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Analisi di Antigone, Sofocle, Appunti di Greco

Analisi dell'opera teatrale greca Antigone fatta per il liceo classico

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 24/03/2023

Mariazorz
Mariazorz 🇮🇹

13 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Analisi di Antigone, Sofocle e più Appunti in PDF di Greco solo su Docsity! Antigone Introduzione Dell’Antigone di Sofocle, a differenza dell’Edipo re, si conosce la data esatta della prima rappresentazione, che avvenne nel 442 a.C., ad Atene, durante la celebrazione delle Grandi Dionisie (una cerimonia in onore di Dioniso durante la quale era consuetudine svolgere agoni tragici). L’Antigone, con l’Edipo re e l’Edipo a Colono, fa parte del Ciclo tebano. La tragedia narra la vicenda che conduce alla morte Antigone, nata dall’incesto tra Edipo e sua madre Giocasta e discendente del fondatore di Tebe, Cadmo. Antigone, frutto di un’unione contro natura, è destinata a soccombere al medesimo destino avverso che ha toccato i suoi genitori; ma a differenza di Edipo, profondamente inserito nel contesto sociale di cui resta succube, Antigone è un personaggio emancipato, che si oppone a delle leggi arcaiche fondate sull’onore in nome di un sentimento morale estremamente moderno. Trama Prologo Sorge l’alba, è il giorno dopo che Eteocle e Polinice si sono dati la morte a vicenda combattendo per il trono di Tebe. Antigone informa la sorella Ismene che Creonte vuole dare l’ordine di lasciare insepolto il corpo di Polinice. La cosa non è stata ancora annunciata ufficialmente, ma se così sarà, Antigone afferma che cercherà di dare comunque sepoltura a Polinice, sfidando l'ordine del re, e chiede alla sorella di aiutarla. Ismene, spaventata, si tira indietro: Antigone dovrà tentare l'impresa da sola. Parodo Entra il coro di anziani tebani che annuncia la vittoria di Tebe sugli Argivi e l’ingresso di Creonte sulla scena. Primo episodio Creonte, nel proclamarsi re di Tebe, come previsto decreta che il corpo di Polinice sia lasciato in pasto a uccelli e cani, e che chiunque si opponga a questa decisione sia punito con la morte. Arriva però una guardia che, timorosamente, informa il sovrano che qualcuno ha contravvenuto al suo ordine, gettando della sabbia sul corpo di Polinice e compiendo dunque il rito funebre. Furioso, Creonte è convinto che tale 1 atto sia opera di cittadini contrari al suo governo, e congeda bruscamente la guardia con l'ordine di rintracciare i colpevoli. Primo stasimo Il coro si lancia in un elogio dell'ingegno umano: molte sono le cose mirabili al mondo, ma nessuna è come l'uomo, che ha saputo sottomettere la terra e gli animali alla propria creatività, ha organizzato la propria vita in maniera civile tramite le leggi e ha trovato la cura a molte malattie. Tuttavia l'ingegno umano può volgersi anche al male, e distruggere quelle cose che esso stesso ha costruito. Secondo episodio Rientra in scena la guarda portando con sé Antigone, dicendo di aver visto la ragazza seppellire il corpo di Polinice dopo che egli stesso lo aveva dissotterrato. Antigone non nega la sua colpa anzi la rivendica e afferma che la sepoltura di un cadavere è un rito voluto dagli dei, potenze molto superiori a Creonte. IL re la condanna a morte per la sua disobbedienza, rinfacciandole di aver mancato di rispetto ai suoi ordini soprattutto che è una donna. Arriva quindi Ismene desiderosa di morire al fianco della sorella, ma viene rifiutata poiché Antigone è offesa per il mancato appoggio nel momento del bisogno. Alla fine le due sorelle vengono portate via in catene. Secondo stasimo Il coro riflette in maniera sconsolata su quanto effimera sia la vita umana, colpita da sventure continue e senza un comprensibile disegno. Terzo episodio Appare Emone, figlio di Creonte, molto preoccupato perché Antigone è la sua promessa sposa, ma il re si mostra risoluto: Emone non potrà che sottostare al volere di suo padre. Il figlio ribatte che la popolazione parteggia per Antigone e spera che sia salvata, ma Creonte è assolutamente irremovibile, anzi minaccia il figlio di far uccidere Antigone sotto i suoi occhi. Disperato e sdegnato, Emone corre via. Terzo stasimo Il coro canta di Eros, la cui forza è invincibile nel rendere folli tutti coloro che ne sono colpiti. Quarto episodio Antigona intona un lamento insieme al coro per la sua sorte di fanciulla destinata a morire prima del matrimonio, quando appare Creonte. Egli afferma la sua volontà di 2 comprende che forse la ragione non è interamente dalla sua parte, si rivela del tutto cinico. Non si sente per nulla macchiato dalla colpa di mandare a morte Antigone per il semplice fatto di non toglierle la vita con le proprie mani. Perfino con l’indovino tebano Tiresia Creonte non si sottomette al giudizio, ma è arrogante e sprezzante, giungendo ad accusarlo di avidità di denaro. Tiresia Un discorso a sé merita il personaggio di Tiresia. Egli fu uno dei più celebri indovini dell’antichità, un cieco originario di Tebe in Beozia. Il suo nome significava forse “interprete dei segni celesti”, da ricondurre etimologicamente al greco “thras”, ovvero “prodigio”. Secondo il mito ci sono diverse varianti della cecità dell’indovino: secondo un racconto, fu Atena ad accecarlo perché Tiresia, pascolando le sue greggi sull’Elicona, vide cose che occhi umani non dovevano vedere, ovvero Atena stessa che si bagnava alla fonte di Ippocrene, dove egli si era avvicinato per dissetarsi. La dea gli avrebbe allora tolto per sempre la vista e come compenso gli avrebbe donato la profezia. In una seconda versione del racconto, invece, Tiresia ebbe a vedere in gioventù due serpenti che si accoppiavano: uccisa con un bastone la femmina, si ritrovò immediatamente trasformato in femmina e così rimase finché non si imbatté in una scena del tutto uguale e con un bastone uccise il serpente maschio e tornò uomo. Questa sua del tutto singolare esperienza fece sì che egli venisse interrogato dagli dei sui piaceri d’amore che aveva provato da uomo e da donna: il suo giudizio suscitò l’ira di Era, che per punirlo lo accecò, mentre Zeus per consolarlo gli regalò al contempo una vita lunga 7 generazioni ed il dono della profezia. La sua vita estremamente lunga ed il dono della profezia lo resero celebre nel mondo antico e le sue vicende si intrecciano con quasi tutti i principali miti Greci come interprete degli oscuri disegni divini. Durante la guerra dei sette contro Tebe dichiarò che Tebe avrebbe ottenuto la vittoria solo se il re Meneceo si sarebbe sacrificato. Quando morì, Tiresia mantenne anche nell’Oltretomba prerogative del tutto peculiari: a differenza degli altri morti, che non erano che ombre, egli conservò la sua sensibilità ed i suoi poteri percettivi. Il ruolo di Tiresia fu tanto centrale nella mitologia che ben pochi episodi si svolgono senza che egli vi abbia un ruolo ben preciso e talora determinante. La presenza di questo veggente in miti tanto distanti nel tempo veniva in qualche modo giustificata sulla base della sua lunghissima esistenza. Nella tragedia dell’Antigone, l’indovino è l’unico in grado di tenere testa a Creonte da pari a pari, anche se il sovrano lo tratta con asprezza e vorrebbe vedere anche lui sottomesso alla propria volontà. Tiresia avvisa il re dei pessimi presagi che ha tratto dai sacrifici da lui compiuti: “presagi inconcludenti di un rito indecifrabile” ed aggiunge che la città è malata per colpa del sovrano. Alla violenta reazione di Creonte, Tiresia rivela allora la seconda parte della propria profezia, 5 preannunciandogli la morte del figlio, dal momento che il re si è macchiato di una duplice colpa, verso Polinice e verso Antigone. Emone È il più giovane dei figli di Creonte, fidanzato di Antigone. Nel colloquio drammatico con il padre, dapprima gli si mostra sottomesso ed obbediente sia come figlio che come suddito, in un secondo momento egli dice al padre quanto già gli aveva detto Antigone, cioè che la sua presenza e il solo sguardo intimidiscono i cittadini non premettendo loro di esprimere il loro giudizio. Emone confida al padre che, stando nell’ombra, ha sentito che la città si ribella all’indegna morte di Antigone, colpevole solo di un nobile gesto. Molto bello, a mio avviso, l’artificio di Sofocle di usare due paragoni (i torrenti che piegano gli alberi ed il marinaio che tende troppo le vele) per descrivere il carattere ed il comportamento di Creonte per bocca del figlio. Come spiegherà il nunzio ad Euridice, Emone, straziato dal dolore per il suicidio di Antigone, che si era impiccata nella grotta, dopo averla abbracciata, piangendo, sputa in faccia al padre e tenta di ucciderlo; forse rendendosi conto dell’empietà del gesto e sconvolto dal dolore, Emone rivolge la spada verso sé stesso e muore vicino ad Antigone, “celebrando nella casa dei morti i riti nuziali”. Ismene La sorella, la “consanguinea”, come la definisce Antigone stessa, l’unico ed ultimo legame familiare della protagonista, è accomunata a lei nella sventura di appartenere alla stirpe di Edipo. “Carissima” è chiamata da Antigone, ed è subito chiamata a dimostrare di non essere “figlia degenere di nobili genitori”. Ma Ismene non ha la tempra di Antigone ed esita subito, ponendo ad Antigone una serie di domande e non promettendole di slancio il suo aiuto come la sorella sperava. Al contrario di Antigone, che non si comporta come la classica donna greca, sottomessa ai voleri dell’uomo, sarà proprio Ismene a ricordare ad Antigone quali dovrebbero essere i valori e i doveri della donna secondo la concezione antica. Ismene è quindi consapevolmente sofferente per l’ingiustizia che stanno subendo, ma è priva di coraggio per reagire. Ismene quando scopre della condanna della sorella chiede di poter essere giustiziata con lei poiché si ritiene colpevole, ma viene allontanata dalla sorella stessa che rifiuta il suo sacrificio dato che Ismene era stata assente al momento di seppellire il corpo di Polinice. In queste parole c’è tutta la solitudine della vita che l’attende, senza nessun legame di sangue superstite e con il presunto disonore di appartenere ad una stirpe macchiata da orribili delitti. 6 Lingua e stile Lo stile di Sofocle presenta una straordinaria complessità e ricchezza. Il sobrio ricorso alle metafore, più che servire alla visualizzazione dell’azione drammatica, è in funzione della psicologia dei personaggi; anche l’impiego dei vocaboli composti si inquadra nell’operazione di approfondimento interiore e ideologico dei personaggi; non esiste il puro gusto degli effetti coloristici. La dizione è alta, con frequenti echi omerici. Sofocle utilizza anche la lingua parlata come nelle sprezzanti reazioni di Creonte di fronte ad Antigone e crea, col guardiano dell’Antigone la urla del popolano che vorrebbe adeguarsi al nobile parlare del signore e si esibisce in una imitazione approssimativa di costrutti eleganti. Il poeta è anche abilissimo nel “dire e non dire”, nel far trapelare e alludere, nel servirsi del doppio significato (anfibologia). Nella sfera della vita domestica, si ripropone con forza in Sofocle il consueto rapporto di dipendenza della donna dall’uomo, specialmente nelle Trachinie. Alla donna compete la reclusione domestica, il compito di allevare i figli e di custodire i beni. È dell’uomo la libera azione nel mondo. La donna è preda: quando azzarda l’azione, scatena il dramma. Se la donna sceglie, è inevitabile che compia passi falsi. Perciò l’iniziativa femminile è sempre guardata come innaturale, sospetta. Altri rapporti di subordinazione di ordine sociale emergono dall’analisi schiavo/libero, popolano/nobile, barbaro/greco. Questa tendenza sofoclea ad allinearsi su posizioni conservatrici ha chiaro riscontro negli spunti politici. Nella lotta tra “costituzione democratica” e “stato tribale”, il tragico elabora un’eloquente proanda a favore di quest’ultimo. In tale prospettiva riacquista nuovo sapore il celebre duello dell’Antigone tra leggi non scritte e leggi dello Stato. Le prime impongono di onorare i culti tradizionali. Nel caso della saga tebana, prescrivono all’eroina di seppellire il corpo del fratello Polinice. L’altra legge, di cui è autore Creonte antepone la sicurezza della comunità politica ai dettami dei vincoli familiari di sangue. L’interpretazione tradizionale di questo conflitto faceva di Antigone l’innocente martire di una fede religiosa in principi divini, assoluti e superiori (appunto le leggi non scritte) calpestati dalla violenza umana che osa anteporvi norme contingenti, ribelli alle leggi soprannaturali. 7 E' presente, sebbene in sfumature più sottili, un’ulteriore ragione di conflitto tra Creonte e Antigone; quest’ultima infatti è una donna che, a differenza della sorella Ismene che si dimostra riluttantemente obbediente, si oppone apertamente e senza (o quasi) timore contro l’autorità dello Stato e del patriarcato, personificati in Creonte. Quest’ultimo infatti non può accettare che la sua autorità venga messa in dubbio da una donna, pertanto il presupposto crimine di Antigone è grave per tre ragioni: la prima è quella di aver disobbedito a un decreto reale, la seconda è quella di aver ignorato la sua condizione di donna che la vuole ancora più sottomessa dei cittadini maschi al potere reale, e il terzo è quello di non rinnegare la sua azione nè pentirsi di questa. Ciò mette in crisi l’autorità tradizionale costituita da Creonte che infatti raccomanda il figlio contro le insidie della femmina malvagia; la misoginia del re risalta ancora di più quando accusa Emone di essere schiavo di donna, accusa che sottilmente mette in dubbio la virilità stessa del figlio che si lascia piegare da una donna. Non avendo partecipato alla prima dell’Antigone, non sappiamo come i versi misogini di Creonte siano stati percepiti dal pubblico; per un pubblico moderno infatti ciò influisce nel rendere Creonte un personaggio negativo, ma non si sa come il pubblico ateniese possa aver reagito alle sue parole o ad Antigone che, sebbene sia chiaramente un personaggio positivo, viene tacciata come colpevole di hybris per aver sfidato la sua condizione di sottomissione e il potere cittadino. Probabilmente però la figura della fanciulla non è stata percepita minacciosa come Clitemnestra, Medea o le Danaidi, figure cupe della tragedia greca e percepite come donne-maschio o potenzialmente castranti dal pubblico ateniese: questo perchè Antigone assume il ruolo di eroina della religione e del ghenos, valori fondanti della società greca e vengono per questo percepiti come essenziali, oltre a essere tradizionalmente di dominio femminile (riassumibile con l’espressione moderna “regina della casa”). Autadelfos O koivov autadelfon Ismenes kara… Così ha inizio l’Antigone di Sofocle, verso emblematico come introduzione all’opera e che presenta numerose varianti nella sua traduzione in italiano. “o caro fraterno capo di Ismene mia” dice Angelo Taccone in una versione scolastica del 1947. “O mia sorella, Ismene mia” sceglie invece Eugenio Vitale nel 1966. 10 “Mia compagna terrena, creatura fraterna, Ismene” è la traduzione di E. Cetrangolo. La diversità di scelta dei curatori delle traduzioni evidenzia già una profonda riflessione che si può fare riguardo il rapporto delle due sorelle, rappresentanti di due ideali diversi e facce della stessa medaglia. L’inizio della tragedia non è quindi una semplice espressione formulare, necessaria affinché il pubblico riconosca l’interlocutrice di Antigone, è invece una perifrasi densa che denuncia da subito un’emergenza comunicativa, un’attitudine operativa, l’intenzione di mettere in atto una strategia complessa di condivisione e complicità. Essa è dunque un’espressione ai limiti della traducibilità che non trova un’interpretazione definitiva dal punto di vista linguistico, concettuale e quindi anche scenico. E’ in questo inizio così emblematico che si caratterizza tutto l’aspetto doppio di specularità dell’opera. Per evidenziare meglio l’aspetto della specularità e dell’ambiguità si possono fare alcuni riferimenti all’utilizzo di certi espedienti sintattici, uno di questi è l’uso del duale: nell’Antigone questo corrisponde ad una specifica strategia drammaturgica. Ad una marcata presenza all’inizio di tragedia (riferito ad Eteocle e a Polinice e poi a Ismene e a Polinice), segue una rarefazione (riferito ad Edipo e a Giocasta) al punto che alla fine del dramma, consumata la distruzione del genos, si dissolve e viene usato non più in riferimento ai componenti della famiglia tebana, ma ad oggetti “doppi” quali le rupi Cianee. Mentre l’ambiguità viene espressa in Sofocle con l’utilizzo di termini come diplous, o dell’aggettivo koinos, il tema dell’identità e della sua ossessione trova espressione nella ripetizione frequente di autos e i suoi composti che rappresentano un motivo peculiare all’interno dell’Antigone. La ricorrenza così insistita di autos fornisce dal punto di vista grammaticale la direzione verso cui si muove la declinazione sofoclea della saga tebana: veicolando l’idea del proprio, autos esprime la legge di sangue come legge di incesto, di patricidio, di suicidio. Anche in Eschilo nei Sette contro Tebe in riferimento a Eteocle che va a combattere alla settima porta contro il fratello e nelle Eumenidi, quando Apollo apostrofa ad Ermes con questo termine, abbiamo un utilizzo del termine. Nell’Antigone il termine si ritrova in altri due passi nella quale è utilizzato in funzione di sostantivo in riferimento a Polinice, ma l’espressione iniziale sembra che in qualche modo alluda anche a Polinice e vorrebbe esprimere, già nell’incipit della tragedia, le caratteristiche ambigue dei legami di sangue della famiglia dei Labdacidi, che costituiscono gli antefatti della tragedia e preludono agli infausti esiti. Se 11 ammettiamo però un riferimento a Polinice non possiamo escluderne uno anche a Eteocle, in questo modo il riferimento agli antefatti dell’azione scenica sarebbe più completo. L’utilizzo del termine è quindi un’amplificazione anomala e non solo enfatica che tenta di riportare sul piano linguistico un’anomalia di sangue come quella dell’incesto, in quanto Ismene e Polinice non solo sono figli ma anche fratelli dello stesso padre. Il primo dialogo è però lo scenario di una forte contrapposizione tra le due sorelle, da un lato Ismene sostiene “E ora noi, che siamo rimaste sole, considera la fine miserabile che faremo se violando la legge trasgrediremo l’autorità e i decreti dei capi. No, dobbiamo ricordarci che siamo due donne, incapaci di tener testa a degli uomini; e poi, che siamo governati dai più forti e quindi è nostro dovere obbedire a questi ordini, e ad altri ancora più ingrati” (vv. 58-64), dall’altro Antigone ribadisce la sua fermezza nella volontà di dare sepoltura al cadavere del fratello. Ismene però, ancora terrorizzata dalla possibile piega degli eventi, la invita prudenzialmente a “non rivelare a nessuno” il suo piano, Antigone le risponde con orgogliosa determinazione: “No, gridalo alto: tanto più mi sarai odiosa col tuo silenzio, se non lo proclamerai davanti a tutti” (vv. 86-87). Come è evidente Antigone non vuole in alcun modo occultare il suo gesto ma addirittura ne è orgogliosa, perciò le è completamente estranea ogni strategia opportunistica mirante a sottrarsi alla condanna a morte. Tantomeno intende agire di nascosto, allo scopo di non turbare l’ordine costituito. Le preoccupazioni “mondane” di Ismene le sono del tutto estranee. Antigone dunque non si priva di trattare la sorella con evidente disprezzo per la sua volontà conformistica e per i suoi tentativi di presentare come inevitabile l’osservanza se non addirittura l’obbedienza che essa si accinge a prestare al bando di Creonte. Antigone giungerà a rincarare la dose nel momento in cui Ismene, pur non avendo preso parte attiva alla sepoltura di Polinice, vorrebbe che l’eroina ormai condannata a morte, le consentisse di morire con lei, per evitarle di sopravvivere da sola; ma non è questo il problema di Antigone, che replica seccamente: “Ades e i morti sanno chi agì. Io non amo chi ama solo a parole” (v. 543). Un simile primato morale del gesto, che nessuna costruzione verbale potrà mai sostituire, costituisce la nota dominante del carattere di Antigone e dell’intera tragedia che da lei prende il nome. Antigone non esprime mai la volontà di giustificare il suo gesto e non solo si rifiuta di nascondere il proprio comportamento, ma non prova in nessun modo ad attenuare la forma di rottura. Più che soffermarsi a commentare la propria decisione di seppellire 12 volere di un dio. E’ sulla scia di questa suggestione che il coro definisce l’uomo terribile e meraviglioso nello stesso tempo. La riflessione sull’uomo come essere straordinario si iscrive perfettamente nel periodo culturale dell’Atene periclea, permeata dal pensiero sofistico e anassagoreo. Anassagora per primo infatti sostituisce al concetto di divinità che trascende l’uomo quello del nous, della mente universale. Questo tipo di concezione si evince perfettamente dal Prometeo Incatenato di Eschilo. Il Titano illustra il progresso che ha apportato come un dono per gli uomini, nelle sue varie fasi. L’influsso più pregnante nel primo stasimo dell’Antigone è però quello protagoreo e del relativismo sofistico che pone l’uomo al centro del cosmo e che guarda all’uomo come “misura di tutte le cose” Sulla basa di ciò non esistono principi assoluti, il bene del singolo e della città coincide con l’utile e di conseguenza con le leggi che i cittadini stabiliscono a vantaggio della polis e che sono pertanto una pura espressione umana. Sofocle stabilisce un legame tra la vita politica e la giustizia come anche fa Protagora. E’ bene chiarire che di fronte alla sofistica sia Sofocle sia Euripide assumono un atteggiamento di forte criticità, seppur con notevoli differenze. Si può dire però in generale che l’attenzione all’interno del dramma si concentra maggiormente sull’uomo che sulla stirpe, per l’influsso dell’antropocentrismo. Fra le tragedie sofoclee a noi giunte man mano si attenua la tematica che Eschilo riprendeva da Solone della relazione tra colpa e punizione nell’ambito del genos. In Sofocle è il singolo eroe a passare in primo piano, nel rapporto problematico tra l’azione concreta e l’intenzione. Il personaggio di Sofocle è colpito da un destino del quale è del tutto inconsapevole, oppure liberamente scelto in nome dei suoi principi come nell’Antigone. 15 Bibliografia- sitografia www.epertutti.com/ricerche/SOFOCLE34546.php www.antiqvitas.it/approfondimenti/antigone.1.htm it.wikipedia.org/wiki/Antigone_(Sofocle) 16
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