Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

analisi A Silvia di G. Leopardi, Appunti di Italiano

analisi della lirica "A Silvia" di Giacomo Leopardi

Tipologia: Appunti

Pre 2010

Caricato il 17/08/2021

franci-frenci
franci-frenci 🇮🇹

3.6

(5)

22 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica analisi A Silvia di G. Leopardi e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! IM NI A F NPI 7 S /A A SILVIA - GIACOMO LEOPARDI A Silvia è una delle più famose liriche composte da Giacomo Leopardi. Redatta tra il 19 e il 20 aprile 1828, subito dopo Il risorgimento, venne poi trascritta in forma definitiva il 29 settembre; come consueto per il poeta di Recanati, il tema centrale è la distruzione delle speranze e delle illusioni giovanili. La "vera" Silvia Una consolidata consuetudine storica e romanzesca ha da sempre identificato Silvia in Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, nata il 10 ottobre 1797 e morta prematuramente di tubercolosi nel settembre 1818: il nome che le viene dato nella poesia è tratto dall'Aminta di Torquato Tasso. Leopardi ne parlò in un passo dello Zibaldone del giugno 1828: «[Teresa è] una giovane dai sedici ai diciotto anni [che] ha nel suo viso, ne’ suoi moti, nelle sue voci, salti ec, un non so che di divino, che niente può agguagliare. [...] quel fiore purissimo, intatto, freschissimo di gioventù, quella speranza vergine, incolume che gli si legge nel viso e negli atti, o che nel guardarla concepite in lei e per lei; quell'aria di innocenza, di ignoranza completa del male, delle sventure, de’ patimenti; quel fiore insomma, quel primissimo fiore della vita». Comunque, al di là dell’identificazione biografica, è importante soprattutto notare che Silvia diventa il simbolo della giovinezza, dell'amore, delle trepidanti attese, del vago fantasticare, interrotti troppo presto dalla morte, che fa cessare miseramente tutte le illusioni. Infatti, ciò che la unisce al poeta non è una vera e propria storia d'amore, bensì è la comune condizione giovanile, fatta di speranze e sogni destinati ad essere ben presto delusi. La morte di Silvia, il suo “cadere” rappresentano anche la morte di ogni speranza ed illusione giovanile del poeta. Per questo, si scaglia contro la natura, incapace di mantenere le promesse fatte; alla fine, resta solo la “fredda morte” a spegnere ogni immagine di vita. Tutto il componimento è pervaso dalla vaghezza e dal senso di indefinito che, per Leopardi, sono massimamente poetici: infatti non vi sono descrizioni, la figura femminile non presenta dettagli concreti. Gli elementi fisici e realistici sono solo un punto di partenza: l’unico particolare concreto cui si accenna è lo sguardo ridente, luminoso e al tempo stesso pudico che illumina la figura di Silvia e ne sottolinea l'atteggiamento spensierato, felice ma anche riflessivo; anche l’ambiente circostante è rarefatto e caratterizzato solo da pochi aggettivi evocativi: “quiete”, “odoroso”, “sereno”, “dorate”. La poesia è resa possibile soltanto dal filtro del ricordo, che, come il filtro “fisico” rappresentato dalla finestra del “paterno ostello”, rende le immagini sfocate, quindi “vaghe e indefinite”. La finestra, come la siepe de L'infinito, infatti, limita il contatto con il reale, scatenando l'immaginazione. Inoltre il filtro del ricordo concorre in maniera determinante a spegnere le illusioni, che non possono essere vissute ingenuamente come nella giovinezza, bensì sono interrotte dalla consapevolezza del vero. Tuttavia, anche se la poesia si chiude con l'immagine lugubre della morte, è tutta pervasa da immagini di vita e di gioia, poiché Leopardi vuole levare un grido di protesta contro la natura “matrigna” che ha negato queste cose belle all'uomo: non si rassegna al dolore, ma, pur nella disperazione, non rinuncia mai a rivendicare il diritto alla felicità. Nella prima parte, Leopardi domanda a Silvia se, dopo tanti anni, ricorda ancora i giorni felici nei quali si affacciava alla giovinezza. Quando anche il poeta aveva nel cuore la fiducia nella vita e, come Silvia, aveva pensieri piacevoli, speranze e belli gli apparivano il fato e la vita. Tuttavia questo è destinato a finire per colpa della natura, che promette negli anni della giovinezza e dell'adolescenza, ma poi non mantiene ciò che ha promesso. Nella seconda parte il poeta fa un paragone tra il destino della ragazza e il suo. Silvia moriva senza veder fiorire la sua giovinezza, senza poter parlare di amore con le compagne e senza godere delle lodi della propria bellezza. Con la sua morte, tramontava anche la speranza di felicità di Leopardi. A lui, infatti, come a Silvia, i fati negarono le gioie della giovinezza, dove sogni e speranze dovrebbero diventare realtà. Svaniti dunque i sogni con l'apparire della realtà dolorosa, non resta altro che la morte per liberarci dalla miseria e dalle amarezze della vita. A Silvia Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale, quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, e tu, lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivi? Sonavan le quiete stanze, e le vie dintorno, al tuo perpetuo canto, allor che all’opre femminili intenta 10 sedevi, assai contenta di quel vago avvenir che in mente avevi. Era il maggio odoroso: e tu solevi così menare il giorno. lo, gli studi leggiadri 15 talor lasciando e le sudate carte, ove il tempo mio primo e di me si spendea la miglior parte, d’in su i veroni del paterno ostello porgea gli orecchi al suon della tua voce, 20 ed alla man veloce che percorrea la faticosa tela. Mirava il ciel sereno, le vie dorate e gli orti, e quinci il mar da lungi, e quindi il monte. 25 Lingua mortal non dice quel ch'io sentiva in seno. Che pensieri soavi, che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor ci apparia 30 la vita umana e il fato! Quando sovviemmi di cotanta speme, un affetto mi preme acerbo e sconsolato, e tornami a doler di mia sventura. 35 O natura, o natura, perché non rendi poi quel che prometti allor? perché di tanto inganni i figli tuoi? Tu, pria che l’erbe inaridisse il verno, 40 da chiuso morbo combattuta e vinta, perivi, o tenerella. E non vedevi il fior degli anni tuoi; non ti molceva il core la dolce lode or delle negre chiome, 45 or degli sguardi innamorati e schivi; né teco le compagne ai dî festivi ragionavan d'amore. Anche peria fra poco la speranza mia dolce: agli anni miei 50 anche negàro i fati la giovanezza. Ahi, come, come passata sei, cara compagna dell'età mia nova, mia lacrimata speme! 55 questo è quel mondo? questi i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi, onde cotanto ragionammo insieme? questa la sorte dell’umane genti? All’apparir del vero 60 tu, misera, cadesti: e con la mano la fredda morte ed una tomba ignuda mostravi di lontano. Ana Nella prima strofa, il poeta rievoca la giovane chiamandola per nome, che torna, in anagramma, nel termine «salivi» (v. 6). La seconda strofa rappresenta la vita di Silvia, ricordata nella stagione primaverile, che rimanda alla serenità e alla leggerezza della giovane. Ella lavora al telaio, canta e immagina speranzosa il futuro. Con la terza strofa inizia il confronto tra la giovane e l'io poetico: questi descrive la propria giornata adolescenziale, affiancandola a quella di Silvia, impegnata nelle attività già menzionate nella seconda strofa (la tessitura, il canto). Al v. 16 si rintraccia una metonimia («le sudate carte»): gli studi del poeta sono così faticosi da far sudare, sebbene al v. 15 assegni loro anche “leggiadria”.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved