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Analisi del testo di alcune poesie di Ungaretti, Appunti di Letteratura Contemporanea

le poesie analizzate sono: la madre; il porto sepolto; Italia; allegria di naufragi; veglia; in memoria; i fiumi; commiato; lago luna alba notte; la pietà; gridasti:soffoco; l'impietrito e il velluto.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 14/04/2023

francesca-gallo-78
francesca-gallo-78 🇮🇹

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Analisi del testo di alcune poesie di Ungaretti e più Appunti in PDF di Letteratura Contemporanea solo su Docsity! Analisi del testo del componimento “La madre” di Ungaretti Il componimento, scritto nel 1930, è stato inserito nella raccolta “Sentimento del tempo” pubblicata per la prima volta nel 1933. La raccolta in cui è inserito il testo si discosta dai temi di trincea e dai paesaggi parigini della prima raccolta, “L’allegria”, per concentrarsi sui paesaggi romani e sulle riflessioni sul tempo, sull’attesa della morte, sulla solitudine di fronte al dolore. Cambia l’impostazione delle liriche, non più frutto di illuminazione, ora il risultato di una riflessione profonda e di una ricerca del senso dell’esistenza, nascosto dietro il “muro d’ombra” (v.2) costituito dalle apparenze inutili del mondo. Il muro d’ombra è un ostacolo terreno tra la vita e l’aldilà: quando il suo cuore smetterà di battere, questo muro cadrà e si ritroverà al cospetto del Signore. Rivedrà la madre, che gli darà la mano come quando era bambino, sarà lì in ginocchio immobile in attesa del giudizio divino, con lo stesso atteggiamento di preghiera di quando era in vita. La madre però solo quando sarà sicura della salvezza del figlio, garantita dalle sue preghiere, si volterà a guardarlo. Nel componimento Ungaretti immagina il ricongiungimento con la madre nel regno dei cieli: il dolore per la perdita aveva portato il poeta ad una riflessione sulla morte, e più in particolare sulla propria morte che lo avrebbe finalmente ricongiunto alla madre e a quella innocenza che essa rappresentava. Ciò verrà reso possibile dal perdono divino, concesso ad Ungaretti proprio grazie alla madre che prega per lui. Centrale quindi la figura della madre, umile e forte, che rappresenta un sentimento così forte d’amore che va oltre la morte e si sublima in sentimento religioso: simbolo della pietà materna che pregando per la redenzione del figlio lo accompagna, come lo ha accompagnato in vita, anche dopo la morte. Ungaretti vuole esaltare il ruolo di tutte le madri. Questa gesto d’amore verrà però presentato in chiave severa: l’affetto viene così subordinato ai valori morali. Questo testo è pregno della religiosità del poeta, poiché scritto due anni dopo la conversione: anche la menzione alla “lunga attesa” si riferisce alla conversione poiché avvenuta a 40 anni. In questa ottica la morte coincide nel suo immaginario poetico con il confronto con Dio nell’aldilà. Il rapporto umano genitoriale o del lutto non viene vissuto in maniera “terrena” bensì in maniera religiosa. Anche il gesto del “darsi la mano” (v.4) o il “rapido sospiro” (v.15) sono in una prospettiva tutta religiosa. Ecco perché la figura della madre, presentata come una “statua” si carica di significato di distacco dal mondo terreno: la morte è slancio e non perdita degli affetti. D’altronde Ungaretti non coinvolge in maniera diretta nel componimento il proprio dolore per la perdita, bensì descrive un ipotetico ricongiungimento. Da un punto di vista dell’analisi psicologica tutta ruota ancora attorno alle considerazioni freudiano sul complesso di Edipo. Si può quindi concludere che i temi di questa poesia sono due: 1. La rielaborazione del lutto; 2. La relazione edipica. Entrambi i temi si rifanno a momenti importanti nella vita di ogni uomo e assicurano quindi la leggibilità di questo componimento e la possibilità di immedesimarsi. Tuttavia è fortemente segnato dalla mediazione formale che in questa fase Ungaretti attua: solo tramite una lettura attenta si riconosce l’umanità e il dolore messe in atto tramite questo velo di spiritualità e stilizzazione. Forse proprio nel gesto di darsi la mano, gesto tutto fisico, e nel conclusivo ultimo sospiro, che esprime la soddisfazione di aver raggiunto una cosa desiderata, si esprimono l’amore e il dolore che vanno al di là della vita stessa. Dal punto di vista stilistico l’uso dei modi e dei tempi verbali accompagna la sinuosità del testo dandoci uno schema per i temi e i simboli espressi: - L’uso dell’indicativo ci rende nota della certezza dell’autore della compassione della madre, incrollabile nella propria fede, alzerà le braccia per pregare ripetendo il gesto già compiuto in vita in punto di morte; - Nell’utilizzo dei tempi al futuro e al imperfetto, invece, scandiscono il fluido passare della scena tra il futuro del poeta e il passato in vita della madre. Dal punto di vista metrico ritorna al verso e alla sintassi tradizionale più complessa tramite l’alternarsi di endecasillabi (10) e settenari (5), suddivisi in cinque strofe di diversa lunghezza: due quartine; due terzine; due distici. Inoltre ritorna ad utilizzare la punteggiatura. Un progressivo contrarsi dell’estensione come a simboleggiare il contrarsi del valore simbolico si sviluppa tramite la concentrazione dei versi più brevi nella parte centrale, mentre quattro endecasillabi consecutivi aprono e chiudono il componimento come a voler conferire solennità. La prima, la quarta e la quinta strofa, tutte endecasillabi, sono le strofe in cui il poeta parla di se, con atteggiamento assorto; la seconda e la terza, invece, con cinque settenari e solo due endecasillabi, sono quelle in cui viene evocata la madre, la cui tensione riprende il momento tragico. I versi non sono rimati. La struttura del componimento è simmetrica poiché ogni strofa coincide con un periodo e con un gesto compiuto dalla madre. Il ritmo è regolare e la musicalità risulta composta grazie all’uso prevalente di parole piane. Il tono è elevato e a tratti solenne; tramite le analogie il componimento risulta di gusto ermetico, di difficile interpretazione e quindi più complicato da interpretare. Analisi del testo del componimento “Italia” di Ungaretti La lirica “Italia” è stata composta nel 1916, è caratterizzata da versi liberi, raggruppati in quattro strofe di varia lunghezza (due terzine, una quartina, e una strofa da cinque versi) prive di punteggiatura e quindi musicalmente regolate dagli a capo, dagli spazi vuoti e dagli enjambement. La lirica è un inno patriottico all’Italia, svuotato pero della carica nazionalistica e visto semplicemente come senso fortissimo di appartenenza e di fratellanza con i connazionali. Nella lirica infatti, che inizia con l’affermazione “sono un poeta” l’autobiografia del poeta è molto forte, riferita tramite le metafore e le similitudini. Tramite questa lirica Ungaretti vuole far riflettere le generazioni future sulle condizioni da lui vissute: la guerra, la lontananza, il ritorno alla patria. E in aggiunta, innalzandosi nella sublimità della figura del poeta, vuole passare oltre l’angoscia della concreta esperienza del fronte e riconoscersi finalmente in ciò che è: un uomo, un poeta, un italiano. Nei primi versi l’intento è sicuramente quello di definire la sua figura e porla in stretto contatto con quella di tutti gli uomini: egli è un poeta che però da voce ad un grido unico di sofferenza per il presente, ma anche ammasso di sogni di speranza per il futuro. Già nei versi della seconda strofa emerge ili carattere autobiografico: il poeta infatti, tramite la metafora del seme innestato e cresciuto in una serra, parla della propria formazione e della propria infanzia, vissute sempre lontane dalla patria che ora invece sta servendo al fronte. La stessa figura della serra può avere significato sia di crescita fuori dall’Italia, sia di intendere il momento di crescita vissuto nelle condizioni disastrose della guerra. Nella terzina che segue vuole sicuramente innestare il carattere di fratellanza che il suo sentimento patriottico porta con se: Ungaretti non si sente singolo e solo, ma si sente parte di un popolo, figlio della stessa terra. Questo sentimento d’appartenenza collegato alla nascita, al grembo materno, viene espresso dal poeta nonostante la sua nascita sia in realtà avvenuta fuori dall’Italia, in Egitto. Questo sentimento viene spiegato ancora meglio nella strofa conclusiva della lirica, nella quale parla dell’uniforme che ora porta come vessillo di appartenenza, del riposo che ha trovato in Italia, nonostante la guerra, e tramite la similitudine con la culla lascia intendere di essere finalmente nella sua patria, poiché patria del padre. Il sentimento forte che egli ha nei confronti dell’esperienza della trincea è sicuramente collegato anche all’aiuto che il sottotenente Ettore Serra diede ad Ungaretti: quest’ultimo infatti aiutò il poeta pubblicando le poesie che vennero scritte al fronte, nei duri anni della trincea. È grazie a lui che venne pubblicata la prima edizione della raccolta, “Il porto sepolto” 1916. Analisi del testo del componimento “Allegria di naufragi” di Ungaretti Composta nel 1917, questa poesia dà il nome alla seconda edizione del porto sepolto, la quale presente l’aggiunta di componimenti scritti al fronte e che fu pubblicata con questo nuovo titolo nel 1919. È un opera composita che però non ha nessuna organicità. Il tema principale è quello del viaggio espresso tramite la metafora del lupo di mare che dopo un naufragio non trova sconforto o terrore, bensì è caricato di allegria, di un sentimento positivo che lo sprona a non fermarsi e a riprendere subito il suo viaggio. Questa metafora si riferisce al viaggio della vita che gli uomini vivono proprio così: con l’allegria di andare sempre avanti. Inoltre si riferisce ovviamente anche alla guerra: questa è paragonata proprio al naufragare (figura tutta leopardiana), portando però accostato alla guerra il sentimento di forza che scaturisce dall’essere sopravvissuti. Come le altre liriche di questa prima raccolta di componimenti, i versi sono liberi, non rimati, spesso coincidono con una sola parola, caricata quindi di significato, e privi di punteggiatura, lasciando alle pause e agli enjambements la forza ritmica del componimento. La metafora del viaggio è una delle più utilizzate nella lirica di tutti i tempi: basti pensare all’Odissea, alla Divina Commedia, ma anche ai componimenti degli esponenti del simbolismo francese, base della formazione di Ungaretti. Come alcune poesie di Pascoli, Ungaretti comincia la sua poesia con la congiunzione E, la quale vuole riprendere qualcosa trattato in precedenza: infatti il componimento conclusivo della precedente racconta, Commiato, si conclude con un riferimento ad un naufragio. Il secondo verso è posto in isolamento con le sole due parole “il viaggio” per mettere in primo piano il tema principale della poesia. Subito dopo, inserisce la similitudine che introduce la parola chiave: SUPERSTITE, colui che e sopravvissuto. Nell’ultimo verso, infine, il lupo di mare simboleggia la solitudine dell’esperienza del dolore del naufragare. Sentimento passeggero poiché subito subentra l’allegria di andare avanti, nonostante le avversità. Il viaggio però è che inteso come infinito e continuo naufragare, andare alla deriva, ogni volta convinti e felici di aver raggiunto un porto sicuro che e in realtà solo un altro punto di partenza. Lo stesso titolo dell’opera è un ossimoro, poiché unisce il naufragare, che genera sentimenti negativi in principio, all’allegria successiva di sapere di potercela fare. Analisi del testo del componimento “Veglia” di Ungaretti Il componimento Veglia è forse uno dei più ricchi di simboli ermetici e di conseguenza il più espressivo, in grado di trasmettere tutta l’angoscia provata dal poeta nell’anno che va dal 1915 al 1916, nel quale visse la vita di trincea sul Carso. È con questa lirica infatti che si introduce il tema della guerra nella raccolta “Il porto sepolto” che diventerà poi “allegria di naufragi” ed infine “L’allegria”. La lirica è composta con versi liberi di vario ritmo (settenari, senari, quinari) organizzati in due strofe di diversa lunghezza. Come le altre liriche di questa prima parte della raccolta, è priva di punteggiatura e per la sintassi prevale la coordinazione e l’uso di partici passati, per descrivere il momento tragico, e di passati prossimi, per descrivere il momento di riscatto. Importante però in “Veglia” la presenza di parole ricche di assonanze che vogliono stimolare una sorta di discorso in rima, usando quindi un impatto fonico alla poesia: vi è una prevalenza di doppie per dare suoni aspri, in grado di sottolineare l’assurdità della guerra e della morte in guerra. Inoltre vi sono delle parole-verso che servono a dare risonanza a parole chiave per descrivere prima la brutalità della morte in trincea, poi per descrivere la risposta del poeta che, sopraffatto dalla paura di morire, risponde con un sentimento opposto e positivo: l’amore. Ungaretti soldato di trincea risponde alla brutalità della morte scrivendo poesie d’amore accanto al corpo freddo e martoriato di un compagno ucciso in battaglia. Già dal titolo possiamo riconoscere una dualità. La veglia viene descritta nella prima strofa come l’interminabile attesa dell’alba accanto al corpo straziato del compagno: tramite le doppie, i participi, e la cruenta descrizione del corpo martoriato (le mani, la bocca…) vuole far intendere che il tempo scorre lento e inesorabile, portando con sé l’ansia di vivere la stessa sorte e quindi di essere massificato nella brutalità della guerra; nella seconda strofa invece viene fuori la dolcezza della veglia funebre, quindi il trascorrere del tempo vicino al morto per dare valore alla sua condizione, e nel mentre esorcizzare ciò che è successo aggrappandosi alla vita e richiamando la forza sia dell’amore sia della scrittura di rendere tutto ciò possibile. Infatti il poeta nel la breve seconda strofa dichiara di non essere mai stato cosi attaccato alla vita. Ogni poesia della raccolta è preceduta da data e luogo della composizione, espediente che richiama all’idea del diario di guerra che è stata la realtà del poeta durante il primo conflitto mondiale. Il concetto, qui comprensibile tramite la forza delle parole, che Ungaretti vuole richiamare è quello che i greci chiamavano EROS E THANATOS: quanto più si è vicini alla morte, tanto più ci si sente attaccati alla vita. Altro simbolo importante è sicuramente quello del plenilunio, della luna piena. Il paesaggio naturale entra a far parte della scena, in una relazione di stretto contatto con le figure e le emozioni. Il compagno morto è rivolto verso la luna quasi a voler significare che gli elementi naturali risultano indifferenti a ciò che sta accadendo sotto di loro. Ma allo stesso tempo gli può essere attribuito un secondo significato: la luna, come gli altri elementi della natura, possono risultare gli unici punti di riferimento in una vita che, scossa dalla guerra, sta perdendo ogni certezza. È il Infine è importante ricordare che il componimento “In memoria” è posto all’inizio della raccolta del porto sepolto, quasi a voler dare un posto privilegiato alla memoria dell’amico e allo stesso tempo porre le basi degli argomenti che verranno trattati: la vita, la morte, la guerra, la caducità dell’esistenza. Analisi del testo del componimento “I fiumi” di Ungaretti Questa lirica è una delle più importanti e delle più riuscite della raccolta “L’allegria” in quanto ha funzione di presentazione del poeta, quasi come un autobiografia. L’azione comincia in una sera di pausa e riposo nella quale Ungaretti ricorda prima un evento recente, della giornata, ossia il bagno che la mattina ha fatto nell’Isonzo, fiume che scorreva sul fronte orientale, poi allarga la visuale poetica e il ricordo si fa più ampio. Tramite il ricordo, generato dal bagno catartico nell’Isonzo, porta all’attenzione del lettore altri tre fiumi (Serchio, Nilo, Senna) e, tramite una fitta rete di metafore e similitudini, ricorda così le fasi importanti della sua vita e della sua formazione come uomo e come poeta. Partendo dal Serchio, fiume toscano, ricorda le origini dei genitori e quindi descrive un forte senso di appartenenza per una patria che solo ora che combatte è anche sua; il secondo fiume che ricorda, infatti, è il Nilo, fiume egizio, che ricorda le sue radici, ossia il luogo in cui è nato e in cui ha sperimentato il suo fervore giovanile che lo spinse poi a trasferirsi per continuare i suoi studi, restando sempre un ricordo caro di casa; infine ricorda la Senna, fiume francese, che quindi riporta alla mente gli anni di più pura formazione sia di cultura che di vita, ricordandolo come un periodo prospero e che pone basi solide per la sua identità. Sul finire della poesia tornerà a parlare dell’Isonzo, paragonando con una metafora il bagno rigenerante nelle sue acque, avvenuto la mattina del giorno in cui compone la lirica, ad una sorte di catarsi conclusiva, capace di collegare tutte le sue esperienze e infonderle definitivamente dentro di sé, permettendogli di sentire finalmente quel senso di unità e di appartenenza all’universo. Anche se minuscola parte, “docile fibra”, ne è comunque parte integrante, come tutte le cose. Importanza fondamentale quindi per questo processo ha la natura: le continue analogie che il poeta compie con le cose e soprattutto con gli elementi naturali servono proprio a rendere generale la sua figura, a catapultarlo nel senso generale dell’universo che unisce ogni cosa, riprendendo quindi sia la poetica simbolista delle correspondances sia in piccola parte si sente l’eco del panismo dannunziano. La natura qui viene personificata e, proprio in stile dannunziano, di conseguenza l’uomo viene naturalizzato. In questo gioco di analogie gioca un’importante ruolo la LOGICA SIMMETRICA, teoria psicoanalitica sviluppatasi in quegl’anni per conto dello psicologo cileno Blanco: secondo la sua teoria l’inconscio non agisce secondo i canoni aristotelici di identità, non contraddizione e terzo escluso, bensì esso si fonda sul principio dei rimandi, delle analogie tra le cose, così che nel nostro pensiero ogni cose è se stessa ma anche un’altre che il nostro inconscio ci fa percepire come simile se non uguale. Ecco perché per Ungaretti l’Isonzo è anche gli altri fiumi perché in senso di analogia e anche di metafora esso può essere una cosa e l’altra per la mente, anche se realmente e razionalmente non è cosi. La conclusione della poesia, però, risulta alquanto malinconica e nostalgica. L’azione si sposta di nuovo nel presente del poeta e quindi nella notte tranquilla di riflessione, ma questa volta con l’amarezza della nostalgia successiva al momento di rievocazione vissuto. Torna qui l’immagine del cerchio, data dalla corolla del fiore, che ricorda la forma della dolina e del circo dell’inizio del componimento. Questo elemento, e il ritorno al presente, fanno si che anche la poesia risulti circolare nella sua struttura. La poesia è composta da sessantanove versi suddivisi in quindici strofe tutte di varia lunghezza, le più lunghe sono la prima e l’ultima come a voler sottolineare il loro carattere di cornice dell’intero componimento. La metrica oscilla tra i bisillabi e gli endecasillabi, alternando versi parisillabi a versi imparisillabi, conferenza alla poesia poca musicalità quindi di conseguenza una massima rilevanza espressiva e semantica ad ogni singolo verso, coadiuvata dall’assenza di punteggiatura. Ogni parte della poesia è sapientemente costruita per fare rimandi al soggetto, ossia al poeta, e al collegamento che egli vuole rendere chiaro e malleabile tra presente e passato: i numerosi pronomi deistici, la presenza mescolata di tempi presenti e passati, e la corrispondenza tra cose e simboli ad esse legate fanno si che sia chiaro l’intento di Ungaretti. Altro ruolo importante hanno gli aggettivi, pochi ma significativi: “mutilato” per riferirsi all’albero, che però richiama anche il tema sempre presente della guerra; “abbandonato” che si riferisce all’albero ma, simbolicamente, al poeta che si abbandona al ricordo. Ricordo che viene evocato solo dopo che il peta ha trovato pace e armonia immerso nella natura. Analisi del testo del componimento “La pietà” di Ungaretti La lirica è inserita all’interno ella raccolta “Sentimento del tempo” nella sezione sottotitolato “Inni”, nella quale tutti i componimenti sono pregni dell’avvenuta conversione al cristianesimo di Ungaretti, nel 1928. È suddivisa in quattro sezioni, 45 strofe: gli spazi bianchi, molto presenti nella struttura tipografica della lirica, sono posti per dare solennità e sacralità al componimento, quasi come a dare l’impressione che i versi debbano essere recitati da un coro religioso; ma, allo stesso tempo, a sottolineare la distanza tra gli uomini e Dio. Il sentimento religioso del poeta, infatti, inizialmente, è quello apocalittico descritto dai dipinti e dalle sculture barocche del ‘500: in esse Dio era distante, era al di sopra delle parti e no interagiva più con l’umanità. Il senso di smarrimento proprio del barocco è un sostrato culturale importante per lo stesso senso percepito dagli uomini del ‘900, provati dalle guerre e dalla massificazione. Dieci anni dopo la prima guerra mondiale, e dopo un primo periodo di ritrovo della natura costruttiva e del mito, tramite il ritorno alla classicità, Ungaretti torna a guardare dentro di sé, a dare peso all’interiorità e all’animo umano. Ungaretti si sente solo e provato, abbandonato a sé e circondato da superbia e bontà, per questo cerca rifugio nella richiesta accorata di pietà da parte di Dio, di questa entità superiore che sarà in grado di farlo sentire meno solo. Si paragona ad una foglia portata dal vento in giro, senza meta, citando la una figura già usata in soldati. Il titolo del poemetto fa riferimento alla scultura omonima di Michelangelo Buonarroti. Il messaggio che quest’ultimo volle donare alla sua creazione non era quello di una madre straziata dal dolore per la perdita del figliol, bensì voleva incidere sul volto della Vergine Maria il superamento della sofferenza terrena per raggiungere la perfezione divina tramite la pietà. È ciò che Ungaretti tenta di fare tramite questi versi: superare la sua condizione di crisi esistenziale tramite il richiamo al divino. Ma la sensazione che ha il poeta, nell’avanzare del poemetto, è quella della distanza di Dio rispetto alla condizione di vita dell’uomo. Nei versi “la speranza di un mucchio d’ombra/e null’altro è la nostra sorte?” Il poeta fa un chiaro riferimento al regno pagano delle ombre, ossia l’Ade: ambiente scuro e tetro dove soggiornano le ombre e non le anime senza distinzione tra bontà e malvagità, indipendentemente se si è peccatori o meno, svuotando quindi di senso il credo cristiano. La poesia infatti si conclude parlando dell’uomo che bestemmia, che invoca il nome di Dio soltanto invano, per affermare che la natura umana si sente svilita, sola, priva di valori supremi a cui fare riferimento, e quindi è malvagia e chiede aiuto e redenzione, chiede quindi pietà. Analisi del testo del componimento “Gridasti: soffoco” di Ungaretti Il componimento “Gridasti: soffoco” fa parte della raccolta “Un grido e paesaggi”, pubblicata nel 1952, nella quale vengono esplicati i due temi del titolo: il paesaggio naturale inteso come entità onnipresente e quasi divina; l’urlo come manifestazione del dolore esistenziale. Questi componimenti però non sono caricati degli stessi slanci vitali delle opere giovanili. Il componimento fu composto subito dopo la morte del figlio Antonietto, quando il poeta era ancora in Brasile. Questo componimento rispecchia l’apice della vita di Ungaretti, sempre segnata dal dolore: per la guerra, per la morte del fratello e della madre. Il momento più doloroso della sua vita però è stat proprio la prematura dipartita del figlioletto, avvenuta quando il bambino aveva solo nove anni. Per cercare di rendere più sopportabile il dolore provocato da questo avvenimento, scriverà numerose poesie ricche di ripetizioni, fino al limite dell’ossessione, utilizzando la parola “gridata” come veicolo dello scaricare la sofferenza, e gli affanni resi evidenti dai puntini sospensivi. I versi “ti vado a prendere[…] e la liberi” sono i più belli e i più carichi di umanità e allo stesso tempo i più violenti di tutta la letteratura italiana: Ungaretti si ribella alla morte e con speranza permette al figlio di vivere continuare a vivere attraverso il suo amore e, inconsciamente, di vivere il eterno tramite la poesia. Persiste nel poeta, anche difronte alla morte e alla sofferenza, la forza dell’amore che libera così l’animo del poeta dal tempo, per sfidare il destino di una vita spezzata troppo presto che continuerà a vivere in eterno. Nella prima parte della poesia il poeta rievoca i tragici momenti della morte del bambino, descrivendo il momento in cui i suoi occhi, luminosi fino a poco prima di morire, si spensero, mentre il bambino teneva strette le mani del padre. Da quest’immagine straziante il poeta inizia a raccontare come lui sia migliorato come persona grazie al figlio e si sente finalmente puro e libero rispecchiandosi proprio negli occhi del figlio. Torna poi alla descrizione fisica, parlando della bocca del bambino, mettendo anche qui a confronto la gioia contagiosa che portava il suo sorriso, con la smorfia contratta dal dolore dell’attimo prima del suo ultimo respiro. Con il verso sospeso “un bimbo è morto”, staccato dalla strofa successiva dai puntini sospensivi, il poeta ora passa a descrivere se stesso dopo la morte del figlio. Il bambino aveva solo nove anni quando morì e il padre ora descrive la sua vita come un cerchio al quale appunto non potrà essere aggiunto più neanche un minuto. Unico appiglio è la memoria, il peso che dà ai nove anni trascorsi insieme al figlio, che quindi solo grazie al ricordo riesce a rivedere e rivivere. Tramite il ricordo rivive sensazioni emotive ma anche sensazioni fisiche e tattili: ricorda il primo momento in cui il figlio gli strinse le mani e parla di una maggiore “coscienza” man mano che cresce, perché acquisendo coscienza acquisì anche una maggiore conoscenza del padre. Crescendo quindi le sue mani si fanno più sensibili, nel senso che sanno di potersi affidare alle mani del padre, di potersi affidare completamente. In un climax discendente però torna alla mente l’immagine del figlio ammalato, che ha ora le mani gracili: sono aride e secche, termini riconducibili alla morte e che servono da contrasto ai temi portanti delle sue due prime raccolte (secche/acqua di “L’allegria” e aride/estate di “sentimento del tempo”). l’anima del bambino però ormai è libera dai vincoli del tempo, della malattia, della carne: ora è libera, senza vincoli, ora può continuare ad esistere. Nessun padre vorrebbe mai sopravvivere alla morte del figlio e per Ungaretti i giorni che gli restano da vivere saranno come una punizione per questa colpa che il poeta si da: quella di essere sopravvissuto. Ancora in preda ai sensi di colpa il poeta poi aggiunge che vuole sfruttare questi anni che gli restano per ricordarlo e per immaginarlo mentre cresce, tentativo disperato di fare qualcosa, sentendosi impotente davanti alla morte. Ma si rende conto, con tanta amarezza, che l’unica cosa che “cresce” è la sua vecchiaia, della quale avrebbe fatto volentieri a meno se avesse potuto permettere al figlio di continuare a vivere. Ora che il figlio non c’è più non si sente a casa in Brasile, si sente estraneo: trova difetti in ogni cosa, persino nel cielo che scrive come troppo azzurro e pieno di stelle. Il cielo, questo riferimento naturale, che è talmente pieno di stelle da non essere più neanche un punto di riferimento, nell’ultima strofa sembra quasi stia crollando sul poeta e sul figlio, che deve essere scacciato a mani tese. Ma il cielo è immenso, non bastano le mani a sorreggerlo e ad arrestare la caduta: ecco perché le mani vengono completamente risucchiate al suo interno mentre continua inesorabile la sua discesa, metafora del fatto che il mondo del poeta gli è crollato addosso con la dipartita del figlio.
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