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Ammaniti - Manuale di Psicopatologia dell'Infanzia CAP.8, Sintesi del corso di Psicopatologia

Riassunto CAPITOLO 8 Disturbi dell'alimentazione

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Scarica Ammaniti - Manuale di Psicopatologia dell'Infanzia CAP.8 e più Sintesi del corso in PDF di Psicopatologia solo su Docsity! CAPITOLO 8 DISTURBI DELL'ALIMENTAZIONE DEFINIZIONE Nella letteratura, i “disturbi alimentari dell'infanzia” comprendono una varietà di problemi specifici. Difficoltà alimentari transitorie sono comuni durante l'infanzia in alcuni momenti critici dello sviluppo e non costituiscono necessariamente un disturbo. Le linee guida presentate dai sistemi di classificazione diagnostica sono dunque importanti per determinare quando un problema alimentare diventa un disturbo. La Classificazione diagnostica : 0-3 definisce il disturbo dell'alimentazione, che può manifestarsi in momenti diversi dell'infanzia, come difficoltà del bambino a stabilire pattern regolari di alimentazione con un'adeguata immissione di cibo e a regolare la propria alimentazione con gli stati fisiologici di fame o di sazietà. Questa definizione permette di includere i quadri clinici specifici dell'anoressia infantile, della difficoltà di accrescimento non organica (non organic failure to thrive) e l'obesità infantile. QUADRI CLINICI E CRITERI DIAGNOSTICI L'alimentazione è un processo fisiologico che dipende dallo stimolo dell'appetito per dare inizio all'ingestione del cibo e dall'integrità dei sistemi cardiorespiratorio e gastrointestinale. I bambini mostrano sin dalla nascita evidenti differenze individuali nei cicli di fame- sazietà; alcuni neonati si svegliano e richiedono con intensità l'alimentazione, altri accettano passivamente di essere nutriti o inviano segnali di fame discontinui. Una difficile regolazione dell'appetito è una caratteristica individuale che si manifesta nei bambini con una difficoltà di accrescimento non organica (non organic failure to thrive), i quali possono non richiedere di essere alimentati per lunghi periodi di tempo. Inoltre, si riscontrano differenze individuali tra i bambini, rispetto alla sensibilità orofaringea. Questi bambini possono essere particolarmente sensibili alla consistenza del cibo e alla sua temperatura; questa ipersensibilità può essere selettiva e riguardare la specifica consistenza di alcuni tipi di alimenti. Può verificarsi una iposensibilità dei confronti del cibo, una minore sensibilità al sapore, al volume e alla consistenza degli alimenti. Da quando brevemente descritto, emerge l'importanza nella valutazione clinica di un'attenta osservazione dei pattern alimentari del bambino. L'espressione diagnostica “disturbo delle abilità alimentari” è stata suggerita da Ramsay e collaboratori per definire quadri clinici di disabilità di sviluppo nei pattern alimentari di assunzione del cibo. La difficoltà a stabilire pattern regolari di alimentazione può avere un inizio precoce in neonati che presentano una difficile regolazione di stato; durante l'alimentazione sono ipereccitabili, irritabili, piangono quando viene loro offerto il cibo o si stancano facilmente interrompendo in ogni caso il pasto con una scarsa assunzione di cibo. Questo disturbo alimentare può continuare nel tempo, oppure avere il suo inizio nel secondo semestre o tra il primo e il secondo anno di vita; è comunque possibile l'evoluzione verso un disturbo alimentare persistente con perdita di peso e di incapacità di aumentare di peso e pattern conflittuali della relazione bambino- caregiver. L'irregolarità dei pattern alimentari e il rifiuto del cibo insorgono nei primi anni di vita e si manifestano quale disturbo principale che causa un rallentamento della crescita psicofisica, in assenza di una condizione medica od organica che lo spieghi, ha portato a connettere da un punto di vista eziologico il disturbo alimentare alla difficoltà di accrescimento, identificando quest'ultima come difficoltà non organica della stessa (non organic failure to thrive). L'accordo di molti clinici e ricercatori porta a considerare la difficoltà di accrescimento (failure to thrive) attraverso 3 sintomi specifici della durata di almeno 1 mese: 1) perso corporeo al di sotto del quinto percentile rispetto ai valori normativi per l'età del bambino; 2) rallentamento dell'acquisizione del peso corporeo dalla nascita al momento attuale che si colloca almeno due percentili al di sotto dei valori normativi di crescita; 3) rapporto peso corporeo/altezza per l'età del di sotto del 90%. Riferendoci ora all'obesità nei primi tre anni di vita, emerge che pochi studi hanno esaminato questa difficoltà alimentare differenziandola da altre fasce d'età. Nella valutazione clinica del disturbo, i pediatri considerano l'indice di massa corporea, definito da rapporto peso/altezza per stabilire la presenza e il grado di sovrappeso; l'obesità esogena in cui è presente esclusivamente un eccesso di nutrizione viene differenziata dall'obesità endogena, causata da sindromi genetiche, endocrinologiche o neurologiche. Nel DSM-IV altri disturbi specifici, quali la pica e il disturbo di ruminazione, sono distinti dal disturbo della nutrizione. Nel disturbo della pica, le sostanze non alimentati tipicamente ingerite sono: capelli, tessuto, sabbia, insetti, foglie; la pica è frequentemente associata al ritardo mentale e non vi è generalmente avversione per il cibo. I bambini affetti da disturbo di ruminazione sono irritabili o affamati tra gli episodi di rigurgito, possono mostrare una caratteristica posizione di stiramento e inarcamento della schiena con la testa tenuta dietro,fanno movimenti di suzione con la lingua e danno l'impressione di ottenere soddisfazione. Ciò si associa spesso al ritardo mentale. Il disturbo dell'alimentazione , inoltre, può essere classificato come sintomo di altri disturbi, quali il disturbo post-traumatico da stress, il disturbo di adattamento. In particolare, quando il problema alimentare del bambino si accompagna a difficoltà di tipo sensoriale-motorio, e /o un basso tono della muscolatura, dovrebbe essere preso in considerazione lo specifico sottotipo dei disturbi della regolazione. EPIDEMIOLOGIA E DECORSO Si stima che circa il 25% dei bambini con un normale sviluppo psicofisico possono presentare un problema alimentare, mentre una percentuale più elevata, circa il 35&, si riscontra in bambini con difficoltà di sviluppo (prematurità, immaturità, handicap ecc). L'evoluzione dei disturbi alimentari infantili,rappresentano fattori di rischio per lo sviluppo dei disturbi evolutivi della crescita, di problemi comportamentali e disturbi della personalità. In particolare, la continuità clinica dei problemi alimentari dalla prima infanzia alla fanciullezza fino all'adolescenza viene confermata dallo studio di Marchi e Cohen che hanno esaminato un campione di oltre 800 soggetti, per un periodo di 10 anni; gli autori hanno evidenziato che lo scarso appetito e il rifiuto selettivo del cibo sono predittivi di un disturbo anoressico adolescenziale, mentre le irregolarità del comportamento alimentare e la pica rappresentano fattori di rischio per la bulimia nervosa nell'adolescenza. Le osservazioni delle interazioni precoci di bambini con disturbi della regolazione alimentare nei primi mesi di vita hanno messo in luce comportamenti di imprevedibilità e di incoerenza del caregiver durante l'allattamento, uniti alle difficoltà del caregiver di posizionare il bambino per favorire gli scambi sociali. In alcune ricerche sono emerse differenze significative; in particolare, i bambini con disturbo alimentare rifiutavano più spesso il cibo e mostravano segnali comunicativi meno chiari, mentre le loro madri erano meno ricettive e meno cooperative manifestando comportamenti arbitrari, direttivi e controllati sia nelle situazioni alimentari, sia in quelle di gioco. Pattern interattivi conflittuali sono stati osservati anche in campioni di madri, che presentavano una psicopatologia alimentare (anoressia nervosa, bulimia nervosa), suggerendo che le difficoltà di regolazione dei propri stati somatici ed emotivi conducano all'incapacità del caregiver di riconoscere empaticamente i segnali di fame- sazietà del figlio e le sue capacità autoregolative con ripetuti fallimenti negli scambi comunicativi. Altri gruppi di ricercatori hanno somministrato il Working Model of the Child Interview e l'Adult Attachment Interview, due interviste semistrutturate per valutare i modelli operativi interni delle relazioni di attaccamento, alle madri di bambini (età 1-36 mesi) ricoverati per problemi alimentari con difficoltà di accrescimento (non organic failure to thrive); è stato messo i luce che, queste madri erano più rigide nel modo di percepire i loro bambini, emotivamente distanti, meno sensibili rispetto i bisogni dei figli ed esprimevano pochi affetti positivi quando descrivevano i loro bambini. I risultati di queste ricerche sembrano confermare ulteriori studi che hanno utilizzato la procedura osservativa della Strange Situation. Questi studi hanno evidenziato che molti di questi bambini mostrano un attaccamento insicuro o disorganizzato e suggeriscono che nelle relazioni con i loro caregiver sono presenti elevati livelli di rabbia, imprevedibilità, paura e repressione emotiva. Sul versante dell'obesità infantile su base psicogena, pochi studi hanno esaminato questo problema alimentare in modo specifico nei primi 3 anni di vita. E' stata sottolineata l'incapacità del caregiver di interpretare i segnali di pianto del neonato, al quale viene offerto il seno o il biberon ogni volta che piange ritenendo che la nutrizione lo calmerà; nel bambino più grande nessun limite viene imposto dal caregiver intorno al consumo di cibo. Il risultato è un'iperalimentazione del bambino piccolo. Chatoor riferisce il caso clinico di una bambino di un anno che aveva perso la madre a causa di una morte violenta. Sei mesi dopo la scomparsa del genitore, la bambina mostrava comportamenti alimentari atipici, come alzarsi durante la notte per bere del latte e portare il biberon nel letto con sé; inoltre, si opponeva al fatto che i genitori adottivi cucinassero per lei e volessero darle da mangiare. MODELLI CLINICO-EVOLUTIVI ED EZIOPATOGENETICI Sulla base dei nuovi paradigmi teorici e di ricerca che tengono conto del ruolo svolto dai pattern relazionali bambino-caregiver nella nascita e nella stabilità dei disturbi alimentari nell'infanzia, sono state proposte alcune classificazioni clinico-evolutive che possono integrare i sistemi diagnostici del DSM-IV, dell'ICD-10 e della Classificazione diagnostica: 0-3. Kreisler ha elaborato uno schema di classificazione diagnostica che include diverse forme di anoressia infantile riconducibili a fallimenti del funzionamento interattivo materno, in quanto regolatore dell'equilibrio psicosomatico del bambino piccolo. L'anoressia comune precoce tra la fine dei primo semestre di vita e l'inizio del secondo in coincidenza di alcuni eventi scatenanti come lo svezzamento (ad esempio, la nuova consistenza degli alimenti), malattie, vaccinazioni, crescita dei denti. Il quadro clinico è caratterizzato da una madre angosciata e preoccupata che forza l'alimentazione del figlio e da un bambino attivo, curioso che mangia poco. Spesso sono associati altri sintomi come insonnia, vomito, dolori addominali. Woolston ha proposto una classificazione fenomenologica che collega le caratteristiche specifiche del bambino, della madre e della loro interazione. Essa include tre tipi di disturbi alimentari con difficoltà non organica dell'accrescimento: 1) tipo 1, o disturbo reattivo dell'attaccamento nell'infanzia (con inizio a 8 mesi di età) dove il bambino mostra un ritardo motorio, linguistico e nelle aree adattive; la madre è depressa e socialmente isolata, il bambino è apatico e durante il pasto e l'interazione con la madre si evidenzia una carenza di coinvolgimento; 2) tipo 2, o malnutrizione caloproteica semplice dovuta a una inappropriata dieta alimentare proposta al bambino dalla madre che è disinformata o è priva di risorse adeguate; 3) tipo 3, rifiuto patologico del cibo dove il bambino non presenta ritardi di sviluppo e il problema comportamentale si incentra sul rifiuto continuo del cibo; la madre è depressa e arrabbiata e la relazione madre-bambino è caratterizzata da interazioni ostili e di evitamento attivo da parte del bambino durante il pasto. Il tipo 3 si riferisce specificatamente a un disturbo alimentare infantile. Sulla base di studi clinici condotti su madri di bambini che presentavano disturbi alimentari precoci è stata messa in luce l'esistenza di esperienze psicosociali stressanti, come ansia, isolamento sociale, disturbi affettivi e disturbi della personalità. Concentrandoci sulle difficoltà alimentari caratterizzate dalla ridotta assunzione di cibo, Chatoor propone una classificazione clinico-evolutiva e sviluppa ulteriori approfondimenti, includendo 4 principali sottogruppi diagnostici: 1) disturbo alimentare dell'omeostasi; 2) disturbo alimentare dell'attaccamento; 3) anoressia infantile; 4) disturbo alimentare post-traumatico. Il disturbo alimentare dell'omeostasi è caratterizzato dalle difficoltà precoci di stabilire un'alimentazione regolare; il bambino è irritabile, ipereccitabile e si distrae facilmente, o è difficile risvegliarlo per l'alimentazione, presenta un'eccessiva sonnolenza e si stanca facilmente, terminando il pasto senza aver assunto l'adeguata quantità di latte. In genere, le madri riescono a compensare questa vulnerabilità del bambino regolando il livello di stimolazione durante l'allattamento, mentre alcune madri sono ansiose, stanche o depresse e, a causa di ciò, possono intensificare le difficoltà alimentari del figlio. La relazione diadica è caratterizzata da scarsa reciprocità con un inadeguato aumento di peso del bambino (non organic faile to thrive). Spesso questi bambini presentano successive difficoltà di autoregolazione nel passaggio all'alimentazione autonoma. Il disturbo alimentare dell'attaccamento (inizio fra i 2 e 8 mesi) evidenzia una mancanza di sintonizzazione tra la madre e il bambino, in una fase in cui gli scambi sociali, visivi, vocali, tattili consolidano il legame d'attaccamento; durante i pasti si osserva l'assenza di mutuo coinvolgimento e la mancanza di piacere nella relazione. Il bambino mostra una mancanza di risposte sociali appropriate per l'età nella risposta del sorriso, nella reciprocità vocale; si può osservare evitamento dello sguardo quando l'altro si avvicina, mancanza di reazione anticipatoria quando viene preso in braccio. Una depressione acuta, un disturbo della personalità, un abuso di droghe o alcool, conducono il caregiver alla mancanza di scambi comunicativi e affettivi con il bambino e l'irregolarità dei pasti. In questo disturbo, la madre spesso nega qualunque problema dell'alimentazione nel bambino. Il disturbo alimentare di separazione sorge tra i 6 mesi e i 3 anni, durante il passaggio all'alimentazione autonoma; in esso sono presenti un rifiuto persistente o un'estrema selettività del cibo e un conflitto intenso nella relazione caregiver-bambino relativo all'autonomia, alla dipendenza e al controllo; gli scambi interattivi mostrano una lotta per il controllo. Il rifuto del cibo varia da pasto a pasto e con i diversi caregiver determinando quasi sempre un'inadeguata assunzione di cibo. La madre ha difficoltà ad interpretare correttamente i segnali del bambino e a rispondere in modo non intrusivo (ad esempio, forza il bambino a mangiare quando è emotivamente stressato). Il disturbo alimentare post-traumatico in cui si osserva un improvviso rifiuto del cibo dopo un evento traumatico (ad esempio, ripetuti episodi di vomito) ed è presente una forte ansia anticipatoria con reazioni fobiche che si esprime ancor prima del pasto attraverso il pianto e le proteste. Il disturbo ha un forte sui genitori che diventano ipersolleciti verso il bambino, il quale accentua i comportamenti di dipendenza richiedendo ad esempio di dormire nel letto dei genitori per la paura di incubi notturni. Approfondendo il quadro clinico dell'anoressia infantile, Chatoor ha ipotizzato il modello transazionale. Questo modello sottolinea l'interdipendenza tra temperamento del bambino e personalità del caregiver all'origine di pattern interattivi disfunzionali. Le caratteristiche individuali e temperamentali di questi bambini si contrappongono alla vulnerabilità delle loro madri nell'accogliere e far fronte alle risposte negative e conflittuali che emergono negli scambi interattivi. Le madri dei bambini che presentano un persistente rifiuto alimentare hanno elevate aspettative rispetto al loro ruolo materno, si sentono insicure e misurano la loro competenza sulla base di come e quanto mangia il loro bambino. Queste madri nelle loro storie familiari hanno avuto un'educazione rigida, ipercontrollante o caratterizzata dal disimpegno emotivo dei propri genitori. Se la madre ha difficoltà a leggere correttamente i segnali del bambino e a rispondervi, il bambino assocerà il momento alimentare e l'interazione con la madre a stati emozionali negativi. Il bambino può allora rifiutare il cibo quando il suo comportamento alimentare viene condizionato dalla rabbia e dalla lotta emotiva con la madre.
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