembra invece rispondere più al bisogno di creare un senso di apparente semplicità, che a riconoscere la complessità dei fenomeni clinici. Un'ulteriore problema è quello della comorbilità: essa non è una caratteristica della psicopatologia o della sua organizzazione, ma una conseguenza dei confini rigidi dati alle categorie diagnostiche. Per quanto riguarda i sistemi diagnostici relativi all'infanzia e all'adolescenza, previsti sia nel DSM IV che nell'ICD 10(classificazione delle sindromi e dei disturbi psichici e comportamentali), ci si può chiedere se un sistema diagnostico relativo alla psicopatologia dell'adulto possa essere applicabile ai bambini e agli adolescenti. Già Anna Freud, riteneva che i criteri relativi agli adulti non potessero essere applicati ai bambini in quanto i livelli funzionali spesso vanno incontro a fluttuazioni. Per lei, solo l'arresto dei processi evolutivi costituirebbe un disturbo. Un paradigma teorico utile in questo senso potrebbe essere quello evoluzionistico: l'utilità di questo appoggio sarebbe nella possibilità di integrare gli sviluppi delle neuroscienze e di organizzare un'interazione fra fattori biologici, psicologici e sociali ai fini dei processi di adattamento all'ambiente. Alcuni postulati di tale approccio sono: 1) gli strumenti mentali, emotivi e cognitivi di cui siamo dotati servono all'adattamento e alla sopravvivenza; 2) l'ambiente di adattamento evoluzionistico dei nostri antenati è completamente diverso da quello degli ultimi mille anni, e un breve lasso di tempo come questo è insufficiente a determinare importanti cambiamenti genetici e adattamenti che consentono di dattarsi a questi cambiamenti della vita sociale, per cui la maggior parte delle funzioni mentali sono state costruite per garantire la sopravvivenza delle antiche società dei cacciatori- raccoglitori; 3) alcune forme di psicopatologia possono derivare da esperienze precoci durante i periodi di neuroplasticità che garantivano la sintonia tra individuo e ambiente precoce, ma sono disadattivi in altri contesti, in fasi successive dello sviluppo. In questa prospettiva, Emde ha ipotizzato che schemi diagnostici alternativi possano includere “disturbi della relazione”, specie nei primi anni di vita: il disturbo può essere concettualizzato come una difficoltà che riguarda le transizioni fra l'individuo e l'ambiente. Un consistente gruppo di psichiatri infantili e psicoanalisti francesi ha proposto un sistema di classificazione diverso. Questa classificazione, che ripropone la distinzione psicoanalitica classica fra psicosi, nevrosi e disturbi della personalità, non ha trovato grande diffusione al di fuori della Francia, tuttavia, presenta aspetti interessanti in quanto non si limita a fornire criteri di tipo sintomatico ma considera anche la struttura evolutiva del bambino in cui possono manifestarsi segni di malessere più sfumati. Gli autori mettono in luce che, quando si devono affrontare scelte terapeutiche , non è sufficiente il criterio sintomatologico, ma occorre tenere presenti gli aspetti patogenetici e la struttura della personalità. Di recente, vari ricercatori si sono mossi cercando di costruire una classificazione basata su evidenze empiriche della psicopatologia dell'infanzia e dell'adolescenza. Detto che l'identificazione empirica delle sindromi non implica alcun assunto sulle cause o sul decorso clinico delle sindromi, tale classificazione è di tipo multiassiale: nell'asse I vengono considerati i resoconti dei genitori, nell'asse II quelli degli insegnanti, nell'asse III la valutazione cognitiva, nel IV la valutazione fisica e infine nel V la valutazione diretta del bambino. Dall'incrocio delle varie informazioni vengono valutate scale diverse delle sindromi internalizzanti (isolamento, manifestazioni ansioso-depressive, lamentele somatiche), esternalizzanti ( comportamento delinquenziale, aggressivo), e in posizione intermedia
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