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Analisi I e Analisi II, Appunti di Analisi Matematica I

Breve riassunto, definizioni e teoremi importanti di analisi I e tutti i teoremi e definizioni di Analisi II

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 19/03/2021

niccolo-bertini-1
niccolo-bertini-1 🇮🇹

4.5

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Scarica Analisi I e Analisi II e più Appunti in PDF di Analisi Matematica I solo su Docsity! ANALISI 1 FUNZIONI E PROPRIETA’ • Funzioni suriettive: una funzione 𝑓: 𝐴 → 𝐵 è detta SURIETTIVA se 𝑓(𝐴) = 𝐵 ∀𝑏 ∈ 𝐵 ∃𝑎 ∈ 𝐴: 𝑓(𝑎) = 𝑏 • Funzioni iniettive: una funzione 𝑓: 𝐴 → 𝐵 è detta INIETTIVA se a valori distinti in A corrispondono valori distinti in B ∀𝑎 ∈ 𝐴∃! 𝑏 ∈ 𝐵: (𝑎, 𝑏) ∈ ℝ • Funzioni biunivoche: una funzione 𝑓:𝐴 → 𝐵 è detta BIUNIVOCA se è sia iniettiva che suriettiva. ELEMENTI DI UNA FUNZIONE • Punto di accumulazione: dato 𝐴 ⊆ ℝ, un punto x si dice PUNTO DI ACCUMULAZIONE PER L’INSIEME A se in ogni intorno di x vi sono infiniti elementi di A. • Punto isolato: un qualunque elemento 𝑥 ∈ 𝐴 ⊆ ℝ si dice PUNTO ISOLATO se esiste almeno un intorno di x che non contiene nessun elemento di A escluso x. • Insieme chiuso: dato 𝐴 ⊆ ℝ, A si dice INSIEME CHIUSO se contiene tutti i suoi punti di accumulazione e tutti i suoi punti isolati. • Punto interno: dato 𝐴 ⊆ ℝ, un punto 𝑥 ∈ 𝐴 si dice PUNTO INTERNO DI A se esiste un intorno di x tutto contenuto in A. • Insieme aperto: dato 𝐴 ⊆ ℝ, A si dice INSIEME APERTO se tutti i suoi punti sono punti interni ad A. • Punto di frontiera: un elemento 𝑥 ∈ ℝ si dice PUNTO DI FRONTIERA per l’insieme 𝐴 ⊆ ℝ se in ogni intorno di x ci sono elementi di A e del complementare di A. • Punto esterno: un punto x ∈ ℝ si dice PUNTO ESTERNO di A se non è contenuto in A e non è un suo punto di frontiera. ANDAMENTO DELLE FUNZIONI • Funzioni crescenti: una funzione 𝑓: 𝐴 ⊆ ℝ → ℝ è detta CRESCENTE IN A se, per ogni 𝑥, 𝑦 ∈ 𝐴 con 𝑥 < 𝑦, si ha 𝑓(𝑥) < 𝑓(𝑦) • Funzioni decrescenti: una funzione 𝑓:𝐴 ⊆ ℝ → ℝ è detta DECRESCENTE IN A se, per ogni 𝑥, 𝑦 ∈ 𝐴 con 𝑥 < 𝑦, si ha 𝑓(𝑥) > 𝑓(𝑦) • Funzioni limitate: una funzione 𝑓:𝐴 ⊆ ℝ → ℝ è detta SUPERIORMENTE LIMITATA se la sua immagine 𝑓(𝐴) è un sottoinsieme di ℝ superiormente limitato. una funzione 𝑓:𝐴 ⊆ ℝ → ℝ è detta INFERIORMENTE LIMITATA se la sua immagine 𝑓(𝐴) è un sottoinsieme di ℝ inferiormente limitato. • FUNZIONE CONTINUA: una funzione 𝑓:𝐴 ⊆ ℝ → ℝ si dice CONTINUA in 𝑥0 ∈ 𝐴 se: ∀𝜀 > 0 ∃𝛿 > 0: |𝑓(𝑥) − 𝑓(𝑥0)| < 𝜀, ∀𝑥 ∈ 𝐴: |𝑥 − 𝑥0| < 𝛿 TEOREMA DEGLI ZERI Sia 𝑓: [𝑎, 𝑏] → ℝ continua 𝑓(𝑎)𝑓(𝑏) < 0 ⇒ ∃𝑐 ∈ (𝑎, 𝑏): 𝑓(𝑐) = 0 Dim. Supponiamo 𝑓(𝑎) < 0 S= {𝑥 ∈ [𝑎, 𝑏]: 𝑓(𝑥) < 0} ⊆ ℝ 𝑥0 = 𝑠𝑢𝑝 S, 𝑓(𝑥0) = 0 Per assurdo se 𝑓(𝑥0) ≠ 0 allora 𝑓(𝑥0) < 0 oppure 𝑓(𝑥0) > 0 𝑓(𝑥0) < 0 ⇒ ∃𝛿 > 0: 𝑓(𝑥0 + 𝛿) < 0 NO, poiché 𝑥0 = 𝑠𝑢𝑝 S 𝑓(𝑥0) > 0 ⇒ ∃𝛿 > 0: 𝑓(𝑥0 − 𝛿) > 0 NO, poiché 𝑥0 = 𝑠𝑢𝑝 S Quindi 𝑓(𝑥0) = 0 TEOREMA DI WEIERSTRASS Sia 𝑓: [𝑎, 𝑏] → ℝ una funzione continua, allora in [𝑎, 𝑏] esistono un punto di massimo e di minimo assoluti della funzione. Dim. Una funzione continua è superiormente e inferiormente limitata (per un teorema dimostrato), quindi sappiamo che esiste 𝑀 ∈ ℝ: 𝑓(𝑥) ≤ 𝑀 ∀𝑥 ∈ [𝑎, 𝑏]. M è l’estremo superiore dell’immagine 𝑓([𝑎, 𝑏]) = {𝑓(𝑥): 𝑥 ∈ [𝑎, 𝑏]} Devo dimostrare che ∀𝑥 ∈ [𝑎, 𝑏] ∃𝑥1 ∈ [𝑎, 𝑏]:𝑀 = 𝑓(𝑥1) ≥ 𝑓(𝑥) Supponiamo per assurdo che non esista nessun punto 𝑥 ∈ [𝑎, 𝑏]: 𝑓(𝑥) = 𝑀. Quindi la funzione ℎ(𝑥) = 1 𝑀−𝑓(𝑥) è ben definita in [𝑎, 𝑏] ed è continua nell’intervallo. Essendo M l’estremo superiore dell’insieme 𝑓([𝑎, 𝑏]), si ha che ∀𝜀 > 0∃𝑥 ∈ [𝑎, 𝑏]:𝑀 − 𝑓(𝑥) < 𝜀, ovvero ℎ(𝑥) > 1 𝜀 , cioè la funzione ℎ(𝑥) non è limitata ma va in contraddizione con l’affermazione del teorema sopra citato. TEOREMA DI FERMAT sia 𝑓: (𝑎, 𝑏) → ℝ e sia 𝑥0 ∈ (𝑎, 𝑏) un punto di massimo (o di minimo) relativo per 𝑓. Allora se 𝑓(𝑥) è derivabile in 𝑥0, si ha che 𝑓′(𝑥0) = 0. Dim. Considerando i due limiti lim ℎ→0+ 𝑓(𝑥0+ℎ)−𝑓(𝑥0) ℎ e lim ℎ→0− 𝑓(𝑥0+ℎ)−𝑓(𝑥0) ℎ , questi sono uguali per l’ipotesi che 𝑓 sia continua in 𝑥0 e fanno 𝑓′(𝑥0). Supponiamo il punto 𝑥0 un punto di massimo relativo, quindi per ogni h abbastanza piccolo ma non 0 si avrà: 𝑓(𝑥0 + ℎ) − 𝑓(𝑥0) ≤ 0, quindi 𝑓(𝑥0+ℎ)−𝑓(𝑥0) ℎ ≥ 0 𝑝𝑒𝑟 ℎ < 0 e 𝑓(𝑥0+ℎ)−𝑓(𝑥0) ℎ ≤ 0 𝑝𝑒𝑟 ℎ > 0. Per il teorema della permanenza del segno abbiamo: 𝑓′ − (𝑥0) ≤ 0 𝑒 𝑓 ′ + (𝑥0) ≥ 0. Quindi le condizioni 𝑓′ − (𝑥0) ≤ 0, 𝑓 ′ + (𝑥0), 𝑓 ′ − (𝑥0) = 𝑓 ′ + (𝑥0) implicano necessariamente che 𝑓 ′(𝑥0) = 0. TEOREMA DI ROLLE Sia 𝑓: [𝑎, 𝑏] → ℝ una funzione continua in [𝑎, 𝑏], derivabile in (𝑎, 𝑏) e tale che 𝑓(𝑎) = 𝑓(𝑏), allora esiste 𝑐 ∈ (𝑎, 𝑏): 𝑓′(𝑐) = 0 Dim. Essendo 𝑓 continua in [𝑎, 𝑏], per il teorema di Weierstrass esiste un punto 𝑥1 di massimo assoluto e un punto 𝑥2 di minimo assoluto. Se 𝑥1 = 𝑎 e 𝑥2 = 𝑏, allora, essendo 𝑓(𝑎) = 𝑓(𝑏), la funzione 𝑓 è costante in [𝑎, 𝑏]. In questo caso si ha 𝑓′(𝑥) = 0 ∀𝑥 ∈ (𝑎, 𝑏). Se uno dei due punti è interno all’intervallo (𝑎, 𝑏), allora per il teorema di Fermat si ha che in uno dei due punti la derivata prima si annulla e il teorema è dimostrato. TEOREMA DI LAGRANGE (o valor medio) sia 𝑓: [𝑎, 𝑏] → ℝ una funzione continua in [𝑎, 𝑏] e derivabile in (𝑎, 𝑏). Allora ∃𝑐 ∈ (𝑎, 𝑏): 𝑓(𝑏)−𝑓(𝑎) 𝑏−𝑎 = 𝑓′(𝑐). Dim. Consideriamo la funzione 𝜑(𝑥) = 𝑓(𝑥) − (𝑥 − 𝑎) 𝑓(𝑏)−𝑓(𝑎) 𝑏−𝑎 . Questa è continua in [𝑎, 𝑏] e derivabile in (𝑎, 𝑏). Inoltre, si ha 𝜑(𝑎) = 𝑓(𝑎) = 𝜑(𝑏). Per il teorema di Rolle si ha che esiste un punto 𝑐 ∈ (𝑎, 𝑏): 𝜑′(𝑐) = 0, quindi 0 = 𝜑′(𝑐) = 𝑓′(𝑐) − 𝑓(𝑏)−𝑓(𝑎) 𝑏−𝑎 . TEOREMA DI CAUCHY Siano 𝑓, 𝑔: [𝑎, 𝑏] → ℝ due funzioni continue in [𝑎, 𝑏] e derivabili in (𝑎, 𝑏), con 𝑔′(𝑥) ≠ 0 ∀𝑥 ∈ (𝑎, 𝑏). allora esiste 𝑐 ∈ (𝑎, 𝑏): 𝑓′(𝑐) 𝑔′(𝑐) = 𝑓(𝑏)−𝑓(𝑎) 𝑔(𝑏)−𝑔(𝑎) . Dim. Consideriamo la funzione 𝜑(𝑥) = 𝑓(𝑥) − (𝑔(𝑥) − 𝑔(𝑎)) 𝑓(𝑏)−𝑓(𝑎) 𝑔(𝑏)−𝑔(𝑎) . Abbiamo 𝑔(𝑏) ≠ 𝑔(𝑎) perché altrimenti per il teorema di Rolle applicato alla funzione 𝑔(𝑥) si avrebbe 𝑔′(𝑥) = 0 il che va contro l’ipotesi del teorema che stiamo dimostrando. DEFINIZIONE Data una funzione continua limitata 𝑓: [𝑎, 𝑏] → ℝ , 𝑓(𝑥) > 0 ∀𝑥 ∈ [𝑎, 𝑏] e data 𝜑(𝑡) = 𝑎𝑟𝑒𝑎({(𝑥, 𝑦) ∈ [𝑎, 𝑡] × ℝ ∶ 0 ≤ 𝑦 ≤ 𝑓(𝑥)}) con 𝑡 ∈ [𝑎, 𝑏] 𝑃𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 = {𝑡0, 𝑡1, ⋯ , 𝑡𝑛} ⊆ [𝑎, 𝑏] 𝑎 = 𝑡0 < 𝑡1 < ⋯ < 𝑡𝑛 = 𝑏 Si definisce somma integrale superiore relativa alla partizione P: 𝑆𝑝 = 𝑆(𝑓, 𝑃) = ∑𝑠𝑢𝑝𝑡∈[𝑡𝑖−1 ; 𝑡𝑖](𝑓(𝑡)) ∙ (𝑡𝑖 − 𝑡𝑖−1) 𝑛 𝑖=1 Si definisce somma integrale inferiore relativa alla partizione P: 𝑆𝑝 = 𝑠(𝑓, 𝑃) =∑𝑖𝑛𝑓𝑡∈[𝑡𝑖−1 ; 𝑡𝑖](𝑓(𝑡)) ∙ (𝑡𝑖 − 𝑡𝑖−1) 𝑛 𝑖=1 Per ogni partizione P si ha che: 𝑠(𝑓, 𝑃) < 𝑆(𝑓, 𝑃); in particolare: 𝑚(𝑏 − 𝑎) ≤ 𝑠(𝑓, 𝑃) ≤ 𝑆(𝑓, 𝑃) ≤ 𝑀(𝑏 − 𝑎) Dove: 𝑚 = inf{𝑓(𝑥), 𝑐 ∈ [𝑎, 𝑏]} 𝑒 𝑀 = sup {𝑓(𝑥), 𝑥 ∈ [𝑎, 𝑏]} Prese 𝑃1 𝑒 𝑃2 due partizioni di [𝑎, 𝑏] si ha che: 𝑠(𝑓, 𝑃1) < 𝑆(𝑓, 𝑃2); quindi si ottiene: 𝑠(𝑓, 𝑃) ≤ inf {𝑆(𝑓, 𝑃), 𝑐𝑜𝑛 𝑃 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑠𝑖𝑎𝑠𝑖 𝑑𝑖 [𝑎, 𝑏]} E sup{𝑠(𝑓, 𝑃), 𝑐𝑜𝑛 𝑃 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑠𝑖𝑎𝑠𝑖 𝑑𝑖 [𝑎, 𝑏]} ≤ 𝑆(𝑓, 𝑃). Al variare delle partizioni avremo dunque: 𝐼(𝑓) = sup{𝑠(𝑓, 𝑃), 𝑃} ≤ inf{𝑆(𝑓, 𝑃), 𝑃} = 𝐼(𝑓) DEFINIZIONE Una funzione 𝑓(𝑥)𝑙𝑖𝑚𝑖𝑡𝑎𝑡𝑎 𝑖𝑛 [𝑎, 𝑏] si dice integrabile su [𝑎, 𝑏] se: 𝐼(𝑓) = 𝐼(𝑓) = ∫ 𝑓(𝑥)𝑑𝑥 𝑏 𝑎 TEOREMA Data 𝑓 limitata in [𝑎, 𝑏], essa è integrabile su [𝑎, 𝑏] se e solo se ∀𝜀 > 0 ∃𝑃 ∈ [𝑎, 𝑏]: |𝑆(𝑓, 𝑃) − 𝑠(𝑓, 𝑃)| < 𝜀 TEOREMA Sia 𝑓: [𝑎, 𝑏] → ℝ 𝑐𝑜𝑛 𝑎, 𝑏 ∈ ℝ una funzione monotona. Allora essa è integrabile: Dim. Fissiamo 𝜀 > 0 e sia 𝑓(𝑥) non decrescente. In questo caso si ha 𝑀𝑖 = 𝑓(𝑥𝑖) 𝑒 𝑚𝑖 = 𝑓(𝑥𝑖−1). Se P è una partizione di modulo 𝛿, si avrà: 𝑆(𝑓, 𝑃) − 𝑠(𝑓, 𝑃) =∑(𝑀𝑖 −𝑚𝑖)(𝑥𝑖 − 𝑥𝑖−1) 𝑛 𝑖=1 ≤ 𝛿∑(𝑀𝑖 −𝑚𝑖) 𝑛 𝑖=1 = 𝛿(𝑓(𝑏) − 𝑓(𝑎)). Se 𝑓(𝑏) = 𝑓(𝑎) allora il teorema è provato, altrimenti prendiamo 𝛿 < 𝜀 𝑓(𝑏)−𝑓(𝑎) da qui si ha che 𝑆(𝑓, 𝑃) − 𝑠(𝑓, 𝑃) < 𝜀 TEOREMA Data 𝑓: [𝑎, 𝑏] → ℝ 𝑐𝑜𝑛 𝑎, 𝑏 ∈ ℝ. Se 𝑓 è continua allora è integrabile DEFINIZIONE Sia 𝑓: [𝑎, 𝑏] → ℝ una funzione integrabile e definiamo la funzione 𝐹: [𝑎, 𝑏] → ℝ, detta funzione integrale: 𝐹(𝑥) = ∫ 𝑓(𝑠)𝑑𝑠 𝑥 𝑎 TEOREMA La funzione 𝐹(𝑥) = ∫ 𝑓(𝑠)𝑑𝑠 𝑥 𝑎 è continua ∀𝑥. Dim. 𝑥0 ∈ [𝑎, 𝑏] |∫ 𝑓(𝑠)𝑑𝑠 𝑥 𝑎 −∫ 𝑓(𝑠)𝑑𝑠 𝑥0 𝑎 | = |∫ 𝑓(𝑠)𝑑𝑠 𝑥0 𝑥 | ⇒ lim 𝑥→𝑥0 |∫ 𝑓(𝑠)𝑑𝑠 𝑥0 𝑥 | = ∫ 𝑓(𝑠)𝑑𝑠 𝑥0 𝑥0 = 0 ⇒ 𝐹 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑖𝑛𝑢𝑎 ANALISI 2 SERIE NUMERICHE Una serie numerica è un oggetto matematico della forma {𝑎𝑛}𝑛∈ℕ∪{0} ⊆ ℝ (𝑠𝑢𝑐𝑐𝑒𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒) → 𝑆𝑁 = ∑ 𝑎𝑛 𝑁 𝑛=0 𝑆𝑁 = ∑𝑎𝑛 𝑁 𝑛=0 = 𝑎0 + 𝑎1 +⋯+ 𝑎𝑁 → 𝑠𝑢𝑐𝑐𝑒𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑠𝑜𝑚𝑚𝑒 𝑝𝑎𝑟𝑧𝑖𝑎𝑙𝑖 𝑛 − 𝑒𝑠𝑖𝑚𝑒 COMPORTAMENTO DELLE SERIE { 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑠𝑒 lim 𝑁→+∞ 𝑆𝑁 = 𝑙 ∈ ℝ 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑠𝑒 lim 𝑁→+∞ 𝑆𝑁 = ±∞ 𝑖𝑛𝑑𝑒𝑡𝑒𝑟𝑚𝑖𝑛𝑎𝑡𝑎 𝑠𝑒 lim 𝑁→+∞ 𝑆𝑁 = ∄ 𝑛 numero non negativo → 𝑆𝑁 monotona crescente → mai indeterminata Serie a segno costante (+ o -) non sono mai indeterminate ∑𝛼𝑎𝑛 𝑁 𝑛=0 = 𝛼𝑆𝑁 = 𝛼(𝑎0 + 𝑎1 +⋯+ 𝑎𝑁) → 𝛼 = −1 Date due serie convergenti 𝑆𝑎𝑁 = ∑ 𝑎𝑛 𝑁 𝑛=0 𝑒 𝑆 𝑏 𝑁 = ∑ 𝑏𝑛 𝑁 𝑛=0 𝑆𝑁 = ∑(𝑎𝑛 + 𝑏𝑛) 𝑁 𝑛=0 = ∑ 𝑎𝑛 𝑁 𝑛=0 +∑𝑏𝑛 𝑁 𝑛=0 = 𝑆𝑎𝑁 + 𝑆 𝑏 𝑁 CONDIZIONE NECESSARIA PER LA CONVERGENZA Data {𝑎𝑛}𝑛∈ℕ∪{0} La serie relativa 𝑺𝑵 = ∑ 𝒂𝒏 ∞ 𝒏=𝟎 è convergente se 𝐥𝐢𝐦𝒏→∞ 𝒂𝒏 = 𝟎 CRITERIO DEL CONFRONTO TRA SUCCESIONI Date due successioni a segno costante {𝑎𝑛}𝑛∈ℕ∪{0} e {𝑏𝑛}𝑛∈ℕ∪{0} con 𝑎𝑛 ≤ 𝑏𝑛 ∑𝑎𝑛 ∞ 𝑛=0 ≤ ∑𝑏𝑛 ∞ 𝑛=0 Se 𝑏𝑛 è convergente, allora anche 𝑎𝑛 lo è poiché entrambe monotone crescenti con limite finito. DEFINIZIONE Data una successione {𝑏𝑛}. La serie ∑ 𝑏𝑛+1 − 𝑏𝑛 𝑁 𝑛=0 è detta serie telescopica se ∑𝑏𝑛+1 − 𝑏𝑛 𝑁 𝑛=0 = 𝑏𝑁+1 − 𝑏0 CRITERIO DEL RAPPORTO (tra serie) Date due serie ∑𝑎𝑛 ∞ 𝑛=0 𝑒 ∑ 𝑏𝑛 ∞ 𝑛=0 Con 𝑏𝑛 > 0 e 𝑎𝑛 ≥ 0 ➢ lim 𝑛→∞ 𝑎𝑛 𝑏𝑛 = 0 → se 𝑏𝑛 converge, allora anche 𝑎𝑛 converge ➢ lim 𝑛→∞ 𝑎𝑛 𝑏𝑛 = ∞ 𝑒 𝑎𝑛 > 𝑏𝑛 → se 𝑎𝑛 diverge, allora anche 𝑏𝑛 diverge ➢ lim 𝑛→∞ 𝑎𝑛 𝑏𝑛 = 1 →non si può dire niente sul comportamento delle serie CRITERIO DI LEIBNITZ Data la serie: ∑𝑎𝑛 ∞ 𝑛=0 (−1)𝑛 Con: • 𝑎𝑛 ≥ 0 𝑒 𝑚𝑜𝑛𝑜𝑡𝑜𝑛𝑎 𝑑𝑒𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑒𝑛𝑡𝑒 • lim 𝑛→∞ 𝑎𝑛 = 0 Allora il criterio di Leibnitz stabilisce che la serie ∑ 𝑎𝑛 ∞ 𝑛=0 (−1) 𝑛 è convergente. RAGGIO DI CONVERGENZA Data la serie del tipo: ∑𝑎𝑛 ∞ 𝑛=0 𝑥𝑛 Con 𝑎𝑛, 𝑥 ≠ 0 𝐿|𝑥| = lim 𝑛→∞ |𝑥| |𝑎𝑛+1| |𝑎𝑛| Allora il raggio di convergenza R è dato da 𝑅 = 1 𝐿 𝑅 = { 1 𝐿 𝑠𝑒 𝐿 ∈ ℝ − {0} 0 𝑠𝑒 𝐿 → +∞ (𝑚𝑎𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑠𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑝𝑒𝑟 𝑥 = 0) +∞ 𝑠𝑒 𝐿 = 0 (𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒𝑛𝑡𝑒) FUNZIONI DA TRASFORMARE IN SERIE 𝑓 𝑑𝑒𝑟𝑖𝑣𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒 𝑛 𝑣𝑜𝑙𝑡𝑒 𝑖𝑛 𝑢𝑛 𝑖𝑛𝑡𝑜𝑟𝑛𝑜 𝑑𝑖 𝑥0 𝑓(𝑥) = 𝑓(𝑥0) + 𝑓 ′(𝑥0)(𝑥 − 𝑥0) + 𝑓"(𝑥0) (𝑥 − 𝑥0) 2 2! + ⋯+ 𝑓(𝑛)(𝑥0) (𝑥 − 𝑥0) 𝑛 𝑛! + 𝑅𝑒𝑠𝑡𝑜(𝑛)(𝑥 − 𝑥0) Se 𝑓 è derivabile infinite volte si ha: 𝑓(𝑥) = ∑ 𝑓(𝑛)(𝑥0) 𝑛! (𝑥 − 𝑥0) 𝑛 → ∞ 𝑛=0 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑐𝑖ò è 𝑣𝑒𝑟𝑜 𝑠𝑖 𝑐ℎ𝑖𝑎𝑚𝑎 𝑺𝒆𝒓𝒊𝒆 𝒅𝒊 𝑻𝒂𝒚𝒍𝒐𝒓 Per far sì che la Serie di Taylor esista deve essere lim 𝑛→∞ 𝑅𝑒𝑠𝑡𝑜(𝑛)(𝑥 − 𝑥0) = 0 EQUAZIONI DIFFERENZIALI DEL PRIMO ORDINE A VARIABILI SEPARATE ?̇?(𝑡) = 𝑓(𝑡)𝑔(𝑥(𝑡)) 𝑓: 𝐼 → ℝ 𝑔:ℝ → ℝ ?̇?(𝑡) = 𝑓(𝑡)𝑔(𝑥(𝑡)) → ∃𝑥0: 𝑔(𝑥0) = 0 ⟹ ?̅?(𝑡) ≡ 𝑥0 è soluzione ?̇̅?(𝑡) ≡ 0 = 𝑓(𝑡)𝑔(?̅?(𝑡)) = 𝑓(𝑡)𝑔(𝑥0) = 𝑓(𝑡) ∙ 0 = 0 Sia 𝑥(𝑡) una nuova soluzione con 𝑡 ∈ 𝐼 𝑔(𝑥(𝑡)) ≠ 0 ∀𝑡 ∈ 𝐼 Quindi ?̇?(𝑡) 𝑔(𝑥(𝑡)) = 𝑓(𝑡) 𝑓𝑖𝑠𝑠𝑎𝑡𝑜 𝑡0 ∈ 𝐼 ∫ ?̇?(𝑠) 𝑔(𝑥(𝑠)) 𝑡 𝑡0 𝑑𝑠 = ∫ 𝑓(𝑠) 𝑡 𝑡0 𝑑𝑠 𝑐𝑎𝑚𝑏𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒 → ∫ 𝑑𝑥 𝑔(𝑥) 𝑥(𝑡) 𝑥(𝑡0) = ∫ 𝑓(𝑠) 𝑡 𝑡0 𝑑𝑠 { ?̇?(𝑡) = 𝑓(𝑡)𝑔(𝑥(𝑡)) 𝑥(𝑡0) = 𝑥0 DEFINIZIONE La funzione 𝑔 è detta Lipschitziana (o di Lipschitz) se |𝑔(𝑥) − 𝑔(𝑦)| < 𝐿|𝑥 ∙ 𝑦| ∀𝑥, 𝑦 ∈ ℝ Localmente Lipschitziana se |𝑔(𝑥) − 𝑔(𝑥0)| < 𝐿|𝑥 ∙ 𝑥0| 𝐿 →costante di Lipschitz Se 𝑔 ∈ 𝐶1 in un intorno di 𝑥0⟹ è localmente Lipschitziana in 𝑥0 TEOREMA DI CAUCHY Supponiamo 𝑓 continua e 𝑔 localmente Lipschitziana in 𝑥0, allora ∃! Soluzione massimale di { ?̇? = 𝑓(𝑡)𝑔(𝑥) 𝑥(𝑡0) = 𝑥0 Soluzione massimale→soluzione definita sul più grande intervallo possibile FATTORE INTEGRANTE Per risolvere ?̇? + 𝑝(𝑡)𝑦 = 𝑔(𝑡) (con 𝑝, 𝑔 funzioni continue in 𝐼 ⊆ ℝ) si può usare una funzione speciale 𝜇(𝑡), detta fattore integrante, cola proprietà che ?̇?(𝑡) = 𝑝(𝑡)𝜇(𝑡). 𝜇(𝑡)𝑦̇ + 𝜇(𝑡)𝑝(𝑡)𝑦 = 𝜇(𝑡)𝑔(𝑡) ⟺ 𝑑 𝑑𝑡 (𝜇(𝑡)𝑦(𝑡)) = 𝜇(𝑡)𝑔(𝑡) Integrando: 𝑦(𝑡)𝜇(𝑡) = ∫𝜇(𝑡)𝑔(𝑡) 𝑑𝑡 + 𝑐 𝜇(𝑡) ≠ 0 𝑦(𝑡) = 1 𝜇(𝑡) ∫𝜇(𝑡)𝑔(𝑡) 𝑑𝑡 + 𝑐 𝜇(𝑡) Per costruire 𝜇(𝑡) consideriamo una primitiva 𝐴(𝑡) di 𝑝(𝑡) e poniamo 𝜇(𝑡) = 𝑒𝐴(𝑡) ⟹ 𝑦(𝑡) = 𝑒𝐴(𝑡)∫𝑒𝐴(𝑡)𝑔(𝑡) 𝑑𝑡 + 𝑐𝑒𝐴(𝑡) 𝜇(𝑡) = 𝑒𝐴(𝑡) verifica le proprietà ?̇?(𝑡) = 𝑝(𝑡)𝜇(𝑡) ? 𝑑 𝑑𝑡 𝜇(𝑡) = 𝑑 𝑑𝑡 𝑒𝐴(𝑡) = 𝑒𝐴(𝑡) 𝑑 𝑑𝑡 𝐴(𝑡) = 𝑒𝐴(𝑡)𝑝(𝑡) = 𝜇(𝑡)𝑝(𝑡) ⟺ ?̇?(𝑡) = 𝑝(𝑡)𝜇(𝑡) ⇒ ∫ 𝑑𝑥 𝑔(𝑥) 𝑥(𝑡) 𝑥0 = ∫ 𝑓(𝑠) 𝑡 𝑡0 𝑑𝑠 FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI Una funzione 𝑓: 𝐴 → ℝ si dice di due o più variabili se il suo dominio 𝐴 è un sottoinsieme di ℝ2 (ℝ3 𝑜 ℝ𝑛). Se una funzione 𝑓 è di due, tre o n variabili, il valore che assume in un punto (𝑥, 𝑦) si denota con 𝑓(𝑥, 𝑦). Il grafico di una funzione di più variabili è il sottoinsieme di ℝ3 ≅ ℝ2 × ℝ definito dall’insieme: 𝑔𝑟𝑡 𝑓 = {(𝑥, 𝑦, 𝑧) ∈ 𝐴 × ℝ: 𝑧 = 𝑓(𝑥, 𝑦)} La composizione di funzioni e successioni di più variabili funziona esattamente come per le funzioni e le successioni di una sola variabile. LINEE DI LIVELLO Per rappresentare il grafico di una funzione 𝑓: 𝐴 ⊆ 𝕂2 → 𝕂 è utile rappresentare nel piano 𝑥𝑦 gli insiemi: 𝑆𝑐 = {(𝑥, 𝑦) ⊆ 𝐴: 𝑓(𝑥, 𝑦) = 𝑐} dove 𝑐 è una costante reale. Tali insiemi sono detti piani di livello. LIMITI PER UNA FUNZIONE REALE DI PIU’ VARIABILI REALI Si 𝑓: 𝐴 ∈ ℝ𝒏 → ℝ una funzione reale di n-variabili reali e sia 𝑃0 un punto di accumulazione per il dominio 𝐴 di 𝑓. Si dice che 𝑓(𝑃0), 𝑃 = (𝑥1, 𝑥2 ,⋯ , 𝑥𝑛) ∈ 𝐴 tende a un numero reale 𝐿 per 𝑃 che tende a 𝑃0 se ∀𝜀 > 0 ∃𝛿 > 0: ∀𝑃 ∈ 𝐴 ∩ 𝐵𝑐(𝑃0), 𝑃 ≠ 𝑃0 allora |𝑓(𝑃) − 𝐿| < 𝜀, con 𝐵𝑐(𝑃0) un intorno circolare di 𝑃0. Si può dire che 𝑓(𝑃) → 𝐿 per 𝑃 → 𝑃0 se ∀𝜀 > 0 ∃𝛿 > 0: ∀𝑃 ∈ 𝐴 con 0 < ‖𝑃 − 𝑃0‖ < 𝛿 ⟹ |𝑓(𝑃) − 𝐿| < 𝜀. Nel caso di una funzione di più variabili, 𝑓 = 𝑓(𝑥, 𝑦), posto 𝑃0 = (𝑥0, 𝑦0) e 𝑃 = (𝑥, 𝑦) ∈ 𝐴 ⟹ 𝑓(𝑥, 𝑦) → 𝐿 per (𝑥, 𝑦) → (𝑥0, 𝑦0) se ∀𝜀 > 0 ∃𝛿 = 𝛿𝜀 > 0: ∀𝑃 = (𝑥, 𝑦) ∈ 𝐴 con 0 < √(𝑥 − 𝑥0) 2 + (𝑦 − 𝑦0) 2 = ‖𝑃 − 𝑃0‖ < 𝛿 ⟹ ⇒ |𝑓(𝑃) − 𝐿| < 𝜀 Si dice quindi lim (𝑥,𝑦)→(𝑥0,𝑦0) 𝑓(𝑥, 𝑦) = 𝐿. LIMITE DIREZIONALE 𝑃 = (𝑥, 𝑦) → 𝑃0 = (𝑥0, 𝑦0) di 𝑓(𝑃) 𝑙𝑖𝑚 (𝑥,𝑦)→(𝑥0,𝑦0) 𝑓(𝑥, 𝑦) = 𝐿 Fissata una qualunque direzione ?⃗? = (𝑣1, 𝑣2) ⊆ ℝ 2 con ‖?⃗?‖ = √𝑣1 2 + 𝑣2 2 = 1, si verifica subito che ∃ lim 𝑡→0 𝑓(𝑃0 + 𝑡?⃗?) e inoltre si può scrivere come lim 𝑡→0 𝑓((𝑥0 + 𝑡𝑣1), (𝑦0 + 𝑡𝑣2)) = 𝐿 ∀𝜀 > 0 non appena 0 < ‖𝑃0 + 𝑡?⃗? − 𝑃0‖ = ‖𝑡?⃗?‖ = |𝑡|‖?⃗?‖ = |𝑡| < 𝛿 ⟹ |𝑓(𝑃0 + 𝑡?⃗?) − 𝐿| < 𝜀 Se esistesse il limite per 𝑃 → 𝑃0 di 𝑓(𝑥, 𝑦), allora fissato un qualunque versore (?⃗? = (ℎ, 𝑘) ∈ 𝕂 2: ℎ2 + 𝑘2 = 1) si ha che esiste il limite direzionale lim 𝑡→0 𝑓(𝑃0 + 𝑡?⃗?) e il valore di tale limite (che coincide con 𝐿) è indipendente da ?⃗?. Di conseguenza se supponiamo che esista il limite lim (𝑥,𝑦)→(𝑥0,𝑦0) 𝑓(𝑥, 𝑦) e se esiste lim 𝑡→0 𝑓(𝑃0 + 𝑡?⃗?) = 𝐿 con ?⃗? versore fissato allora lim (𝑥,𝑦)→(𝑥0,𝑦0) 𝑓(𝑥, 𝑦) = 𝐿. Però se esiste il limite direzionale in 𝑃0 ed esso dipende dalla direzione (o non esiste per qualche direzione) allora 𝑓(𝑃) non ammette limite per 𝑃 → 𝑃0. L’esistenza del limite direzionale non garantisce l’esistenza del limite. COROLLARIO Siano 𝑓, 𝑔 funzioni reali definite su un sottoinsieme 𝐴 di 𝕂𝑛. Supponiamo 𝑓 limitata e 𝑔(𝑝) → 0 per 𝑝 → 𝑝0. Allora lim 𝑝→𝑝0 𝑓(𝑝)𝑔(𝑝) = 0 Dim. 𝑓 limitata⟹ ∃𝑀 > 0: |𝑓(𝑝)| < 𝑀 ∀𝑝 ∈ 𝐴 0 ≤ |𝑓(𝑝)𝑔(𝑝)| ≤ 𝑀|𝑔(𝑝)| 𝑀|𝑔(𝑝)| → 0 per 𝑝 → 𝑝0⟹ per Teorema Carabinieri |𝑓(𝑝)𝑔(𝑝)| → 0 per 𝑝 → 𝑝0 TEOREMA Sia 𝑓:𝐴 ⊆ ℝ2 → ℝ e 𝑃0 = (𝑥0, 𝑦0) un punto di accumulazione per 𝐴. Allora vale che lim (𝑥,𝑦)→(𝑥0,𝑦0) 𝑓(𝑥, 𝑦) = 𝐿 ⇔ lim 𝜑→0 𝑓(𝑥0 + 𝜑𝑐𝑜𝑠𝜗, 𝑦0 + 𝜑𝑠𝑒𝑛𝜗) = 𝐿 uniformemente rispetto a 𝜗. Il limite è uniforme in 𝜗 se ∀𝜀 > 0 ∃𝛿 > 0: 0 ≤ 𝛿 ≤ 𝜀 e ∀𝜗 ∈ [0,2𝜋] si ha |𝑓(𝑥0 + 𝜑𝑐𝑜𝑠𝜗, 𝑦0 + 𝜑𝑠𝑒𝑛𝜗) − 𝐿| < 𝜀. DEFINIZIONE Data 𝑓: 𝐴 ⊆ ℝ2 → ℝ e dato 𝑃0 ∈ 𝐴 punto di accumulazione per 𝐴, diciamo che 𝑓 è continua in 𝑃0 se per ogni successione {𝑃𝑛}𝑛∈ℕ in 𝐴 e tale che lim 𝑛→∞ 𝑃𝑛 = 𝑃0, allora 𝑓(𝑥𝑛, 𝑦𝑛) → 𝑓(𝑥0, 𝑦0) per 𝑛 → ∞. TEOREMA Se una funzione di uno o più variabili è ottenuta combinando tra di loro funzioni continue tramite somma, prodotto o composizione, allora è continua. Quindi i monomi, i polinomi e i loro rapporti sono ancora funzioni continue. TEOREMA DI WEIERSTRASS IN ℝ𝒏 Sia 𝑓:𝐴 ⊆ ℝ𝑛 → ℝ funzione continua in un sottoinsieme chiuso e limitato 𝐴 ⊆ ℝ𝑛. Allora 𝑓 ammette minimo e massimo assoluti in 𝐴. • Sia𝑓: 𝐴 ⊆ ℝ𝑛 → ℝ, un punto 𝑃1 ∈ 𝐴 si dice punto di massimo assoluto per 𝑓 se, ∀𝑃 ∈ 𝐴, si ha 𝑓(𝑃) ≤ 𝑓(𝑃1) • Sia𝑓: 𝐴 ⊆ ℝ𝑛 → ℝ, un punto 𝑃1 ∈ 𝐴 si dice punto di minimo assoluto per 𝑓 se, ∀𝑃 ∈ 𝐴, si ha 𝑓(𝑃) ≥ 𝑓(𝑃1) TEOREMA DI BOLZANO Sia 𝑓:𝐴 ⊆ ℝ𝑛 → ℝ una funzione continua e 𝐴 un sottoinsieme connesso. Allora l’immagine 𝑓(𝐴) della funzione è un intervallo. TEOREMA DEGLI ZERI Sia 𝑓:𝐴 ⊆ ℝ𝑛 → ℝ una funzione continua e 𝐴 un insieme aperto connesso. Se esistono due punti 𝑃1, 𝑃2 ∈ 𝐴: 𝑓(𝑃1) < 0 e 𝑓(𝑃2) > 0, allora esiste un punto 𝑃 ∗ ∈ 𝐴: 𝑓(𝑃∗) = 0 DEFINIZIONE Sia 𝑓:𝐴 ⊆ ℝ𝑛 → ℝ e sia 𝑃0 ∈ 𝐴. Il punto 𝑃0 si dice punto di massimo relativo per 𝑓 se esiste un intorno 𝐵𝛿(𝑃0): ∀𝑃 ∈ 𝐴 ∩ 𝐵𝛿(𝑃0) 𝛿 > 0 si ha che 𝑓(𝑃) ≤ 𝑓(𝑃0) DERIVABILITA’ E DIFFERENZIABILITA’ PER UNZIONI DI PIU’ VARIABILI DEFINIZIONE Sia 𝑓:𝐴 ⊆ ℝ𝑛 → ℝ e sia 𝑃0 = (𝑥0, 𝑦0) ∈ 𝐴 Fissiamo 𝑦 = 𝑦0 e otteniamo una funzione parziale 𝑥 ⟼ 𝑓(𝑥, 𝑦0) La derivata parziale di 𝑓 in 𝑃0 rispetto alla prima variabile è, se esiste, la derivata in 𝑥0 della funzione parziale 𝑥 ⟼ 𝑓(𝑥, 𝑦0) cioè: 𝜕𝑓 𝜕𝑥 (𝑥0, 𝑦0) = lim 𝑥→𝑥0 𝑓(𝑥, 𝑦0) − 𝑓(𝑥0, 𝑦0) 𝑥 − 𝑥0 Analogamente 𝜕𝑓 𝜕𝑦 (𝑥0, 𝑦0) = lim 𝑦→𝑦0 𝑓(𝑥0, 𝑦) − 𝑓(𝑥0, 𝑦0) 𝑦 − 𝑦0 Si dice che 𝑓 è derivabile se ha derivate parziali sia rispetto a 𝑥 che rispetto a 𝑦. La derivabilità non implica la continuità. MATRICE JACOBIANA 𝐽𝑓(𝑃0) = ( 𝜕1𝑓1 𝜕2𝑓1 ⋯ 𝜕𝑘𝑓1 𝜕1𝑓2 𝜕2𝑓2 ⋯ 𝜕𝑘𝑓2 ⋱ 𝜕1𝑓𝑚 𝜕2𝑓𝑚 ⋯ 𝜕𝑘𝑓𝑚 ) 𝑃0 𝐽𝑓(𝑃0):ℝ 𝑘 → ℝ𝑚 MATRICE HESSIANA 𝑓: 𝐴 ⊂ ℝ2 → ℝ di classe 𝐶2 allora ∇𝑓:𝐴 ⊂ ℝ2 → 𝕄2×2 ≡ 𝑙𝑖𝑛(ℝ2, ℝ) 𝑑𝑓(𝑃): 𝑣 ⟼ ∇𝑓(𝑃) ∙ 𝑣 𝑑(∇𝑓): 𝐴 ⊂ ℝ2 → 𝕄2×2 ≡ 𝑙𝑖𝑛(ℝ2, ℝ) Cioè: − Per ogni punto 𝑃 ∈ 𝐴, ∇𝑓(𝑃) è rappresentato da un vettore di ℝ2 e 𝑑𝑓(𝑃) è un’applicazione lineare ℝ2 → ℝ − Per ogni punto 𝑃 ∈ 𝐴, ∇𝑓(𝑃) rappresentato da una matrice, cioè un’applicazione lineare ℝ2 → ℝ 𝐻𝑓(𝑃) = ( 𝑓𝑥𝑥(𝑃) 𝑓𝑥𝑦(𝑃) 𝑓𝑥𝑦(𝑃) 𝑓𝑦𝑦(𝑃) ) → 𝑚𝑎𝑡𝑟𝑖𝑐𝑒 𝐻𝑒𝑠𝑠𝑖𝑎𝑛𝑎 Per il teorema di Schwartz si ha 𝑓𝑥𝑦(𝑃) = 𝑓𝑦𝑥(𝑃) e quindi la matrice è simmetrica La stessa regola vale anche per funzioni di più di due variabili. DERIVATA DIREZIONALE SECONDA Sia 𝑓 ∈ 𝐶2(𝐴),𝐴 ⊂ ℝ𝑘 aperto. Dati 𝑃 = (𝑥1, ⋯ , 𝑥𝑘), 𝑣 = (𝑣1,⋯ , 𝑣𝑘) consideriamo 𝜙(𝑡) = 𝑓(𝑃 + 𝑡𝑣) → 𝑓𝑢𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑐𝑜𝑛 𝑡 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒 𝜙′(𝑡) = ∇𝑓(𝑃 + 𝑡𝑣) ∙ 𝑣 ⇝ 𝜙′(0) = ∇𝑓(𝑃 + 𝑡𝑣)|𝑡=0 ∙ 𝑣 = ∇𝑓(𝑃) ∙ 𝑣 𝜙"(𝑡) = 𝑑 𝑑𝑡 [∇𝑓(𝑃 + 𝑡𝑣) ∙ 𝑣] = ∑𝜕𝑗[∇𝑓(𝑃 + 𝑡𝑣) ∙ 𝑣] 𝑑 𝑑𝑡 [(𝑃 + 𝑡𝑣) ∙ 𝑒𝑖] = 𝑘 𝑗=1 ∑𝜕𝑗 [∑𝜕𝑖𝑓(𝑃 + 𝑡𝑣) ∙ 𝑣𝑖 𝑘 𝑖=1 ] 𝑑 𝑑𝑡 [𝑥𝑗 + 𝑡𝑣𝑖] 𝑘 𝑗=1 =∑∑𝜕𝑖𝑗𝑓(𝑃 + 𝑡𝑣) ∙ 𝑣𝑖 ∙ 𝑣𝑗 𝑘 𝑖=1 𝑘 𝑗=1 = [𝐻𝑓(𝑃 + 𝑡𝑣) ∙ 𝑣] ∙ 𝑣 = 𝑣 ∙ [𝐻𝑓(𝑃 + 𝑡𝑣) ∙ 𝑣] 𝜙"(0) = [𝐻𝑓(𝑃) ∙ 𝑣] ∙ 𝑣 = 𝑣 ∙ [𝐻𝑓(𝑃) ∙ 𝑣] → 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎 𝑞𝑢𝑎𝑑𝑟𝑎𝑡𝑖𝑐𝑎 𝑖𝑛 𝑣 TEOREMA Siano 𝑓 ∈ 𝐶2 su 𝐴 ⊂ ℝ𝑘 aperto, 𝑃 = (𝑥1, ⋯ , 𝑥𝑘), 𝑣 = (𝑣1,⋯ , 𝑣𝑘) + 𝑜: [𝑃, 𝑃 + 𝑣] ⊂ 𝐴 Allora ∃𝜗 ∈ (0,1) (dipendente da P e v) tale che: 𝑓(𝑃 + 𝑣) = 𝑓(𝑃) + ∇𝑓(𝑃) ∙ 𝑣 + 1 2 [𝐻𝑓(𝑃 + 𝜗𝑣) ∙ 𝑣] ∙ 𝑣 Dim. Per formula di Taylor per 𝜙(𝑡) = 𝑓(𝑃 + 𝑡𝑣) e 𝜙(1) = 𝜙(0) + 𝜙′(0) + 1 2 𝜙"(𝜗) 𝜙′(0) = ∇𝑓(𝑃 + 𝑡𝑣)|𝑡=0 ∙ 𝑣 = ∇𝑓(𝑃) ∙ 𝑣 1 2 𝜙"(𝜗) = 1 2 [𝐻𝑓(𝑃 + 𝜗𝑣) ∙ 𝑣] ∙ 𝑣 RICERCA MASSIMI E MINIMI Restringo la funzione su rette che passano per un punto P Se P è minimo per 𝑓, allora su ciascuna retta la restrizione di 𝑓 ha in P un minimo. Se P è massimo per 𝑓, allora su ciascuna retta la restrizione di 𝑓 ha in P un massimo. TEOREMA DI FERMAT Sia 𝑓:𝐴 → ℝ derivabile in 𝐴 ⊂ ℝ𝑘 aperto e 𝑃 ∈ 𝐴. Se 𝑃 è un estremante di 𝑓 allora ∇𝑓(𝑃) = (𝑓𝑥1(𝑃), 𝑓𝑥2(𝑃),⋯ , 𝑓𝑥𝑘(𝑃)) = (0,⋯ ,0) Dim. Sia 𝑃 = (𝑥0, 𝑦0), consideriamo la funzione parziale 𝜓: 𝑥 ⟼ 𝑓(𝑥, 𝑦0) Allora 𝜓 è derivabile in 𝑥0 𝑒 𝑥0 è estremante per 𝜓. Osserviamo che 𝑃 è interno a 𝐴 e quindi 𝑥0 è interno al dominio di 𝜓. Per il teorema di Fermat per funzioni di una sola variabile 𝜓′(𝑥0) = 0 𝑓𝑥(𝑥0, 𝑦0) = 𝜓 ′(𝑥0) = 0. In un modo analogo 𝑓𝑦(𝑥0, 𝑦0) = 0 Se 𝑓 è differenziabile allora tutte le derivate direzionali in 𝑃 sono 0. Il piano tangente al grafico di 𝑓 in (𝑃, 𝑓(𝑃)) è orizzontale (gradiente nullo). TEOREMA Se 𝑃 è minimo per 𝑓, allora 𝐻𝑓(𝑃) è semi definita positiva Se 𝑃 è massimo per 𝑓, allora 𝐻𝑓(𝑃) è semi definita negativa TEOREMA Sia 𝑓:𝐴 → ℝ di classe 𝐶2in 𝐴 ⊂ ℝ𝑘 aperto e 𝑃0 ∈ 𝐴 critico (∇𝑓(𝑃0) = 0) • Se 𝐻𝑓(𝑃0) è definita positiva allora 𝑃0 è minimo • Se 𝐻𝑓(𝑃0) è definita negativa allora 𝑃0 è massimo Cenno a dimostrazione. Se 𝐻𝑓(𝑃0) è definita positiva, allora [𝐻𝑓(𝑃) ∙ 𝑣] ∙ 𝑣 ≥ 𝑀‖𝑣‖ 2 ∀𝑃 in un intorno di 𝑃0 Per 𝑃 abbastanza vicino a 𝑃0 la formula di Taylor (con 𝑣 = 𝑃 − 𝑃0) porge: ∃𝜗: 𝑓(𝑃) = 𝑓(𝑃0) + ∇𝑓(𝑃0) ∙ 𝑣 + 1 2 [𝐻𝑓(𝑃0 + 𝜗𝑣) ∙ 𝑣] ∙ 𝑣 ≥ 𝑓(𝑃0) + 0 + 1 2 𝑀‖𝑣‖2 Quindi 𝑃0 è un punto di minimo. 𝐻𝑓(𝑃) definita positiva (autovalori>0) 𝑓𝑥𝑥(𝑃) > 0 𝑒 𝑜 𝑓𝑦𝑦(𝑃) > 0 det 𝐻𝑓(𝑃) > 0 𝑓𝑥𝑥(𝑃) > 0 𝑐𝑜𝑓𝑥𝑦 𝑓(𝑃) > 0 det𝐻𝑓(𝑃) > 0 Se 𝑃 è critico è minimo relativo Due dimensioni Tre dimensioni 𝐻𝑓(𝑃) definita negativa (autovalori<0) 𝑓𝑥𝑥(𝑃) < 0 𝑒 𝑜 𝑓𝑦𝑦(𝑃) < 0 det 𝐻𝑓(𝑃) > 0 𝑓𝑥𝑥(𝑃) < 0 𝑐𝑜𝑓𝑥𝑦 𝑓(𝑃) > 0 det𝐻𝑓(𝑃) > 0 Se 𝑃 è critico è massimo relativo Due dimensioni Tre dimensioni 𝑐𝑜𝑓𝑥𝑦 𝑓(𝑃) = det ( 𝑓𝑥𝑥(𝑃) 𝑓𝑥𝑦(𝑃) 𝑓𝑥𝑦(𝑃) 𝑓𝑦𝑦(𝑃) ) 𝐻𝑓(𝑃) = ( 𝑓𝑥𝑥(𝑃) 𝑓𝑥𝑦(𝑃) 𝑓𝑥𝑧(𝑃) 𝑓𝑥𝑦(𝑃) 𝑓𝑦𝑦(𝑃) 𝑓𝑦𝑧(𝑃) 𝑓𝑥𝑧(𝑃) 𝑓𝑦𝑧(𝑃) 𝑓𝑧𝑧(𝑃) ) OPERATORI DIFFERENZIALI • Operatore gradiente che agisce sui campi scalari 𝑔𝑟𝑎𝑑 = ∇= 𝑖̂ 𝜕 𝜕𝑥 + 𝑗̂ 𝜕 𝜕𝑦 + ?̂? 𝜕 𝜕𝑧 Trasforma un campo scalare in un campo vettoriale • Operatore laplaciano che agisce sui campi scalari ∆= 𝜕2 𝜕𝑥2 + 𝜕2 𝜕𝑦2 + 𝜕2 𝜕𝑧2 Se 𝑓: 𝐴 ⊆ ℝ3 → ℝ di classe 𝐶2 allora è definito ∆𝑓(𝑥) ∈ ℝ ∀𝑥 ∈ 𝐴 e ∆𝑓(𝑥) = 𝜕2𝑓(𝑥) 𝜕𝑥2 + 𝜕2𝑓(𝑥) 𝜕𝑦2 + 𝜕2𝑓(𝑥) 𝜕𝑧2 • Operatore divergenza Sia 𝑓:𝐴 ⊆ ℝ𝑘 → ℝ𝑘 con 𝑓(𝑥1, 𝑥2, ⋯ , 𝑥𝑘) = (𝑓1(𝑥), 𝑓2(𝑥),⋯ , 𝑓𝑘(𝑥)) un campo di 𝐶′(𝐴) Si definisce divergenza di 𝑓: 𝑑𝑖𝑣 𝑓 = ∇ ∙ 𝑓 = ( 𝜕 𝜕𝑥1 , 𝜕 𝜕𝑥2 , ⋯ , 𝜕 𝜕𝑥𝑘 ) ∙ (𝑓1, 𝑓2, ⋯ , 𝑓𝑘) = ∑ 𝜕𝑓𝑖 𝜕𝑥𝑖 𝑘 𝑖=1 Trasforma un campo vettoriale in un campo scalare. • Operatore rotore Sia 𝑓:𝐴 ⊆ ℝ3 → ℝ3 un campo vettoriale di classe 𝐶1 su 𝐴. Si definisce rotore di 𝑓(?̅?) = (𝑓1(?̅?), 𝑓2(?̅?), 𝑓3(?̅?)) il campo vettoriale denotato con 𝑟𝑜𝑡 (𝑓) dato da: 𝑟𝑜𝑡(𝑓(?̅?)) = ( 𝜕𝑓3(?̅?) 𝜕𝑦 − 𝜕𝑓2(?̅?) 𝜕𝑧 ) 𝑖̂ + ( 𝜕𝑓1(?̅?) 𝜕𝑧 − 𝜕𝑓3(?̅?) 𝜕𝑥 ) 𝑗̂ + ( 𝜕𝑓2(?̅?) 𝜕𝑥 − 𝜕𝑓1(?̅?) 𝜕𝑦 ) ?̂? = ( 𝜕𝑓3(?̅?) 𝜕𝑦 − 𝜕𝑓2(?̅?) 𝜕𝑧 , 𝜕𝑓1(?̅?) 𝜕𝑧 − 𝜕𝑓3(?̅?) 𝜕𝑥 , 𝜕𝑓2(?̅?) 𝜕𝑥 − 𝜕𝑓1(?̅?) 𝜕𝑦 ) = ∇𝑥 𝑓(?̅?) INTEGRAZIONE MULTIPLA DEFINIZIONE Sia 𝑅 un rettangolo con i lati paralleli agli assi cartesiani e 𝑓:𝑅 → ℝ. Si dice che un numero 𝐿 ∈ ℝ è l’integrale doppio di 𝑓 su 𝑅 se, fissato un arbitrario 𝜀 > 0 (piccolo a piacere) esiste 𝛿 > 0 tale che, comunque si prenda una partizione puntata 𝛼 con parametro di finezza |𝛼| < 𝛿 ⟹ |∑𝛼 − 𝐿| < 𝜀 Se ciò accade si scrive lim |𝛼|→0 ∑𝑥 = 𝐿 e la funzione 𝑓 si dice integrabile si 𝑅 (secondo Cauchy-Riemann) e la quantità limite si dice integrale di 𝑓 su 𝑅; tale limite 𝐿 si denota in maniera più espressiva come: ∬ 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦 𝑅 𝑜𝑝𝑝𝑢𝑟𝑒 ∫ 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦 𝑅 𝑒 𝐿 = ∬ 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦 𝑅 DEFINIZIONE Un sottoinsieme 𝐿 di ℝ2 si dice trascurabile oppure di misura bidimensionale nulla se ∀𝜀 > 0 allora 𝐿 può essere ricoperto con una famiglia (al più) numerabile di rettangoli di area totale minore di 𝜀 (nel senso che la somma o la serie delle aree dei rettangoli è minore di 𝜀) L’unione di un numero finito (o di un’infinità numerabile) di insiemi trascurabili è ancora un insieme trascurabile TEOREMA DI INTEGRABILITA’ Una funzione 𝑓: [𝑎, 𝑏] × [𝑐, 𝑑] → ℝ è integrabile sul rettangolo 𝑅 = [𝑎, 𝑏] × [𝑐, 𝑑] se e solo se 𝑓 è limitata e l’insieme dei suoi punti di discontinuità è trascurabile. Somma, prodotto e composizione di funzioni integrabili sono ancora funzioni integrabili (il quoziente potrebbe essere una funzione non limitata quindi non integrabile). Se : [𝑎, 𝑏] × [𝑐, 𝑑] → ℝ è continua sul rettangolo 𝑅 allora è anche integrabile sul tale rettangolo, essendo limitata (per il teorema di Weierstrass) ed avendo un insieme vuoto (e quindi trascurabile) di punti di discontinuità. Più in generale, se una funzione ha un numero finito (o un’infinità numerabile) di punti di discontinuità, allora, purché sia limitata, è integrabile. TEOREMA DI EQUIVALENZA Siano 𝑓 e 𝑔 due funzioni integrabili in un rettangolo 𝑅 = [𝑎, 𝑏] × [𝑐, 𝑑] Se esse differiscono soltanto di un insieme trascurabile di punti di 𝑅 allora vale che: ∬ 𝑓 𝑑𝑥𝑑𝑦 𝑅 =∬ 𝑔 𝑑𝑥𝑑𝑦 𝑅 Osservazione…per integrare una funzione 𝑓 su un rettangolo 𝑅, non serve che questa sia necessariamente definita su tutti i punti di 𝑅. Ad esempio, se non è definita su un numero finito di punti di 𝑅 può essere estesa con valori arbitrari in tali punti. Dal teorema di equivalenza ne segue che due differenti estensioni hanno lo stesso integrale. DEFINIZIONE Dato un insieme di misura non nulla 𝐴 ⊆ ℝ2, il suo centro di massa (geometrico) è il punto di coordinate (𝑥𝑐 , 𝑦𝑐) che ha per ascissa la mediana delle ascisse e per ordinata la mediana delle ordinate: 𝑥𝑐 = 1 𝜇(𝐴) ∬ 𝑥 𝑑𝑥𝑑𝑦 𝐴 , 𝑦𝑐 = 1 𝜇(𝐴) ∬ 𝑦 𝑑𝑥𝑑𝑦 𝐴 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝜇(𝐴) =∬ 1 𝑑𝑥𝑑𝑦 𝐴 DEFINZIONE La massa 𝑚 di una piastra 𝐴 ⊆ ℝ2 (non necessariamente omogenea) di densità superficiale 𝜌(𝑥, 𝑦) può essere calcolata per mezzo della seguente formula: 𝑚 =∬ 𝜌(𝑥, 𝑦) 𝑑𝑥𝑑𝑦 𝐴 Le coordinate del suo centro di massa sono: 𝑥𝑐 = 1 𝑚 ∬ 𝑥𝜌(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦 𝐴 ; 𝑦𝑐 = 1 𝑚 ∬ 𝑦𝜌(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦 𝐴 𝑐𝑜𝑛 𝑚 = 𝑚𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑝𝑖𝑎𝑠𝑡𝑟𝑎 Fissato un punto 𝑃0 = (𝑥0, 𝑦0) ∈ ℝ 2, il momento di inerzia di 𝐴 rispetto a 𝑃0 (o equivalentemente rispetto a una retta passante per 𝑃0 e perpendicolare al piano) è il numero: 𝐼 = ∬ 𝑑(𝑃, 𝑃0) 2𝜌(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦 𝐴 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑑(𝑃, 𝑃0) = √(𝑥 − 𝑥0) 2 + (𝑦 − 𝑦0) 2 TEOREMA DI PAPPO GULDINO (solidi di rotazione) Sia 𝐴 un insieme trascurabile e limitato contenuto in unn semipiano delimitato da una retta 𝛼. Il volume del solido che si ottiene ruotando 𝐴 di un angolo di 2𝜋 intorno alla retta 𝛼 è dato dal prodotto dell’area di 𝐴 per la lunghezza della circonferenza percorsa dal centro di massa di 𝐴. DEFINIZIONE (simmetria nel piano) Una simmetria 𝑆:ℝ2 → ℝ2 è una mappa biunivoca tale che 𝑆(𝑆(𝑥, 𝑦)) = (𝑥, 𝑦) e tale che mantiene la distanza, ovvero 𝑑(𝑃, 𝑃0) = 𝑑(𝑆(𝑃) − 𝑆(𝑃0)) DEFINIZIONE 𝑓: 𝐷 ⊆ ℝ2 → ℝ si dice pari rispetto alla simmetria 𝑆 se 𝑓(𝑆(𝑥, 𝑦)) = 𝑓(𝑥, 𝑦), si dice dispari rispetto alla simmetria 𝑆 se 𝑓(𝑆(𝑥, 𝑦)) = −𝑓(𝑥, 𝑦) PROPOSIZIONE Sia 𝐴 ⊆ ℝ2 regolare, simmetrico rispetto alla simmetria 𝑆 e 𝑓:𝐴 → ℝ invertibile. Allora: 1. Se 𝑓 è dispari rispetto a 𝑆: ∬ 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦 𝐴 = 0 2. Se 𝑓 è pari rispetto alla simmetria 𝑆: ∬ 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦 𝐴 = 2∬ 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦 𝐴1 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝐴 = 𝐴1 ∪ 𝑆(𝐴1) DEFINIZIONE Sia 𝑄 un parallelepipedo dato da 𝑄 = [𝑎, 𝑏] × [𝑐, 𝑑] × [𝑒, 𝑔] e data una funzione 𝑓: 𝑄 → ℝ definita in 𝑄. Si dice che 𝐿 ∈ ℝ è l’integrale triplo della funzione 𝑓 in 𝑄se, fissato un errore 𝜀 > 0, esiste 𝛿 > 0 tale che, comunque si assegni una partizione puntata 𝛼 con parametro di finezza |𝛼| < 𝛿 allora la somma ∑𝛼 dista da 𝐿 meno di 𝜀 (|∑𝛼 − 𝐿| < 𝜀). Se ciò accade si scrive lim |𝛼|→0 ∑𝛼 = 𝐿 e la funzione 𝑓 si dice integrabile in 𝑄. Il numero 𝐿 si dice integrale triplo di 𝑓 in 𝑄 e si denota come: 𝐿 =∭ 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝑄 𝑜𝑝𝑝𝑢𝑟𝑒 ∫ 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝑄 TEOREMA DI INTEGRABILITA’ Una funzione 𝑓 = 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧) è integrabile in un parallelepipedo 𝑄 se e solo se essa è limitata e l’insieme dei suoi punti di discontinuità è trascurabile. TEOREMA DI FUBINI (integrali tripli) Sia 𝑓 = 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧) una funzione definita in un parallelepipedo 𝑄 = [𝑎, 𝑏] × [𝑐, 𝑑] × [𝑒, 𝑔]. Allora, quando ha senso, risulta che: ∭ 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝑄 =∬ (∫ 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑧 𝑔 𝑒 )𝑑𝑥𝑑𝑦 𝑅 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑅 = [𝑎, 𝑏] × [𝑐, 𝑑] Osservazione: dalla definizione di 𝐿 nel limite si deduce l’integrale di 𝑓 su 𝑄, quando esiste, è unico (grazie all’unicità del limite). Inoltre, dalla proprietà del limite, si deduce che se 𝑓 e 𝑔 sono due funzioni integrabili su un parallelepipedo 𝑄 e 𝛼 e 𝛽 sono due numeri, allora 𝛼𝑓 + 𝛽𝑔 è integrabile e: ∭ (𝛼𝑓 + 𝛽𝑔) 𝑄 𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 = 𝛼∭ 𝑓 𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝑄 + 𝛽∭ 𝑔 𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝑄 DEFINIZIONE Un sottoinsieme limitato 𝐴 ⊆ ℝ3 si dice misurabile (secondo Peano-Jordan) quando è integrabile in 𝐴 la funzione 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧) ≡ 1. In tal caso la misura, tridimensionale, di 𝐴, detta anche volume, è il numero: 𝜇3(𝐴) =∭ 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝐴 =∭ 1 𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝐴 TEOREMA DI ADDITIVITA’ Supponiamo che la funzione 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧) sia integrabile sia in un insieme 𝐴 che in un insieme 𝐵 tali che 𝐴 ∩ 𝐵 = ∅ (o più in generale che 𝐴 ∩ 𝐵 sia trascurabile). Allora 𝑓 è integrabile in 𝐴 ∪ 𝐵 e vale che: ∭ 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝐴∪𝐵 =∭ 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝐴 +∭ 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝐵 DEFINIZIONE Sia 𝐴 un insieme del tipo 𝐴 = {(𝑥, 𝑦, 𝑧) ∈ ℝ3: (𝑥, 𝑦) ∈ 𝐶 ⊆ ℝ2, 𝜁1(𝑥, 𝑦) ≤ 𝑧 ≤ 𝜁2(𝑥, 𝑦)} dove 𝜁1, 𝜁2: 𝐶 → ℝ sono due funzioni continue su un sottoinsieme chiuso e limitato 𝐶 ⊆ ℝ2. L’insieme 𝐴 si dice semplice rispetto all’asse delle 𝑧 (o 𝑧-semplice) poiché ogni retta parallela a tale asse interseca 𝐴 in un unico intervallo di estremi 𝜁1(𝑥, 𝑦), 𝜁2(𝑥, 𝑦) per (𝑥, 𝑦) ∈ 𝐶. Supponiamo che 𝑓 sia una funzione integrabile in 𝐴. Dal teorema di Fubini si ottiene la seguente formula di riduzione, detta anche formula di integrazione per “fili” (paralleli all’asse 𝑧), valida per gli insiemi che sono 𝑧-semplici: ∭ 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝐴 =∬ (∫ 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑧 𝜁2(𝑥,𝑦) 𝜁1(𝑥,𝑦) )𝑑𝑥𝑑𝑦 𝐶 Dove 𝐶 è la proiezione ortogonale di 𝐴 sul piano 𝑥𝑦 e 𝜁1, 𝜁2: 𝐶 → ℝ sono due funzioni continue i cui grafici delimitano 𝐴. Si hanno formule analoghe per fili paralleli all’asse 𝑥 e per fili paralleli all’asse 𝑦. Dal teorema di Fubini si può dedurre anche la formula di integrazione per “fette”. Sia (𝑥, 𝑦, 𝑧) ⟼ 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧) una funzione integrabile in un insieme limitato 𝐴 ⊆ ℝ3. Fissato 𝑧 ∈ ℝ denotiamo con 𝐴𝑧 l’insieme: 𝐴𝑧 = {(𝑥, 𝑦) ∈ ℝ 2: (𝑥, 𝑦, 𝑧) ∈ 𝐴}. Tale insieme 𝐴𝑧 rappresenta la fetta (eventualmente vuota) che si ottiene tagliando 𝐴 con il piano perpendicolare all’asse 𝑧 e passante per il punto (0,0, 𝑧). Sia [𝑎, 𝑏] un intervallo contenente la proiezione ortogonale di 𝐴 sull’asse 𝑧. Allora vale la seguente formula: ∭ 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝐴 = ∫ (∬ 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦 𝐴𝑧 )𝑑𝑧 𝑏 𝑎 Osservazione: dalla formula si deduce subito che il volume 𝜇3(𝐴) di un solido 𝐴 la cui proiezione ortogonale all’asse 𝑧 risulti contenuta in un intervallo [𝑎, 𝑏] si ottiene integrando tra 𝑎 e 𝑏 l’area 𝜇2(𝐴𝑧) della generica fetta 𝐴𝑧: 𝜇3(𝐴) = ∫ 𝜇2(𝐴𝑧)𝑑𝑧 𝑏 𝑎 Se l’intervallo è troppo grande allora alcune fette saranno vuote e quindi per tali fette 𝜇2(𝐴𝑧) = 0, vale quindi la formula: 𝜇3(𝐴) =∭ 1 𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝐴 = ∫ (∬ 1 𝑑𝑥𝑑𝑦 𝐴𝑧 )𝑑𝑧 𝑏 𝑎 = ∫ 𝜇2(𝐴𝑧)𝑑𝑧 𝑏 𝑎 CAMBIAMENTO DI COORDINATE • Coordinate sferiche 𝑇: [0, +∞] × [0, 𝜋] × [0,2𝜋] → ℝ3 (𝜌, 𝜑, 𝜃) ⟼ 𝑇(𝜌, 𝜑, 𝜃) 𝑇(𝜌, 𝜑, 𝜃) = (𝜌 𝑠𝑒𝑛𝜑𝑐𝑜𝑠𝜃, 𝜌 𝑠𝑒𝑛𝜑𝑠𝑒𝑛𝜃, 𝜌 𝑐𝑜𝑠𝜑) 𝐽𝑇(𝜌, 𝜑, 𝜃) = [ 𝑠𝑒𝑛𝜑𝑐𝑜𝑠𝜃 𝜌 𝑐𝑜𝑠𝜑𝑐𝑜𝑠𝜃 − 𝜌 𝑠𝑒𝑛𝜑𝑠𝑒𝑛𝜃 𝑠𝑒𝑛𝜑𝑠𝑒𝑛𝜃 𝜌 𝑐𝑜𝑠𝜑𝑐𝑜𝑠𝜃 𝜌 𝑠𝑒𝑛𝜑𝑐𝑜𝑠𝜃 𝑐𝑜𝑠𝜑 − 𝜌𝑠𝑒𝑛𝜑 0 ] 𝑑𝑒𝑡𝐽𝑇(𝜌, 𝜑, 𝜃) = 𝜌 2 𝑠𝑒𝑛𝜑 > 0 • Coordinate cilindriche 𝑇(𝜌, 𝜑, 𝜃) = (𝜌 𝑐𝑜𝑠𝜃, 𝜌 𝑠𝑒𝑛𝜃, 𝑧) 𝐽𝑇(𝜌, 𝜑, 𝜃) = [ 𝑐𝑜𝑠𝜃 − 𝜌 𝑠𝑒𝑛𝜃 0 𝑠𝑒𝑛𝜃 𝜌 𝑐𝑜𝑠𝜃 0 0 0 1 ] 𝑑𝑒𝑡𝐽𝑇(𝜌, 𝜑, 𝜃) = 𝜌 > 0 𝑝𝑒𝑟 𝜌 > 0 TEOREMA DEL CABIAMENTO DI VARIABILE Sia 𝑇(𝑢, 𝑣, 𝑤) = (𝑇1(𝑢, 𝑣, 𝑤), 𝑇2(𝑢, 𝑣, 𝑤), 𝑇3(𝑢, 𝑣,𝑤)) un’applicazione continua da un insieme chiuso e limitato 𝐷 ⊆ ℝ3 (𝑇:𝐷 → ℝ3). Supponiamo che le frontiere di 𝐷 e di 𝑇(𝐷) siano trascurabili e che 𝑇 sia 𝐶1, 𝑑𝑒𝑡𝐽𝑇 ≠ 0 e 𝑇 iniettiva in 𝐷𝑜. Allora, data una funzione di tre variabili 𝑓 continua su 𝑇(𝐷) risulta: ∭ 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝑇(𝐷) =∭ 𝑓(𝑇1(𝑢, 𝑣,𝑤), 𝑇2(𝑢, 𝑣,𝑤), 𝑇3(𝑢, 𝑣,𝑤))|𝑑𝑒𝑡𝐽𝑇(𝑢, 𝑣, 𝑤)| 𝑑𝑢 𝑑𝑣 𝑑𝑤 𝐷 DEFINIZIONE Sia 𝜌 = 𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧) la densità di un solido 𝐴 (assumiamo 𝜌 ≥ 0 in 𝐴), allora la massa del solido è il numero: 𝑚 =∭ 𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝐴 Inoltre, si ha che dette (𝑥𝑐 , 𝑦𝑐 , 𝑧𝑐) le coordinate del baricentro di 𝐴 segue che: 𝑥𝑐 = 1 𝑚 ∭ 𝑥𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝐴 , 𝑦𝑐 = 1 𝑚 ∭ 𝑦𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝐴 , 𝑧𝑐 = 1 𝑚 ∭ 𝑧𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝐴 Fissato un punto 𝑃0 = (𝑥0, 𝑦0, 𝑧0), il momento di inerzia di 𝐴 rispetto ad un asse passante per il punto 𝑃0 è: 𝐼 =∭ 𝑑(𝑃 − 𝑃0) 2𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝐴 =∭ 𝑑2(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝐴 Inoltre: • Se l’asse di rotazione è l’asse 𝑧 ⟹ 𝑑2(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑥2 + 𝑦2 • Se l’asse di rotazione è l’asse 𝑦 ⟹ 𝑑2(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑥2 + 𝑧2 • Se l’asse di rotazione è l’asse 𝑥 ⟹ 𝑑2(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑦2 + 𝑧2 METODO DEI MOLTIPLICATORI DI LAGRANGE 𝐹(𝑥, 𝑦, 𝜆) = 𝑓(𝑥, 𝑦) − 𝜆𝑔(𝑥, 𝑦) troviamo i punti critici di 𝐹 𝜕𝐹 𝜕𝑥 = 𝜕𝑓 𝜕𝑥 − 𝜆 𝜕𝑔 𝜕𝑥 = 0 𝜕𝐹 𝜕𝑦 = 𝜕𝑓 𝜕𝑦 − 𝜆 𝜕𝑔 𝜕𝑦 = 0 𝜕𝐹 𝜕𝜆 = −𝑔(𝑥, 𝑦) = 0 DEFINIZIONE Una curva semplice chiusa si chiama anche curva di Jordan. Se ho una curva di Jordan: - La curva è orientata in senso antiorario - 𝜕𝑈 frontiera di 𝑈 - 𝜕𝑈+ frontiera orientata di 𝑈 𝜈1 = ( 𝑣1 0 ) 𝜈2 = ( 0 𝑣2 ) { ∫ 〈𝜈1, 𝜏〉𝑑𝑠 𝜕𝑈+ = −∬ 𝜕𝑣1 𝜕𝑦 𝑑𝑥𝑑𝑦 𝑈 ∫ 〈𝜈2, 𝜏〉𝑑𝑠 𝜕𝑈+ = ∬ 𝜕𝑣2 𝜕𝑥 𝑑𝑥𝑑𝑦 𝑈 → 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑢𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝐺𝑎𝑢𝑠𝑠 − 𝐺𝑟𝑒𝑒𝑛 TEOREMA DELLA CIRCUITAZIONE ∫ 〈𝑣, 𝜏〉 𝑑𝑠 𝜕𝑈+ =∬ ( 𝜕𝑣2 𝜕𝑥 − 𝜕𝑣1 𝜕𝑦 ) 𝑑𝑥𝑑𝑦 𝑈 Se 𝑣 soddisfa la condizione necessaria per essere conservativo si ha: ∫ 〈𝑣, 𝜏〉 𝑑𝑠 𝜕𝑈 = 0 Osservazione: 𝑈 è semplicemente connesso TEOREMA DELLA DIVERGENZA Sia 𝑛 la normale esterna a 𝑈: ∫ 〈𝑣, 𝑛〉 𝑑𝑠 𝜕𝑈 =∬ 𝑑𝑖𝑣(𝑣) 𝑑𝑥𝑑𝑦 𝑈 DEFINIZIONE Supponiamo di avere un arco di curva in forma polare 𝜌 = 𝑓(𝜃) con 𝜃 ∈ [0,2𝜋] L’area è il numero: 𝐴 = 1 2 ∫ 𝑓2(𝜃) 𝑑𝜃 2𝜋 0 → 𝐼𝑛𝑡𝑒𝑔𝑟𝑎𝑙𝑒 𝐶𝑢𝑟𝑣𝑖𝑙𝑖𝑛𝑒𝑜 TEOREMA (secondo teorema della media) 𝑓, 𝑔: 𝑈 → ℝ integrabili 𝑔 > 0 inf 𝑃∈Γ 𝑓(𝑃) ≤ ∫ 𝑓𝑔 𝑑𝑠 Γ ∫ 𝑔 𝑑𝑠 Γ ≤ sup 𝑃∈Γ 𝑓(𝑃) Se 𝑓 è continua allora ∃𝑐 ∈ Γ: 𝑓(𝑐)∫ 𝑔 𝑑𝑠 Γ = ∫ 𝑓𝑔 𝑑𝑠 Γ DEFINIZIONE 𝜑:𝐷 → ℝ3, 𝜑 ∈ 𝐶1 è una superficie parametrizzata regolare se: 𝜕𝜑 𝜕𝑢 × 𝜕𝜑 𝜕𝑣 ≠ 0 𝑖𝑛 𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝐷 ∬ ‖ 𝜕𝜑 𝜕𝑢 × 𝜕𝜑 𝜕𝑣 ‖ 𝑑𝑢𝑑𝑣 𝐷 = 𝐴𝑟𝑒𝑎(𝜑(𝐷)) Data 𝑓: 𝑈 → ℝ con 𝑈 intorno di 𝜑(𝐷) ∫ 𝑓 𝑑𝜎 𝜑(𝐷) =∬ 𝑓(𝜑(𝑢, 𝑣)) ‖ 𝜕𝜑 𝜕𝑢 × 𝜕𝜑 𝜕𝑣 ‖ 𝑑𝑢𝑑𝑣 𝐷 Σ = 𝜑(𝐷) ⟹ ∫ 𝑓 𝑑𝜎 Σ =∬ 𝑓(𝜑(𝑢, 𝑣)) ‖ 𝜕𝜑 𝜕𝑢 × 𝜕𝜑 𝜕𝑣 ‖ 𝑑𝑢𝑑𝑣 𝐷 Per qualunque parametrizzazione
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