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Analisi componimenti Ungaretti, Sbobinature di Letteratura Contemporanea

Analisi componimenti: IL PORTO SEPOLTO, VEGLIA, C’ERA UNA VOLTA, ALLEGRIA DI NAUFRAGI, L’ISOLA, LAGO LUNA ALBA NOTTE, LA MADRE, GRIDASTI: SOFFOCO, L’IMPIETRITO E IL VELLUTO.

Tipologia: Sbobinature

2018/2019

In vendita dal 28/07/2019

sm17
sm17 🇮🇹

4.5

(164)

84 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Analisi componimenti Ungaretti e più Sbobinature in PDF di Letteratura Contemporanea solo su Docsity! IL PORTO SEPOLTO Il breve componimento attribuisce all’avventura poetica la fisionomia di un viaggio e di un approdo ad un porto. Il pronome “Vi” allude proprio al “porto sepolto”, a quel modo misterioso dove solo il poeta può giungere. Emerge subito quindi una concezione magico-orfica del ruolo della poesia, che è intesa come svelamento di un segreto che solo l’ispirazione poetica può penetrare. Al tempo stesso nel termine c’è anche la percezione che qualcosa della scoperta poetica vada irrimediabilmente perso. Infatti gli ultimi quattro versi affrontano il problema della perdita della rivelazione. Ungaretti, a cui resta “quel nulla d’inesauribile segreto”, sottolinea così che ogni discesa nel “porto sepolto” non è mai definitiva e che il mistero dell’animo umano può essere attinto solo per fugaci apparizioni. PARAFRASI: Il poeta vi discende (nel porto sepolto) e poi riemerge con le sue poesie e le diffonde tra gli uomini Di questa poesia mi rimane un mistero insondabile e indicibile. Ungaretti inizia in questo componimento a mettere in gioco temi che saranno costanti nella sua produzione: in primo luogo il naufragio e l’abisso. Dal punto di vista metrico, questo componimento è emblematico della produzione poetica ungarettiana: la lirica è composta da versi liberi e molto brevi, inframmezzati da pause frequenti. La protagonista assoluta è la parola “nuda” e la punteggiatura è del tutto assente. Come molte poesia di questa raccolta e anche dell’Allegria di Naufragi, il testo è preceduto dall’indicazione di luogo e data di composizione, come se le poesie debbano comporre un diario lirico dell’esperienza di guerra. Figure retoriche: • “e poi”, “e li”: anafora; • “di cui è stata”, “di inesauribile”: anafora; • “nulla / di inesauribile” costituisce un enjambement e un ossimoro. VEGLIA La data in cui il poeta l'ha composta ci indica immediatamente che anch'essa fa parte delle “poesie di guerra” che Ungaretti scrisse mentre si trovava soldato al fronte in occasione della prima guerra mondiale. In questi brevi versi scopriamo tutta l'intensità di quel sentimento di allegria che l'uomo prova nel momento in cui sfugge la morte e che dà il titolo all'intera opera. Sdraiato accanto a un commilitone morto il poeta avverte più forte che mai la presenza della morte nella vita umana, ma reagisce scrivendo “lettere piene d'amore” e celebrando il proprio attaccamento alla vita. Parafrasi: Un’intera (sottolinea la pena e l’orrore per quella lunga vicinanza forzata) notte sdraiato (buttato: quasi come un corpo inerme, perché costretto a rimanere immobile in quella posizione per evitare spari che potrebbero uccidere anche lui) accanto al cadavere di un compagno massacrato (questa parola occupa un intero verso a rafforzare l’atrocità di quella morte) con la bocca contratta in una orrenda smorfia di dolore (digrignata: la deformazione dei tratti del compagno morto in una maschera d’orrore; questa immagine priva la scena di ogni eroismo), rivolta verso la luna piena (volta al plenilunio l’immagine della luna trasmette pace, serenità, in netto contrasto con l’immagine di morte e violenza della scena al contempo la luna funziona come una sorta di occhio di bue che concentra tutta la sua luce su questa scena in cui morte e vita appaiono indistinguibili, accomunati dalla medesima immobilità), con le sue mani contratte e congestionate (congestione: l’accumulamento rapido del sangue rende gonfie e livide le mani del morto - metonimia) che penetrano (penetrata - metafora) fin nel profondo dei miei pensieri (nel mio silenzio) ho scritto lettere piene d’amore (la contrapposizione tra vita e morte è totale: alla morte il poeta oppone la vita ”della scrittura” per recuperare i lontani legami affettivi e come reazione alla disperazione; queste “lettere” sono metaforicamente indirizzate a tutta l’umanità, con la quale il poeta, proprio in un momento di estrema difficoltà, riscopre un profondo senso di fratellanza.). Non sono mai stato tanto attaccato alla vita (vi è dello stupore da parte del poeta per questa istintiva reazione che lo porta a sentirsi tanto legato alla vita. La stupita constatazione è messa in rilievo dalla pausa che stacca gli ultimi tre versi dal resto della poesia e dalla rima al mezzo “stato/ attaccato”). Dal punto di vista stilistico, notiamo la tipica tensione verso l'essenzialità da parte di Ungaretti e la brevità del testo, tutto incentrato sull'uso del participio passato. Metro: versi liberi, intessuti di richiami fonici e da ricorrenti rime o assonanze non regolate. Evidente anche l’insistenza su alcuni suoni forti e duri, come quello della della dentale - t - o della - r - (“intera nottata”, v.1; “buttato”, v. 2; “massacrato”, v. 4; “penetrata”, v. 10; “attaccato”, v. 16). La poesia ungarettiana, soprattutto quella della fase del Porto sepolto, si gioca anche su studiati effetti grafici; in questo caso lo spazio bianco che isola i tre versi finali contribuisce a sottolinearne meglio il messaggio, che suona quasi come una sentenza assoluta: anche nell’orrore della guerra, non viene meno l’amore (e l’attaccamento) a ciò che resta della vita. C’ERA UNA VOLTA In “C’era una volta” il poeta si allontana per un momento dalla dimensione reale di guerra e si abbandona al sogno; sogna di potersi appisolare sul prato alla luce della luna. Il prato soffice come il velluto gli dà il senso di una comoda e calda poltrona in un caffè, remoto perché lontano, illuminato da una luce fievole di cui è emblema la luce della luna (abbiamo dalla prima alla seconda strofa lo slittamento dal paesaggio en plein air del teatro di guerra al pacificante altrove di un confortevole spazio interiore). Nelle “Note” all’Allegria lo stesso Ungaretti ha affermato di riferirsi ad un “Caffè” preciso, ossia quello parigino, frequentato dai suoi amici che collaboravano alla rivista “Grammata” e dove lui andava insieme all’amico egiziano Moammed Sceab a cui è dedicata il componimento “In memoria”. Il titolo “C’era una volta” è una chiave di lettura: Il C’era una volta, infatti, è l’espressione con cui in genere si iniziano a raccontare le fiabe e a tal proposito il bosco (riferito anche all’ambientazione reale di Bosco Cappuccio ), il verde del prato, la luna sembrano conferire al sogno un aspetto fiabesco; ma il “C’era una volta” potrebbe stare ad indicare anche il fatto che quello che il poeta sogna fa parte di un passato lontano che si pone in contrapposizione allo stato di guerra in cui si trovava. ALLEGRIA DI NAUFRAGI Precedentemente la poesia non presentava tale titolo, ma “La filosofia del poeta”: significa che con questa poesia ci troviamo innanzi ad un’altra dichiarazione di poetica. Il testo ripropone il tema fondamentale della raccolta: nell’esperienza della guerra e del dolore, si riafferma la forza della vita, l’uomo riprende il suo viaggio per una spinta istintiva che si sprigiona dal profondo in un’esperienza estrema. Ungaretti ritaglia il caso particolare di un marinaio di esperienza (lupo di mare) al quale il naufragio fa scattare un nuovo impulso a vivere.
 Il naufragio non rappresenta dunque la fine del viaggio è bensì un avvenimento intermedio di esso che poi sempre deve ricominciare: le stesse parole viaggio-naufragio: rima imperfetta quasi come se il poeta cercasse di stringere anche sul piano fonetico due parole che per lui sono semanticamente vicine. PARAFRASI DISTICO: La “conca lucente” è il perimetro del lago che sembra trasportare il nostro sguardo (sempre De Benedetti parla di un movimento simile a quello di una macchina da presa) fino al punto da cui sorge il sole, come se il sole sfociasse nel lago, come se fosse un fiume immissario di un lago. Si passa già alla notte, come fosse passata tutta una giornata dall’alba alla notte in cui non è successo niente che fosse degno di essere annotato o ricordato. PARAFRASI DISTICO: “Torni ricolma di riflessi” può significare: “Tu anima non avevi più riflessi, non avevi più colore, torni ad essere colma di riflessi, oppure “Tu che ti sei immersa in questo lago torni, e tornando sei ricolma di riflessi”. Nel primo caso: ricolma sarebbe un predicativo “tu diventi ricolma”; nel secondo: ricolma è un semplice attributo “tu ricolma, torni”. “E ritrovi ridente l’oscuro”: qui c’è un’altra ambiguità perché “ridente” può riferirsi sia ad anima che all’oscuro e ancora una volta non si può capire quale sia l’interpretazione più valida: Primo caso: “Tu anima sei ridente e rincontri la notte”; Secondo caso: “Tu anima ritrovi la notte ma adesso la trovi ridente, come se la notte adesso ti sorridesse” = dopo aver visto questa conca lucente sei piena di riflessi e quindi anche la notte non è più tanto ostile. Dopo un’altra pausa, un verso isolato funge da clausola. Anche il tempo è assente nell’ostile, come l’uomo, forse proprio perché l’uomo è fatto di tempo, perché è il tempo che plasma l’uomo. PARAFRASI DISTICO: Il tempo in questa strofa è colto nel suo passare, è colto nel suo essere semplicemente un tremito che fugge (l’allitterazione della dentale ci suggerisce l’immagine del tremore). LA MADRE Ci accorgiamo immediatamente che il senso è qui più facile da cogliere. Questa poesia è scritta in occasione della morte della madre, però non è incentrata sulla morte della donna, bensì sulla morte del poeta: Ungaretti immagina cosa succederà quando lui morirà e si ritroverà con la madre. Vediamo quindi espressa la visione religiosa di una vita che continua dopo l’amore; a differenza della fase iniziale, quella del Porto Sepolto, dell’Allegria, in cui si sente un principio divino che organizza il cosmo, ma non c’è una religione precisa rivelata, qui invece Ungaretti abbraccia esplicitamente il cristianesimo. A Roma Ungaretti scopre Michelangelo e si sofferma anche sul senso della religione per l’artista. Quando Michelangelo rappresenta nella sua ultima opera “Pietà Rondanini” Cristo è rappresentato come un corpo disanimato, un corpo vuoto e in quell’effetto della giustizia Michelangelo non vede se non orrore, abbiamo una donna anziana che ha orrore della morte del figlio. Guardando la Pietà, con questa madre disperata che forse in quel momento ha dubitato della reale resurrezione del figlio, Ungaretti si domanda: Era davvero un cristiano? Michelangelo da una rappresentazione davvero disperata della morte, e vediamo che visione disperata della morte ci da Ungaretti: Ungaretti qui sembra parlarci invece proprio dell’idea della resurrezione. L’incipit siglato dalla congiunzione, procedimento già adoperato nell’Allegria, oltre a marcare il collegamento sintagmatico tra i vari nuclei di Sentimento del Tempo, rafforza il senso di regressione alle origini che la riflessione del poeta sulla propria morte comporta. PARAFRASI: E quando il cuore, con il suo ultimo battito, avrà fatto cadere il muro d’ombra (immagine ossimorica: noi nel muro immaginiamo qualcosa di solido; il muro indica qui forse è il limite della vita, ovvero quel qualcosa che, impalpabile e labile come un’ombra, ci divide da Dio e dall’eternità) per condurmi, madre, davanti al Signore, come quand’ero bambino (“Come: l’anafora introduce le similitudini delle prime tre strofe) mi terrai per mano. In ginocchio, decisa (risoluta nel voler ottenere il perdono per il figlio), resterai immobile come una statua di fronte a Dio (immagina la madre che aspetta il giudizio divino), nello stesso atteggiamento in cui (Dio) ti vedeva anche in vita [alludendo al fatto che la madre già nella sua vita aveva dato prova di fermezza, di decisione, ma anche di fede]. Alzerai tremante le braccia al cielo come quando morendo (da queste note noi capiamo che la madre era anziana quando morì, era tremante; abbiamo questo tratto che è tutto umano, mentre l’immagine della statua, del carattere deciso precedente ce la presenta poco umana) dicesti: eccomi Mio Dio (indica coraggio e non paura di affrontare il giudizio divino). E solo quando Dio avrà espresso il suo perdono (“m’avrà perdonato”: il soggetto è Dio), desidererai guardarmi (soltanto nel momento in cui la madre riesce ad ottenere il perdono di Dio per i peccati del figlio, solo allora si concede il lusso di guardarlo non perché non l’abbia atteso, ma perché doveva prima salvargli la vita “eterna”, per cui ogni desiderio viene posposto). Allora ricorderai di avermi atteso a lungo e finalmente ti sentirai sollevata e serena (“un rapido sospiro” sinestesia: è un sospiro di tenerezza e di sollievo per l’avvenuto perdono). GRIDASTI: SOFFOCO Doveva far parte del “Dolore”, non la inserì lì perché gli sembrava racchiudesse motivi interamente suoi, personali; finché ad un certo punto ritiene ormai di aver superato quel riserbo che forse era presunzione e le pubblica in “Un grido e paesaggi”. Qui il grido non è più un grido di liberazione, non c’è più il grido come espressione del proprio io, della propria individualità, è un grido come espressione della sofferenza. I versi hanno una cadenza quasi ossessiva, ci sono continue ripetizioni, continue anafore, epifore oppure troviamo epanalessi (ripetizione di parole non a inizio verso, ma consecutiva), anadiplosi (ripetizione all’inizio di due segmenti testuali affiancati non verticalmente, ma orizzontalmente). La prima strofa ha una cadenza narrativa, c’è la descrizione dell’ultima fase dell’agonia di Antonietto dunque dai patologici stravolgimenti delle fattezze del bimbo che fino a poco tempo prima era veicolo di raggiante e contagiosa felicità, fino al lapidario avviso dell’avveduto trapasso e i numerosi puntini sospensivi presenti in questa strofa sembrano dirci che c’è qualcosa di indicibile di incomunicabile dietro tutta quest’agonia. PRIMA STROFA: Il viso di Antonietto è già scomparso nel teschio, e già prosciugato, si vede lo scheletro, ma gli occhi restano ancora luminosi fino a un attimo prima di morire. Gli occhi restano vivi quando il corpo è già martoriato, sono l’ultima cosa che si spengono. Gli occhi, che erano ancora luminosi, fino a un attimo prima di morire, si dilatarono e poi si persero. Quindi, c’è prima un’apertura fuori misura e poi lo spegnersi definitivo. Il poeta di riconosce di essere sempre stato un essere di natura timida, ribelle, torbida, ma anche che riguardandosi negli occhi del figlio si rivedeva puro, libero e felice: guardando il proprio figlio rivedeva in qualche modo sé stesso bambino. Poi il poeta parla della bocca di Antonietto (“la bocca che si contorce..”: ci ricorda della bocca del cadavere in “Veglia”): la bocca sembrava un lampo di grazia e gioia perché sulla bocca nascevano come lampi i sorrisi di Antonietto che squarciavano il buio, la monotonia. Ma ora questa bocca portatrice di grazia e gioia si contorce, il bambino è morto, e ancora i puntini sospensivi che stanno a simboleggiare che c’è qualcosa che viene taciuto, un dolore non esplicabile. Figure retoriche: • “Gli occhi, che erano ancora luminosi… gli occhi si dilatarono”: anafora • epanalessi => “la bocca si contorse in lotta muta”: anafora La seconda strofa inchioda il poeta all’irrimediabile tragedia attraverso un’ossessiva catena di ripetizioni, a cominciare dal sintagma “nove anni” collocato in anafora e epanafora: “Nove anni, chiuso in un cerchio/ Nove anni cui né giorni, né minuti/ Dei tuoi nove anni”. Nove anni è l’età di Antonietto e quest’età è come se il poeta cercasse di prolungarla dal modo insistente con cui la ripete, ma questi nove anni, sono un “cerchio”, un qualcosa di chiuso, un perimetro che si è chiuso intorno ad Antonietto da cui non si può evadere, da cui non si possono aggiungere né anni né minuti. All’interno di questi nove anni è rimasta l’unica speranza del poeta, l’unica fonte di speranza per il poeta sono i ricordi di questi nove anni vissuti con Antonietto. Quel “posso” a sua volta innesca la martellante ripetizione delle “mani” del figlio che, intrecciate a quelle del padre, ne ricevono energia e consapevolezza fino all’attimo in cui lo scarto improvviso dalla vitale floridezza all’immobile rinsecchimento rivela un irreversibile indizio di morte. Le mani di Antonietto patiscono l’aridità e quindi diventano pallide e da sole, senza più la mano del padre, raggiungono l’ombra della morte.
 Le mani di bambino, dunque, in un primo momento si mantengono a quelle del padre quasi per istinto, quasi come se fosse una questione fisiologica, poi le mani si fanno consapevoli, il bambino, crescendo, acquista consapevolezza (la consapevolezza è trasferita ad una parte del corpo quasi come una sineddoche) le mani si fanno consapevoli e scelgono di abbandonarsi alle mani del padre e poi sono le mani che diventano bersaglio della malattia “le mani che diventano secche” . Dice: “la settimana scorsa eri fiorente” in quanto la malattia di Antonietto fu rapida, fulminante. Figure retoriche: • Poliptoti moltissimi: cercarti/ritrovarti, andare/ vado: stessa parola in forme diverse; • “io di continuo posso”, “distintamente posso”: epifora; • “sentirti le mani nelle mie mani” oltre l’epanalessi di “mani”, abbiamo anche un chiasmo “mie mani/mani tue”; Molti sono i punti sospensivi come se il discorso non riuscisse a concludersi, lo ha notato Carlo Ossola che disse che la ripetizione e i punti sospensivi hanno la stessa finalità, cioè quella di mostrarci che il poeta non riuscisse a chiudere il discorso, perché in realtà la parola definitiva non può essere detta. La terzo strofa si apre con una paranomasia: “Ti vado a prendere il vestito a casa, poi nella cassa ti verranno a chiudere”, il bambino quindi, viene chiuso nella cassa: qui scompare anche l’idea della morte come rappresentative di un evento sacro e al contempo una rinascita (idea presente invece in poesie come “Fiumi”) Però il poeta dice, non sei chiuso lì per sempre, perché per sempre sarai invece parte della mia anima e la liberi. Essendo Antonietto ora libero dai vincoli stessi della carne, quindi della vita terrena è adesso in grado di liberare la sua anima, di accrescerne la sua forza, di più rispetto a quanto potesse fare il suo sorriso quando il giovane era in vita. Quindi si rivolge al figlio Antonietto: “Tu, adesso (cioè in questa condizione di “non vincolato” dalla carne, e quindi dalla malattia, dal tempo ecc.) sei per sempre anima della mia anima, io padre ti porto sempre con me”. Questa è la consolazione che cerca di darsi il poeta, cercare cioè, di avere questa “corrispondenza di amorosi sensi” con il figlio che va oltre la morte. Poi dice: “Provala ancora…” cioè metti alla prova la mia anima, accrescine la forza se vuoi che io mi innalzi fino a te (cioè: se vuoi che io riesca a concepire la vita ultraterrena alla quale appartieni tu), lì dove la vita è eterna ed è senza dolore, è senza malattia. Figure retoriche: • “Sei animo della mia anima, e la liberi ora meglio la liberi” : epifora. La quarta strofa si apre con una dichiarazione di colpevolezza “Sconto, sopravvivendoti, l’orrore…” (che sembra quasi rimandare a “La morte si sconta vivendo” del Porto Sepolto soltanto che ora la sentenza formulata decenni prima in trincea, è riaffermata al cospetto di un innaturale dolore individuale, in cui non può risuonare il dolore universale causato dalla catastrofe bellica): il poeta sconta la pena di essere sopravvissuto al figlio, si sente un usurpatore perché mentre lui continua a vivere, il figlio invece è morto. Egli afferma proprio: “demente di rimorso” perché sente di aver usurpato anni di vita al figlio, il tempo che spettava ad Antonietto se lo è preso lui. La sua è ormai una “vecchiaia odiosa”: una vecchiaia che forse sarebbe stato meglio interrompere invece che portarla avanti usurpando gli anni del figlio. Il poeta dice, io usurpo questi anni e li aggiungo ai tuoi e provo ad immaginarti crescere come se tu fossi ancora tra noi mortali, come se tu continuassi a crescere, ma cresce un vuoto senza grazia, senza gioia, senza vita, cresce la sua vecchiaia odiosa. Poi nella strofa successiva il poeta rievoca una notte brasiliana in cui il figlio gli dava la mano, un cielo brasiliano ostile, eccessivo, affollato di stelle; le stelle sono punti di riferimento, quindi sono cambiati per lui i punti di riferimento, sono persi. Infine quel cielo si abbassa, precipita, come il coperchio di una bara, sulle mani del figlio protese disperatamente ad evitarlo e la figura del padre, che non riesce a difendere il figlio..
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