Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

ANALISI Apollo e Dafne - METAMORFOSI DI OVIDIO, Appunti di Latino

Continuo del file già presente in libreria - classico latino

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 27/01/2023

Mazzons02
Mazzons02 🇮🇹

4.3

(16)

59 documenti

1 / 7

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica ANALISI Apollo e Dafne - METAMORFOSI DI OVIDIO e più Appunti in PDF di Latino solo su Docsity! OVIDIO,METAMORFOSI 10/10/2020. Apollo e Dafne, pag. 314. Dafne è una ninfa, ossia una divinità della natura, ed è figlia di un fiume, il fiume Peneo. La ninfa ha il desiderio di rimanere vergine, per cui quando Apollo le fa delle offerte d’amore, lei le rifiuta, e si rivolge al padre, implorandolo di fare in modo che lei rimanga sempre vergine. Il desiderio di Dafne viene esaudito ma comporta una trasformazione: Dafne viene mutata in alloro, pianta che sarà sempre sacra al Dio Apollo, e quindi c’è l’eziologia doppia del fatto che l’alloro sarà sacro ad Apollo e del fatto che “alloro” si dica “dafne” in greco, quindi dal nome di una persona si ricava il nome di una pianta. Il mito quindi ha valore eziologico, che è un procedimento tipico della poesia alessandrina ed è molto grazioso e ricercato; l’originalità di Ovidio sta nel metterci quella malinconia sua, malinconia dei temperamenti raffinati, che si trasferisce naturalmente sui personaggi, i quali non sono personaggi rustici, ma sono personaggi quasi salottieri, che prendono un po’ il temperamento raffinato del loro autore, e la sensualità, l’abbandono ai sensi che qui è incarnato non tanto da Dafne, quanto da Apollo. La malinconia pervade un po’ tutto l’episodio perché si parla di un amore che non si realizza, malinconia che coinvolge anche il poeta, che ama realizzare gli amori. La sensualità riguarda, invece, il Dio Apollo, che qui non è visto nel suo aspetto glorioso o come colui che dà l’ispirazione poetica, ma è visto proprio come un innamorato, oltretutto dalle attraenti fattezze, perché in Ovidio sia gli uomini che le donne per sprigionare sensualità devono essere fisicamente belli. Nel brano si assiste a un “transfert culturale”, poichè il mito, che è di origine greca, qui è piegato a simboleggiare Augusto, che si compiace del trionfo come Apollo è coronato dall’alloro. Apollo si può quindi considerare come la divinizzazione di Augusto: dietro a ciò c’è un’attualizzazione del mito, che non è da leggere nel senso di un omaggio vero e proprio, ma di un semplice accenno all’attualità. Quindi, dietro l’amore per la gloria di questo Apollo che si cinge le tempie con l’alloro, c’è la figura di Augusto trionfatore. L’antefatto, pag. 314. L’antefatto non è altro che il fatto che Cupido scaglia la freccia su Apollo: Il primo amore di Febo, Dafne, la figlia del Peneo, non era stata un regalo del caso incosciente, ma del rancore crudele di Cupido. L’aveva intravisto, il Dio di Delo, orgoglioso della fresca vittoria sul Serpe (nuper victa serpente superbus=questa impresa è la più famosa di Apollo: egli liberò Delo, la città che per questo sarà poi dedicata al suo culto, dalla minaccia di un mostro, il Pitone--da qui la sua denominazione ‘’Apollo Pitio’’--. Quest’impresa incarna la figura di Apollo glorioso: la vittoria sul Pito è fresca, è recente (nuper), quindi il dio sta tornando da un’impresa eroica, quando subito lo colpisce la freccia di Cupido. Questo è un gesto “metapoetico”: Ovidio ha ripreso un soggetto dalla mitologia divino, glorioso, epico ed eroico, e ne ha fatto un eroe amoroso) curvare le corna dell’arco tendendo la corda e: “Che ne fai, ragazzaccio, di un’arma da adulto?” gli aveva detto “È un gingillo che meglio sta alla mia spalla: io so assegnare a una bestia, a un nemico, ferite infallibili e ho appena steso Pitone, che copriva col ventre pestifero acri e acri, rigonfio, con innumerevoli frecce. Contentati di attizzare non so che razza di amori con la tua fiaccola, e non arrogarti il mio vanto” (qui Apollo ancora non è stato colpito dalle frecce di Cupido, perciò non ne conosce ancora il potere e per questo si vanta della sua potenza di arciere) E il figlio di Venere: “Febo, trafigga pure il tuo arco il mondo intero, ma il mio colpirà te” (segno del cambiamento Ovidiano: dio non più invincibile), gli rispose. “Di tanto quanto i viventi stanno al di sotto di un dio la tua gloria è inferiore alla mia”(contesa fra le due divinità) . Batté poi le ali fendendo l’aria veloce, andò a porsi sul picco ombreggiato del Parnaso (monte della poesia che si trova nella Grecia centrale, nell’Arcadia), e qui tirò fuori, dalla faretra piena di frecce, due dardi di effetto contrario: uno scaccia, uno induce l’amore (qui il poeta sta costruendo abilmente il suo antefatto: l’amore è incarnato in un piccolo fanciullo capriccioso, come per dire che l’amore è un fanciullo capriccioso che fa quello che vuole, prendendosi gioco anche dei grandi, degli eroi e degli dei). È d’oro, la freccia che induce, e ha una punta affilata, lucente, è smussata, la freccia che scaccia, e sotto la canna è di piombo.(attraverso la simbologia dei metalli, è ancor meglio sottolineata la differenza tra le due frecce: la freccia che fa innamorare è d’oro, affilata, lucente e smussata, descritta in tutto il suo splendore; la freccia che scaccia invece è smussata simbolicamente. L’amore che arriva, infatti, ferisce).Con questa il dio trafisse la ninfa, figlia del Peneo, con l’altra ferì trapassandogli le ossa, Apollo al midollo. (qui è anche significativo il modo che ha Cupido di ferire chi viene fatto innamorare, cioè viene ferito con la freccia d’oro, gli vengono trapassate le ossa fino al midollo: qui si può trovare benissimo l’allusione ad un sacrificio, perché durante il sacrificio animale, il “macellaio sacro” tagliava la vittima seguendo le giunture precise delle ossa, e, seguendo il midollo, non tagliava le ossa e le articolazioni, quindi se questa freccia arriva fino al midollo è una freccia che quasi sacrifica l’animo alla divinità dell’amore). Il rifiuto di Dafne, pag. 318. (Protinus alter amat; fugit altera nomen amantis,) E subito lui s’innamora, lei fugge anche il nome di amante (questo è un verso scorrevolissimo sia per la presenza di ‘’ alter amat’’ nel primo mezzo verso e ‘’altera amantis’’ nell’altrà metà, le stesse parole ma con verbi diversi, sia per l’antitesi tra amat e fugit messi accanto: si cesella in un unico verso la concezione Ovidiana dell’amore come fuga ed inseguimento. Notiamo la sinteticità e il cesello perfetto di questo verso), non cerca che il folto dei boschi e le pelli strappate alle bestie (perché Dafne vuol essere casta come lo sono le giovani vergini votate a Diana, quindi alla caccia) che ha preso, seguendo l’esempio di Febe, nemica alle nozze. In molti l’hanno pretesa, ma lei, i pretendenti, li sprezza: insofferente degli uomini e libera, va a rifugiarsi nei boschi deserti: che siano Imene, l’amore, le nozze, non vuole saperlo. Suo padre ripete: “Da te voglio un genero, figlia”. Suo padre ripete : “ Voglio da te dei nipoti”. Ma lei, che aborrisce le fiaccole nuziali come un delitto(Dafne Teocrito. In Teocrito, infatti, vedremo che i pastori quando si innamorano di una ragazza si vantano davanti a lei per mettersi in bella mostra (ad esempio il pastore Polifemo che dice a Galatea di essere innamorato, bello, sincero...). La stessa cosa qui fa Apollo, che si vanta di essere una divinità. Nonostante questo Apollo continua a essere visto da Dafne come un nemico, sta soffrendo anche dall’alto della sua divinità, perché Amore non risparmia nessuno). Non sai, pazza, non sai da chi fuggi: per questo mi fuggi.(altra motivazione della fuga: Dafne sta fuggendo perché non sa da chi sta fuggendo; se sapesse chi è Apollo, probabilmente non fuggirebbe, ma è una motivazione illusoria perché è impossibile che la realtà cambi). Ai miei ordini stanno il paese di Delfi, Claro e Tenedo e il regno di Patara: Giove, mio padre, è compito mio rivelare che avverrà, che è avvenuto, che avviene; è compito mio concertare il canto e le corde. La mia freccia va al segno, ma un’altra va più infallibile a segno: mi ha fatto lei questa piaga, nel petto fin qu senza amori.(nei versi di Leopardi vedremo un’influenza Ovidiana, “Tu dormi, che t'accolse agevol sonno. Nelle tue chete stanze; e non ti morde. Cura nessuna; e già non sai nè pensi. Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.”). ( Apollo continua a vantarsi: Ovidio quasi ironizza sulla sua spavalderia. Per questo si dice che Ovidio usa la mitologia a modo suo: si sente libero di elaborare il rapporto con Dio senza sacralizzarlo, come anche non si fa problemi a parlare del potere senza esaltare la figura di Augusto) La medicina è una mia scoperta: nel mondo mi chiamano il Guaritore, e governo il potere delle erbe. Ma non esiste una pianta che sappia guarire l’amore: (“nec posunt domino, quae prosunt omnibus, artes!”, e qui abbiamo il termine ars: le arti, appunto l’Ars Amatoria, sono tecniche che lui conosce perfettamente ma che, però, su di lui non hanno effetto //le arti curano tutti ma non curano il loro signore//). Avrebbe altre cose da dire: ma scappa, fuggendo atterrita la figlia del Peneo, piantandolo in mezzo a una frase. Anche allora, a lui parve bellissima, le spogliavano il corpo le folate, palpitava la veste opponendosi al soffio dei venti(immagine scultorea, quasi da statua del Canova) e l’aria leggera buttava all’indietro e rialzava i capelli. La fuga l’ha resa più bella.(l’amore è bello perché fugge, se si fermasse ci annoierebbe. La fuga rende Dafne più bella: ‘’in amor vince chi fugge’’). Ma rinuncia a sprecare altro fiato, il giovane dio, per sedurla: a spronarlo c’è Amore in persona, così affretta il passo a inseguirla. Al modo in cui vede una lepre in campo aperto un levriero celtico, e corre a cercare lui la preda, ma lei la salvezza, è convinto di stare per prenderla, l’uno conta di averla fra un attimo e allarga le fauci per azzannarle le zampe, ma l’altra gli sfugge tra i denti lasciandosi indietro quel morso che già la costringe, e non sa se sia o non sia prigioniera, così corrono il dio e la ragazza, sospinto dalla speranza per lui, spinta lei dal terrore.(Ovidio descrive tutto l’amplesso amoroso, come un inseguimento e un combattimento, e dal mondo degli animali si trae quella sensualità che si trasferisce ai personaggi umani. È UNA LUNGA SIMILUTIDINE in cui c’è una sproporzione fra il termine di paragone e la cosa che viene paragonata. La cosa che viene paragonata è la corsa del dio e della ragazza, lui sospinto dalla speranza, lei dal terrore). Ma le ali d’Amore sostengono quello che insegue: non le dà tregua, è più rapido e già le sta addosso, mentre lei scappa, alla schiena, ansandole(questo fiato affannoso che quasi si poggia su di lei sembra voglia anticipare il fiato della vicinanza del bacio, delle carezze, degli abbracci…)dentro ai capelli sparsi sul collo. Lei è pallida, ha perso le forze, spossata dalla fatica della fuga veloce. Ma vede le onde del Peneo e lo invoca:(la fuga finisce sulla riva del fiume, quando lei poi chiede al padre di preservarla da questo inseguimento) Il finale del racconto: le metamorfosi, pag. 325 (“Fer, pater, opem” “Padre portami aiuto”. Questo è un modulo liturgico, di preghiera, che ci fa notare come la religiosità venga inserita in un modo tutto Ovidiano nelle sue poesie).“Soccorrimi, padre! Se in voi c’è potere divino, fiume, trasforma e smarrisci questa bellezza che ha acceso un amore eccessivo”. […] Appena finito la supplica, la invade un pesante torpore le membra(MOMENTO DELLA METAMORFOSI), [TUTTI I VERBI SONO VERBI DI MOVIMENTO E DI UN MOVIMENTO PROGRESSIVO, un pesante torpore le INVADE le membra, (progressivamente la RIEMPE), una lieve corteccia le CINGE il morbido seno, i capelli si LEVANO in foglie, le braccia SI DRIZZANO in rami, i piedi fin lì così rapidi Si FISSANO in lente radici, la chioma le INVADE la faccia:](NOTIAMO L’ABILITÀ DI OVIDIO NELL’USARE TUTTI QUESTI VERBI DI MOVIMENTO PER RENDRCI LA SCENA PLASTICA, in un crescendo di intensità) non resta di lei che il fulgore(“ora cacumen habet, remanet nitor unus in illa.” UNICO IN LEI RIMANE LO SPLENDORE. E’ esplicitato il preservarsi dell’anima umana nel corpo inerme. Queste sono anche delle modalità che influenzeranno il D’Annunzio quando scriverà le Ludi di Alcione,in cui trasfigura le sue numerose amanti). Anche così, Febo l’ama e posando la mano sul tronco le sente il cuore che palpita, sotto la nuova corteccia. (QUI C’È L’ABBRACCIO VANO, CHE È DRAMMATICO, MA SEMPRE IN MODO CONTENUTO, E’ PIÙ MALINCONICO CHE TRAGICO) Le stringe ai rami le braccia, come se fossero membra, le copre il legno di baci: ma il legno respinge i suoi baci. Il dio: “Se è vero”, le disse, “che non posso più averti per sposa, sarai, se non altro, il mio albero:( parte erudita, quella alessandrina, eziologica): ti porterò sempre addosso, allora, dentro i capelli, sulla cetra e la faretra.( pur di tenerla con sé la trasforma nel suo simbolo. Questo è il procedimento dotto con cui Ovidio spiega com’è nato il rapporto simbolico fra Apollo e l’alloro). Ai condottieri del Lazio farai compagnia nel Trionfo intonato da un coro festoso, e cortei interminabili vedrà il Campidoglio. Davanti alle porte di Augusto monterai fedelissima guardia, proteggendo la quercia nel mezzo: e come io non mi taglio i capelli, e la mia è la testa di un giovane, anche tu porterai l’ornamento di foglie perpetuo”.(cioè sarà un alloro che non si seccherà mai, sarà sempre giovane come me e come questo amore). Pean tacque, l’alloro annuì con i rami appena spuntati, e già parve accennare col vertice, come se fosse una testa.(Il gesto finale scioglie tutta la tensione dell’opera, con una conclusione simile a quella di una favola).
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved