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analisi del brano LA LABORIOSITà DEI MALAVOGLIA (tratto da I MALAVOGLIA), Appunti di Letteratura Italiana

analisi complete ed accurata del brano LA LABORIOSITà DEI MALAVOGLIA (tratto da I MALAVOGLIA). Se ti è piaciuto questo documento lascia una recensione. Grazie.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 28/02/2023

Omar.Funaro
Omar.Funaro 🇮🇹

4.5

(992)

560 documenti

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Scarica analisi del brano LA LABORIOSITà DEI MALAVOGLIA (tratto da I MALAVOGLIA) e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Analisi del brano "La laboriosità dei Malavoglia", tratto da "I Malavoglia" Italiano 5 pag. Analisi e interpretazione di un testo letterario italiano Giovanni Verga Laboriosità dei Malavoglia e irrequietudini di ’Ntoni (da I Malavoglia, cap. VI) Mentre tutti i componenti della famiglia lavorano e fanno progetti per ripagare il debito contratto con lo zio Crocifisso, ’Ntoni mostra un atteggiamento tutt’altro che collaborativo. I Malavoglia si arrabattavano in tutti i modi per far quattrini. La Longa prendeva qualche rotolo di tela da tessere, e andava anche al lavatoio per conto degli altri; padron ’Ntoni coi nipoti s’erano messi a giornata, s’aiutavano come potevano, e se la sciatica piegava il vecchio come un uncino, rimaneva nel cortile a rifar le maglie alle reti, o raccomodar nasse1, e mettere in ordine degli attrezzi, ché era pratico di ogni cosa del mestiere. Luca andava a lavorare nel ponte della ferrovia, per cinquanta centesimi al giorno, sebbene suo fratello ’Ntoni dicesse che non bastavano per le camicie che sciupava a trasportar sassi nel corbello2; ma Luca non badava che si sciupava anche le spalle e Alessi andava a raccattar dei gamberi lungo gli scogli, o dei vermiciattoli per l’esca, che si vendevano a dieci soldi il rotolo, e alle volte arrivava sino all’Ognina e al Capo dei Mulini, e tornava coi piedi in sangue. Ma compare Zuppiddo si prendeva dei bei soldi ogni sabato, per rabberciare3 la Provvidenza, e ce ne volevano delle nasse da acconciare, dei sassi della ferrovia, dell’esca a dieci soldi, e della tela da imbiancare, coll’acqua sino ai ginocchi e il sole sulla testa, per fare quarant’onze4! I Morti5 erano venuti, e lo zio Crocifisso non faceva altro che passeggiare per la straduccia, colle mani dietro la schiena, che pareva il basilisco6. – Questa è storia che va a finire coll’usciere! – andava dicendo lo zio Crocifisso con don Silvestro e con Don Giammaria il vicario. – D’usciere non ci sarà bisogno, zio Crocifisso – gli rispose padron ’Ntoni quando venne a sapere quello che andava dicendo Campana di legno. – I Malavoglia sono stati sempre galantuomini, e non hanno avuto bisogno d’usciere. – A me non me ne importa – rispose lo zio Crocifisso colle spalle al muro, sotto la tettoia del cortile, mentre stavano accatastando i suoi sarmenti7. – Io non so altro che devo esser pagato. Finalmente, per intromissione del vicario, Campana di legno si contentò di aspettare a Natale ad esser pagato, prendendosi per frutti quelle settantacinque lire che Maruzza aveva raccolto soldo a soldo in fondo alla calza nascosta sotto il materasso. – Ecco com’è la cosa! – borbottava ’Ntoni di padron ’Ntoni – lavoriamo notte e giorno per lo zio Crocifisso. Quando abbiamo messo insieme una lira, ce la prende Campana di legno. Il nonno, colla Maruzza, si consolavano a far castelli in aria per l’estate, quando ci sarebbero state le acciughe da salare, e i fichidindia a dieci un grano8, e facevano dei grandi progetti d’andare alla tonnara, quindi, nel tentativo di risollevare le proprie sorti economiche, perde tutto, anche il buon nome. Addolorato dalle sventure, anche padron ‘Ntoni muore, e Lisa, una delle sorelle, finisce in una casa di malaffare. L’unico in grado di riscattare almeno la casa “del nespolo” è Alessi, che decide di continuare il mestiere del nonno. Il brano sopra riportato descrive proprio la situazione dopo il naufragio della Provvidenza e la morte di Bastianazzo, quando tutti i membri della famiglia si impegnano in duri lavori per poter ripagare il debito con lo zio Crocifisso. Alla fine, però, viene sottolineato come l’unico che non si impegnasse nel lavoro fosse il giovane ‘Ntoni: le ultime tre righe del brano rivelano che ‘Ntoni, essendo tornato dalle lontane metropoli italiane, credeva di conoscere meglio il mondo e quindi preferiva andare in osteria, dove poteva trovare altre persone che, come lui, non facessero nulla. La caratteristica fondamentale del narratore del brano è la rigorosa impersonalità: Verga, infatti, così come avevano fatto i Naturalisti in Francia, decide di scrivere romanzi in cui il narratore dovesse sembrare inesistente, quasi come se i fassi si raccontassero da sé. Pur elaborando una critica alla società contemporanea Verga ritiene che qualsiasi cambiamento sia impossibile e, di conseguenza, qualsiasi giudizio è inutile. Al contrario del Manzoni, che aveva riempito le pagine de “I promessi sposi” con giudizi, critiche e vaghi riferimenti agli eventi futuri, Verga fa in modo che il narratore sia del tutto invisibile all’interno del racconto: non solo non esprime giudizi personali ma, addirittura, non interviene neanche all’inizio per chiarire vicende e personaggi. I romanzi veristi del Verga, proprio in nome dell’impersonalità del narratore, hanno inizio nel mezzo degli avvenimenti, i quali, appunto, non vengono chiariti dallo scrittore, ma devono essere approfonditi tramite la lettura delle pagine successive. Ad essere molto evidente è anche il freddo materialismo con la logica del profitto espressa nel brano soprattutto dal breve dialogo fra lo zio Crocifisso e padron ‘Ntoni. quest’ultimo, essendo venuto a conoscenza dei pettegolezzi messi in giro proprio dall’usuraio, afferma che i Malavoglia sono sempre stati galantuomini e quindi pagheranno senz’altro. Lo zio Crocifisso, però, ribatte affermando di non essere interessato a ciò ma solo al fatto di essere pagato. Quest’affermazione dimostra l’attaccamento dell’uomo al denaro ed il completo disinteresse nei confronti di qualsiasi valore morale: ciò è perfettamente in linea con il pessimismo verghiano, con il quale si credeva che gli uomini non fossero mossi da qualità come la generosità, l’altruismo o la pietà, ma piuttosto dall’interesse economico, dall’egoismo e dalla ricerca dell’utile. La descrizione delle molteplici occupazioni intraprese dai Malavoglia è utile per tracciare un quadro della realtà sociale ed economica della Sicilia dell’Ottocento; i mestieri ruotano principalmente intorno alla pesca: padron ‘Ntoni ripara le reti e le ceste, vengono fatti progetti per l’estate riguardo la pesca del tonno, Alessi va a raccogliere vermi per la pesca e gamberi. Però Verga ci dice anche che Luca lavorava trasportando sassi per la costruzione della ferrovia; questo ci fa capire come, nonostante l’arretratezza della Sicilia, e di tutto il Meridione, si iniziasse, anche se lentamente, la modernizzazione del Paese, a partire dalla costruzione delle infrastrutture principali. L’Italia non era ancora un Paese industrializzato come, ad esempio, la Francia, ma era ancora strettamente legata ai settori primari dell’agricoltura e della pesca in Sicilia. Il linguaggio usato da Verga è il riflesso della società che descrive, quindi è scarno e povero, caratterizzato da un lessico semplice, sebbene i periodi presenti siano formati perlopiù da proposizioni coordinate tramite asindeti. Le figure retoriche sono quasi del tutto assenti, fatta eccezione per la metafora del rigo tredici.
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