Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Analisi del film. Manuale, Sintesi del corso di Storia Del Cinema

Sintesi libro Analisi del film

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 01/02/2024

Atena1995
Atena1995 🇮🇹

4.5

(186)

577 documenti

1 / 32

Toggle sidebar

Anteprima parziale del testo

Scarica Analisi del film. Manuale e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! SINTESI COMPLETA DI F. Casetti, F. Di Chio, Analisi del film Esame di STORIA DEL CINEMA (UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO) 1. Il percorso dell’analisi 1.1 Analizzare Possiamo definire l’analisi come un insieme di operazioni compiute su un oggetto e consistenti in una sua scomposizione e ricomposizione, al fine di individuarne meglio le componenti, l’architettura, i movimenti, le dinamiche, ecc. Si tratta quindi di un percorso alla fine del quale si guadagna una migliore intelleggibilità dell’oggetto investigato. 1.2 La buona distanza L’analisi testuale del film comporta necessariamente un distacco dalla situazione normale in cui quest’ultimo viene percepito. Il cinema costringe lo spettatore a rimanere sottomesso alla concatenazione delle immagini e dei suoni. La scomposizione e ricomposizione propri dell’analisi sono possibili solamente disponendo del film al di fuori del suo canale principe di distribuzione, ad es. attraverso le videocassette. Ma il distacco non è solo la ratifica di una nuova forma di visione, ma anche la ricerca di una qualche distanza dall’oggetto. Una “buona distanza” è quella che permette l’investigazione critica, e insieme quella che non esclude un’investigazione appassionata. Essa serve a rendere il film disponibile e insieme dominabile, presente nelle sue singole parti e nel tutto. 1.3 Analizzare, riconoscere, comprendere L’analisi mira a: riconoscimento: legato alla capacità di individuare quanto appare sullo schermo, è un’azione compiuta su elementi singoli, volta a coglierne l’identità. A questo scopo la scomposizione procede ad una ricognizione sistematica degli elementi del testo, un vero e proprio inventario. comprensione: legata alla capacità di riportare quanto sullo schermo ad un insieme più vasto, le singole componenti all’interezza del testo. La ricomposizione del testo mette in luce, oltre alla struttura e alle dinamiche dell’oggetto, anche gli stessi meccanismi della comprensione. Si tratta quindi di ripetere un meccanismo di fruizione “naturale” (riconoscimento-comprensione) in modo “mediato”, distaccato, per lavorare con sistematicità e autocoscienza. 1.4 Analizzare, descrivere, interpretare Ma l’analisi si rapporta anche ad altre due operazioni: la descrizione: ripercorrere una serie di elementi, uno per uno, con accuratezza e fino all’ultimo l’interpretazione: cercare di cogliere il senso del testo, andando al di là delle apparenze, impegnandosi in una ricostruzione pur rimanendo fedeli all’opera. Apparentemente, la prima operazione è vicina alla fase di scomposizione, la seconda alla ricomposizione. In realtà entrambi i momenti dell’analisi hanno a che fare con i due processi. La scomposizione risponde infatti comunque anche ad un punto di vista personale, mentre la ricomposizione in qualche modo deve fare i conti con il testo originale. 1.5 La presenza dell’analista 1 Una volta ripartito il film in episodi, sequenze, inquadrature, immagini, se ne individuano le varie componenti interne (spazio, tempo, azione, valori figurativi, commento musicale) e le si analizzano una alla volta sia nel loro gioco reciproco all’interno di un dato segmento, sia nella diversità di forme e funzioni che assumono durante tutto il film. Questa seconda forma di scomposizione si articola in due fasi: identificazione di una serie di elementi omogenei: fattori che ritornano all’interno del testo e che appartengono ad una medesima area: stilistici (luci, movimenti di macchina, ecc.), tematici (luoghi, situazioni), narrativi (azioni del protagonista o dell’antagonista). Essi rappresentano un asse che percorre in modo trasversale il film, una sorta di partitura indipendente dalla successione delle immagini. Articolazione della serie: Si individuano: Le opposizioni di due o più realizzazioni stilistiche, nuclei tematici o snodi narrativi (dissolvenza vs. stacco, notte vs. giorno, ecc.) Le varianti di una stessa realizzazione (dissolvenza incrociata vs. dissolvenza in nero, interno luminoso vs, interno buio, ecc.) Opposizioni e varianti consentono di cogliere i diversi elementi che formano una serie: omogenei ma distinguibili fra di loro. Dopo l’individuazione degli assi e la specificazione degli elementi, si dovranno accorpare le due serie di osservazioni e ricostruire un disegno unitario del testo in tutti i suoi strati. Termina così la scomposizione del testo. 2.3 La ricomposizione 2.3.1 I quattro passi della ricomposizione Si tratta di riaggregare gli elementi individuati e costruire un “modello” che metta in luce la logica che li unisce. Le operazioni da compiere sono sostanzialmente quattro. 2.3.2 L’ Enumerazione Si traccia un elenco sistematico delle presenze nel film 2.3.3 L’ Ordinamento Si mette in evidenza il posto che ciascun componente occupa nell’insieme del film, sia rispetto al suo svolgimento lineare (attribuzione alla sequenza, inquadratura, ecc.)che alla sua struttura profonda (attribuzione ad un determinato livello espressivo o serie omogenea) Con queste prime due operazioni si mette a nudo un sistema di relazioni, una trama complessiva, e si chiude la fase di inventario e organizzazione. 2.3.4. Il Ricompattamento Si comincia ad individuare la struttura portante del film. Per arrivarci si passa attraverso la sintesi, che comprende: l’unificazione per equivalenza od omologia la sostituzione per generalizzazione o per inferenza la gerarchizzazione. 4 Tutte queste operazioni servono ad arrivare ad un’immagine quanto possibile ristretta del testo. 2.3.5 La modellizzazione Il passo conclusivo è quello che ci porta ad una rappresentazione capace di sintetizzare e spiegare il fenomeno investigato. Il modello è uno schema che dà una visione concentrata dell’oggetto evidenziandone le linee di forza e gli andamenti ricorrenti. Il modello è fondamentalmente un dispositivo che consente di mettere in luce l’intelleggibilità del fenomeno. Deriva dall’oggetto di partenza, ma è anche una cosa completamente nuova, in cui ciò che conta è la formalizzazione delle strutture e dei meccanismi più intimi dell’oggetto. La prima grande scelta che si pone all’analista nell’elaborazione di un modello è quella tra: modello figurativo: fornisce del testo una sorta di “immagine” complessiva, che ne concretizza andamenti e strutture modello astratto: è una formula, riduce gli andamenti e la composizione del testo ad un insieme di rapporti puramente formali, esprimibili in un linguaggio logico-matematico. Si ha poi la distinzione tra: modelli statici: delineano i legami tra gli elementi del film, cogliendoli in una visione immobilizzata. Non si guarda la processualità, ma l’articolazione generale. Modelli dinamici: ordinano gli elementi significativi intorno all’avanzare stesso del testo: si tratta di costruire un “diagramma” che tenga conto del movimento, dell’evoluzione. Naturalmente si danno anche casi in cui le diverse tipologie di modello possono mischiarsi, dando origine a modelli dinamici-figurati o statici-astratti. 2.4 Criteri di validità dell’analisi Si tratta ora di stabilire in base a cosa un modello può risultare accettabile, perché si possa scegliere una tipologia rispetto ad un’altra. Innanzitutto un’analisi, per poter essere ritenuta valida, deve possedere almeno tre caratteristiche: Coerenza interna (non deve mai contraddirsi) Fedeltà empirica (aggancio con l’oggetto indagato) Rilevanza conoscitiva (dire qualcosa di nuovo) Al di là di questi parametri generali, ne esistono altri specifici, che giustificano le singole strade che si vogliono imboccare, e quindi i singoli tipi di modelli. In particolare: la profondità: un’analisi per essere valida deve essere in grado di cogliere il cuore nascosto del testo, il nocciolo che al tempo stesso riassume il testo e ne illumina il senso. Presuppone una concezione del testo a livelli. Il limite è legato al rischio di cercare un senso profondo anche dove non c’è. L’estensione: si deve tener conto del maggior numero di elementi possibile. L'idea sottesa è quella di un testo costituito di una trama di fili che si intrecciano in maniera complessa. Il rischio è quello di inseguire una completezza irraggiungibile. L’economicità: un’analisi deve puntare alla sintesi estrema, quanto più ridotta possibile. L’idea è quella che il testo si possa “riassumere” nei suoi minimi termini, cogliendone meglio la natura. Il rischio è di non trovare minimi comuni denominatori. L’eleganza: Il testo come una sorta di gioco basato sul piacere dell’espressività, al quale l’analista è chiamato a partecipare. Si rischia di escludere le valenze conoscitive e metaconoscitive dell’analisi. 5 2.5 Istruzioni per l’uso Non sempre nella pratica dell’analisi tutti i passaggi fin qui evidenziati vengono rispettati o esplicitati, per esigenze di scorrevolezza dell’esposizione. Purtuttavia l’itinerario è corretto, e va almeno mentalmente seguito in ogni sua fase. Inoltre, anche se è vero che scomposizione e ricomposizione sono due momenti successivi, è altrettanto vero che non si può cominciare a scomporre senza avere già in mente una qualche idea del modello. Si tratta di avere un’ipotesi guida, che funga da criterio per la segmentazione e la stratificazione. 3. L’analisi delle componenti cinematografiche 3.1 La “linguisticità” del film L’appartenenza del cinema alla grande area dei linguaggi è riconosciuta da (quasi) tutti. Dal punto di vista semiotico, però, esso pone due problemi: accorpa segni, formule, procedimenti, ecc. appartenenti ad altre aree espressive ed eterogenei fra di loro, che fondono per assemblare un flusso complesso. Non possiede la compattezza e sistematicità che permettono di far emergere regole ricorrenti e condivise Dall’esigenza di superare queste difficoltà nascono diverse strategie di analisi. Fondamentalmente se ne possono individuare tre: la ricerca delle materie dell’espressione o significanti il confronto con l’esistenza di una ben determinata tipologia di segni il riferimento ad una ricca varietà di codici operanti nel testo filmico. 3.2 I significanti e le aree espressive Anzitutto si individuano due grandi ordini di significanti: visivi: immagini in movimento e tracce scritte sonori: voci, rumori e musica Ogni materia dell’espressione rimanda al suo specifico linguaggio: la lingua scritta e parlata, la pittura, la fotografia, ecc. SU questa base il film mischia, sovrappone e articola linguaggi già consolidati in un amalgama del tutto originale. 3.3 I segni Questo secondo approccio mette in luce i modi di organizzazione della significazione, e più specificamente i tipi di segni che un film utilizza. La tipologia dei segni attraversa le diverse aree espressive, superando i confini tra dimensione visiva e sonora. Una tipologia che ha avuto un certo successo nell’analisi filmica è quella di Peirce, che divide i segni in: indici: segni che testimoniano l’esistenza di un oggetto, con il quale hanno un legame di implicazione, senza tuttavia descriverlo. Ci dicono che l’oggetto esiste, ma non ci dicono nulla delle sue qualità icone: segni che riproducono i “contorni” dell’oggetto. Ci dicono qualcosa delle qualità dell’oggetto, ma non della sua effettiva esistenza simboli: segni convenzionali, che stanno per qualcosa d’altro in base ad una corrispondenza codificata, una “legge”. Non ci dicono nulla né dell’esistenza né delle qualità dell’oggetto. 6 obliqua: base e orizzonte divergenti, verso destra o sinistra verticale: piano e orizzonte perpendicolari Ovviamente ciascuna di queste scelte di ripresa presenta connotazioni diverse, non è solo questione di “grammatica”, ma anche di “retorica”. L’illuminazione: la scelta fondamentale è tra: illuminazione neutra: attenta alla riconoscibilità degli oggetti inquadrati, e all’effetto realtà illuminazione marcata: alterazione dei contorni, effetti antinaturalistici, accento sulla luce in quanto tale. naturalmente ci può essere gradualità tra le due alternative. In generale, comunque, si possono applicare ai codici dell’illuminazione cinematografica le suddivisioni già rintracciabili nelle arti figurative (realismo, surrealismo, iperrealismo, ecc.) Bianco&nero e colore: La scelta oggi tra queste due alternative si traduce in un rapporto tra preziosità e consuetudine. La scelta del colore è infatti avvertita come neutra, legata alla natura riproduttiva del cinema. Vengono avvertite come eccezioni le esperienze che invece attivano codici cromatici normalmente trascurati o impiegati in modo casuale: le reazioni percettive, le tonalità, il riferimento ideologico, ecc. I colori inoltre possono essere funzionali al racconto, offrendo codici supplementari a quelli della narratività (associandosi ai personaggi, o alle diverse situazioni narrative). 3.4.6 Codici della serie visiva. Terzo gruppo: la mobilità La mobilità è un tratto caratterizzante del linguaggio cinematografico, e i codici che la regolano sono quindi più specifici di quelli del primo e secondo gruppo. Innanzitutto si deve distinguere tra: movimento profilmico: della realtà rappresentata movimento di macchina La distinzione, anche se a volte non è facilmente operabile, è essenziale per il richiamo a meccanismi psicologici di riconoscimento diversi, e per il rinvio a meccanismi linguistici divaricati. Osservare da un punto di vista fisso qualcosa che si muove comporta inevitabilmente un distacco dal reale, uno sguardo oggettivo e assoluto. Viceversa, adottare un punto di vista mobile sugli oggetti provoca sempre un senso di forte coinvolgimento, e dà l’idea di soggettività, precarietà, finitezza dello sguardo. La grammatica cinematografica tradizionale ha elaborato una classificazione dei movimenti di macchina di grande utilità pratica. Panoramica: la macchina si muove sul proprio asse in senso orizzontale, verticale e obliquo, aggiungendo porzioni di spazio nelle varie direzioni Carrellata: la macchina è montata su un carrello dotato di binari, su una gru fissa o semovibile, su un’automobile o sul corpo dell’operatore. In tutti i casi si ha la possibilità di eseguire movimenti fluidi in tutte le direzioni, frontali o in profondità. Oppure si può simulare lo sguardo soggettivo umano, con grande effetto realistico. La panoramica è più spesso utilizzata in senso descrittivo, mentre il carrello è di preferenza soggettivo. Si può distinguere inoltre tra movimenti reali di macchina e movimenti apparenti. Questi ultimi sono rappresentati fondamentalmente dalla zoomata, che produce un’alterazione della profondità di campo (“schiacciamento”) che annulla lo spazio invece di attraversarlo. 3.4.7 Le tracce grafiche e i loro codici 9 Le tracce grafiche si possono suddividere in: didascalie: servono a integrare le immagini, ne spiegano i contenuti, il passaggio da una all’altra, ecc. Si possono trovare tra le immagini ma anche nelle immagini stesse. sottotitoli: sovraimpresse di solito nella parte bassa delle immagini, servono di solito per la traduzione titoli: in testa e coda al film scritte: appartengono alla “realtà” rappresentata, e il film le riproduce fotograficamente. Possono essere: diegetiche, cioè appartenenti al piano della storia (insegne, cartelli, titoli di giornale, ecc.) non diegetiche, estranee al mondo narrato, appartenenti al mondo di chi narra Le tracce grafiche sono direttamente legate ai codici della lingua con cui sono costruite. Nel cinema però intervengono principi di costruzione particolari, legati ai codici narrativi (ad es. “Dieci anni dopo…”). Esistono inoltre i codici stilistici e figurativi, che intervengono nel trattamento grafico, e fanno del titolo un elemento composito, che si legge come un nome e si guarda come un’immagine. E infine si deve tener conto delle connotazioni legate alla dimensione delle lettere, all’eventuale animazione o decorazione, ecc. Ne nasce un sistema di intrecci e sovrapposizioni che può fare di una semplice scritta il luogo di un complicato processo di significazione. 3.4.8 Codici sonori I codici che regolano i fatti sonori sono molto ampi, e caratterizzano ogni forma di espressione: volume, altezza, ritmo, colore, timbro, ecc. Esistono però alcuni tratti che definiscono il sonoro in ambito cinematografico. In particolare sono quelli che presiedono l’interazione del sonoro con il visivo, regolando la provenienza del primo rispetto al secondo. Innanzitutto il suono cinematografico può essere: diegetico, se la fonte è presente nello spazio rappresentato, e a sua volta: onscreen: dentro i limiti dell’inquadratura offscreen: fuori dai limiti dell’inquadratura interiore: se la sorgente è nell’animo dei personaggi esteriore: se la sorgente ha una realtà fisica oggettiva non diegetico, se la fonte non è presente Il suono diegetico interiore e quello non diegetico si dicono anche suoni over, perché non provengono dallo spazio fisico della vicenda. La voce Il primo codice che regola il parlato è sicuramente quello della lingua del parlante, ma i codici che determinano la forma filmica del parlato sono altri. La voce “in”: il primo problema è quello del doppiaggio, in cui la necessità di far corrispondere i movimenti della bocca a quanto pronunciato può provocare alterazioni dei dialoghi o sensazioni di artificiosità. Il procedimento della post-sincronizzazione può però anche produrre effetti significativi, quando si proponga di alterare volutamente le caratteristiche delle voci degli attori. La “presa diretta”, invece, produce quasi sempre un maggiore “effetto di realtà”. La voce fuoricampo: occorre distinguere tra voce “off” e voce “over”. Quest’ultimo caso è il più interessante. Può avere una funzione di collegamento temporale tra le diverse sequenze, di raccolta in un’unità superiore di sequenze autonome, o anche di introduzione o “cornice”. In ogni caso si tratta sempre di un intervento “forte”. I rumori Anche qui bisogna distinguere tra: rumore in campo (“in”): ha la funzione di rendere più verosimile la situazione audiovisiva, aumenta l’effetto di realtà rumore da fonte diegetica non inquadrata (“off”): può fungere da raccordo tra immagini facenti parte della stessa realtà, oppure da “riempitivo” di una situazione visiva poco significativa (vedi film horror) rumore proveniente da un fuori campo radicale (“over”): può avere una funzione narrativa più astratta, ad es. da stacco tra una sequenza e l’altra. La musica Il suo intervento “in” o “off” è molto raro, diffusissimo invece la modalità “over”, tanto come accompagnamento della scena quanto come conclusione in crescendo di una sequenza e accentuazione dello stacco rispetto alla seguente. La tipologia degli impieghi della musica è comunque assai varia: naturalismo, realismo più o meno “falso”, enfasi retorica, accompagnamento discreto, stacco brusco, giunzione, ecc. In conclusione, è evidente che la dimensione sonora, in tutte le sue manifestazioni, ha valenza cinematografica quando intrattiene relazioni significative con la parte visiva, caricandola di ulteriore senso e fungendo da tessuto connettivo. 3.4.9 Codici sintattici Un principio generale del cinema è quello secondo cui le immagini si sviluppano lungo una continuità, attraverso una durata. E questa molteplicità del visivo appare regolata dalla totalità dei mezzi espressivi cinematografici. I codici sintattici regolano l’associazione dei segni e la loro articolazione in unità più complesse. Tali codici possono attivarsi a due livelli distinti: dentro le immagini: in questo caso agiscono per simultaneità, collegando elementi copresenti nella stessa immagine (si tratta della composizione, vedi prima) tra le immagini: in questo caso agiscono per progressione, associando e organizzando elementi facenti parte di immagini diverse, per lo più contigue. Quest’ultima modalità è quella che fa capo alla tecnica del “montaggio”. E ‘possibile delineare una tipologia delle associazioni rinvenibili tra le immagini: Associazione per identità: avviene quando un’immagine ritorna uguale a sé stessa, o uno stesso elemento ritorna da immagine a immagine. La relazione può riguardare sia elementi del contenuto (coreferenza) che elementi del modo di rappresentazione (stessi schemi visivi, durate temporali, ecc.) Associazione per analogia e associazione per contrasto: nel primo caso in due immagini contigue sono rinvenibili elementi simili ma non identici, nel secondo caso elementi marcatamente differenti ma la cui stessa differenza diventa fonte di correlazione. Questi due tipi di associazione sono spesso compresenti. Associazione per prossimità: le immagini presentano elementi che si danno per contigui (ad es. campo/controcampo, inseguitori/inseguiti, ecc.) Associazione per transitività: la situazione presentata nell’inquadratura A trova prolungamento e completamento nell’inquadratura B. Vi è poi un’altra forma di collegamento, in antitesi all’associazione, che è l’”accostamento”, ovvero la giustapposizione di due immagini che non hanno nessun elemento di raccordo. I diversi tipi di legame danno luogo a grandi modelli di “andamento sintattico”, a modi di costruzione del discorso ricorrenti: 11 indizi: rinviano a qualcosa che rimane in parte implicito (ad es. i presupposti di un’azione, il lato nascosto di un carattere, ecc.). Sono più difficili da identificare, ma importanti per afferrare anche quanto non evidenziato dalla rappresentazione. temi: definiscono il nucleo centrale della vicenda, sono il nucleo di contenuto attorno a cui il testo si organizza (ad es. la ricerca della verità, il ritrovamento, ecc.) motivi: unità di contenuto che ritornano lungo il testo. Situazioni o presenze ripetute, che rinforzano, chiariscono e sostanziano la vicenda principale. Un secondo modo di organizzare i dati di un film può invece puntare a ricostruire: la cultura a cui fa riferimento: le unità di contenuto dovranno avere il valore di archetipo, ovvero far riferimento ai grandi schemi simbolici che ogni società costruisce. L’archetipo può anche essere alla base di un genere letterario. la “poetica” di un certo autore: avremo a che fare con cifre o leitmotiv. Ogni autore manifesta inevitabilmente dei motivi o dei temi attorno a cui coscientemente o no continua a ruotare. il “sentimento” del cinema a cui contribuisce: si tratterà allora di individuare le figure, temi ossessivi che investono il cinema in quanto tale. 4.2.3 La messa in quadro Messa in scena e messa in quadro sono operazioni molto interdipendenti fra di loro: non si dà un contenuto senza una modalità di espressione. Alcuni elementi del contenuto determinano le modalità di ripresa (ad es. i protagonisti al centro dell’immagine). Ma anche le forme di ripresa (campo lungo piuttosto che primo piano, ripresa frontale o dall’alto, ecc.) determinano la forma di realtà rappresentata, e quindi la messa in scena. Spesso si deve ricorrere alla manipolazione degli elementi rappresentati in quanto essi, colti al naturale, non vengono restituiti con la fedeltà ed evidenza sperate. La messa in quadro, in ogni caso, definisce il tipo di sguardo che il film getta sul mondo. E a questo livello pertengono temi di analisi quali la scelta del punto di vista, la selezione su cosa mettere dentro e fuori l’inquadratura, i movimenti della macchina da presa, la durata delle inquadrature, ecc. La modalità di messa in quadro può essere: dipendente dai contenuti: l’immagine metterà in rilievo quanto intende rappresentare, senza riferimenti all’atto della rappresentazione indipendente dai contenuti: l’immagine sottolineerà l’atto di assunzione dei contenuti, metterà in luce la propria natura. stabile: la presentazione dei contenuti è definita una volta per tutte e mantenuta costantemente variabile: il motivo dominante è proprio la varietà delle riprese e l’eterogeneità delle soluzioni 4.2.4 La messa in serie A questo livello l’analisi deve passare dal considerare l’immagine singola a più immagini. Nel momento in cui due immagini vengono fisicamente assemblate (montaggio) si instaurano delle relazioni tra i mondi rappresentati e i rispettivi parametri di rappresentazione, che si intrecciano e moltiplicano per tutto il film. In questo senso le diverse associazioni tipiche del montaggio definiscono diverse modalità di disposizione e organizzazione dei “frammenti di mondo” delle singole inquadrature: associazione per identità, prossimità o transitività: sullo schermo appare un universo compatto, fluido, omogeneo e facilmente percorribile (i film classici hollywoodiani) associazione per analogia o contrasto: universi movimentati, eterogenei, articolati, dove però ancora “tutto si tiene” ed è facile orientarsi. associazione neutralizzata o accostamento:universi frammentari, caotici, dispersi, labirinti di accumuli, giustapposizioni e casualità (cinema moderno). 4.2.5 Centralità dello spazio-tempo 14 Le precedenti categorie pongono rispettivamente in gioco la determinazione dei contenuti (messa in scena), le modalità di presentazione (messa in quadro), e la loro articolazione nel film (messa in serie). Tutte queste categorie in ogni caso rinviano ad una presenza unificante, che si ritrova trasversalmente: la presenza di un mondo. E come tutti i mondi, anche quello sullo schermo è dotato di una dimensione spazio- temporale organica e unitaria. E' la presenza di questo “cronotopo” a unificare i tre livelli della rappresentazione, a costituire l’elemento connettivo fra essi. Ed è proprio la progressiva “elaborazione” di questo spazio-tempo tramite operazioni di rafforzamento, distorsione, ecc., che rende chiaro il passaggio da un livello all’altro. 4.3 Lo spazio cinematografico 4.3.1 I tre assi dello spazio Tre sono i principali assi attorno ai quali organizzare lo spazio filmico: Opposizione in/off: dentro o fuori l’inquadratura opposizione statico/dinamico: immobilità o movimento opposizione organico/disorganico: connessione e unitarietà vs. deconnessione e dispersione 4.3.2 I bordi dell’immagine: campo e fuori campo La dimensione “off”, ovvero di tutto ciò che è fuori dal quadro, è indagabile su due versanti: La collocazione: la macchina da presa, inquadrando una porzione di spazio, ne nasconde al tempo stesso altre sei, adiacenti e contigue: a destra, a sinistra, sopra e sotto l’immagine, dietro la scenografia e alle spalle della cinepresa. la determinabilità: ci sono tre condizioni possibili dello spazio off: non percepito: è fuori dai bordi e non viene mai evocato immaginabile: è evocato o recuperato da qualche elemento della rappresentazione (ad es. un primo piano presuppone il corpo) definito: è invisibile al momento, ma è già stato mostrato o lo sarà in seguito (ovviamente ciò riguarda più la messa in serie che la messa in quadro) ciò che si trova al di fuori dal campo visivo, in ogni caso, “preme” sui margini del quadro, fin quasi a scardinarli, evidenziando i limiti dello sguardo della cinepresa e la parzialità della sua scelta. La dimensione del fuori campo, però, non si definisce solo per ciò che è escluso alla vista. Essa è anche il regno del suono. In particolare il suono “off” e “over” (suono diegetico interiore, esteriore da fonte non inquadrata, e il suono non diegetico) mettono in gioco una ricchezza percettiva che l’immagine non può raggiungere. Lo spazio abitato dal suono è più ampio di quanto non appaia, proprio perché questo suono si può sentire. E’ un’apertura, uno “straripamento” dai margini dell’immagini. Il suono inoltre gioca un ruolo importante per la determinazione supplementare dello spazio in scena (con echi, riverberi, occlusioni), può rendere più fluido il montaggio con la sua continuità d’azione. 4.3.3 Lo spazio e il movimento La macchina da presa agisce in pratica come un meccanismo in grado di registrare la continuità dinamica del reale e di manipolarne le apparenze. Sullo schermo dunque noi vediamo un universo in movimento. Quelle che in realtà sono posizioni statiche prendono vita all’atto della proiezione. Ecco quindi che ritroviamo l’opposizione statico/dinamico alla radice stessa del meccanismo cinematografico. 15 Si possono individuare quattro situazioni che rappresentano dei punti nodali: Lo spazio statico fisso: inquadrature bloccate di ambienti immobili Lo spazio statico mobile: staticità della macchina da presa e movimento delle figure entro i bordi dell’immagine lo spazio dinamico descrittivo: la macchina da presa si muove per meglio rendere il movimento delle figure all’interno del quadro (personaggi, oggetti) lo spazio dinamico espressivo: il movimento della macchina è in relazione dialettica e creativa con quello delle altre figure. Questa capacità di andare oltre il movimento descrittivo conferisce ad alcuni movimenti di macchina il carattere di vere e proprie didascalie, commenti, chiavi di lettura di interi film. 4.3.4 Organicità e disorganicità dello spazio filmico Il massimo grado di connessione e unitarietà dello spazio filmico corrisponde ad uno spazio “organico”, mentre il minimo grado corrisponde ad una rottura dell’organicità. Vediamo come si articola questa categoria: Spazio piatto/spazio profondo: lo spazio può apparire o come su una superficie dove si distribuiscono uniformemente delle figure, o come un volume in cui le stesse figure si dispongono in profondità. La profondità di campo in genere è sinonimo di disomogeneità, in quanto frammenta le zone rappresentate, creando una visione di insieme composita, discontinua. spazio unitario/spazio frammentato: uno spazio può presentare un alto grado di percorribilità, che porta le diverse presenze ad accordarsi tra di loro, o presentare una serie di barriere interne che ne fanno un aggregato di luoghi diversi. spazio centrato/spazio eccentrico e spazio chiuso/spazio aperto: vi sono alcune forme di distorsione del quadro (decadrages): il quadro arbitrario, ovvero proveniente da un punto di vista anomale, che rompe la fluidità e naturalezza (centrato/eccentrico) il quadro nomade, che pur rimandando ad un controcampo che lo integri, viene mantenuto incompleto, isolato dall’insieme. Carica lo spazio inquadrato di una tensione verso i bordi, che rimane insoddisfatta (chiuso/aperto) In entrambi i casi si nota che il quadro non è più il centro di attenzione e organizzazione, ma rinvia all’esterno, diventa centrifugo. C’è la necessità di un nuovo percorso (mentale) che ne integri le mancanze e le frustrazioni. L'articolazione dello spazio in organico/disorganico, pur nascendo all'interno dell'inquadratura, è subito destinata a varcarne i confini e a svilupparsi a livello di messa in serie. Noteremo quindi che: la preminenza di nessi per identità, prossimità e transitività darà in generale origine ad una dimensione spaziale compatta, omogenea e percorribile. la preminenza di nessi per analogia e per contrasto definisce uno spazio eterogeneo, articolato, composto da parti autonome seppur connesse la preminenza di nessi neutralizzati e accostamenti dà luogo ad uno spazio frammentario, dispersivo, deconnesso e talvolta caotico. 4.4 Il tempo cinematografico 4.4.1 Collocazione e divenire 16 L'analogia costruita: se si agisce ad una certa distanza dalla realtà, è solo per tornarvi nuovamente. La falsificazione delle apparenze messe in scena, la loro composizione creativa e la selezione e manipolazione dei frammenti sono operazioni funzionali alla costruzione di una realtà “altra”, meno prolissa e più efficace e interessante del mondo usuale. I regimi della rappresentazione si legano in maniera preferenziale con le “forme dell'associazione” proprie della messa in serie-montaggio. In particolare: Il piano-sequenza si lega al regime dell'analogia assoluta: si cerca di far avvertire nelle immagini riprese il pulsare della realtà, proclamando l'intangibilità del reale da qualsiasi operazione manipolatoria e falsificante. Si possono distinguere due pratiche distinte: la rappresentazione in profondità: macchina ferma, focale corta, rispetto della dimensione spazio- temporale della porzione di reale ripresa il piano-sequenza mobile: macchina in movimento lento e avvolgente, che cerca, percorre e svela la realtà. Il montaggio-re si richiama al regime di analogia negata: esso rifiuta la connessione con la realtà e la connessione fluida dei frammenti, puntando proprio sulla dimensione connotativa. Opera una serie di rotture insanabili nel tessuto della continuità spazio-temporale ed esibisce queste rotture con forza. In questo senso è alla base di ogni estetica del cinema che rifiuta la nozione di trasparenza e vuol svelare la falsità della messa in scena (avanguardia russa, nouvelle vague, ecc.). Il decoupage è connesso al regime dell'analogia costruita: pur essendo una pratica manipolatoria, resta comunque finalizzato all'impressione di realtà, alla costruzione di un universo verosimile e funzionale alla fiction, con una sua fluidità di spazio e tempo (i film hollywoodiani) Ognuna di queste prassi è legata ad un'ideologia ben precisa, ma ovviamente in molti casi sono usate con finalità diverse. Sta all'analista saper distinguere i valori in gioco, caso per caso. 5. L'analisi della narrazione 5.1 Le componenti della narrazione La narrazione si può definire come un concatenarsi di situazioni, in cui si realizzano eventi, e in cui operano personaggi calati in specifici ambienti. Si mettono in luce quindi tre categorie: gli “eventi” che accadono i “personaggi” che provocano o sono coinvolti dagli eventi, e gli ambienti che li accompagnano (gli esistenti) le “trasformazioni” che si attuano nel succedersi degli eventi e delle azioni, in termini di rottura rispetto ad uno stato precedente, o come reintegrazione evolutiva del passato. Questo approccio privilegia la “storia” rispetto al “racconto”, ovvero l'universo narrato piuttosto che le modalità di rappresentazione. Ma ovviamente queste ultime rimangono molto importanti per l'influenza che hanno sul profilo di quanto viene raccontato. 5.2 Gli esistenti 5.2.1 Criteri di distinzione tra personaggi e ambienti La categoria degli “esistenti” comprende tutto ciò che è dato e presente all'interno della storia, e si articola in due sottocategorie: i personaggi e gli ambienti. Distinguere tra questi due ambiti non è così intuitivo come sembra. Si possono individuare a tale scopo tre criteri: 19 il criterio anagrafico: l'esistenza di un nome, un'identità ben definita. E' ciò che primariamente distingue il personaggio dall'ambiente che lo circonda. Esistono anche casi intermedi: nomi generici, che identificano zone di sovrapposizione. Il criterio di rilevanza: il peso che l'elemento assume nella narrazione, la misura in cui esso si fa portatore degli eventi e delle trasformazioni. Maggiore sarà il peso, tanto più l'esistente fungerà da “personaggio” piuttosto che da “ambiente”. In questo senso il personaggio può anche non essere un individuo, ma un'entità collettiva, un luogo, un fenomeno naturale. E la rilevanza può manifestarsi sia come incidenza e iniziativa nei confronti degli eventi, sia come passività e sottomissione (cinema moderno). Il criterio della focalizzazione: chiama in causa l'attenzione che viene riservata ai vari elementi dal processo narrativo. Il personaggio è tale perché gli si dedica lo spazio in primo piano, o perché intorno ad esso si concentrano tutti gli elementi della storia. 5.2.2 L'ambiente L'ambiente è definito da tutti quegli elementi che ospitano la vicenda e che le fanno da sfondo. Rinvia quindi all'intorno entro cui il personaggio agisce, ma anche alla sua collocazione spazio-temporale. Per il primo caso, si potrà parlare quindi di ambiente ricco o povero, armonico o disarmonico. Per il secondo aspetto, si parlerà di ambiente storico o metastorico (nessun riferimento ad epoche o luoghi precisi), caratterizzato o tipico (con riferimento a una situazione canonica). 5.2.3 Il personaggio come persona Analizzare il personaggio come “persona” significa assumerlo come individuo dotato di un proprio profilo intellettivo ed emotivo, e di propri comportamenti, gesti, ecc. In base a questo possiamo distinguere personaggi: piatti (semplici e unidimensionali) o a tutto tondo (complessi e variegati) lineari (uniformi e ben calibrati) e contrastati (instabili e contraddittori) statici (stabili e costanti) e dinamici (in evoluzione continua) Naturalmente le categorie possono riguardare anche gli aspetti caratteriali, comportamentali e fisici dei personaggi, considerati come “simulacri” di una persona reale. 5.2.4 Il personaggio come ruolo In questo caso si prende in considerazione il “tipo” che il personaggio incarna, e quindi i suoi atteggiamenti e le sue azioni. Non avremo più di fronte un individuo, ma un elemento codificato, un “ruolo” appunto, che punteggia e sostiene la narrazione. E qui potremo distinguere personaggi: attivi (che operano in prima persona, fonti dell'azione) e passivi (che subiscono l'iniziativa altrui, terminali dell'azione) influenzatori (che “fanno fare” gli altri) e autonomi (che “fanno” direttamente) modificatori (che lavorano per mutare le situazioni, in senso migliorativo o peggiorativo) e conservatori (che lavorano per mantenere l'equilibrio delle situazioni o restaurare l'ordine) protagonisti (che sostengono l'orientamento del racconto) e antagonisti (che sostengono l'orientamento inverso). Per definire i ruoli è importante richiamare i sistemi di valori di cui essi sono portatori. Inoltre ogni ruolo è caratterizzato sia dall'estrema specificazione delle funzioni sia dalla combinazione di più tratti. I “tipi” canonici possono essere riportati a polarità ideali (quali il “Bene” e il “Male”), che si incarnano in figure “integre” come l'eroe totalmente positivo o il maligno integrale, ma queste figure in genere non sono mai al centro delle dinamiche narrative: chi si muove nella narrazione combina tendenze diverse e diversi atteggiamenti, e può passare addirittura da un fronte all'altro. 20 5.2.5 Il personaggio come attante Si può analizzare il personaggio non in termini fenomenologici né formali, ma piuttosto prendendo in esame i nessi strutturali e logici che lo legano ad altre unità. In questo caso si parla, secondo la terminologia narratologica, di “attante”. Esso è da un lato una “posizione” nel disegno globale del racconto, dall'altro un'”operatore” che ne realizza alcune dinamiche. La prima distinzione è quella tra Soggetto e Oggetto. Il Soggetto è colui che muove verso l'Oggetto per conquistarlo, e allo stesso tempo agisce su di esso e il mondo che lo circonda. Il rapporto Soggetto-Oggetto si sviluppa secondo quattro fasi: performance: il movimento verso l'Oggetto e l'azione su di esso e il mondo competenza: è l'intenzione, capacità, diritto ed obbligo di tendere verso l'oggetto e agire mandato: l'acquisizione dell'oggetto è frutto di un incarico di qualcuno sanzione: la retribuzione-ricompensa, o detrazione-punizione che stabiliscono la qualità dei risultati raggiunti. L'Oggetto è il punto di confluenza dell'azione del Soggetto, rappresenta ciò verso cui muovere e ciò su cui operare. Esso può essere: strumentale, quando il Soggetto tende o agisce su di esso in vista di qualcos'altro finale, quando è la meta ultima del percorso neutro, quando sia suscettibile di investimenti qualunque di valore, se l'investimento deve seguire un'assiologia precisa. Attorno all'asse Soggetto-Oggetto si dispongono assi ausiliari. Avremo: Destinatore (punto di origine dell'Oggetto, fonte del mandato e della competenza del Soggetto) vs. Destinatario (chi riceve l'Oggetto, e commina la sanzione) Aiutante (soccorre il Soggetto nelle prove da superare per la conquista dell'Oggetto) vs. Oppositore (ostacola il successo del progetto narrativo) Questo schema astratto dà conto del funzionamento e dell'organizzazione delle strutture narrative più tipiche. Esso inoltre suddivide la struttura del racconto in due percorsi distinti, quello dell'Eroe e quello dell'Antieroe. Questo consente di sviluppare uno schema elementare fondato sulla struttura polemica in via principale, e su quella contrattuale sul piano periferico. All'interno dello schema narrativo generale, ciascun attante può distinguersi via via in alcuni tratti supplementari. Esso può essere: di stato o di fare, a seconda che il suo legame con gli altri attanti sia di “giunzione” o di “trasformazione” pragmatico o cognitivo, a seconda che la sua azione sia diretta e concreta sulle cose, piuttosto che mentale orientante o non orientante, a seconda che la sua prospettiva d'azione coincida o meno con quella privilegiata dal discorso narrativo 5.3 Gli eventi 5.3.1 Azioni e avvenimenti Gli eventi si possono dividere in due grandi categorie: azioni, se l'agente che li provoca è animato avvenimenti, se l'agente è un fattore ambientale o una collettività anonima Gli avvenimenti quindi esplicitano l'intervento della natura o della società, rispetto al quale l'individuo non è in grado di esercitare alcun controllo, ma solo un'azione di contrasto o di fuga. 21 a partire dall'azione, che è il motore del cambiamento. Qui potremo distinguere cambiamenti: lineari (uniformi e continui) o spezzati (contrastati o interrotti) effettivi (che incidono sulla situazione) o apparenti (inconcludenti) di necessità (logiche - che vengono da una concatenazione causale) o di successione (cronologiche - che vengono semplicemente dal procedere temporale). A questo proposito, si potranno distinguere racconti “del pensiero”, concatenati soprattutto per logica e necessità, e racconti “dello sguardo”, per lo più organizzati per successione e accumulo. Ma va anche detto che l'opposizione tra i due tipi di trasformazione risiede spesso più nei modelli interpretativi che nei testi esaminati. La prevalenza del cronologico ha alla base un'idea della narrazione come “arte del tempo”, la prevalenza del logico invece un'idea della narrazione come “schema di esplicazione del mondo”. 5.4.3 Le trasformazioni come processi Sul piano formale, le trasformazioni si configurano come processi, cioè come forme tipizzate di mutamenti, percorsi evolutivi ricorrenti, classi di modificazioni. Esse possono allora qualificarsi come migliorative o peggiorative, naturalmente prendendo come riferimento la situazione di un personaggio “orientante”, dal cui punto di vista sia osservata tutta la vicenda. Un racconto infatti chiama in causa generalmente dei progetti, migliorativi o peggiorativi, che possono manifestarsi o rimanere allo stadio di desideri. E una volta manifestati, possono o meno portare a dei risultati. Il processo di trasformazione si svilupperà quindi attraverso una serie di scelte binarie secondo un percorso logico ricorrente: virtualità (miglioramento o peggioramento da ottenere) attualizzazione (processo di miglioramento o peggioramento) scopo raggiunto (miglioramento o peggioramento ottenuto) scopo mancato (miglioramento o peggioramento ottenuto) assenza di attualizzazione (nessun processo di miglioramento o peggioramento) All'interno di questo schema è possibile ricavare dei percorsi. Dal punto di vista del beneficiario del miglioramento, il processo porterà alla rimozione dell'ostacolo che provoca il suo stato di mancanza iniziale, attraverso l'attualizzazione di certi mezzi possibili. L'attualizzazione può avvenire casualmente (evento fortuito) oppure volutamente (missione da compiere). E in quest'ultimo caso il protagonista potrà avvalersi di agenti-alleati, mentre sarà ostacolato da agenti-antagonisti. Tutto questo può essere però letto anche dal punto di vista di chi persegue il peggioramento: alleati e antagonisti si invertono. Ma anche dal punto di vista di chi patisce il peggioramento, ecc. L'approccio formale rende quindi ben conto delle varie possibilità narrative e delle scelte conseguenti. 5.4.4 Le trasformazioni come variazioni strutturali A questo livello, si intendono le trasformazioni come variazioni strutturali, ovvero come operazioni logiche che sono a fondamento delle modificazioni del racconto. Le principali operazioni sono: la saturazione: la situazione di arrivo rappresenta la conclusione logica e prevedibile delle premesse poste dalla situazione iniziale. l’inversione: la situazione iniziale si rovescia, all’arrivo, nel suo opposto (finale a sorpresa) la sostituzione: lo stato di arrivo sembra non avere legami con quello di partenza, c’è una totale variazione della situazione in gioco la stasi: è una non-variazione, è caratterizzata dalla permanenza dei dati iniziali Queste forme di variazione a volte si intrecciano e si mescolano nel disegno narrativo. Da quanto detto emerge con evidenza la carica dinamica della narrazione: il racconto si muove da uno stato all’altro attraverso una serie di trasformazioni. Nell’analisi di questo percorso, assume un grande rilievo l’osservazione dei due stadi estremi: la situazione di partenza e quella d’arrivo. Esse spesso contengono dati importanti per l’analisi. Diversi possono essere gli approcci: la narrazione come “ordine”: si può vedere l’inizio come un momento di “disequilibrio” e conseguentemente la fine come la reintroduzione o restaurazione dell’equilibrio. la narrazione come entropia: l’inizio come l’apertura di una matrice di elementi e di variabili i cui rinvii relazioni si esauriscono nella fine la narrazione come costruzione di un mondo “altro”: l’inizio e la fine sono considerati come due portali che designano con forza l’ingresso e uscita dello spettatore. 5.5 I regimi del narrare 5.5.2 Narrazione forte, narrazione debole, anti-narrazione Rispetto a quanto detto finora, tre sembrano essere i grandi regimi narrativi, le forme fondamentali del narrare: la narrazione forte: l’enfasi è posta su una serie di situazioni ben definite e concatenate fra loro. Un ruolo fondamentale lo gioca l’azione, sia in quanto forma di risposta di un personaggio all’ambiente, sia in quanto tentativo di modificare le cose. Vi sono poi alcuni tratti peculiari: l’ambiente in cui il soggetto agisce è una dimensione inglobante, che circoscrive l’azione e la stimola i valori espressi da ciascun personaggio sono iscritti in uno schema assiologico duale, organizzato per opposti. E questi opposti giungono sempre ad un momento risolutore in cui l’incontro/scontro è inevitabile tra la situazione di avvio e quella di conclusione c’è un grande scarto, che viene colmato progressivamente, in contemporanea con l’acquisizione di competenza dell’eroe la situazione di arrivo è il completamento prevedibile o il ribaltamento speculare di quella di partenza (saturazione e inversione) E’ lo schema classico del cinema hollywoodiano. la narrazione debole: le situazioni narrative subiscono uno sbilanciamento, c’è un’ipertrofia degli esistenti rispetto agli eventi. I personaggi e gli ambienti, senza azione, diventano enigmatici e perdono di consistenza. E’ il territorio del dramma psicologico. Anche qui ci sono tratti specifici: l’ambiente non è più inglobante ma “pervasivo”: occupa lo spazio dell’azione, non permettendole di esplicarsi le assiologie di valori sono caratterizzate da sincretismo e permeabilità: i punti di vista coesistono, il male e il bene si confondono. l’azione non conduce più a colmare lo scarto tra due situazioni, ma anzi può contribuire ad aumentarlo. I dubbi e le paure non sono più incidenti di percorso, ma diventano modalità costruttive del comportamento dell’”eroe” Lo stato finale si presenta o come il ribaltamento di quello iniziale o come uno stato nuovo, slegato da quello originario. La sorpresa è un elemento spesso dominante, e in certi casi potremmo avere la mancata risoluzione della vicenda (sospensione) l’anti-narrazione: il nesso ambiente-personaggio perde ogni tipo di equilibrio, e l’azione non ha più alcun ruolo rilevante. Il disegno non appare dotato di struttura, e perde ogni valenza dinamica. Anche qui si possono individuare delle costanti: la situazione narrativa è frammentata e dispersa. I personaggi sono connessi tra loro e con l’ambiente da legami labili, e oscillano continuamente tra il ruolo di protagonista e quelli secondari l’assiologia di riferimento non esiste, i valori si dissolvono le relazioni causali e logiche tra gli avvenimenti sono sostituite da semplici giustapposizioni casuali, da tempi morti e dispersivi. L’atto pragmatico del personaggio è sostituito dalla prevalenza del pensiero e dello sguardo le trasformazioni sono lente e non arrivano mai ad un punto compiuto. Dominano la sospensione e la stasi. I tre regimi ovviamente sono tipi ideali, rappresentano dei modelli verso cui ciascun film può tendere. E comunque queste tre tendenze hanno attraversato in senso cronologico l’evoluzione del cinema: dal classico hollywoodiano alla nouvelle vague al cinema contemporaneo. In tempi recenti poi si è fatto strada anche un altro tipo di racconto, trasversale rispetto ai tre evidenziati: quello del “raccontare il proprio raccontare”, cioè esibire la propria azione di narratore, manifestare il testo in quanto tale, rendere espliciti i meccanismi alla base dell’operazione. 6. L’analisi della comunicazione 6.1 Comunicare il film, comunicare nel film 6.1.1 Il testo filmico: oggetto e terreno della comunicazione Comunicare significa far sì che un testo passi da un destinatore ad un destinatario. Parrebbe quindi che siano i due partner con i loro comportamenti concreti, e non il testo con le sue strutture e dinamiche, ad essere il vero fattore in gioco. In realtà ogni testo, compreso il film, non è indifferente al gioco in cui è preso. Il destinatore e il destinatario, all’interno del proprio discorso, si rappresentano e rappresentano il proprio interlocutore, e questa raffigurazione diventa poi principio regolativo per i comportamenti di ognuno. Ed anche le finalità e i modi della comunicazione si rispecchiano nell’atto comunicativo. La comunicazione, nel suo stesso svolgersi, per un verso fornisce una definizione dei partecipanti, delle modalità e delle finalità che la sostengono; e per l’altro fa agire tali elementi quali veri e propri principi regolatori. L’effetto è di riassorbire i termini e le condizioni dello scambio all’interno di quanto viene scambiato: l’oggetto che si trasmette e attorno a cui si interagisce è anche il terreno della trasmissione e dell’interazione. Il film, allora, come ogni testo, si trova a iscrivere in sé la comunicazione nella quale è preso, rivelando da dove viene e a chi vuole andare. Naturalmente sono sempre possibili letture perverse, decodifiche aberranti o semplici fraintendimenti. Ma in ogni caso il testo simula la situazione comunicativa in cui intende collocarsi, e vincola chi partecipa a questa immagine preventiva. 6.1.2 Seguendo le tracce Possiamo cogliere nel testo filmico non solo il riflesso dei processi di scambio in cui è coinvolto, ma anche gli effetti di questi processi sulla sua struttura e funzionamento. Dalla maniera in cui immagini e suono si dispongono e operano possiamo dedurre sia il “farsi” del film (ovvero l’identità di un progetto organizzativo e comunicativo, una provenienza), sia il suo “darsi” (ovvero un principio di interpretazione, un orizzonte di attese, una destinazione). 6.2 Il quadro comunicativo 6.2.1 Figure reali e figure vicarie 26 commenti espressi dagli stessi personaggi della vicenda, espressioni del punto di vista di Narratori e Narratari). Anche qui, pur nella difficoltà di distinguere nel cinema l'extradiegetico dall'omodiegetico, si possono individuare tre configurazioni: il punto di vista dell'Autore implicito è “superiore” a quello del Narratore o del Narratario. Chi guida il testo sa di più, legge nella mente dei personaggi, comprende ciò che essi non riescono a comprendere, ecc.. In definitiva, nessuna figura nel testo ne incarna la logica. E' la soluzione tipica del racconto classico. il punto di vista dell'Autore implicito è “equivalente” a quello del Narratore o del Narratario. Chi guida il testo vede, conosce e giudica in correlazione con i personaggi. Il caso più comune è la narrazione in prima persona. Il punto di vista dell'Autore implicito è “inferiore” a quello del Narratore o del Narratario. Chi guida il testo si limita a descrivere o testimoniare dei fatti. Nel cinema è il caso di molti documentari. 6.3.5 La conformità del punto di vista Se ben osserviamo i focalizzatori omodiegetici, ci accorgiamo che non tutti i portatori di punto di vista sul piano della storia sono portatori del punto di vista dell'Autore e dello Spettatore impliciti. Vi possono essere personaggi il cui punto di vista non coincide con quello che attraversa il film. I punti di vista espressi nel film, in particolare quelli specifici dei Narratori e Narratari, si caratterizzano quindi spesso per un diverso grado di conformità rispetto al punto di vista che li ingloba e definisce (quello dell'Autore e Spettatore impliciti). Si possono allora ipotizzare due casi opposti: Narratore e Narratario fededegni: il loro punto di vista è perfettamente conforme a quello dell'Autore e dello Spettatore impliciti. Narratore e Narratario inattendibili: il loro punto di vista è del tutto difforme da quello dell'Autore e dello Spettatore impliciti. Naturalmente i due poli spesso si intrecciano anche all'interno dello stesso testo. 6.4 Forme di sguardo 6.4.1 I quattro tipi di atteggiamento comunicativo Lo “sguardo” ingloba sia il vedere che il sapere che il credere. E' possibile identificarne quattro grandi tipologie, che derivano da diverse combinazioni dei fattori comunicativi e da diversi gradi di esplicitezza che questi fattori assumono. 6.4.2 L'oggettiva L'immagine presenta una porzione di realtà in modo diretto e funzionale, senza mediazioni e senza omettere alcuna informazione necessaria. Questa configurazione è detta oggettiva. Si manifestano un Autore e uno Spettatore impliciti, ma nessun Narratore o Narratario. Ne discendono un vedere “esauriente”, un sapere “diegetico” (tutto ciò di cui si viene a conoscenza è contenuto nell'immagine), un credere “saldo”. 6.4.3 L'oggettiva irreale L'immagine mostra una porzione di realtà in modo anomalo o apparentemente ingiustificato, segno di una intenzionalità comunicativa che va oltre la semplice raffigurazione (riprese da luoghi “impossibili”, movimenti di macchina vertiginosi, ecc.). Qui i punti di vista emissivo e ricettivo sono esplicitate in maniera netta, l'autore e lo spettatore impliciti si calano in un Narratore (il protagonismo della macchina da presa) e in un Narratario (il ruolo interpretativo dello spettatore). Ne discendono un vedere “totale” (onnipotenza 29 visiva), un sapere “metadiscorsivo” (l'immagine informa anche sulle modalità della scrittura filmica), un credere “assoluto”. 6.4.4 L'interpellazione L'immagine presenta un personaggio, oggetto o soluzione espressiva la cui funzione primaria è di rivolgersi allo spettatore, chiamandolo direttamente in causa (voci over, didascalie, sguardi in macchina, ecc.). Sono perciò presenti un Autore implicito, un Narratore che lo incarna (l'elemento interpellante) e uno Spettatore implicito (a cui però non corrisponde un Narratario). Ne derivano un vedere “parziale” (calamitato dalle istruzioni provenienti dallo schermo), un sapere “discorsivo” (più attento al discorso che alla diegesi), un credere “contingente” (legato solo alle assicurazioni fornite dall'interpellante). 6.4.5 La soggettiva Quanto appare sullo schermo coincide con quanto un personaggio vede, sente, apprende, immagina, ecc.. Abbiamo un Autore implicito, ma soprattutto uno Spettatore implicito e un Narratario che lo rappresenta. Lo spettatore assume una posizione per così dire attiva, entrando in campo attraverso gli occhi, la mente, le credenze del personaggio. Ne derivano un vedere “limitato”, un sapere “infradiegetico” (calato completamente nel vissuto di chi sta in scena), un credere “transitorio” (che dura finché dura la credibilità di chi è in campo). 6.5 I percorsi dello sguardo 6.5.1 La costruzione dello sguardo Un'indagine complementare a quella sulle tipologie dello “sguardo” è quella che analizza i modi in cui il quadro comunicativo viene a costituirsi e a definirsi. In questo senso è utile servirsi delle categorie modali già utilizzate per i ruoli narrativi: mandato, competenze, performanza, sanzione. Il mandato si manifesta ogni qual volta qualcuno viene incaricato di intervenire nella comunicazione, assumendo un ruolo, una parte. la competenza segue immediatamente l'attribuzione del ruolo, è l'idoneità a svolgerlo, nelle sue quattro condizioni modali. la performanza è il momento in cui vediamo i diversi ruoli compiere le azioni per cui sono scesi in campo, con determinate modalità. la sanzione è il momento del giudizio, e di conseguenza della riequilibratura delle assiologie in gioco. 6.5.2 Presupposti, azioni Le quattro tappe, pur dando origine ad un percorso unitario, si situano su due piani ben distinti: quello cognitivo (il mandato e la sanzione) e quello pragmatico (competenza e performanza). In generale, è sul piano cognitivo che rintracciamo l'Autore implicito, mentre sul piano pragmatico vediamo agire i Narratori e Narratari. C'è però la possibilità che questa struttura subisca delle variazioni: il piano cognitivo può essere in mano allo Spettatore implicito (opere aperte), oppure a carico di un Narratore o Narratario. Oppure Autore e Spettatore impliciti possono operare sia sul piano cognitivo che pragmatico, eliminando ogni figura vicaria, ogni altro punto di vista (testi descrittivi o in presa diretta). E ogni configurazione può poi accavallarsi e intrecciarsi con le altre. 6.6 I regimi della comunicazione 6.6.1 Figure, forme e percorsi 30 Anche sul terreno della comunicazione, così come per le altre prospettive di analisi del film, si procede per addensamenti e rarefazioni, disegni unitari ed emergenze imprevedibili: anche qui si possono individuare in prima approssimazione sistemi coerenti di scelte attorno a cui si aggregano le singole soluzioni: regimi che definiscono le opzioni di fondo delle dinamiche comunicative. 6.6.2 Comunicazione referenziale e comunicazione metalinguistica Ricalcando la classica tipologia delle funzioni comunicative, possiamo distinguere due regimi chiave: La comunicazione referenziale: è rivolta prevalentemente alla trasmissione di un contenuto, alla denotazione della realtà. Lo scopo è quello di “mostrare” e “vedere” il mondo, senza che questo “mostrare” e “vedere” si evidenzino come procedimenti di mediazione. E' lo sguardo “oggettivo” (documentari, descrizioni) La comunicazione metalinguistica: è rivolta ad esprimere l'atto stesso del comunicare. Non si mostra il mondo, ma piuttosto il fatto stesso di mostrare e vedere. La comunicazione ritorna su sé stessa, sul rapporto tra Destinatore e Destinatario e sul messaggio scambiato. In particolare, quando la comunicazione “torna” sul Destinatore, si ha la comunicazione emotiva, che si caratterizza per l'esplicitazione di un punto di vista da cui sono mostrate le cose (ad es. l'oggettiva irreale) Quando invece la comunicazione “torna” sul Destinatario, si ha la comunicazione identificativa, che porta al centro della struttura la controparte dello scambio, spingendola all'identificazione e consapevolezza del proprio ruolo (ad es. l'oggettiva) Se la comunicazione “torna” sul contatto che si instaura tra Destinatore e Destinatario, ovvero si dedica ad esplicitare e a verificare il legame tra le controparti, si ha la comunicazione fatica (sguardo in macchina, ma anche fermo immagine, ralenty, ecc.) Infine, se la comunicazione “torna” sul messaggio scambiato, esaltandone le caratteristiche formali e strutturali, si ha la comunicazione poetica. La meticolosa cura formale, l'attenzione ai ritmi e alle ricorrenze, il virtuosismo tecnico sono esempi di questa categoria (ad es. videomusic, pubblicità, ecc.) Naturalmente tutte queste varie forme di comunicazione metalinguistica possono sovrapporsi, intrecciarsi e contaminarsi. Resta ferma la prevalente attenzione sull'atto stesso del comunicare piuttosto che sulla realtà di riferimento. Si tratta di un'opposizione tra due disposizioni generali del comunicare: da un lato la neutralità dell'atto comunicativo e l'obliterazione di ogni intenzione mediatrice, dall'altro l'esplicitazione proprio di questo momento di mediazione e riorganizzazione dei dati.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved