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analisi del testo apokolokyntosis di Seneca, Sbobinature di Lingua Latina

analisi del testo e grammaticale dal capitolo 1 al capitolo 15

Tipologia: Sbobinature

2021/2022

Caricato il 29/03/2022

martinapedalettii
martinapedalettii 🇮🇹

4.5

(45)

112 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica analisi del testo apokolokyntosis di Seneca e più Sbobinature in PDF di Lingua Latina solo su Docsity! APOKOLOKYNTOSIS Lucio Anneo Seneca   -1 a.C.: nasce a Cordoba  -educazione «standard» a Roma  -31 d.C.: rientro dall’Egitto e inizio della carriera politica  -41-48 d.C.: esilio in Corsica sotto il regno di Claudio  -49-50 d.C.: diviene tutore di Nerone  -54-59 d.C.: primo periodo del regno di Nerone, sotto la tutela di Seneca e Afranio Burro -62 d.C.: morte di Burro  -65 d.C.: Seneca costretto a suicidarsi  Le opere (conservate)   • Opere in prosa   -Naturales quaestiones    -Dialogi (Ad Lucilium de providentia; Ad Serenum de constantia sapientis; Ad Novatum De  i ra in tre libri; Ad Marciam de consolatione; Ad Gallionem de vita beata; Ad Serenum de otio; Ad  Serenum de tranquillitate animi; Ad Paulinum de brevitate vitae; Ad Polybium de consolatione; Ad  Helviam matrem de consolatione)   • Epistulae morales   • Tragedie (Hercules; Troades; Phoenissae; Medea; Oedipus; Agamemnon; Thyestes).  Apokolokyntosis INTRODUZIONE E SPIEGAZIONE DI CIO CHE STUDIAMO Questa operetta riveste all’interno della produzione letteraria di Seneca una posizione a parte, tanto che  pone diversi problemi, che almeno in parte vedremo, sotto forma di elenco all’inizio e una parte di questi li  affronteremo in sede di conclusione.  1) Paternità:  Il carattere particolare dell’opera, il suo tono e alcuni caratteri interni dell’opera hanno portato addirittura a mettere in discussione l’effettiva paternità senecana della Apocolocyntosis, per cui c’è stato e tutt’ora c’è, almeno in parte, un dibattito.  2) Questione del genere letterario:   Dal punto di vista formale potrebbe essere definita satira menifea o prosimetro (sono la stessa cosa), vale a  dire un componimento che formalmente prevede l’alternanza tra parti in prosa e in poesia, e proprio  questa alternanza, in qualche modo, consente all’autore di raggiungere certi scopi e certe particolarità  espressive.  Questa satira menifea prende il nome da Menippo di Gadara, autore greco attivo nella prima metà del III  secolo a.C., a cui le fonti riconducevano, secondo un meccanismo tipico (quello del “primo inventore”), l’invenzione della satira menifea. A Roma questo genere letterario viene introdotto da Varrone (I secolo  a.C.), la satira menifea, per la sua caratteristica formale e non solo, si differenzia dalla satira in versi; il  genere satirico vero e proprio, secondo la tradizione latina è un genere poetico, in versi. Il personaggio che  può essere considerato l’iniziatore della satira in versi è Lucillio, che progressivamente, soprattutto  nell’ultima parte della sua produzione individuerà nell’esametro il metro caratteristico della satira. Da lì in  avanti sarà sempre la satira caratterizzata dall’utilizzo esclusivo dell’esametro: quindi un genere poetico che  utilizza l’esametro come metro di riferimento.  La questione del genere letterario non è però così semplice, perché al di là di questa osservazione sulla  forma, poi risulta difficile definire la satira menifea in maniera più precisa si tratta di genere/filone  letterario caratterizzato da una notevole fluidità sia per quanto riguarda il suo aspetto complessivo (le sue  dimensioni), sia per quanto riguarda il suo contenuto. È un genere che cambia col corso del tempo; gli  esempi tardo-antichi sono molto diversi rispetto agli esempi di Seneca.  Le caratteristiche essenziali di questo genere letterario sono la eterogeneità, quindi una grande varietà di  contenuto, un approccio serio comico, quindi un misto di caratteristiche tipiche della letteratura seria, ma  anche quella comica, presenza di tematiche ricorrenti e tendenza verso l’aspetto dialogico. Anticipazione di un argomento interessante il prof. approfondirà in sede di conclusione, è rapporto che la  satira menifea ha con romanzo latino: il Satiricon di Petronio, tradizionalmente considerato come uno dei  due esempi classici del romanzo latino insieme alle metamorfosi di Apuleio, presenta un’alternanza di versi  e di prosa, quale è il rapporto tra romanzo antico e satira menifea? È un problema complesso (verrà  approfondito più avanti).   3) Titolo:   Altro problema complesso e irrisolto è il suo titolo; ci sono tre possibilità dal punto di vista teorico: • titolo greco, che non è testimoniato dalla tradizione scritta, cioè, i manoscritti che ci riportano  questa operetta non riportano mai questo titolo. Da dove deriva allora il titolo? Ci proviene tramite  Cassio Dione (autore greco del II/III secolo) che a sua volta ci è arrivato tramite un’epitome (un  riassunto) redatto da un autore bizantino di nome Giovanni Xifilino (autore del XI secolo) che ha  redatto un’epitome dell’opera di Cassio Dione e in questo riassunto si legge che Seneca avrebbe  redatto un’opera intitolata Apocolocyntosis.  I manoscritti ci presentano due altre possibilità:  • la prima è trasmessa da due codici che hanno come sigla (VL) “Senecae ludus de morte Claudii”,  quindi un componimento scherzoso a proposito della morte di Claudio;  • un terzo manoscritto siglato (L) riporta invece:  q uindi “apoteosi del divo  Claudio di Lucio Anneo Seneca in forma satirica”.  Entrambi i titoli trasmessi dalla tradizione manoscritta sono sospetti, nel senso che non sembrano titoli, ma  delle descrizioni del contenuto dell’opera. Il secondo è comunque interessante perché contiene quella  parola di origine greca (in italiano: apoteosi), quindi è possibile che il secondo titolo sia in qualche modo più  vicino all’originale o che costituisse un sottotitolo rispetto al titolo vero e proprio. Per cui abbiamo tre possibilità, normalmente quella più utilizzata è la terza che è quella non trasmessa dalla  tradizione manoscritta.  Questo titolo però è comunque problematico, cosa vuol dire Apocolocyntosis? E quale è l’aderenza di  questo significato all’effettivo contenuto dell’opera?  Qui entriamo in una seconda serie di problemi, in gran parte irrisolti. È difficile stabilirlo perché questo  termine rappresenta un hapax (o hapax legomenon), ovvero una parola che ricorre una sola volta, che non  ha altre attestazioni (hapax = una sola volta; legomenon = detto).   La radice su cui si forma questa parola sembra derivare dalla parola greca che vuol dire zucca. Il problema è  che per come ci è arrivata l’opera non viene mai fatto riferimento a una zucca, non si parla mai di una  zucca. A proposito sono state fornite diverse spiegazioni che possono essere raggruppate in tre macro spiegazioni:   • la prima sostiene che è stata tramandata in maniera pressoché integrale, ma con una lacuna che  occupa uno spazio tra quelli che oggi chiamiamo cap.7 e cap.8. che cosa ci fosse in questa lacuna  non è dato sapere, sembra comunque che questa lacuna fosse piuttosto piccola; quindi, alcuni  dicono che la minzione alla zucca si trovasse nella parte di testo che è andata perduta. Questa  possibilità oggi gode di poco consenso perché si ritiene che quello che ci è giunto preservi il grosso  della struttura dell’opera, questa lacuna era fin troppo modesta per contenere un riferimento  organico alla zucca;  • secondo filone interpretativo; il riferimento alla zucca andrebbe inteso in senso metaforico, cioè la  zucca è metafora di qualcosa che però per noi è difficile da ricostruire. Quindi l’idea di fondo  sarebbe che la parola greca “apoteosi” -processo di divinizzazione di qualcuno- Seneca avrebbe  rimpiazzato la radice della parola (che vuol dire Dio) con quella che vuol dire zucca; quindi, la cosa  vorrebbe dire “trasformazione in zucca” anziché “trasformazione in Dio”. Che cosa però l’idea di  zucca veicolasse dal punto di vista metaforico non è chiarissimo; è vero che Claudio si aspetta di  essere divinizzato e nell’opera non viene divinizzato, l’idea della Il nostro racconto inizia con la morte di Claudio e il suo arrivo in cielo, questo giorno viene definito - - - - - “anno  novo initio saeculi felicissimi”, seppur non ci venga detto l’anno, né quali siano i consoli (secondo la  tradizione), ci viene detto che questo è un anno di rinnovamento, anno in cui muore Claudio e sale al  potere Nerone. Quindi abbiamo un primo riferimento all’avvento del nuovo imperatore il cui regno viene  definito con una terminologia che rimanda all’età dell’oro, quindi che segna un passaggio felice per lo stato  romano che equivale a una nuova età dell’oro.  - “volo memoriae tradere”: è lo scopo che si pone lo storico, potrebbe essere tranquillamente l’incipit di  un’opera storica, è la missione dello storico tramandare la memoria degli avvenimenti, e la stessa cosa si  potrebbe dire per la frase successiva, in cui si dichiara l’imparzialità di ciò che verrà raccontato, anche  questo è un topos delle opere storiografiche.  - “Haec ita vera”: si prosegue sul persorso di imitazione dello stile storico, anche se si inizia a intravedere  uno scarto, inizia ad allontanarsi dal modello giocando ironicamente con esso (“le cose sono vere”, -non  chiedetemi perché-). È un’espressione ellittica, cioè priva di alcune parti che dobbiamo sottintendere per dare senso compiuto: manca soprattutto il verbo sunt (haec ita vera sunt).  - “si quis quaesiverit…” qui si parla del discorso delle fonti, quindi, arrivato al terzo topos Seneca si rifiuta di  rivelare la sua fonte, o meglio, ci gioca.  Da osservare che il latino, rispetto all’italiano, è più preciso a mettere in relazione cronologica due azioni che si svolgono nel futuro: se noi il futuro anteriore non lo usiamo quasi più, il latino costantemente  designa la prima delle due azioni che si svolgono nel futuro col futuro anteriore.   Quis: pronome indefinito (guarda: propedeutica al latino universitario) che compare in certi contesti, come  qui che abbiamo un contesto ipotetico.  - “unde sciam”: “da dove” la fontedelle sue informazioni, unde corrisponde un po’a quo= da chi. Seneca qui  ribalta il topos della storiografia.  - “quis coacturus est”: perifrastica attiva, participio futuro con verbo essere, qui equivale a un semplice  futuro, cioè l’impiego del futuro in forma perifrastica è un tratto tipico del latino colloquiale. - “Ego scio me liberum factum”: qui l’idea è soprattutto quella della libertà di parola; quindi, la morte di  Claudio restituisce a Seneca la sua libertà di parlare, o anche di non parlare, come sottolinea lo stesso  autore.  - “Ex quo”: “da quando”, si potrebbe integrare “ex eo tempore”, cioè “in quel gionro nel quale” si potrebbe  integrare…   - “suum diem obiit ille”: letteralmente, obeo=andare incontro/affrontare; suum diem=il suo giorno.  Espressione colloquiale che contiene una sorta di eufemismo: l’idea della morte non viene nominata in  maniera esplicita, l’idea di fondo è che ognuno ha un giorno predestinato nel quale morire. Infine, abbiamo questo riferimento che sortisce un effetto comico di grande effetto ad un proverbio; per  cui Claudio (che ancora non è stato nominato) rende vero questo proverbio secondo cui è opportuno  nascere o re o pazzo. Questo proverbio ci è conservato anche da alcune fonti, ciò ci consente di spiegare  bene questo proverbio secondo cui: due categorie di persone possono agire impunemente al di fuori delle  leggi, ovvero i re e i pazzi. Sono i due casi per i quali non si applicano le leggi: il re è al di sopra, il pazzo è al  di fuori. Qui naturalmente Seneca piega in maniera un po’beffarda il senso di questo proverbio perché  Claudio soddisfa entrambi i casi del proverbio. Quindi lo inserisce all’interno del suo testo attribuendogli un  significato che chiaramente il proverbio non aveva perché il proverbio contrappone i due casi, mentre  Seneca li sovrappone. Il contenuto è chiaro: Claudio è la perfetta dimostrazione pratica della validità di  questo proverbio perché lui è sia un imperatore, sia uno sciocco.  Prosegue con lo stravolgimento dei topoi storiografici e con maggior evidenza entrano espressioni colloquiali, battute, elementi dialogici alternati ad espressioni colte. Si libuerit respondere, dicam quod mihi in buccam venerit. Quis umquam ab historico iuratores exegit? Tamen si necesse fuerit auctorem producere, quaerito ab eo qui Drusillam euntem in caelum vidit: idem Claudium vidisse se dicet iter facientem “non passibus aequis”. Velit nolit, necesse est illi omnia videre, quae in caelo aguntur: Appiae viae curator est, qua scis et divum Augustum et Tiberium Caesarem ad deos isse. Traduzione: se invece avrò voglia di rispondere dirò la prima cosa che mi verrà in mente (letteralmente:   letteralmente ciò che mi è venuto in bocca) chi ha mai preteso dei testi giurati da uno storico; tuttavia, se   sarà reso presentare un testimone, si chieda da colui che vide Drusilla salire in cielo: egli stesso dirà di aver   visto Claudio percorrere il cammino con “passi non equi”. Lo voglia o no è necessario per lui vedere tutte le   cose che avvengono in cielo: è il sovrintendente della via Appia attraverso la quale tu sai che il divo Augusto   che Tiberio Cesare si sono diretti verso gli dèi.   Prosegue questa pretesa di imitazione del proemio di uno storico, ma diventano sempre più evidenti  gli elementi sarcastici, e la mescolanza è l’indice di questa tendenza.  Prima diceva che se non avesse avuto voglia di rispondere non lo avrebbe fatto, non avendo nessun obbligo  di rispondere a questa domanda. - “Si libuerit respondere”: qui abbiamo una seconda possibilità; libet (ha la  stessa radice di un termine come libido) indica un piacere arbitrario e capriccioso, è in questo aspetto  contrapposto a placet, che invece indica un piacere ragionato (infatti si trova spesso nelle formule del  senato, indica una decisione ragionata).  - “dicam quod”: necessario sottintendere l’antecedente del pronome relativo “dicam id quod” che in latino  spesso viene omesso l’antecedente del relativo. - “mihi in buccam venerit”: bucca è un termine  evidentemente colloquiale, perché in latino bocca si dice os, oris; bucca è un sinonimo colloquiale, essendo  un termine di natura colloquiale ricorre nei generi cosiddetti “bassi” come commedia, satira, epigramma,  non di certo all’interno del genere storiografico, vengono introdotti volutamente termini tratti da altri  generi letterari. Al contrario di uno storiografo, che mette in mostra la serietà delle sue fonti, Seneca ci dice  la prima cosa che gli viene in mente.  - “quis umquam ab historico iuratores exegit?”: domanda, all’interno della quale Seneca si autodefinisce  esplicitamente uno storico. “iuratores” possiamo tradurre “testi giurati”, in linea teorica erano funzionari  dello stato che avevano come compito quello di verificare le dichiarazioni dei cittadini a proposito del loro  censo, le riportavano poi ai censori sotto giuramento (anche se qui il senso è metaforico, cioè persone che  testimoniano il vero sotto giuramento); Seneca dice che uno storico non ha bisogno di qualcuno che  testimoni la veridicità di quello che viene raccontato.  - Altra espressione tecnica, “auctorem producere”, “produrre un testimone”, verbo tecnico.  - “quaerito”: imperativo futuro, III persona singolare (oppure potrebbe essere II), significa chiedere per  sapere e si contrappone a “peto”, ovvero “chiedere per ottenere” e ha un costrutto diverso dall’italiano,  non dicevano “chiedere A qualcuno”, ma “chiedere DA qualcuno”, quindi regge ablativo della cosa e  ab/ex/de+ ablativo della persona.  Chi è Drusilla? Giulia Drusilla era la sorella e amante di Caligola e che quando muore riceve degli onori  divini, all’interno c’è un passaggio fondamentale del ricevimento di questi onori divini è costituito dalla  testimonianza di un senatore di nome Livio Geminio (o Gemino, incerto) che aveva assunto il ruolo di  sovrintendente (curator) della via Appia.  Chi è il personaggio che vede Drusilla recarsi in cielo? Livio Gemino aveva testimoniato davanti al senato di  aver visto Drusilla salire in cielo (aveva fornito testimonianza giurata), gli storici testimoniano che in cambio  di questa testimonianza aveva ricevuto una notevole somma di denaro. Quindi doveva essere un  personaggio celebre per essere un testimone non attendibile, che mente e racconta cose strampalate. - “euntem”: participio presente verbo eo (verbo particolare), qui quando abbiamo il participio presente in  accusativo, retto da un verbo di percezione come vidit, vuol dire che la visione è in atto=la vede nell’atto di  salire verso il cielo.  - “idem Claudium vidisse…”: idem può essere interpretato in due modi, potrebbe essere nominativo  maschile, soggetto di dicet; quindi, riprende il personaggio di Gemino che non viene nominato  esplicitamente; quindi, “egli stesso dirà di aver visto Claudio…” (possibilità più ovvia e preferibile), ma ne  esiste una seconda che considera idem come accusativo neutro concordato con iter= “dirà di aver visto  Claudio di aver compiuto lo stesso cammino” -di Drusilla-.  - “facientem”: come euntem, participio presente, che indica la visione in atto.  - “non passibus aequis”: anche qui una maliziosa trovata di Seneca che deriva dall’Eneide di Virgilio, II libro,  verso 724, nel secondo libro viene descritta la fuga da Troia, questo è il passaggio in cui Virgilio descrive il  piccolo Iulo che segue il padre Enea con i suoi passi da bambino, che, come tali, sono piccoli passi che non  possono essere paragonati a quelli di Enea adulto, cioè fa fatica a tenere il ritmo di Enea “con i suoi passi  non equi”. Seneca stravolge il testo virgiliano adattandolo a situazione concreta: le fonti, infatti, descrivono  Claudio come affetto da un difetto fisico che non gli permetteva di camminare regolarmente; quindi, i passi  non equi di Iulo divengono i passi non equi di Claudio. Utilizza un verso proveniente dalla tradizione  elevata, gli toglie il significato originario e lo adatta ai propri scopi.  - “velit nolit”: paratassi, anche qui il tratto è del latino colloquiale, sono entrambi congiuntivi presenti. Dopo aver letto il primo capitolo, abbiamo visto come Seneca abbia caratteristiche stilistiche che riprendono alcuni topoi del genere storiografico; in una prima lettura, la sua, sembra un’opera storiografica, ma si capisce che in realtà questi elementi del testo, prettamente storiografici, vengono ripresi e rimodellati con un’impronta satirica. Il nucleo fondamentale è capire che elementi stilistici e tematici vengono uniti e mescolati con passaggi scherzosi e dialogici, è quindi un testo satirico. Abbiamo visto che introducendo la questione delle sue fonti, Seneca in un primo momento, scherzosamente, dice che non ha importanza da dove provengano le fonti e che non è necessario specificarlo. In seguito fa riferimento ad Geminio passato alla storia per aver testimoniato di aver visto Drusilla salire al cielo, a proposito Seneca, sempre scherzosamente dice: ‘’se volete una prova chiedete ad Geminio’’, (personaggio che comunque non viene mai nominato proprio perché considerato uno zimbello dopo questa dichiarazione). Tuttavia viene nominato per affermare la veridicità di questi avvenimenti, e per la sua fama poteva anche dichiarare che tutto quello che stava raccontando Seneca, non era vero. Eppure Geminio era curator della via appia, i curatores erano una figura introdotta da Augusto, assunsero alcune delle funzioni dei censori precedenti, è implicito a questo punto che era improbabile che un curator potesse essere davvero obiettivo, in quanto di nomina imperiale. Si libuerit respondere, dicam quod mihi in buccam venerit. Quis umquam ab historico iuratores exegit? Tamen si necesse fuerit auctorem producere, quaerito ab eo qui Drusillam euntem in caelum vidit: idem Claudium vidisse se dicet iter facientem “non passibus aequis”. Velit nolit, necesse est illi omnia videre, quae in caelo aguntur: Appiae viae curator est, qua scis et divum Augustum et Tiberium Caesarem ad deos isse. Elementi importanti della conclusione del testo: - il verbo scis: verbo che deriva da scio, alla seconda persona singolare. Seneca si rivolge ad un lettore immaginario con cui crea un dialogo immaginario. Il verbo regge un’infinitiva (sogg in accusativo e verbo all’infinito ‘’isse’’). Questo colloquio è un altro elemento tipico della satira, si intersecano satira ed elementi storiografici. Puto magis intellegi si dixero: mensis erat October, dies lll idus Octobris. Horam non possum certam tibi dicere: facilius inter philosophos quam inter horologia conveniet: tamen inter sextam et sptimam erat. Traduzione: Credo che si capisca meglio se avrò detto che il mese era Ottobre e il giorno era il terzo   prima delle idi di ottobre. Non posso dirti un'ora certa, più facilmente ci sarà accordo tra i filosofi che tra   gli orologi. Tuttavia era (=l'ora) tra la sesta e la settima.   Seneca prosastico si interrompe e mette alla berlina tutta la perifrasi amica posta in precedenza  ammettendo che sarebbe stato più semplice dire che il mese era Ottobre del giorno 13.  I romani contavano le ore del giorno dalle sei del mattino e la settima del pomeriggio.  La sesta era mezzogiorno e la settima era l'una.  Avevano meno precisione nel conteggio del tempo.  Claudio muore quindi prima delle dodici e l'una ma l'annuncio viene dato in questo lasso di tempo. “Nimis rustice! <Adeo non> adquiescunt omnes poetae, non contenti ortus et occasus describere ut etiam medium diem inquietent: tu sic transibis horam tam bonam?”. traduzione: “quanta grossolanità! Ogni poeta, non contento di descrivere la nascita e il tramonto del sole non si dà pace al punto da tormentare persino il mezzogiorno: tu sorvolerei su un’ora tanto propizia?” Premessa: il testo delle varie edizioni può essere differente, noi stiamo seguendo il roncali, che ha “adeo non”. il segno minore e maggiore sono segni critici che indicano un’integrazione, cioè l’aggiunta di un autore. Questa integrazione non compare nei manoscritti, ma è stata aggiunta dagli studiosi che pensano che il testo, così come ci è stato tramandato, sia incompleto. La Premessa è ovvia: i testi greci e latini, ma anche i testi della letteratura italiana, arrivano a noi al termine di un lungo processo di tradizione manoscritta, presentano quindi errori e lacune. Normalmente, ogni manoscritto della stessa opera è diverso dall’altro, quella che noi leggiamo è un’edizione critica, cioè una scelta tra le varianti. Seneca prima si è prodotto in una perifrasi poetica, poi si è interrotto dicendo “lasciamo perdere le perifrasi, vi dico in maniera efficace la data e l’ora.” Interviene (evidenziato dalle virgolette del discorso diretto) quindi un ipotetico interlocutore, che lo interrompe e lo critica per aver abbandonato la parafrasi poetica e per essere passato alla prosa, lasciandosi sfuggire un’occasione propizia (ricorrere alla poesia), rappresentata dall’ora del mezzogiorno. È questo il senso di rustiche, un avverbio rafforzato da nimis. L’idea che vi sta dietro è quella della rozzezza legata alla campagna, che si contrappone al carattere raffinato della città. L’idea è che l’ipotetico interlocutore consigli a Seneca di usare ogni possibilità di perifrasi come i poeti contemporanei. Alla base di questa idea vi è un giudizio ironico sull’esagerazione dei poeti contemporanei. - adeo non: è uno dei passaggi più discussi. A tal punto non si danno pace, che molestano il mezzogiorno.La soluzione scelta da Roncali parte dal presupposto che ut sia una consecutiva. - ut etiam inquietent ha l’aspetto di una subordinata consecutiva (ut + congiuntivo), attenzione perchè è uno dei pochissimi casi in cui non abbiamo la consecutio temporum del congiuntivo. - adquiescunt: diversi significati, è in qualche modo da correlare ad inquietent, i due hanno infatti la stessa radice. si vede bene la correlazione tra ad adquiescunt e inquietent, e cosi costituito, il testo può essere letto in due piani: il primo, con un’interpretazione traslata, vede: i poeti non si danno pace, danno fastidio al mezzogiorno nel senso che si producono in parafrasi anche relative a questo. un’interpretazione più letterale: nell’ora del mezzogiorno bisognerebbe dormire, e i poeti, non facendolo, disturbano la quiete. - ortus e toccatus sono le albe tramonti, e le due parole sono connesse con oriente e occidente. Ortus → radice del verbo orior che vuol dire alzarsi, spuntare, Occasus → uno dei composti di cado. Sono i due termini utilizzati per i due momenti del giorno. - transibis è utilizzato come equivalente di praetermittere, che vuol dire tralasciare. In questo senso, transeo è un uso postclassico, non ricorre quindi nel latino classico. effettivamente seneca scrive in un periodo postclassico, quindi ha senso che utilizzi termini a lui contemporanei (strautile questa riflessione) - horam tam bonam ha un duplice piano di interpretazione: piu evidente: un’ora tanto favorevole ad essere descritta attraverso una perifrasi poetica. meno evidente: è un’ora tanto buona perché è morto Claudio, liberando l’impero dalla sua figura. Iam medium curru Phoebus diviserat orbem et propior nocti fessas quatiebat habenas obliquo flexam deducens tramite lucem: traduzione: Ormai febo, con il suo carro, aveva diviso a metà il suo tragitto, è più vicino alla notte scuoteva le redini stanche, facendo scendere la luce deviata attraverso un percorso obliquo. in un secondo momento Seneca cede alla sollecitazione dell’interlocutore e si produce in un altro assaggio poetico in cui descrive attraverso una perifrasi il mezzogiorno. si tratta di esametri, metro tipico dell’epica. è evidente la somiglianza con il passaggio poetico già letto con cui condivide diversi elementi convenzionali delle perifrasi:  -  l’avverbio iam in posizione di apertura  -  orbe alla fine  -  la presenza di Phoebus lo stesso concetto dell'orario viene espresso in tre versi, attraverso le ardite parafrasi della poesia tradizionale. - iam è un avverbio che ricorre più volte nel primo passaggio poetico letto insieme. si legge ìam e non iàm, perchè la i è una semiconsonante. - phoebus indica il sole, protagonista anche della prima perifrasi temporale orbem era forse una possibile lezione al termine del primo verso - proprior nocti è un comparativo di maggioranza, si traduce letteralmente con “più vicino alla notte”. Si intende quindi che il sole ha superato il mezzogiorno, che segna l’esatta metà della giornata. - fessas quatiebat è un’ipallage (l'aggettivo viene legato a una parte della frase ma si riferisce ad un’altra). Non sono infatti le redini ad essere stanche, ma Febo. - flexam è il participio perfetto del verbo flecto - “obliquo” e “tramite”, sono due immagini che si completano. Queste spiegano che la luce dopo mezzogiorno arriva in maniera meno diretta, quindi obliqua. Anche questo è un riferimento temporale. tramite deriva da trames attraverso il fenomeno dell’apofonia (una parola che originariamente si trovava al termine viene a trovarsi in corpo di parola perché si aggiunge un prefisso e questo causa indebolimento). Dopo che Seneca ci descrive l’ora in cui Claudio sarebbe morto: un’ora propizia per le perifrasi poetiche e per l’impero perché Claudio ha dato spazio all’avvento di Nerone, un’ora buona. Dopo la perifrasi, in maniera improvvisa arriviamo alla descrizione tragicomica della morte di Claudio. Il capitolo secondo termina con quest’ultima perifrasi poetica in cui viene espressa in maniera sempre ironica l’ora il cui si annuncia pubblicamente che Claudio è morto, perché sappiamo con certezza che Claudio muore nelle prime ore del mattino ma l’annuncio viene ritardato (tra la sesta e la settima ora) per avere tempo di gestire la situazione e preparare l’avvento di Nerone. Capitolo 3 - il proemio [3.1]Claudius animam agere coepit nec invenire exitum poterat. Tum Mercurius, qui semper ingenio eius delectatus esset, unam e tribus Parcis seducit et ait: “Quid, femina crudelissima, hominem miserum torqueri pateris? Nec unquam tam diu cruciatus <c>esset? Annus sexagesimus et quartus est, ex quo cum anima luctatur. Traduzione: Claudio iniziò (animam agere indica l’idea di essere in agonia, ma dobbiamo conservare l’anima nella traduzione perché ci conviene, diciamo che questo indica la fase in cui uno lotta per la vita è la morta con un po’ di resistenza) a mettere in moto/ spingere fuori l’anima ma non riusciva a trovare la via d’uscita ( cosa che riprenderà con malizia successivamente) allora mercurio dal momento che si era sempre compiaciuto del suo talento conduce a se una delle tre parche e le dice: perché o donna sodelissima permetti che quel povero uomo venga tormentato dopo essere stato torturato tanto a lungo, non smetterà di soffrire? Sono 64 anni ( questo é il sessantaquattresimo anno ) nei quali lotta con la sua anima. Questo é antefatto della sua morte, le parche lo lasciano agonizzante e interviene allora mercurio chiamato in causa in maniera ironica perché dice che si era compiaciuto del talento di Claudio ma lui era la divinità che protegge la furbizia, l’arguzia e l’eloquenza ma noi sappiamo che Claudio era zoppo, balbuziente e sciocco. Quindi sceglie il Dio più lontano dalle sue caratteristiche. - eius delectatus esset : Lui l’ha tradotta come causale ma abbiamo una relativa impropria : cioè relativa in congiuntivo ha spesso significato avverbiale, qui ha valore causale. abbiamo una relativa con il modo congiuntivo. Quando troviamo una relativa al congiuntivo dobbiamo sempre porci la domanda: come mai ho il congiuntivo, che non è un modo tipico della relativa? Le soluzioni di solito sono 2, o si tratta di un congiuntivo soggetto alla trazione modale, il che vuol dire che questa relativa dipende da una sovraordinata che ha il congiuntivo all’infinito e quindi si spiega in maniera meccanica, oppure è una relativa impropria come nel nostro caso; una relativa impropria è una relativa al congiuntivo che grazie alla presenza di questo congiuntivo assume un valore avverbiale. Per esempio, nel nostro caso la sfumatura è chiaramente causale; potremmo tradurre “allora mercurio che si era sempre compiaciuto del suo talento” ma una traduzione ancora più precisa sarebbe l’impiego parodico di un testo poetico elevato, che viene inserito in un contesto di osservazioni colloquiali. Il contrasto crea l’effetto comico. Nel testo si ha una paratassi, un’accostamento di due termini senza ciò che li unisce. Sine regnet lascia che regni. Secondo la subordinazione normale avremmo in mezzo ut che regge una completiva. - Neci: consegnalo alla morte. Il sostantivo è nex necis, che indica una morte senza dispersione di sangue, per soffocamento. La parola italiana con la stessa radice è annegare. Per l’uccisione violenta usano caido = tagliare. Attenzione quando si trova res publica, perchè la traduzione migliore è sempre lo stato. Repubblica può essere fuorviante, perchè usavano questo termine a prescindere dall’effettivo stato delle cose, sia per la repubblica che per l’impero, a prescindere dal tipo di regime in atto. In questo paragrafo veniamo a conoscenza del nome della Parca, la quale risponde con una provvisoria obiezione alle istanze di mercurio, e attua la morte di Claudio. [3.3] Sed Clotho "ego mehercules" inquit "pusillum temporis adicere illi volebam, dum hos pauculos, qui supersunt, civitate donaret (constituerat enim omnes Graecos, Gallos, Hispanos, Britannos togatos videre), sed quoniam placet aliquos peregrinos in semen relinqui et tu ita iubes fieri, fiat. Ma Cloto rispose “io per Ercole avrei voluto aggiungere per lui un pochino di tempo, in attesa che conferisse la cittadinanza a quei pochi che restano (infatti aveva deciso di vedere con la toga tutti i greci, i galli, gli ispanici e i britanni), ma poiché si decide che vengano lasciati in semenza alcuni stranieri e tu ordini che così sia, che ciò avvenga (l’uccisione). Qui Claudio non è ancora morto, la Parca dà il via libera alla sua morte. - Clotho: nome Parca con cui dialoga Mercurio. Erano 3, Clotho, Lachesi e Atropo. Sono il corrispettivo latino delle Moire greche, figlie di Giove che hanno il compito di stabilire il destino dell’uomo. Una tesseva il filo, l’altra lo arrotolava e l’ultima lo tagliava, e quando il filo veniva reciso la persona moriva. - Ego mehercules : interiezione doppiamente significativa. Si tratta di un’espressione umana, ma è strano che a dirlo sia una divinità, e oltretutto era un’interiezione maschile (una donna avrebbe detto Per Polluce!) questa suddivisione seria per caratterizzare i personaggi. Questa parca viene vista come più umana di ciò che è mascolina. La parca dice che stava aspettando un pò prima di farlo morire (pusillum temporis adicere illi volebam) per fargli concedere la cittadinanza a tutti i cittadini dell’impero. Questa è una critica alle politiche di Claudio. - Pusillum : espressione colloquiale. È un diminutivo che poi regge il genitivo partitivo. Il sostantivo è pusus, che significa ragazzino, e qui viene inteso come una piccola quantità di qualcosa. - Pauculos: altro diminutivo espressione colloquiale. - Dum…donaret: uno dei costrutti possibili per dum. È una congiunzione temporale, e normalmente se ne classificano 3: il primo uso è quello della concomitanza generica, dum + indicativo presente, a prescindere dal tempo della principale, e si traduce con “mentre”; il secondo uso indica un parallelismo cronologico, dum + indicativo, e si traduce con “per tutto il tempo che/finchè”; il terzo uso è quello della successione immediata, dum + indicativo/congiuntivo (quando cong. imperf. indica un’intenzionalità/aspettarsi qualcosa). Costrutto di donare. ha due costrutti: la cosa donata va in accusativo, e la persona a cui si dona va in dativo. Esiste un costrutto (questo qua) che usa l’accusativo per la persona a cui si dona, e l’ablativo per la cosa che si dona “donare qualcuno con qualcosa”. hos pauculos  persona che riceve il dono; civitate cosa che viene donata. Letteralmente la traduzione sarebbe “finché donasse questi pochi con la cittadinanza”, ma in italiano non funziona e bisogna girare la struttura per rispondere alle regole dell’italiano. civitate -> cittadinanza. (constituerat enim omnes Graecos, Gallos, Hispanos, Britannos togatos videre) . “(Claudio aveva stabilito di vedere tutti i Greci, Galli, Ispanici e britannici con la toga)”. Quest’affermazione viene spiegata dentro la parentetica, due trattini isolano una frase: vengono spiegate le parole di Clotho. Il narratore spiega il senso dell’affermazione della Parca, un’intervento diretto di Seneca che precisa il significato. Ciò che ci dice ha un’appiglio di verità, perchè faceva parte della politica di Claudio l’estensione del diritto di cittadinanza in alcune parti dell’impero, anche se quello che leggiamo qua è esagerato, andando oltre quello che accadde veramente. Per i romani la concessione di questo privilegio a tanti abitanti è motivo di sdegno, per questo c’è la critica diretta di Seneca. - Togatos: la toga era l’abito del cittadino romano, il suo segno distintivo. Nel primo libro dell’Eneide Giove definisce i romani gens togata, popolo che indossa la toga. Non tutti potevano indossarla, bisognava essere cittadini romani per avere questo privilegio e dovere. Dal punto di vista grammaticale è un predicativo del complemento oggetto. - constituerat -> stabilire, prendere una decisione ufficiale. sed quoniam placet aliquos peregrinos in semen relinqui et tu ita iubes fieri, fiat. - Placet: letteralmente è “piace”, ma è una forma usata per le deliberazioni ufficiali del senato. - aliquos peregrinos in semen relinqui: indica l’oggetto di questa deliberazione. - Peregrinos: è chi viene da fuori, dalla campagna originariamente e poi gli stranieri. - in semen relinqui : proviene dal lessico agricolo, “lasciare qualcuno/qualcosa in semenza” = mettere da parte dei semi per la semina successiva. La maggior parte dei cittadini dell’impero erano peregrini, senza la cittadinanza, ma l’esagerazione parte da un fondo di verità. - fieri, fiat : stesso verbo, il primo è infinito e il secondo è congiuntivo esortativo. Perchè “è stato deciso che così avvenga”. Ora Clotho passa ai fatti: decide di mandare a morte Claudio, ma di non lasciarlo da solo, spedendolo nell’al di là con alcuni uomini, perché da imperatore ha sempre vissuto attorniato d grandi folle e non sembra giusto mandarlo negli inferi da solo. Come compagni scegli due estranei. Clotho apre una piccola cassa che è un dettaglio significativo. Il filo delle parche è costante già da omero, nella letteratura greca e latina. Clotho filava il filo, Lachesis tirava il filo e Atropo tagliava (qui processo non è rispettato). [3.4] Aperit tum capsulam et tres fusos profert: unus erat Augurini, alter Babae , tertius Claudii. "Hos" inquit "tres uno anno exiguis intervallis temporum divisos mori iubebo, nec illum incomitatum dimittam. Traduzione: Apre quindi una cassetta, e tira fuori 3 fusi: uno era di Augurino, il secondo di Baba e il terzo di Claudio. "Questi tre”, disse, "ordinerò che muoiano in un solo anno divisi da esigui intervalli di tempo, né concederò quello senza accompagnatori. - Capsulam: diminutivo di capsa. Termine popolare in episodio solenne. Un’episodio grande come la morte di Claudio viene ridotto alla comicità. - Fusos: fusi, attrezzi tipici della tessitura, parte di legno attorno al quale si avvolge il filo. Equivale al destino della vita delle persone. - Augurino e Baba: personaggi dibattuti. Non si sa se veri o fittizi. Baba sembrerebbe un nome che rimanda alla stupidità, è onomatopeico, e rimanda a qualcuno di balbuziente/stupido. Claudio era sciocco e balbuziente. Altri studiosi ritengono che possano essere esistiti vergente presso la corte di cui non abbiamo conoscenza. Si suppone che siano morti poco dopo Claudio, perché la Parca fa capire che al momento sono in vita ma che moriranno a poca distanza da lui. L’elemento che salta all’occhio è l’A, B, C, le iniziali dei nomi in ordine alfabetico. Volutamente è stato accostato così. - Mori: morior, deponente. - Hos: soggetto di mori. - nec illum incomitatum dimittam: coordinata. Sarebbe più giusto qui attendersi una finale “per evitare che se ne vada senza accompagnatori”, per questo altri dicono che qui bisogni aspettarsi un principio di paratassi, si accostano elementi neve di creare un’ipotassi, mala paratassi è tipica del parlato. [3.5] Non oportet enim eum, qui modo se tot milia hominum sequentia videbat, tot praecedentia, tot circumfusa, subito solum destitui. Contentus erit his interim convictoribus.” Traduzione: Infatti non è opportuno che quello, che poco fa vedeva tante migliaia di uomini che lo seguivano, tante migliaia che lo precedevano, tante migliaia che lo attorniavano, all’improvviso sia abbandonato da solo. Nel frattempo si dovrà accontentare di questi compagni. - Convictoribus: sono persone che vivono insieme, compagni di vita, anche se poi sono più spesso compagni di mensa, di divertimento. Capitolo 4- il proemio Si arriva al capitolo 4, la sezione poetica più lunga dell’opera. La sezione tratta della morte di Claudio e dell’elogio di Nerone, con una notevole sproporzione: la morte di Claudio viene limitata nei primi due versi, mentre gli altri 30 versi sono dedicati all’avvento del regno di Nerone che viene L’inizio della nuova età dell’oro corrisponderebbe alla salita al trono di Nerone. Si tratta di un topos diffuso, usato con intento encomiastico. Al verso 10 la parola modus, che indica una misura, che le parche non rispettano nel loro lavoro (lavorano incessantemente), perché esso è destinato a dare frutti importanti. Illis quindi riprende le parche. I fili sono definiti felicia perchè rimandano ad una felicitas, idea associata all’età dell’oro. Un’altra idea tipica dell’età dell’oro è espressa da sponte sua, ovvero l’idea che tutto, in maniera automatica, volga verso la felicità. Ad esempio la terra produce i frutti senza essere coltivata, si vive nell’abbondanza senza fatica. È condensato un insieme di elementi dell’età dell’oro, che ricorre già in Esiodo, quindi nella letteratura greca arcaica, e ha questi connotati, cioè l’idea di automatismo, ovvero tutto volge verso la felicità e abbondanza, senza dover fare alcuno sforzo. Normalmente vista come età perduta, ma che in alcuni contesti, come questo, può tornare. Anche in Virgilio c’è questa idea dell’automatismo. Contorto fuso: termine che riguarda la tessitura. Il fuso viene fatto girare, sottoposto ad una torsione nelle mani della tessitrice. Vincunt Tithoni, vincunt et Nestoris annos. Phoebus adest cantuque iuvat gaudetque futuris, et laetus nunc plectra movet, nunc pensa ministrat. Detinet intentas cantu fallitque laborem. Traduzione: Vincono gli anni di Titone, vincono anche gli anni di Nestore. Febo appare e con il suo canto aiuta e si rallegra delle cose future, E ora muove il plettro, ora somministra il lavoro. Tiene le parche intente al lavoro con il suo canto e inganna la fatica. Titone e Nestore erano due simboli della longevità della vita. Titone, personaggio mitologico, che era stato amato dall’Aurora, che aveva chiesto che egli divenisse immortale, e il suo desiderio venne esaudito, ma si dimenticò del particolare che lei aveva chiesto l’immortalità, ma non l’eterna giovinezza. Quindi Titone invecchia ma non muore mai, fin quando Aurora si impietosisce e decide di trasformarlo in animale, in una cicala. Nestore è eroe omerico, che secondo quanto ci dice Omero, visse per tre generazioni, ed ebbe quindi una vita lunga. Ecco perche due paradigmi della longevità, uno mitologico uno omerico. Idea che Nerone sarà longevo, e quindi l’età dell’oro durerà per molti anni. Viene introdotta la divinità di riferimento, la divinità protettrice, cioè Febo/Apollo, presentato come protettore di Nerone e come suo alter ego divino. Nerone sarebbe manifestazione terrena di Apollo Febo, che viene scelto per parecchi motivi come divinità collegata a Nerone perchè Nerone aveva tendenze artistiche, e quindi Febo era a lui particolarmente cara per la sua dote con la cetra. Un altro motivo è che Apollo era stato scelto come divinità tutelare dalla gens Iulia. Poi qui Apollo viene presentato come Febo, cioè come divinità del sole, e questo motivo di Nerone come sole sarà sviluppato alla fine. - Vincunt: anafora del verbo - Adest: indica la manifestazione divina, che collabora in questa nuova età dell’oro. - Laetus: è aggettivo tipico di questi secoli felici. - Plectra movet: è perifrasi poetica che indica l’attività di Febo come musicista. - Futuris: è da intendersi come neutro plurale, quindi “cose future”. È un costrutto poetico, perché in prosa ci sarebbe stato anche rebus. - Intentas: è riferito alle parche, con valore predicativo. Febo collabora per l’avvento dell’età dell’oro, facendo lavorare le parche. Dumque nimis citharam fraternaque carmina laudant, plus solito nevere manus, humanaque fata laudatum transcendit opus. "Ne demite, Parcae" Phoebus ait "vincat mortalis tempora vitae ille, mihi similis vultu similisque decore nec cantu nec voce minor. Felicia lassis saecula praestabit legumque silentia rumpet. Traduzione: E mentre elogiano molto la cetra e I carmi fraterni, Le mani filarono più del solito, E l’opera elogiata supera I destini umani. “Parche, non tagliate Questo filo, vinca I tempi di una vita mortale Quello, a me simile nel volto e a me simile nel decoro E non inferiore né nel canto né nella voce. Egli procurerà Secoli felici agli uomini stanchi e romperà I silenzi delle leggi. - Nimis: sovente indica un’idea di eccesso, ma qui di grande quantità. - La cetra: è attributo classico di Apollo, ma al tempo stesso è strumento che il giovane Nerone usa, e questo è uno dei motivi, come si è già detto, per cui Apollo è scelto come corrispettivo divino di Nerone. - Nevere: sta per nevuerunt, perfetto del verbo neo, “tessere”. Altro termine tecnico con connotazione poetica (in genere compare nei testi poetici). - Le mani filano più del solito: ciò consentirebbe a Nerone una vita di lunghezza eccezionale, più di Titone, Nestore, più del solito, qualcosa che vada oltre al destino concesso agli uomini. - Ne demite: è particolare perché l’imperativo negativo classico non si forma così, cioè non si usa la negazione “ne”. L’imperativo con negazione di questo tipo è arcaico, ed è attestato nelle commedie antiche, come quelle di Terenzio, ma di norma è evitato dagli autori in prosa. Questa forma di arcaismo è ricollegabile alla solennità dello stile poetico, solennità che contrasterà con il ritorno alla prosa, quando ci sarà un salto stilistico enorme. - vincat mortalis tempora vitae: è motivo tipico della poesia encomiastica, quindi la longevità del princeps. Inoltre c’è un eco del verso secondo, con riferimento a Claudio, verso in cui vengono recisi i fili di questa vita stupida, mentre qui ci si augura che la vita di Nerone sia immortale. - Febo paragona se stesso a Nerone, prima con riferimento alla sfera della vista, poi con riferimento alla sfera dell’udito. - Felicia saecula : è aggettivo tipicamente riferito all’età dell’oro. - Lassi: è dativo maschile, ed è un dativo di vantaggio. Viene introdotto per la prima volta un elemento fondamentale dell’Apocolocyntosis, ovvero la critica di Seneca contro Claudio per il suo atteggiamento di fronte alla sfera della giustizia. Legum va interpretato come genitivo soggettivo (il genitivo a volte può avere un significato ambiguo, ma questa stessa ambiguità può essere presente anche in italiano. “La paura dei nemici” può essere intepretato o che sia la paura provata dai nemici, o la paura provata da noi a causa dei nemici. La differenza tra genitivo soggettivo e oggettivo è questa. Bisogna partire da un sostantivo, come qui silentia, che al suo interno ha un’idea verbale, di un’azione. Se il genitivo specifica il soggetto di chi sta in silenzio, allora sarà soggettivo. Il genitivo oggettivo esprime l’oggetto dell’idea implicita del sostantivo, quindi qui sarebbe “tacere a proposito delle leggi”, ma non è il nostro significato. Quindi se abbiamo un sostantivo che veicola l’idea di un’azione il genitivo può assumere questi due valori, a seconda della prospettiva, e così come in italiano anche in latino ci possono essere ambiguità). Claudio entra a gamba tesa, sostituisce i giudici, amministra processi personalmente, quindi annullando di fatto le leggi. Con Nerone invece si tornerà ad uno stato di diritto. Claudio aveva in qualche modo esercitato il ruolo degli avvocati, e infatti Seneca dirà che con la morte di Claudio gli avvocati usciranno dall’ombra. In maniera beffarda Claudio una volta che arriverà in cielo subirà lui stesso un processo. Quello che dice Seneca ha appiglio nella verità storica. Sappiamo infatti da Tacito, negli Annales, che quando si insedia Nerone egli promette al senato di volersi astenere da un’eccessiva ingerenza dell’amministrazione della giustizia. Era quindi un problema sentito. Qualis discutiens fugientia Lucifer astra aut qualis surgit redeuntibus Hesperus astris, qualis cum primum tenebris Aurora solutis induxit rubicunda diem, Sol aspicit orbem lucidus, et primos a carcere concitat axes: talis Caesar adest, talem iam Roma Neronem aspiciet. Flagrat nitidus fulgore remisso vultus, et adfuso cervix formosa capillo." Traduzione: Come Lucifero sorge disperdendo e facendo allontanare gi astri O come Espero sorge al ritorno degli astri, Come non appena Aurora rosseggiante sciolte le tenebre Ha introdotto il giorno, il sole luminoso osserva il mondo, E fa uscire con slancio dai cancelli I primi carri: Così Cesare (=Nerone) appare, così ormai Roma vedrà Nerone. Il suo volto luminoso risplende di un colore attenuato, E il suo collo grazioso risplende per la capigliatura sciolta. Questi versi introducono un evidente elogio di Nerone, ma perdono totalmente di vista la figura di Claudio, che viene abbandonata per il momento. Qui Nerone viene paragonato a Lucifero, ad Espero e al Sole. In realta Lucifero ed Espero sono la stessa cosa, ovvero il pianeta Venere, che quando sorge è Lucifero, quando tramonta è Espero. Nella prima parte della similitudine abbondano i termini astrologici e ricorrono termini legati alla luce, alla luminosità, al tempo. Nell'ultima parte la descrizione si concentra su Nerone, che viene assimilato a questi tre corpi celesti. - Surgit va sdoppiato: Compare al verso 26 con riferimento ad Hesperus, ma bisogna utilizzarlo anche per Lucifer. - L'aurora è definita rubicunda, rosseggiante, ma è tradizionalmente definita rosea. - Quando sorge, il Sole aspicit orbem, guarda il mondo. Lo stesso verbo sarà ripreso al verso 31, dove è Roma a guardare Nerone. - primos a carcere concitat axes: costrutto poeticamente elaborato. C'è una sineddoche (parte per il tutto), perchè axes non indica il carro, ma l’asse a cui sono collegate le ruote. Axes è anche plurale poetico, perché il cocchio del sole ha due ruote, quindi un’asse solo. Spesso il linguaggio poetico indica con il plurale termini che normalmente sono singolari. Inoltre primos è formalmente concordato con axes, ma corrisponde a primum, “in primo luogo, all’inizio”, e potrebbe essere un’enallage, ovvero concordanza di un aggettivo inaspettato. - Adest: era già stato utilizzato al verso 15 per Phoebus, manifestazione divina di Nerone. - Il viso di Nerone è definito nitidus, termine che rimanda alla luce, una luce in questo caso non accecante, ma attenuata. Alcuni interpretano questa attenuazione come legata alla gentilezza di Nerone. - Formosa capillo: può essere interpretato come ablativo di causa o di modo, ma l’idea generale è quella dei capelli sciolti, tipico attributo di Apollo. capitolo 5- il proemio Quae in terris postea sint acta supervacuum est referre, scitis enim optime, nec periculum est ne excidant quae memoriae Gaudium publicum impresserit: nemo felicitatis suae obliviscitur. In caelo quae acta sint audite: fides penes auctorem erit. Traduzione: Quali cose siano avvenute in terra successivamente, infatti lo sapete benissimo e non c’è pericolo che svaniscono quelle cose che una gioia pubblica ha impresso nella memoria. Nessuno si dimentica della propria felicità. Sentite invece cosa sia avvenuto in cielo, l’attendibilità di quello che sto per dire sarà presso il testimone. Linguaggio che torna alto Espressioni rimandano al primo proemio - Quae acta sint: interrogativa indiretta - Ne excidant: completiva retta dai verbi di timore, qui c’è il sostantivo periculim - Excidant: composto di excidato, cadere dalla memoria, qui usato in senso assoluto - Impresserit: soggetto Gaudium publicum + quae complemento oggetto - Obliviscitur: verbo deponente e suffisso incoativo, verbo di memoria, regge sia genitivo che accusativo - Auctorem: riferito a Livio gemino, visto in precedenza Da qui in poi vediamo le vicende di Claudio nel mondo degli dei, arriva in cielo ma non viene riconosciuto perché nessuno capisce quello che dice. C’è un salto perché non ci viene detto e descritto il suo viaggio. Nutiatur iovi venisse quendam bonae staturae, bene canum; nescio quid illum, minari, assidue enim caput movere ; pedem dexturm trahere . Quaesisse se cuius nationis esset: respondisse nescio quid perturbato sono et voce confusa; non intellegere se linguam eius: nec Graecum esse nec Romanum nec ullius gentis notae. Viene annunciato a giove che era arrivato un tizio di buona statura ben canuto, che quello faceva delle minacce non molto chiare in fatti muoveva assiduamente la testa e trascinava il piede. Lui gli aveva chiesto di quale nazione fosse, quello aveva risposta un non so che con un suono distorto e una voce confusa, lui (persona sconosciuta che lo annuncia) non capiva la lingua di quello, non era ne greco ne romano, ne di una popolazione conosciuta. Tutto è finalizzato a mettere in difetto i suoi problemi fisici. - Nuntiator: privo di complemento d’agente o soggetto. Ad un certo punto c’è qualcuno che annuncia l’arrivo di questo personaggio, ma non viene esplicitato chi sia. Tutto questo passaggio è filtrato da questo personaggio sconosciuto che ci descrive ciò che vede e che avviene - Quendam: Pronome indefinito, meno indefinito degli altri, individua ma non specifica, ma esiste - Bonae staturae, bene canum: descrizione fisica che coincide con quella di Svetonio - Minari (deponente), movere, trahere: Infiniti che completano nutiator - Enim caput movere, pedem dextrum trahere + Pertubato sono et voce confusa: Difetti fisici di Claudio - Quaesisse se : ‘Se’ soggetto sconosciuto che riporta la notizia - Quaesisse se cuius nationis esset: interrogativa indiretta - Ullius: nec+ullius, ullius qui è positivo perché abbiamo già nec Tum iuppiter herculem, qui totum orbem terrarum pererraverat et nosse videbatur omnes nationes, iubet ire et explorare quorum hominum esset. Tum hercules primo aspectu sane pertubatus est, qui etiam non omnia monstra timuerit. Ut vidit novi generis faciam, insolitum incessum, vocem nullius terrestris animalis sed qualis esse marinis beluis solet, raucam et implicatam, putavit sibi tertium decimum laborem venisse. Diligentius intuenti visus est quasi homo. Allora Giove ordina che ercole che aveva errato, aveva viaggiato per tutto il mondo, e sembrava conoscere tutte le genti di andare e di indagare di quali uomini fosse (da quale popolo provenisse), allora ercole ad una prima vista, rimase molto spaventato, come colui che anche non avesse temuto tutti i tipi di mostro (come se ancora non avesse dovuto avuto a che fare con tutti i tipi di mostri esistenti) appena vide questo aspetto mai visto, l’andatura insoluta, la voce di nessun animale terrestre, la quale normalmente hanno le belve marine, roca e confusa, pensava fosse giunta per lui la tredicesima fatica. A lui che guardava meglio gli sembrò quasi un essere umano. Giove sceglie Ercole per andare a vedere di chi si tratta. Ercole viene introdotto come personaggio della commedia, brutale ma non particolarmente arguto, Seneca vediamo che già in precedenza fa riferimento a lui come personaggio sia comico che tragico. - Et explorare: Valore di et esplicativo - Iuppiter: genitivo particolare iovis  piter=pater con apofonia - Quorum hominem esset: Interrogativa indiretta - qui etiam non omnia monstra timuerit: passaggio poco chiaro nella traduzione - ut vidit: nesso causale - vidit : Serie di complemento oggetto =zeuguma (non può vedere la voce) - etiam non: nondum= non ancora - timuerit: avere paura di - novi generis faciam: qualcosa di strano e mai visto prima + serie di caratteristiche anonime - intuenti: Dativo che sotto intende Erculi accessit itaque et, quod facillimum fuit graeculo, ait: caludius Gaudet esse illic philologos homine: perat futurum aliquem Historis suis locum. Itaque et ipse homerico versu caesarem se esse significans ait: erat autem sequens versus verior, aeque homericus. . e cosi si avvicino, eracle, e cosa che fu facilissima per un grecuccio disse: chi sei e da quale gente provieni? Qual’è la tua citta e quali sono i tuoi genitori? Claudio si rallegra del fatto che li vi siano degli uomini dotti ed istruiti, spera che vi possa essere un qualche luogo per le sue storie e così anche lui attraverso un verso omerico indicando di essere un cesare, disse: un vento conducendomi conducendomi da illio mi condusse presso i ciconi, ma sarebbe stato più vero il verso successivo, parimenti omerico, li io ho distrutto la città e ucciso gli abitanti (cinoni). Prima sono tutti versi collocabili all’inizio dell’odissea, Ercole pone una domanda per capire da dove veniva questo mostro che si era presentato. Claudio, che sappiamo essere stato senza freni nel suo desiderio di palare sempre in greco, risponde in greco dicendo di arrivare da Ilio, in sostanza afferma essere un cesare, proveniente quindi dalla stirpe dei cesari. C’è poi un terzo verso omerico citato dall’autore dove interviene ironicamente, facendo riferimento alla distruzione della città, commento lapidario sull’azione del principato di Claudio. - Accessit: composto di accedo - Graeculo : diminutivo solitamente in senso dispregiativo - Facillimum: particolarità di un superlativo diverso in alcuni aggettivi - Illic: Ossitonia secondaria Capitolo 6- il proemio Prosegue l’incontro tra Ercole e Claudio con l’ingresso di un terzo personaggio, ovvero la divinità di Claudio stesso, la Febbre. Questa divinità, nello specifico il suo nome, fa riferimento alla salute cagionevole che Claudio ha sempre manifestato di avere. Et imposuerat herculi minime vafro, nisi fuisset illic febris, quae fano suo relicto sola cum illo venerat: certos omnes deos Romane reliquerat: iste inquit mera mendacia narrat. Ego tibi dico, que cum illo tot annis vixi: Lugundi natus est, marci municipem vides. Traduzione: E l’avrebbe data a bere ad Ercole che non è per nulla furbo se non ci fosse stata li la Febbre, la quale avendo abbandonato il suo tempio sola ( sola contrapposto ad omnes che viene dopo) era venuta con quello. Aveva lasciato tutti gli altri dei a Roma. (probabilmente per godere del cambio di imperatore) Costui disse (la Febbre dice) racconta pure menzogne, te lo dico io che ho vissuto on lui tanti anni, è nato a Lione, vedi un concittadino di Marco. - Imposuerat: imporre a qualcuno il prprio peso, qui usato come ingannare deriva in italiano dall’impostore, espressione che prevalentemente è del latino colloquiale Fa parte di un Periodo ipotetico, del terzo tipo, nel passato, ma qui abbiamo indicativo piucheperfetto al posto del congiuntivo - Minime vafro: Litote. Ercole era contraddistinto dalla forza bruta ma qui Claudio cerca di raggirarlo con la menzogna, corrisponde ad Ercole nella tradizione comica, tutto muscoli e niente cervello - Illic: caso di ossitonia secondaria, l’accento cade sull’ultima - Fano suo relicto: Ablativo assoluto- essendo stato abbandonato il tempio - Romane: Locativo, originariamente era un caso, che poi nel tempo è stato ‘perso’ in modo casuale, i resti del locativo assumono la terminazione del genitivo, in realtà ora sono distinti. - Reliquerat: il soggetto di reliquerat non è chiaro, logicamente potrebbe essere la Febbre - Iste: valore dispregiativo, connota la persona in maniera negativa - Mera mendacia: Espressione allitterante, tipico della commedia, del lessico popolare - Ego tibi dico: ripetizione di pronomi, rimandano espressioni popolari - Cithius mihi verum: manca il verbo, espressione ellittica, verbo ‘dire’ sottointeso + ‘cithius’ comparativo (forma colloquiale, non ha un valore accentuato di comparazione) - Alogias excutiam: scuotere fuori a son di botte, ‘alogia’ complemento ogg. Parola grecizzante, qualcosa che nega e ‘logos’ che è la parte della razionalità - Quo: introduce una subordinata finale nel rispetto della regola classica, in presenza di un comparativo ‘terribilior’ - Tragitus fit: Ercole successo per la commedia e per la tragedia, qui diventa tragico (tragicità umoristica con tratti parodici) A seguire 14 versi che saltiamo, senari giambici (Metro tipico del metro latino) Versi che saltiamo: Ercole chiede a Claudio di dirgli la verità, nel chiedere ciò non perde l’occasione di mettere alla berlina nuovamente i difetti fisici di Claudio (la sua voce poco chiara, muovere il capo in maniera strana ecc…). haec satis animose et fortiter, nihilo mentis suae non est et timet morou pleghe. Claudius ut vidit virum valentem, oblitus nugarum, intellexit neminem Romae sibi parem fuisse, illic non habere se idem gratiae: gallum in suo sterquilino pluribum posse traduzione: disse queste cose in modo alquanto coraggioso e forte, tuttavia non è in pieno controllo di se stesso e teme il colpo dello sciocco. Claudio non appena vide quell’uomo vigoroso si dimenticò delle cose poco importanti, comprese che (la situazione è cambiata, posto dove i topi rodono il ferro) a Roma non vi era stato nessuno pari a lui , ma che li non godeva del medesimo privilegio: un gallo ha un fortissimo potere nel suo letamaio. - Haec: sotto intende il verbo dire - animose et fortiter: Ercole parla in modo forte si mostra un eroe tragico, ma sta fingendo, in realtà dentro di se ha paura di Claudio (dello sciocco) entrambi bleffano, ed ercole è eroe comico (timet) - mentis suae: Genitivo di qualità, richiama un’espressione del linguaggio giuridico (non essere capaci di intendere e volere), qui indica che non era nelle proprie facoltà mentali - morou pleghe: Lessico della tragedia greca, è il colpo del dio, un colpo del destino inaspettato che colpisce l’uomo senza che questo lo possa prevenire (qui rimanda a qualcuno che è pazzo, ovvero Claudio) - vidit virum valentem: Allitterazione  Claudio a sua volta si spaventa di questo uomo potente - nugarum: da Catullo, cose di poco conto - gratiae: genitivo partitivo - gallum in suo sterliquilino pluribum posse: infinitiva + espressione proverbiale su - modello greco, adattato al contesto. Ha un ducplice significato: 1 ‘gallum’= ripresa di gallus, inteso come animale, e non come Gallo 2 ‘sterquilino’= letamaio, legame con il suo operato. Da questo punto facciamo un salto in avanti, nella parte immediatamente successiva sempre all’interno del capitolo sette. Claudio dopo essersi spaventato di fronte all’aspetto terribile di Ercole, che diviene attore tragico, inizia a rivolgersi a quest’ultimo. È un inizio perché di fatto al termine del capitolo sette si apre una lacuna, sicuramente manca una parte di testo. Questo dipende dal fatto che nella tradizione manoscritta dell’opera c’è stata una perdita, e questa perdita si trova all’origine, in quello che secondo il lessico filologico, si chiama archetipo, l’archetipo della tradizione aveva una lacuna dovuta probabilmente alla perdita di uno o più fogli. La fine del discorso di Claudio più una serie di altre cose sono state perdute durante la trascrizione. E’ evidente che ci sia una lacuna lì perché il capitolo ottavo si apre in medias res e ci si rende conto poco dopo che il contesto è cambiato, ci troviamo all’interno di un’assemblea che è un concilio degli dei. Inoltre, basandosi su una serie di dettagli che vengono forniti successivamente si capisce che sta parlando una divinità sconosciuta, a proposito della possibilità di concedere a Claudio la cittadinanza divina, di acconsentire all’apoteosi di Claudio. Nonostante il passaggio radicale, si può ricostruire cosa fosse narrato nella parte mancante, chiaramente si tratta di ipotesi, ma all’interno della lacuna poteva essere narrato ciò: la conclusione del discorso di Claudio ad Ercole, Claudio spaventato ma probabilmente non troppo inizia a rivolgersi ad Ercole nel tentativo di averlo come alleato, quindi Claudio chiede ad Ercole di sopportare le sue pretese di diventare una divinità; subito dopo i due entrano nel senato divino in un modo un po’ violento, Ercole con la sua consueta brutalità aiuta Claudio ad entrare nel senato degli dei ed i due chiedono che Claudio venga divinizzato, il che suscita una sorta di pandemonio nel senato degli dei. Nel momento in cui la narrazione ritorna vediamo una divinità sconosciuta che sta parlando e sta richiamando tutti all’ordine, imponendo a Claudio di uscire facendo rispettare le leggi del senato; tutto espresso con un tono satirico, infatti Giove, che ovviamente è il capo della seduta, richiama tutti all’ordine ad un certo punto si ricorda che secondo le leggi del senato Claudio non avrebbe potuto essere presente alla discussione per cui lo fa uscire. Questo è grossomodo il contenuto della lacuna, anche se non è chiaro quanto fosse lunga, questa è una ricostruzione che va presa con cautela. Sicuramente si può immaginare che l'entrata di Claudio (accompagnato da Ercole) abbia suscitato una reazione di riso e di scherzo da parte delle altre divinità, perché sicuramente Claudio sarà stato presentato con tutti i suoi difetti fisici e caratteriali. Non sappiamo come Claudio sia riuscito a convincere Ercole, perché nella parte che abbiamo letto Ercole si è dimostrato sospettoso ed abbastanza ostile verso Claudio, sicuramente questo gli avrà fatto qualche promessa ingannandolo, d’altronde Ercole è un personaggio dalla forza brutale ma non di altrettanta intelligenza. L’entrata in senato è quasi certamente stata molto violenta e lo si capisce da vari passaggi che vedremo dopo, per il resto abbiamo idee vaghe di ricostruzione. Noi nel nostro salto ci spingiamo fino al capitolo dieci, per cui una volta che Claudio viene fatto uscire prosegue questo concilio degli dei, all’interno delle discussioni un ruolo privilegiato viene assunto da Augusto, che è stato divinizzato e per questo viene chiamato divus Augustus che naturalmente si esprime contro la proposta di apoteosi di Claudio. Augusto è naturalmente una divinità nuova, c’è un po’ la contrapposizione tra le divinità tradizionali e quelle di recente acquisizione. Un aspetto interessante è che la figura di Augusto non è soggetta ad ironia o parodia a differenza di tutte le altre divinità presentate precedentemente, Augusto viene presentato come un personaggio di grande autorità, un personaggio autorevole quasi come l’Augusto storico, e di fatto grazie alla sua eloquenza indirizza la discussione in senso negativo per Claudio. Il motivo che spinge Augusto a parlare è, detto esplicitamente, l'indignazione di fronte al comportamento che Claudio ha tenuto in vita, che di fatto ha rovinato quello che Augusto stesso si era sforzato di fare e la cosa possiede una sua ironia, perché Claudio vedeva se stesso come il perfetto continuatore di Augusto. Dal punto di vista stilistico, della lingua, Augusto utilizza un linguaggio tendenzialmente aulico, elevato, che è quello tipico dell’oratoria, di chi si esprime a parole in senato e dice la propria opinione, in alcuni casi si osservano anche delle reminiscenze della lingua di augusto che si trova nelle Res Gestae, anche se a volte questo stile elevato viene intercalato ad espressioni colloquiali. Questo sembra rispondere ad una ricostruzione storica, secondo Svetonio, Augusto amava utilizzare espressioni colloquiali, proverbi, che facevano sicuramente parte della sua eloquenza, era di fatto un sovrano eloquente. Non è un caso che il discorso di Augusto sia il più lungo all’interno di questo dibattito, e segna un momento abbastanza centrale all’interno della Apokolokyntosis. Claudio viene denunciato non più per i suoi difetti fisici, quindi non è più lo sciocco, il balbuziente, lo zoppo, ma viene denunciato proprio come un assassino crudele che esercitando in maniera intrusiva il suo ruolo all’interno della giustizia aveva mandato a morte molte persone, quindi Augusto vede in CLaudio colui che distrugge la sua eredità, non colui che la continua come invece Claudio aveva ritenuto. Capitolo 10 – il proemio Tunc divus augustus surrexit sententiae suae loco dicendae et summa facundia disseruit. ‘ego’ inquit, ‘p.c., vos testes habeo , ex quo deus factus sum , nullum me verbum fecisse: semper meum negotium ago; et non possum amplius dissimulare et dolorem, quem graviorem pudor facit, continere. Traduzione: Allora, il divino Augusto, si alzò per esprimere la propria opinione, per fare il suo intervento, e discusse con grandissima eloquenza: io, disse, o senatori, o voi come testimoni, (l’idea implicita della testimonianza viene spiegata con un’infinitiva) del fatto che dal giorno in cui sono divenuto Dio, una divinità, non ho proferito alcuna parola, mi faccio sempre gli affari miei e certamente non posso fingere oltre e reprimere, contenere il mio dolore che la vergogna rende più grande - P.C. sta per Patres Conscripti, espressione che indica i sentori, letteralmente i patres anche da soli sono i senatori, conscripti vuol dire che fanno parte della lista del senato. - Surrexit: perfetto del verbo surgo, alzarsi. Qui vediamo Augusto prendere la parola, Augusto viene descritto come un grande oratore, tutto quello che fa riprende un po’ le gesta di un oratore che si alza, prende la parola, tutto ciò è epresso da surrexit. - divus Augustus: Viene divinizzato - facundia: la qualità che gli viene conferita è l’eloquenza, una grandissima capacità di parola. - Dicendae: è un gerundivo con valore finale concordato con il dativo sententiae. - Loco: invece è in caso ablativo, nel suo posto, nel momento del suo turno. Questo ci riporta alle consuetudini del senato celeste che viene descritto sulla base del senato terrestre. Si rivolge ai senatori con l’appellativo tradizionale del senato terrestre (patres conscripti), ed i senatori vengono chiamati come testimoni. - Disseruit: pronunciare un discorso, composto del verbo sero che vuol dire seminare. - Vos testes habeo: utilizzato con valore predicativo del complemento oggetto. - Ex quo, dal giorno in cui deus factus sum in cui sono divenuto Dio. Sulla base del lessico della retorica qui abbiamo la captatio benevolentiae, Augusto si sta aggraziando l’uditorio prima di fare il suo intervento. Questa è una funzione tipica del prologo, cioè quando uno inizia un discorso, prima di entrare nel merito di quello che vuole dire si rivolge al suo auditorio. Secondo gli antichi il prologo ha tre funzioni: 1. rendere l’ascoltatore benevolo (captatio benevolentiae) 2. rendere l’ascoltatore attento, suscitare la sua attenzione 3. rendere l'ascoltatore disposto ad imparare (doceo) Qui evidentemente prevale la prima idea, cioè quella di rendere l’ascoltatore benevolo. Il concetto viene poi ripreso da semper meum negotium ago, che è un’espressione colloquiale, il lessico è tendenzialmente elevato, però ci sono anche alcune cadute dal punto di vista dello stile, è un elemento tendenzialmente scherzoso in mezzo ad un linguaggio aulico. Et/sed a seconda del manoscritto, ci si aspetta una contrapposizione, ma ad et dobbiamo dare un valore intensivo, quindi ci dice fino ad ora mi sono fatto i fatti miei, certamente adesso non lo voglio fare più. - Possum, composto di sum ma particolare - amplius comparativo dell’avverbio, l’avverbio ha il comparativo che è identico all’uscita del neutro dell’aggettivo. - Dopodiché lo stile risale ancora, diventa solenne, formale, non posso più far finta di nulla, dissimulare viene inteso in senso assoluto. - Graviorem è un comparativo dell’aggettivo che viene usato con valore predicativo, cioè che il pudore rende più grave. - greco knemes, quindi secondo questa congettura abbiamo un gioco di parole, un secondo elemento per analizzare questo passaggio è tener conto che Augusto ama esprimersi tramite proverbi e questo viene enfatizzato che questo in tutta l’opera Apokolokyntosis è l’unico proverbio in lingua greca.; quindi è probabile che Seneca qui stia imitando una effettiva caratteristica di Augusto, non solo usare i proverbi ma anche usare il greco. Il resto rimane un po’ oscuro. Augusto ci dice che prima di deificare Claudio bisogna effettivamente considerare la moralità macchiata di Claudio, macchiata da numerosi omicidi in particolare. Questi ultimi avvennero non solo fuori dalle mura domestiche ma anche all'interno. Augusto infatti vuole narrarci i domestica mala e intende soffermarsi solo su quelli per dimostrare la sua tesi secondo cui sarebbe inutile deificare Claudio. Gli omicidi domestici hanno grande peso in quanto se questo uomo è stato capace di macchiarsi del sangue dei suoi stessi famigliari si può ben capire che tipo di animo potesse avere. Il giudizio di Seneca su Claudio è evidente e il dialogo di Augusto è il più importante poiché definirà l'esito positivo o negativo della deificazione. Per cui tale dialogo è di grande importanza. Iste quem videtis, per tot annos sub meo nomine latens, hanc mihi gratiam rettulit, ut duas iulias pronepotes meas occideret, alteram ferro, alteram fame; unum ab nepotem L.Silanum : videris, Iuppiter, an in causa mala; certe in tua; si aequos futurus est. dic mihi, dive Claudi, quare quemquam ex his, quo quasque occidisti, antequam de causa cognosceres, antequam audires, damnasti? Hoc ubi fieri solet? In caelo non fit. (Parla Augusto si tratta del dialogo più lungo pronunciato nell'opera di Seneca). Traduzione: “Costui che vedete nascondendosi per tanti anni sotto il mio nome mi ha ricambiato in questo modo (uccidendo due Giulie e che entra Augusto definisci pronipoti. Una con la spada e l'altra con la fame. Una figlia di Pronepote Lucio Sillano). Vedrai tu, o Giove, se in una situazione negativa certamente in una causa simile alla tua se vorrai essere obiettivo. Dimmi, o divino Claudio, per quale motivo hai condannato ognuno tra costoro che hai ucciso maschi e femmine prima di istruire la causa e prima di ascoltare la loro difesa? Questo dove suole accadere? In cielo non accade.” Abbiamo un dialogo impostato quasi come se Claudio fosse lì presente/visibile agli dei che stavano discutendo. - Videtis: è in opposizione a latens proprio per indicare che solo in quel momento Claudio fu visibile a differenza del periodo in cui regnò che fu invisibile. - Per tot annos: complemento di tempo continuato - Hanc: prolettico rispetto alla competiva ut + occideret (epesegetico) - Aequos: nominativo singolare riferito a Giove. - Occideret: composto di occido, qui va sottolineato che questo verbo è utilizzato in maniera propria con la prima Giulia, ma non è proprio con ‘fame’ è un composto di caedo ed è utilizzato in maniera non del tutto propria con “fame": occido infatti è un verbo che serve per descrivere uccisione violenta (quindi tale verbo è bene abbinato piuttosto all'espressione di uccisione con la spada. Tale impiego “anomalo" è denominato ZEUGMA). - Futurus est: futuro perifrastico che equivale ad un futuro semplice - An: particella interrogativa, qui introduce una interrogativa indiretta semplice, normalmente e enclitico ed è interrogativa disgiuntiva - Dic mihi: normalmente indicativo ma qui congiuntivo secondo la consecutio - Istruire la causa= regolare un processo + antequam audites  passaggi del processo ecc… - Causa mala: Due possibili interpretazioni per la traduzione: 1. È stato messo a morte per aver commesso il crimine 2. Il processo di parte Sappiamo che in vita Claudio si è ispirato ad Augusto, ha preso il suo nome (Claudio come tutti gli imperatori ricevette gli appellativi onorifici) in cambio dello sterminio della sua famiglia. I primi personaggi elencati sono pronipoti e furono uccisi per causa di Messalina. La prima giulia è figlia di Druso a sua volta figlia di Tiberio mentre la seconda è Giulia Livilla figlia di Germanico. Le due suscitarono la gelosia di Messalina. Viene Poi citato Lucio Sillano (+ nepotem): quest'ultimo aveva inizialmente ricevuto degli onori da parte di Claudio: nel 41 d.C. aveva ceduto in sposa la figlia Ottavia a Lucio, ad esempio. Agrippina però voleva dare Ottavia in sposa a suo figlio Nerone per cui la sorte di Sillano cominciava a decadere. Viene accusato di incesto con la sorella e si toglie la vita nel 49 (fu indotto a tale azione): fu vittima quindi degli intrighi di palazzo. Inoltre l'allusione a Giove che ebbe un rapporto con Era è velato ma c'è (“Vedrai tu, o Giove,…”): in questo passo Augusto sta in qualche modo coinvolgendo Giove dicendo che se il crimine commesso da Sillano era davvero simile a quella di Giove, allora forse anche Giove doveva iniziare a stare più attento. L'assenza di un processo regolatore del processo fa proprio riferimento allo scarso esercizio della Sana giustizia che Claudio esercita Capitolo 11- il proemio Ecce Iupiter, qui tot annos regnat, uni volcano crus fregit, quem et ieratus fuit uxori et suspendit illam: numquid occit? Tu Messalinam cuius aeque avnculus maior eram quam tuus occidisti. ‘nescio’ inquis? Di tibi malefaciant. Adeo istuic turpis est quod nasciti quam quod occidisti. Traduzione: “Ecco Giove che regna da tanti anni, ruppe una gamba al solo Vulcano che lanciò, avendolo afferrato per un piede, lanciò giù dalla soglia e si avviró con la moglie e la tenne sospesa. L'ha forse uccisa. Tu invece hai ucciso Messalina della quale io ero prozio esattamente come lo ero con te. Non lo sai? Che gli dei ti maledicano. Questo ancora più turpe del fatto che tu la uccidesti.” Considerazioni: - Verbo occido molto frequente, si vuole rendere davvero l’idea di Claudio assassino - Augusto coinvolge ancora una volta Giove, giustificando l’unico atto d’ira riconducibile alla famiglia - Riferimenti alla vita passata di giove, allusioni che si basa su due passaggi omerici. Quando si parla della moglie e del dio Vulcano si sta facendo riferimento a due passi del poema omerico e cioè l'Iliade: il primo passo si trova nel 15esimo libro al v. 188 in cui Zeus minaccia di far macellare Era e ricorda che in passato si era già scagliato contro degli dei tra cui vi era anche Efesto; il secondo passo si trova nel v. 586 del primo libro in cui Efesto dice a sua madre Era che qualora lei avesse voluto provocare ancora Zeus, non avrebbe potuto accorrere in aiuto di lei dal momento che Zeus lo aveva scagliato lontano dal cielo divino prendendolo per i piedi (alcune fonti narrano infatti che Efesto fosse claudicante proprio per questo motivo). Seneca, riprendendo nel dialogo di Augusto tali passi cercava di narrare in realtà la realtà cruda dei tempi romani in cui spesso e volentieri veniva riservato tale brutale trattamento agli schiavi: passaggio che implicitamente ci fa capire che Giove trattasse mogli e figli come schiavi. - Adeo: funge da rafforzativo di turpius - Tutto l'anno esprime tempo continuato. - Ieratus fuit: Slittamento della coniugazione verbale del perfetto costruito con fuit invece che con est. - Numquid occidit: normalmente num occidit, di fatto qui è un’affermazione: giove non ha ucciso la moglie giunone, sono solo punizioni corporali domanda retorica con risposta negativa: Giove non ha ucciso mogli e figli ma si è limitato a infliggere pene corporali come si faceva con gli schiavi. - Aeque + ac È vero che Claudio ha ucciso Messalina? E per quale motivo dice di non ricordarselo? Stando a quanto ricostruito Claudio aveva in realtà preso una predisposizione ad ammazzarlo dopo aver banchettato con lei decide di darle un'opportunità per ricevere aiuto per la propria causa. Interviene però Narciso, il liberto di Claudio, che inizia a pensare che l'imperatore possa cambiare idea per cui cerca di andare OLTRE la volontà di quest'ultimo anticipando l'uccisione di Messalina. Quando Claudio venne a sapere di tale fatto parve non avere reazione alcuna e neppure espresse una voglia di indagare sulla questione. Svetonio ci dice che Claudio era spesso soggetto a dimenticanze sostenendo che sebbene Claudio stesso avesse ordinato l'uccisione della donna chiese poi come mai questa non si fosse presentata. Per cui Seneca pare giocar e sul mistero di tale vicenda. “CHE GLI DEI TI MALEDICANO"= Espressione quotidiana utilizzata da una “divinità (Augusto)”. c. caesarem non deiit mortuum persequi. Occiderat ille socerum: hic et generum. Gaius crassi filium vetuit magnum vocari: hic nomen illi redditit, caput tulit. Occidit in una domo Crassum, Magnum, Scriboniam, (croce) tristionas assaiore (croce), nobiles tamen, Crassum vero tam fatuum et etiam regnare posset. Traduzione: “Non smise di prendere come modello GAIO CESARE (= Caligola) morto. Quello (gaio cesare) aveva ucciso il suocero (= Giunia fu la prima moglie di Caligola e Marco G. Sillano era il padre). Questo (=Claudio) uccise anche il genero (Suocero di Claudio → Appio Sillano; Genero di Claudio → Lucio Sillano) . Gaio vietò che il figlio di Grasso venisse chiamato Magno (= Gneo P. Magno omonimo del rivale di Cesare il Qual è aveva sposato Antonia, figlia di Crasso.). Questo (=Claudio) restituì l'appellativo ma gli tagliò la testa. In una sola casa uccise Crasso, Magno,Scribonia […] che tuttavia erano nobili*. Crasso invece tanto sciocco che avrebbe potuto essere re.” In questo passo troviamo un continuo paragone tra le gesta di Caligola e quelle di Claudio. Claudio prende Caligola come modello da sempre (persequor non ha in questo senso significato di PERSEGUITARE ma di IMITARE) . Addirittura Claudio agì in maniera ancor più spietata di quella di Caligola (che già fu un uomo di per sé spietatissimo) - Persequor: diversi valori: 1 nel senso di perseguitare ‘claudio non smette di perseguitare caligola anche da morto’ + appiglio storico, ovvero dopo aver ricevuto il potere claudio si sforza di revocare i decreti che caligola aveva approvato 2 in questo contesto qui è ‘imitare’, seguire le tracce di qualcuno - Ille e hic: ille riprende l’elemento più lontano, gallum caesare, hic riprende l’elemento più vicino - Tristionas assaiore: non esiste una correzione sicura, non è possibile ricostruire con esattezza quello che si voleva dire - Crassum : tanto sciocco da poter essere un re, presentato come alter ego di Claudio, l’enorme stupidità di crasso lo rendeva un rivale di claudio (forse una delle possibili vittime di claudio) - Crasso, il personaggio tanto sciocco da poter essere anche un re, che Augusto caratterizza come identico a Claudio. questa somiglianza è espressa dall'espressione proverbiale “essere simile come uova”. - Scribonia, suocera di sua figlia e moglie di Crasso dopodichè, per accrescere le dimensioni della strage di claudio, abbiamo un riferimento ad un numero imprecisato di altre persone abbiamo una lacuna, una parte mancate dell’opera, quindi non sappiamo con esattezza cosa sia successo all’inizio del concilio degli dei. Evidentemente era stata avanzata la possibilità di esentare Claudio dal ricevere un processo, augusto si appone. per arrivare alla divinizzazione occorre perdonargli i crimini. contro questo procedimento si pone Claudio. quello citato nel passo non è il vero processo, che si svolgerà negli inferi. l’espressione temporale di claudio riprende un’espressione tipica del senato, a sottolineare come il cielo rappresenti una sorta di equivalente dell'Italia e come l’olimpo rappresenti invece il senato. qui termina il discorso di Augusto, che orienta gli eventi. Pedibus in hanc sententiam itum est. Nec mora Cyllenius illum collo obtorto trahit ad inferos a caelo unde negant redire quemquam. Traduzione. (lett. si entrò coi piedi in questa proposta di voto) la proposta di voto venne approvata per separazione. senza pausa e indugio Mercurio trascina Claudio torcendogli il collo, agli inferi dal cielo, da dove negano che qualcuno possa ritornare. L'esito della discussione celeste, cioè la conclusione della narrazione, viene tratta molto rapidamente. La discussione viene liquidata in pochissime parole, Augusto parla e tutti subito votano a favore della sua mozione, per cui mercurio si assicura di cacciare Claudio dal cielo. - itum est: è una forma impersonale - pedibus ire in sententiam aliqudius: fa riferimento a una modalità di voto che era tipica del senato: una persona esprimeva la propria mozione e chi votava a favore di questa si alzava dal seggio e si recava fisicamente vicino a chi la proponeva. - nec mora: è un’espressione ellittica tipica della poesia elevata, significa “senza indugio” - Cyllenius: rimanda a mercurio, che nasce sul monte cillene e per questo viene chiamato cillene: mercurio era tipicamente accompagnatore delle anime è infatti suo il compito di trascinare con la forza claudio verso gli inferi, dove subirà il processo - unde negant redire quemquam: espressione del carme del passero di catullo. In questi passaggi il testo è stato tramandato in maniera problematica, quindi potrebbero esistere più varianti. nel carme numero tre di catullo, il testo da cui è preso il passaggio, sono gli inferi il luogo da cui non si può fare ritorno. assistiamo quindi a una sorta di citazione modificata per sottolineare un’espulsione definitiva dal regno degli dei. c’è anche da dire che l’ascesa di claudio si apre con una citazione poetica. anche quella decontestualizzata: i passi non ebbri di virgilio. Claudio che sale al cielo con la sua andatura zoppicante. L’avventura in cielo di Claudio si apre e si chiude con una citazione poetica: in entrambi casi, il senso originale dell’opera viene modificato in base alle esigenze narrative dell’opera. a questo punto Claudio percorrendo a ritroso il cammino che l’aveva portato in cielo si imbatte nel suo stesso funerale, che non sembra una cerimonia triste, ma un festeggiamento. Capitolo 12- il proemio Dum descendunt per viam Sacram, interrogat Mercurius, quid sibi velit ille concursus hominum, num Claudii funus esset. Et erat omnium formosissimum et impensa cura, plane ut scires deum efferri: tubicinum, cornicinum, omnis generis aenatorum tanta turba, tantus conventus, ut etiam Claudius audire posset. traduzione: mentre scendono attraverso la via sacra, mercurio chiede cosa significhi quell’affollamento di uomini: che fosse il funerale di Claudio? era certamente il funerale più bello di tutti, e dal grande costo (quantita di risorse impiegate), probabilmente affinché si sapesse che un dio veniva seppellito. vi era una così grande turba e un così grande affollarsi di suonatori di trombe, suonatori di corno, suonatori di strumenti di bronzo di ogni tipo, che perfino Claudio riusciva a sentire. qui abbiamo una serie di elementi che ridicolizzano la figura di claudio, si conclude infatti con l’ennesimo riferimento alle sue inadeguatezze fisiche - descendunt è il movimento contrario ascendunt, cioè l’ascesa al cielo. Dopo l'apoteosi claudio viene trascinato giù attraverso la via sacra, un prolungamento della via appia, strada utilizzata per le processioni o per i funerali di figure illustri. Claudio sta ripercorrendo il percorso esattamente al contrario. mentre discendono, i due si imbattono in questa folla, e Mercurio, incuriosito, chiede spiegazioni. non si comprende a chi fosse riferita la richiesta: non sappiamo chi è l’interlocutore. Qualcuno ipotizza che si tratti di un passante, effettivamente Seneca poi dirà che mercurio maschera il loro aspetto. Si può invece semplicemente pensare che mercurio chieda a claudio. Le due domande sono espressa sotto forma di interrogativa indiretta. notiamo qualcosa di strano? si! c’è un problema legato alla consecutio temporum: nel primo caso abbiamo euvit, congiuntivo presente, nel secondo esset, congiuntivo imperfetto. in realtà esset, che è apparentemente sbagliato, è giustificato, perché interrogat è un presente storico: formalmente un indicativo presente, quando ha la funzione storica, può avere la consecutio di entrambi i tempi. - quid introduce la prima interrogativa indiretta - num introduce la seconda, che è invece diretta Il funerale viene descritto con termini legati alla festività, più avanti dirà infatti che il popolo omano si sente liberato dalla morte di Claudio. - formosissimus, un superlativo, dove si sottintende unus, quindi “era il più bello di tutti” - homnium è un genitivo partitivo che completa il superlativo - impensa cura idea di cerimonia senza badare a spese - plane ut scires deum efferri commento malizioso di seneca - tanta turba tantus cruentus, due termini che sono sinonimici e coordinati per asindeto, cioè non c'è un et che li unisce, di suonatori di strumenti diversi: la tromba, il corno e tutti i generi di strumenti - ut ea claudius audire possant è una consecutiva ed è un’ulteriore invettiva contro i difetti fisici di claudio. si fa riferimento all’udito non ben sviluppato di claudio, che tuttavia non è comunemente attestato dalle fonti. il prossimo passaggio non lo legge né traduce perché sarà oggetto della dispensa, ma sottolinea alcuni passaggi. Omnes lati, hilares: populus R.ambulabat tamquam liber.Agatho et pauci causidici plorabant, sed plane ex animo. Iurisconsulti e tenebris procedebant, pallidi, graciles, vix animam habentes, tamquam qui tum maxime revivescerent. Ex his unus, cum vidisset capita conferentes et fortunas suas deplorantes causidicos, accedit et ait: «Dicebam vobis: non semper Saturnalia erunt». 3. Claudius, ut vidit funus suum, intellexit se mortuum esse. Ingenti enim -parola in greco- nenia cantabatur anapaestis: Tutti <erano> contenti, gioiosi: il popolo romano camminava pensando di essere libero. Agatone e pochi avvocati piangevano, ma davvero di cuore. I giuristi uscivano dalle tenebre, pallidi, magri, a stento provvisti di respiro, come se proprio allora tornassero in vita. Uno di questi, avendo visto gli avvocati che discutevano tra di loro e compiangevano le loro sorti, si avvicina e dice: “ve lo dicevo: non sarà sempre festa”. Claudio, non appena vide il suo funerale, capì di essere morto. omens laiti è una felicità diffusa, cosa inaspettato dal funerale c’è una contrapposizione tra due gruppi distinti di persone: 1. causivichi, cioè gli avvocati, termine dispregiativo, sono tristi e piangono perche sotto il regno di claudio fanno un’immensa fortuna 2. dall’ombra escono provati e quasi morti, i giures consulti, i giuristi, che sotto claudio avevamo parlato un periodo negativo, ennesima critica alla gestione politica sotto claudio. 3. omnes laeti hilares: Seneca descrive le scene di gioia che si verificano durante il funerale di Claudio. Tutti sono contenti, ad eccezione dei causidici. -  laeti hilares: aggettivi di significato simile, accostati per asindeto. Ellissi: sottintendere erant. -  populus R.: Romanus. - tamquam liber: tamquam (che con il congiuntivo introduce la → subordinata comparativa ipotetica) può essere a volte utilizzato, sempre con valore comparativo ipotetico (= come se) davanti a nomi, aggettivi o participi, spesso (come in questo caso) in funzione predicativa. Soprattutto in epoca imperiale, questo costrutto può esprime la motivazione soggettiva: “come se fosse libero > pensando di essere libero”. -  Agatho: nome di persona abbastanza diffuso. Qui si tratta di un membro e rappresentante dei causidici, non identificabile – sulla base delle nostre informazioni – con alcuna persona storicamente esistita. - causidici: gli avvocati. Il termine causidicus è utilizzato come sinonimo del più comune advocatus, anche se spesso (e certamente anche qui) risulta provvisto di una connotazione dispregiativa. - plorabant: il dolore dei causidici è determinato dal fatto che, morto Claudio, una stagione ricca di successi e facili guadagni era destinata a terminare. In effetti, come apprendiamo dalle fonti, Claudio – abusando del suo ruolo per l’esercizio della giustizia – aveva incoraggiato la rapacità degli avvocati, che con la disonestà e la collusione realizzavano profitti palesemente illeciti. In particolare, nonostante l’opposizione dei senatori, aveva fatto modificare la Lex Cincia, approvata nel 204 a.C., che – tra le altre cose – regolamentava e limitava il valore delle “parcelle” degli avvocati. -  sed: ha valore “asseverativo e aggiuntivo” (Russo). - plane ex animo: “ma con evidente sincerità”. Il dolore degli avvocati è sincero e profondo, dal momento che – con l’avvento di Nerone – la situazione si sarebbe modificata negativamente. -  iurisconsulti: l’attività dei giuristi era divenuta chiaramente superflua durante il principato di Claudio, visto che il princeps interpretava la legge in prima persona, spesso in modo distorto e parziale. - tanquam qui tum maxime revivescerent: lett. “come coloro che allora davvero tornassero in vita”. Revivesco è un verbo incoativo [→ verbi derivati]. Conduce quello alla tribuna di Eaco: questo istruiva processi in base alla legge Cornelia, che è stata promulgata a proposito degli assassini. Chiede (Pedone Pompeo) che (Eaco) accolga l’accusa nei suoi confronti; notifica l’atto di accusa: 35 senatori uccisi, 321 cavalieri romani, altri “come la sabbia e la polvere”. - ducit illum: il soggetto di ducit è Pedone Pompeo, il complemento oggetto (illum) è Claudio. - Aeaci: secondo la tradizione, i giudici infernali erano tre: Minosse, Radamanto e Eaco; Eaco svolge un ruolo di primo piano presso gli autori latini, che lo citano di norma come giudice infernale per eccellenza (cfr. e.g. Hor. carm. 2.13.22-23; Prop. 4.11.19 sgg.; Iuv. 1.9-10) La denominazione latina di Eaco è Aeăcus, i, m. (dal greco Αἰακός): occorre dunque porre l’accento sulla prima sillaba [→ leggi dell’accento]. La pronuncia italiana segue quella latina (Èaco). Seneca conferisce a Eaco un ruolo per così dire “specializzato”: egli era il giudice dei reati capitali, perseguibili attraverso la lex Cornelia. -  lege Cornelia: come nel caso del concilio degli dei, vengono trasferite al mondo degli inferi usanze e procedure tipiche dell’impero romano. La lex Cornelia de sicariis et veneficis venne promulgata da L. C. Silla nell’81 a.C.: essa prescriveva la pena capitale per omicidio o tentato omicidio con armi, veleno o magia; in aggiunta, essa puniva anche coloro che avevano emesso sentenze ingiuste per reati capitali. - de sicariis: il termine sicarius indica gli assassini (è connesso etimologicamente con sica = pugnale). Seneca indica qui con precisione l’ambito di applicazione “ufficiale” della legge. - quaerebat: quaero è utilizzato qui nel senso tecnico di “giudicare una causa”. Eaco viene rappresentato nella funzione di presidente della corte permanente (quaestio perpetua), istituita per trattare esclusivamente i casi che ricadevano nell’ambito di applicazione della lex Cornelia (quaestio de sicariis). quaerebat è imperfetto di consuetudine (Russo): “era solito giudicare le cause”. Questo è il compito specifico di Eaco, che dunque lo esercitava costantemente. - postulat ... subscriptionem: L’azione penale a Roma poteva essere avviata da qualsiasi privato cittadino: nel nostro caso a promuoverla è Pedone Pompeo. Qui Seneca utilizza dei termini tecnici che rimandano alle consuetudini processuali romane: o postulat: il primo passo era quello di fare una richiesta (postulare) al magistrato del tribunale appropriato (qui Eaco, in qualità di presidente della questio de sicariis), per ottenere il permesso a presentare l’accusa. o subscriptionem: quando il permesso era stato concesso, l’accusatore avanzava formalmente l’accusa e presentava un testo scritto (subscriptio: il termine indica che tale atto di accusa era “sottoscritto”, vale a dire firmato dall’accusatore, che veniva punito in caso di accusa ingiustificata o malevola). Il testo della subscriptio contiene l’elenco degli omicidi compiuti da Claudio: mentre Augusto si era limitato ai domestica mala, ora Claudio viene processato per le publicae clades. o nomen recipiat: il magistrato iscriveva quindi l’accusa nel registro ufficiale (nomen recipere = accogliere il nome nella lista). Qui nomen recipiat è accostato paratatticamente a postulat (= postulat <ut> nomen recipiat). - equites R.: Romanos. -  XXXV: leggere triginta quinque [→ aggettivi numerali]. - CC<C>XXI: leggere trecentos viginti unum [→ aggettivi numerali]. -  ὅσα ψάμαθός τε κόνις τε: citazione proveniente da Hom. Il. 9.385 (Achille dice che Agamennone non potrebbe persuaderlo con nessun regalo: “nemmeno se mi desse tanti doni quanti sono i [granelli di] sabbia e [di] polvere”). Gli omicidi compiuti da Claudio non possono essere contati [iperbole]. o Come abbiamo visto, nella sua proposta di voto Augusto – in modo parallelo – aveva amplificato retoricamente il numero degli omicidi compiuti da Claudio all’interno della sua famiglia (§ 11.5: ceteros quorum numerus iniri potuit). Advocatum non invenit. Tandem procedit P. Petronius, vetus convictor eius, homo Claudiana lingua disertus, et postulat advocationem. Non datur. Accusat Pedo Pompeius magnis clamoribus. Incipit patronus velle respondere. Aeacus, homo iustissimus, vetat, et illum altera tantum parte audita condemnat et ait: αἴκε πάθοις τά ἔρεξας, δίκη εὐθεῖα γένοιτο. Non trova un avvocato. Finalmente si presenta Publio Petronio, un suo vecchio compagno, un uomo eloquente nella lingua di Claudio, e chiede un rinvio. Non viene concesso. Pedone Pompeo lo accusa in mezzo a grandi grida. L’avvocato difensore inizia a voler rispondere. Eaco, uomo giustissimo, lo vieta, e condanna quello, dopo aver udito una sola parte, e dice: “se tu subissi quello che hai fatto, il castigo sarebbe giusto”. - advocatum: nel senso di “avvocato difensore” (post-classico); nel latino classico, si avrebbe patronus (che verrà utilizzato poche righe più avanti) oppure orator. -  invenit: invĕnit. Come mostra il contesto, si tratta di un indicativo presente [→ formazione del perfetto]. Il soggetto è naturalmente Claudio. 6 -  P. Petronius: consul suffectus nel 19 d.C., proconsole dell’Asia nel 29-35. Non abbiamo testimonianze a proposito di un suo particolare legame con Claudio. - Claudiana lingua disertus: affermazione ironica: dal momento che la lingua di Claudio era incomprensibile, l’eloquio di Petronio doveva essere parimenti impossibile da comprendere. - advocationem: si tratta del rinvio o aggiornamento dell’udienza, per dare il tempo di convocare l’assistenza legale. - non datur: scil. <advocatio illi> non datur <ab Aeaco>. Eaco non concede il rinvio, seguendo in qualche modo le indicazioni di Augusto (§ 11.5: nec illi rerum iudicandarum vacationem dari). - altera tantum parte audita: Claudio riceve il medesimo trattamento che egli stesso aveva riservato alle “vittime” dei suoi processi. Questo concetto era stato peraltro espresso, con parole del tutto simili, nella nenia falsamente elogiativa cantata in occasione del suo funerale (§ 12.3, v. 21: una tantum parte audita). - condemnat: si noti la rapidità con cui arriva la condanna di Eaco. - αἴκε πάθοις τά ἔρεξας, δίκη εὐθεῖα γένοιτο: una formulazione tradizionale della legge del taglione, attestata per la prima volta in Esiodo (fr. 286 M.-W.). ingens silentium factum est. Stupebant omnes novitate rei attoniti, negabant hoc umquam factum. Claudio magis iniquum videbatur quam novum. De genere poenae diu disputatum est, quid illum pati oporteret. Erant qui dicerent, Si<syph>um diu laturam fecisse, Tantalum siti periturum nisi illi succurreretur, aliquando Ixionis miseri rotam sufflaminandam. Vi fu un profondo silenzio. Tutti erano stupiti, esterrefatti per la novità della cosa, negavano che ciò fosse mai accaduto. A Claudio <invece> la cosa sembrava più iniqua che nuova. Si disputò a lungo a proposito del tipo di punizione, che cosa fosse opportuno che egli subisse. Vi erano alcuni che dicevano che Sisifo aveva trasportato a lungo (il suo carico), che Tantalo sarebbe morto di sete se non gli si prestava soccorso, che una buona volta la ruota del povero Issione avrebbe dovuto essere fermata. - factum: sottintendere esse (infinito perfetto di fio). - ingens silentium: il silenzio si contrappone alle grida di Pedone Pompeo. - magis iniquum ... quam novum: si tratta del comportamento di Eaco, che non aveva consentito all’avvocato di Claudio di parlare. A Claudio questo sembra “ingiusto” (visto che è lui a subire la cosa), ma non “nuovo” (dal momento che aveva egli stesso applicato questo procedimenti agli altri). - videbatur: scil. <id> videbatur <esse> [→ costrutto di videor]. - de genere poenae: la pena normale per le persone giudicate colpevoli secondo la lex Cornelia de sicariis era costituita dall’esilio e dalla confisca dei beni. Per Claudio, tuttavia, questo non è sufficiente: occorre individuare una punizione degna del personaggio e del regno degli inferi. - quid illium pati oporteret: interrogativa indiretta, in dipendenza da disputatum est. Riprende e precisa de genere poenae. -  Si<syph>um: Sisifo (Sīsўphus), personaggio della mitologia greca, condannato (già nell’Odissea) a rotolare in eterno un macigno sulla cima di una collina, per poi vederlo ricadere sempre al punto di partenza. - diu: avverbio di temo: (troppo) a lungo. - laturam: “trasporto”, “facchinaggio”. Si tratta di un neologismo di formazione volgare, coniato sulla base del suffisso -ura. Se si eccettua Seneca, questo termine non è altrimenti attestato prima del II secolo d.C.--> Sisifo viene così rappresentano come una sorta di “facchino”. -  Tantalum: altro personaggio della mitologia greca. A causa dei numerosi delitti commessi in vita, nell’oltretomba è condannato ad essere sempre affamato e assetato, osservando dall’interno di un lago degli alberi carichi di frutta: ogni volta che cerca di bere o mangiare, l’acqua si ritira e il vento allontana i rami. - siti: → terza declinazione. - periturum: scil. esse (infinito futuro). Tantalum ... periturum (esse) è la apodosi di un periodo ipotetico dipendente (ci troviamo all’interno di un discorso indiretto), la cui protasi è nisi ... succurreretur [→ periodo ipotetico]. - illi: succurro regge il dativo. - Ixionem: Issione (Ixīon, ŏnis) mitico re dei Lapiti. Dopo che ebbe tentato di usare violenza a Era, Zeus lo punì legandolo con delle serpi ad una ruota in perpetuo movimento. -  sufflaminandam: scil. esse [→ perifrastica passiva]. Sufflaminare = frenare, bloccare una ruota. Il sufflamen è il freno di un carro. Non placuit ulli ex veteribus missionem dari, ne vel Claudius unquam simile speraret. Placuit novam poenam constitui debere, excogitandum illi laborem irritum et alicuius cupiditatis spe<cie>m sine effectu. Tum Aeacus iubet illum alea ludere pertuso fritillo. Et iam coeperat fugientes semper tesseras quaerere et nihil proficere. Non fu deciso di concedere il congedo ad alcuno dei veterani, affinché anche Claudio non potesse sperare mai <qualcosa di> simile. Fu <invece> deciso che venisse stabilita una nuova punizione, che dovesse essere escogitata per lui una fatica inutile, e anzi l’apparenza di un qualche desiderio senza realizzazione. Allora Eaco ordina che quello giochi a dadi con un bossolo forato. E già aveva iniziato a inseguire i dadi sempre sfuggenti e a non ottenere nulla. - non placuit ... placuit: si ricordi il particolare valore di placet nelle deliberazioni ufficiali. -  missionem dari: il termine missio può indicare il congedo (o la licenza) concesso ai veterani, la grazia concessa ai gladiatori, la remissione o perdono di una punizione. Se si interpreta veteris = veteranis (così Russo; contra Eden), allora si impone il primo significato; tuttavia, anche le altre due accezioni possono assumere un significato adatto al contesto.
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