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Analisi di alcuni film nel programma di Analisi del film, Appunti di Teoria Del Cinema

Appunti analisi del film

Tipologia: Appunti

2012/2013

Caricato il 03/01/2013

andrea.fornaroli
andrea.fornaroli 🇮🇹

4.3

(73)

25 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Analisi di alcuni film nel programma di Analisi del film e più Appunti in PDF di Teoria Del Cinema solo su Docsity! DIES IRAE (DREYER) Trama: Nella Danimarca del 1623, Absalon Perderssön è sposato con la giovane Anne. Quando Anne era ancora una bambina, sua madre venne scagionata dall'accusa di stregoneria, proprio per intervento del rispettatissimo pastore. Marte Herlofs è un'anziana che, accusata di essere una strega, evita il linciaggio rifugiandosi in casa di Absalon. È convinta di ricevere protezione perché sa del segreto di Absalon. Il vecchio pastore infatti salvò la mamma di Anne pur sapendo che fosse una strega, proprio per poter avere un giorno la mano di sua figlia. Marte invoca l'aiuto di Anne, rendendola cosciente delle sue ascendenze da strega, poi confessa e viene portata al rogo, senza svelare il segreto di Absalon. Absalon è sempre più tormentato dal suo passato mentre Anne, che intanto mostra interessi per le arti magiche, si lascia andare all'amore per il figliastro Martin. Quando rivela a suo marito la verità, il suo desiderio di liberarsene si avvera: Absalon muore improvvisamente. Merete, l'anziana madre del pastore, la accusa di maleficio e finisce per convincere lo stesso Martin della natura di strega della sua amante/matrigna. Il dolore dato dalla fiducia mancata del suo amante fa venir meno ad Anne la voglia di lottare di fronte ad accuse ingiuste e oltraggiose. Così in un finale tragico e sorprendente, la donna si autoaccusa e, con un coraggio esemplare, si prepara al rogo. CommentI Esplicita la condanna all'intolleranza, alla superstizione e all'insensibilità umana, ma è nel gioco psicologico molto profondo e pieno di ambiguità che questo film sorprende continuamente concludendo con un atto eroico la vita di un personaggio che, sino a quel momento, tutto aveva fuorché dell'eroina. -Il merito che appartiene a pellicole come Dies Irae, è quello innanzitutto di riuscire a rappresentare un'opera assoluta che innalza ai massimi livelli la completezza cinematografica, riuscendo a superare i confini e limiti del cinema stesso. Dies Irae descrive e imprime un periodo, un'idea, una corrente artistica, non soffermandosi su dettagli o pretesti limitati a contensti sociali, ma raccontando tematiche e pensieri universali e anacronistici. Merito principale è senza dubbio quello del regista, le sue opere richiamano l'espressionismo. La tematica fondamentale è il rapporto dell'uomo dinanzi alla morte e all'ultraterreno, la superstizione, l'intolleranza e i pregiudizi. Finale dai tratti epici, in cui la protagonista Ann, assume il ruolo di icona rivoluzionaria e "demolitrice" di ogni ipocrisia del tempo e dell'uomo, rivelandosi massimo esempio di libertà ed indipendenza. -Complessa ed affascinate ricostruzione della danimarca del seicento quella fatta da Carl Theodor Dreyer in Dies Irae. Un film che condanna le intolleranze, le superstizioni e in genere l'ipocrisia dell'uomo. Dies irae si dipana lento, con lo stile di regia semplice ma attento al minimo dettaglio accompagnato dal requiem da cui prende il titolo e che veniva usato per accompagnare i condannati al rogo. Particolarmente intense le scene della tortura della presunta strega e del rogo di essa accompagnato dalle angeliche voci dei bambini che intonano il Dies Irae. - Dreyer ha cavato un capolavoro secco e potente, che si pone anzitutto come un austero atto di accusa nei confronti dell'intolleranza e della superstizione. Nel film nessun personaggio è del tutto privo di colpe, e l'unica via per ottenere ammenda e purificazione è la sofferenza. Il film incanta per uno stile altamente rigoroso e per un movimento dell'azione volutamente rallentato, in modo da coniugarsi perfettamente alla solennità dell'argomento. - La vita, l'esistenza, il divino. Tutto è trattato in modo sublime. Si inizia con il cavaliere Antonius Block che incontra la morte, è venuta a prenderlo, ma lui non lo accetta e lancia una sfida: se in una partita a scacchi vincerà lui avrà salva la vita, in caso contrario accetterà di morire. La morte accetta quasi divertita. La figura della morte è trattata in modo superbo, una questione che mette a disagio, sgradevole e che si cerca di evitare fintanto che è possibile è qui rappresentata quasi come un clown: il fortissimo contrasto fra la veste nera e il volto bianchissimo, gli occhi neri come la notte che danno l'illusione che non ci sia l'iride ma che siano solo due sfere di nulla. La scacchiera è la metafora della vita, con regole precise nei modi e nei tempi, e Antonius come tutti parte convinto di poter sconfiggere la morte, ma pian piano che il tempo passa e la partita si avvicina alla fine si rende conto dell'ineluttabilità della sua fine e allora non cerca più di salvare se stesso, ma di salvare ciò che vi è di buono nell'umanità, che nel film è rappresentata dalla famiglia di Saltimbanchi. Tutti i personaggi sono metafore dei modi di essere dell'uomo: lo scudiero di Antonius con il suo pragmatismo, il suo vedere come una superstizione la ricerca del divino, il fabbro e la moglie con i loro sciocchi battibecchi e la loro pochezza, la ragazza muta che solo nella fine ritrova la parola. Sono tutti aspetti dell’essere umano. La morte vorrebbe prenderli tutti, ma Antonius Block riuscirà a salvare i Saltimbanchi, ciò che c'è di buono nell'umanità. La sequenza più tragica rimane quella dove al termine della partita (nella quale ovviamente vince la morte) Antonius le chiede se al loro prossimo e ultimo incontro svelerà i suoi segreti, la morte dice che non ha alcun segreto da svelare. Antonius atterrito chiede com'è possibile che neanche la morte conosca le risposte ai misteri del divino e dell'imperscrutabile, al ché la morte lo guarda freddamente e semplicemente dice << Non mi serve sapere. >> - Se un film riassume la vita e i modi di porgersi di fronte ad essa, questo film è "Il Settimo Sigillo". Il cavaliere, persona colta, tormentata da un'assenza di un significato ultimo alle proprie azioni e dall'incalzare della morte, che paziente lo aspetta sul percorso di casa con una scacchiera. Lo scudiero, attaccato alle cose concrete di ogni giorno, che rifiuta ogni confronto con il divino e si lascia scorrere tutto addosso. La coppia di saltimbanchi, sempre a sostenersi l'un l'altro ed a compatirsi a vicenda delle proprie piccole debolezze, salvo poi in sottofinale avere lui che vede comunque più lontano. Il tagliaboschi e la moglie, che per limitatezza di vedute continuano a tormentarsi l'un l'altro. Su tutti la morte, che vigila, agisce, non risponde e guida la danza della vita di tutti. IL PRANZO DI BABETTE (AXEL) Trama Alla fine dell'ottocento in un piccolo villaggio della Danimarca vivono due anziane sorelle. Figlie di un pastore protestante, dopo la morte di quest'ultimo, hanno ereditato la guida della comunità religiosa locale respingendo le proposte di matrimonio e scegliendo di vivere una vita frugale e priva di lussi. Un giorno si presenta alla loro porta, stremata, la parigina Babette Hersant, sfuggita dall'accusa di essere una communard. Babette viene ospitata per quattordici anni dalle due anziane signorine grazie alla lettera di un vecchio corteggiatore di una delle due e si guadagna l'ospitalità facendo da governante e contribuendo all'attività di beneficenza. Un giorno da Parigi arriva una grossa vincita di denaro, 10 000 franchi. Tutti credono che Babette li userà per tornare in Francia, ma ella chiede umilmente di poter dedicare un pranzo alla memoria per il centenario della nascita del pastore, padre di Martina e Filippa. Gli abitanti del villaggio, seguaci di una vita priva di piaceri terreni, saranno letteralmente sedotti ed inebriati dal pranzo che Babette, un tempo grande cuoca, ha voluto organizzare per poter nuovamente esprimere il suo talento di artista. Per procurarsi gli ingredienti, le bevande, i cristalli e le stoviglie, senza dirlo a nessuno Babette ha speso tutto il suo denaro. Solo il vecchio generale, antico innamorato di una delle due sorelle, riesce incredulo a capire il reale valore economico del pranzo. Commenti - Il film è una straordinaria visione della concezione di quello che si è e di cosa si sarà. Il tema della vocazione è infatti centrale rispetto alla trama, ed è affrontato dalla figura di tutti i protagonisti. È interessante vedere il cambiamento del generale: al momento della sua scelta era imprigionato dal pensiero di perdere la sua donna; eppur strada facendo scopre che nella vita non si perde nulla, è tutto un guadagno. La vita si gioca non nel sì che si dice, ma nel modo in cui si vive il sì pronunciato. Questo è valso per il generale in modo evidente, ma anche per la sorella cantante, la stessa Babette, che rinuncia a una vita ricca per un pranzo donato agli amici più cari. - La grandezza del film sta nel "Far pensare" lo spettatore. Pensare alla ricchezza del genere umano, che non è data dal denaro o dai possedimenti materiali, bensì da ciò che l'Uomo coltiva dentro di sè. Al termine del film, felice di aver speso tutto ciò che di materiale possedeva pur di liberare la propria passione creativa almeno un'ultima volta, la Chef Babette pronuncia la celebre frase "Un artista non è mai povero". L'Amore (di una delle figlie del Decano innamorata), l'Arte (nel film rappresentata dal canto dell'altra figlia, sulle note del Don Giovanni di Mozart), il Cibo (inteso come piacere fisico ma anche come espressione artistica), passano da volgari fonti di peccato condannate da improbabili dottrine religiose (impersonate dal Decano), a piaceri donati all'Uomo per contemplare la bellezza del cosmo. La figura del Generale è una figura chiave. Necessaria affinchè un Universo altrimenti inconsapevole di se stesso, diventi autocosciente. Pensare a Babette che comunica con il Generale, attraverso un mezzo fisico (il cibo) e che, in questo gioco amoroso a distanza tra i due (che mai si sono visti, nè mai si vedranno) a goderne i vantaggi sono anche gli altri commensali, tra i quali torna a regnare la pace e la fratellanza. Pensare alla conclusione del film, quando tutti se ne tornano a casa più ricchi (dentro), dopo aver ringraziato le padrone di casa (che non hanno merito alcuno se non l'ospitalità). Ma nessuno (conclusione magistrale!), nemmeno il Generale, si degna (prima di uscire) di conoscere/salutare/ringraziare la divina Babette. COME IN UNO SPECCHIO (BERGMAN) Davide è uno scrittore di romanzi che si è affermato negli anni. Nella sua vecchia e maestosa casa, tra le rocce e le onde del mare, ospita per alcuni giorni insieme all’adolescente Minus la figlia maggiore Karin e il genero Martin di professione medico. Fin dalle prime sequenze si nota una tensione inconscia, un’intenzione plastificata di riconciliazione familiare. Siamo di fronte a personaggi che vivono la vita interiormente nascondendo qualcosa, personaggi che ingoiano malesseri incapaci di esternare i sentimenti. Ognuno insomma lascia liberi i propri pensieri in un abissale deserto arido.Di fronte abbiamo due stereotipi di persone: Davide e Martin indaffarati per affermarsi socialmente, Karin e Minus invece con chiare difficoltà di inserimento, misteriosamente regressi dai primi due in atteggiamenti infantili ed ora, per circostanze diverse, costretti a vivere le propria esistenza in un’ampolla di vetro. Dentro l’ampolla si genera il caos, il disturbo e la sofferenza. Karin è tenuta sotto osservazione da uno psichiatra sotto previa autorizzazione di Martin ma è cosciente sulla verità della malattia, verso i fantasmi che la circondano, mentre il suo udito carpisce voci esterne/interne che la rendono a volte lucida e spontanea ed in altre circostanze claustrofobica o impaurita. Non trovando voce di ritorno e sicurezza da Martin, indaffarato con la razionalità del lavoro, la sua attenzione ricade verso il fratello minore Minus, un ragazzo pronto solamente a vivere il suo mondo perché estraneo ai rapporti sentimentali celati dal superficiale affetto del padre. Minus è un adolescente ricco di sogni, uno scrittore di commedie, pronto ad improvvisare la sua piccola piéce intitolata L’arte dell’apparizione dei fantasmi o la tomba delle illusioni insieme a Karin, soli davanti al padre dopo la cena all’aperto. L’obiettivo principale dei due figli è quello d’attirare l’attenzione dell’uomo, poiché entrambi sono coscienti ed insofferenti della sua lontananza affettiva e fisica. Durante la recitazione manifestano un’improvvisa sinergia,specialmente Minus che fino a poco prima ha mostrato freddezza nei confronti di Karin e verso il mondo delle donne, definendole disgustose per come si muovono e si profumano, difendendosi quando Karin gli mostra curiosità ed affetto. Al termine delle piéce Davide si sforza nel fare i complimenti ai due ragazzi e addirittura palesa una certa insofferenza nel vederli recitare discretamente. Cosa nasconde la solitudine e la freddezza espressiva di Davide? Apparentemente può sembrare il richiamo dell’artista ad elevarsi o nascondersi dalla massa, ma dietro a sé occulta una forte perversione e un vampirismo verso la schizofrenia della figlia. La malattia è per l’uomo buon argomento, materia aggiuntiva e preziosa di ricerca per il romanzo che sta scrivendo. La notte stessa dopo la rappresentazione Karin, impaurita ed insofferente, richiamata dalle voci esterne e dai rumori distorti delle civette, balza dal letto dove il marito dorme sonni profondi e si accosta davanti la porta del padre prima di entrare e chiedere accoglienza per riuscire a conciliare il sonno dopo attimi di terrore. L’uomo, con il solito e gelido affetto, accompagna la figlia a letto e rimane con la mente indaffarato sulla scrittura del romanzo. Ma proprio quando Minus lo chiama per tirare le reti e partire, Karin apre nuovamente gli occhi e la forza della curiosità e del sospetto la portano a rovistare tra i cassetti della scrivania del padre e leggere una piccola parte del romanzo che mette in luce la perversione dell’uomo. La sua malattia è senza speranza anche se ha dei miglioramenti. Lo sospettavo da tempo, ma la certezza è un insopprimibile angoscia. Con spavento constato la mia curiosità, l’impulso di prendere nota dei sintomi, di registrare giorno del graduale disfacimento di mia figlia, di usufruirne e sfruttarla. Karin corre nella propria stanza e sveglia il marito raccontandoglil’accaduto e cerca immediatamente protezione. Martin rimane in parte basito, le promette di chiarire l’accaduto con il padre nelle ore successive, quando andranno a pescare. Ma Karin non nota la reazione d’istinto, l’amore cieco, una certa inclinazione o una reazione estrema. Karin aspettava questo. Gli occhi contrariamente notano prima la figura del medico e poi quella del compagno di vita. Ora è abbandonata in una malattia che hanno contribuito a farla espandere. Il suo disprezzo, la sua coscienza, trovano terreno fertile nella figura di Minus, anch’egli LUCI D'INVERNO (BERGMAN) Mentre fuori è tutto bianco di neve, il pastore protestante Tomas Ericsson sta celebrando la messa, accompagnata dal canto gregoriano, nella chiesa parrocchiale di Mittsunda e distribuisce, ai cinque fedeli che si avvicinano alla balaustra, la comunionerecitando le preghiere. Un crocifisso di legno viene inquadrato dalla macchina da presa, una mamma sta rimproverando la figlia e l'organista guarda l'orologio. Al termine della funzione il sacrestano Algot chiede al pastore di potergli parlare e costui gli fissa un appuntamento più tardi. Arrivano intanto i coniugi Persson, che hanno due bambini e un terzo in arrivo, molto turbati. L'uomo, che soffre di mania depressivaed è ossessionato dai cinesi che possiedono la bomba atomica, ritornerà più tardi per parlare da solo al pastore. Si avvicina a Tomas Marta, una maestra elementare innamorata del pastore, che gli offre qualcosa di caldo, ma il pastore rifiuta. Quando la donna se ne va, egli guarda la fotografia della moglie morta quattro anni prima e che ha tanto amato e poi tira fuori dalportafoglio una lettera. La lettera è di Marta che ha preferito scrivergli perché pensa che le parole confondono e mentre il pastore la legge si vede sullo schermo il volto di Marta stessa e si ascolta la sua voce che pronuncia le parole della missiva. La lunga sequenza viene interrotta da un breve flashback dove Marta ricorda un avvenimento dell'anno prima quando gli aveva chiesto di pregare per guarire da un eczema alle mani. Sostiene che pur non credendo nel soprannaturale una sua preghiera era stata esaudita e che aveva compreso di amarlo [2] "Avevo chiesto una luce e l'avevo avuta. Ho chiesto uno scopo e l'ho avuto. Quello scopo sei tu". Arriva intanto Jonas Persson ma Thomas non riesce a dissuaderlo dall'idea del suicidio e l'uomo se ne va lasciandolo solo a lamentarsi [3] "Dio, perché mi hai abbandonato?". Una donna entra in chiesa e avverte il pastore che Jonas si è ucciso con un colpo di pistola. Arriva Marta e Thomas le dice che non la ama e, insieme a lei, si avvia in auto verso un'altra parrocchia dove deve tenere una funzione. Lungo il percorso si ferma presso la casa della signora Persson per avvertirla della morte del marito offrendole il suo conforto, che però viene cortesemente rifiutato. Giunto alla parrocchia, prima di iniziare la messa, ascolta Algot che gli parla di alcune riflessioni fatte in seguito alla lettura delVangelo. Secondo Algot il momento di maggior sofferenza di Cristo fu quando invocando il Padre disse "Dio, perché mi hai abbandonato?" dimostrando di aver sofferto per il silenzio di Dio. Quelle parole, le stesse pronunciate dal pastore, risvegliano in lui qualche speranza, una luce d'inverno. Il film termina con le parole di Marta [4] "Se riuscissimo ad essere sicuri... se riuscissimo a credere in una verità... se riuscissimo a credere..." e con l'immagine di Thomas che, iniziando la funzione, recita: "Santo, Santo, Santo...". ANALISI: Luci d'inverno è il secondo film della triade bergamaniana sulla ricerca di Dio, ultimata con Il silenzio. Scandagliando il proprio animo e la propria vita, il regista ha voluto raffigurare l'angosciante condizione dell'uomo, chiuso nel suo microcosmo, ma continuamente accecato dalla necessità di una prova concreta dell'esistenza di Dio, che possa rivelare nell'immanenza terrena la trascendenza divina. È chiaro che Bergman riesplora il suo rapporto con il padre, il pastore luterano Erik Bergman, per delineare la sottile psicologia di Tomas, il protagonista, un pastore che, dopo la morte della moglie, perde il senso ultimo della sua fede, smarrendo l'importanza della sua funzione. Egli tenta di ricostruire l'apparato esctologico della propria religione, ma non ci riesce, perché ignaro del fatto che è negli enti terreni che Dio ha conservato la parte più autentica della propria ontologia. Egli vuole invece sfuggire sentimenti e affetti che afferiscono alla sua condizione di essere creato e di peccatore. Attorno a lui ruotano figure fortemente afflitte come Marta, perdutamente innamorata di Tomas, o Jonas, che, non trovando in Tomas le certezza che cercava, circa Dio, la religione e la società, capisce di non poter più guarire dal suo terribile male di vivere e si uccide. Sconfitte e delusioni non fanno che incrinare la mente del povero pastore, che alla fine troverà risposta nelle parole di un umile sagrestano, amorfo e ignorante: anche Gesu' Cristo ha sofferto in croce la stessa sofferenza, e cioè quella che scaturisce dal silenzio di Dio. "Dio perché mi hai abbandonato" disse Cristo in croce. Rivedendo in quelle parole le sue stesse afflizioni, Tomas si rasegna alla sua condizione, forse consapevole del fatto che solo l'amore può assurgere a traccia divina, a riscontro terreno dell'operato divino. È la stessa conclusione di Come in uno specchio. IL SEGNO (BERGMAN) Viveka incontra Sune nella cattedrale di Uppsala mentre, con la testa tra le mani, prega. Si parlano e si chiedono a vicenda se hanno fede in Dio. Nella scena seguente i due si trovano su un treno e parlano un po' di se stessi. Viveka dice di avere una macchia più scura in unocchio ma che questo non influisce sulla sua vista. Sune le racconta dei suoi genitori, dei suoi studi interrotti, del lavoro intrapreso a quei tempi ed ora. Cambia scena e i due si trovano a casa di lei a letto ed è Viveka che racconta. Si sofferma in particolare sul ricordo di un cuscinoche era nella sua casa quando era piccola e sopra vi era ricamato l'occhio di Dio. Ella chiede a Sune se è mai stato innamorato e lui risponde che non gli è mai capitato e alla donna che afferma essere l'amore scomparso dal mondo, Sune risponde che esso deve per forza esistere perché non si può vivere senza amore. Sono passati sette anni e i due, che si sono sposati, sono ancora insieme e Sune, che vuole festeggiare l'anniversario, regala a Viveka una coperta di piume, ma Viveka, che odia i festeggiamenti, mentre Sune non la vede scopre nel pacco una ciocca di capellibiondi e accusa il marito di averla tradita. Sune le giura che non la lascerai mai e ammette di aver sbagliato. Viveka e la sorella Annika, che era andata a trovarla, si scambiano le loro impressioni sulla vita matrimoniale. Si vedono in seguito uscire dalla buca delle lettere numerose fotocopie di disegni di occhi. Viveka, ormai in preda alla follia, dice al marito che tutte le notti qualcuno fa cadere su di loro dell'arsenico. Appende un ombrello al soffitto e chiede al marito di mettersi come lei gli occhiali neri e di dormire con lei nel ripostiglio. Sune l'accontenta e la segue nel ripostiglio dove vi è appeso alla parete il cuscino con l'occhio di dio. Dopo due giorni Sune riesce a convincere Viveka che è necessario uscire per andare a comprare qualcosa da mangiare. Quando Sune esce, Viveka, che si tormenta pensando ai suoi tradimenti, afferra un coltello e telefona alla polizia dicendo che il marito vuole ucciderla. La polizia interviene e arresta Viveka che viene condotta in un ospedale. Sune accorre ma non gli lasciano vedere la moglie ed egli cerca di convincere il dottore che Viveka non è pazza e chiede che venga dimessa pronunciato parole che denotano anche in lui la follia. Tornato a casa si ferisce l'occhio con il manico di legno di un pennello, va all'ospedale e riesce ad entrare di nascosto nella camera di Vivaka e, senza che nessuno se ne accorga, la fa uscire dall'ospedale facendole lasciare gli occhiali neri perché sostiene che non ne avrà più bisogno. Giunto a casa Sune scrive una lettera al dottore[1] in cui dice: "L'amore non può sopravvivere in questo momento e noi due dobbiamo morire. La morte è la nostra vittoria. Chiediamo di essere sepolti insieme, nella stessa bara". Il film termina con Sune che spegne le candele, accende i rubinetti del gas e si sdraia accanto a Viveka in attesa di morire. ANALISI: In questo film Bergman ripropone al suo pubblico i temi che gli stanno più a cuore senza indicare soluzioni ma con l'intento di scuotere le coscienze. Il messaggio è quello che non ci si può chiudere egoisticamente nel privato perché in un mondo dove si cerca di uccidere l'amore nessuno deve dimenticare i suoi doveri verso gli altri. Viveka impazzisce perché teme di essere contaminata dal diavolo e di non poter riuscire a salvare l'amore che è nel mondo e Sune, che ama la moglie sopra ogni cosa, condivide con lei la sua follia. Ma il suicidio è la negazione dell'amore e questa conclusione ha le sue premesse già all'inizio della vita a due di Sue e Viveka, come si apprende dal colloquio di Sue con il dottore, quando, dopo l'incontro nella chiesa, essi decisero di lasciare tutto e tutti e di vivere lontano dal mondo. Il rapporto d'amore che Sue e Viveka stavano costruendo era sbagliato perché non si può vivere senza il prossimo e l'amore che diventa egoismo non è più amore. IL CARRETTO FANTASMA (SJOSTROM) Il racconto si sviluppa su di una leggenda scandinava secondo la quale le anime dei defunti sono raccolte per conto della Morte da un lugubre carrettiere fantasma il quale cede la sua incombenza all’anima di colui che perisce in peccato mortale allo scoccare della mezzanotte dell’ultimo giorno dell’anno. Il protagonista della storia è David Holm, un uomo ormai tubercolotico ridottosi al vagabondaggio ed all’alcolismo a causa di balorde amicizie; nella notte di San Silvestro David viene invocato al suo capezzale dalla giovane Edit, fondatrice nel capodanno precedente del locale ricovero dell’Esercito della Salvezza, ma egli rifiuterà l’estremo appello di colei che unica gli aveva ripetutamente offerto soccorso e che gli aveva chiesto di render conto in quell’ora della propria condotta esattamente un anno prima. Il gesto disumano scatena le ire dei compagni di bevuta con i quali David si intrattiene nel sepolcretocittadino e qui scoppia una rissa nella quale il protagonista viene colpito a morte; come previsto, sui rintocchi dell’orologio pubblico sopraggiunge il carretto fantasma guidato da Georges, amico del defunto e protagonista dell’ultimo suo aneddoto, il quale, ammettendo la propria responsabilità nell’aver dato origine alle disgrazie dell’ultima anima obbligata a raccogliere, le rammenta il suo lungo discendere nell’abiezione, il male inflitto a sua moglie ed alle due figliolette un tempo adorate, l’abbandono a se del giovane fratello (finito in carcere per aver commesso un omicidio) e soprattutto le sofferenze patite per sua colpa da Edit, della quale ignorava il sincero amore e della cui mortale consunzione si scopre responsabile essendosi ella esposta ai germi presenti sul suo cappotto che aveva amorevolmente rammendato la notte di un anno prima; condotta da Georges dalla moribonda Edit, l’anima di David si strugge dai rimorsi ed il suo pentimento è sì profondo da ottenere la ricompensa eccezionale di poter ritornare in vita e di impedire che sua moglie, nella disperazione più cupa, ponga termine alla propria vita ed a quella delle loro bambine. Nel freddo tugurio l’uomo si riconcilia con la sua donna, le cui lacrime potranno terminare di scorrere solo quando si sarà estinta completamente ogni sua sofferenza, e proferisce una preghiera pregna del suo rinsavimento: «Signore, lascia che la mia anima maturi prima che venga raccolta».
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