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Analisi e commento delle poesie di Ungaretti, Appunti di Letteratura Italiana

Analisi e commento delle poesie di Ungaretti richieste dal professore.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 04/10/2021

ladysalluma
ladysalluma 🇮🇹

4.5

(4)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Analisi e commento delle poesie di Ungaretti e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! ETERNO La lirica “ETERNO” apre la raccolta “ALLEGRIA” di Giuseppe Ungaretti. In essa, pur essendo breve, il poeta esprime la triste situazione in cui gli uomini si ritrovano a vivere, non riuscendo a comunicare, ovvero “l’inesprimibile nulla” che è eterno per il poeta. In questa situazione priva di comunicazione c’è il poeta il quale scrive le sue opere paragonandole ad un fiore raccolto e le dona alla gente come segno d’ amor. Parafrasi: Tra un fiore raccolto da me e un fiore donato da Dio, si rimane senza parole. Analisi: La poesia è costituita da due versi. Il primo verso si concentra sulla figura del "fiore" e, quindi, è un'immagine concreta. Inoltre il tempo è determinato, cioè misurabile tra un fiore e l'altro. Il secondo verso, invece, si concentra sul "nulla" che è "inesprimibile", sostantivo e aggettivo sono due parole astratte. In questo caso il tempo è eterno in quanto il nulla (sinonimo di vuoto) è qualcosa di non misurabile e, quindi, infinito. Poche parole, scarne ed essenziali, e allo stesso tempo enigmatiche e profonde, che rimandano a molteplici significati. 1. Tra un fiore colto: il gesto di cogliere un fiore sta a significare il fare nostro qualcosa di bello. 2. L'altro donato: questa bellezza di cogliere un fiore lo trasforma in parola e lo dona a tutti: qui il poeta coglie la bellezza ma non la tiene per sé, la vuole far conoscere agli altri. 3. L'inesprimibile nulla: tra questi due gesti, quello di cogliere il fiore e di donarlo a tutti, c'è il segreto che è un nulla, ma anche un tutto. Il poeta nel nulla può trovare tutto. Presenza di antitesi = "colto" e "donato" (v.1). Inteso come prendere per se stessi, cioè egoisticamente, e dare donando, cioè in modo altruista. Commento: In questa breve poesia il poeta esprime la triste situazione in cui gli uomini si ritrovano a vivere, non riuscendo a comunicare, ovvero "l'inesprimibile nulla" che è eterno per il poeta. Così a far da contrasto all'assenza di comunicazione viene in soccorso il poeta che, invece di comunicare a voce, comunica attraverso la poesia, che egli paragona a un fiore appena raccolto e che poi donerà alla gente come un gesto d'amore. Si può pensare che Ungaretti voglia sottolineare come le parole non sempre sono adeguate a esprimere e descrivere i gesti: le parole sono limitate, e difficilmente rendono giustizia piena ad un gesto carico di significati. Un gesto d'amore, di odio, di passione, come si può rendere realmente con le sole parole? Per quanto ci si sforzi non si riesce. Oltretutto ogni gesto ha tantissimi significati diversi a seconda delle circostanze, delle persone, delle storie delle persone coinvolte. Un fiore donato da un uomo ad una donna ha un diverso significato, se è donato ad una donna giovane o anziana, oppure, il significato potrebbe essere ancora più diverso, se è donato da un uomo ad un uomo. Dal momento che non è possibile esprimere tutto ciò con le sole parole, ma soprattutto usandone poche, ecco che forse è meglio tacere, far parlare il solo gesto, nient'altro. NOIA La poesia "Noia" è stata scritta dal poeta Giuseppe Ungaretti nel 1914 e fa parte della raccolta l'allegria. Parafrasi: Questa notte, come le altre, finirà Intorno a questa solitudine oscillante come l'ombra dei fili del tram che si riflette sull'asfalto bagnato Osservo le teste dei vetturini che mezzi addormentati oscillano (anche loro). analisi: qui la metrica è caratterizzata da versi liberi. La lirica vive di tre momenti diversi e divisi nel testo dalla spaziatura, che però sono legati con il titolo: lo stato di noia. Il legame tra il verso iniziale e la prima terzina è presente per via dell'aggettivo dimostrativo "questa", che Ungaretti utilizza per mettere in evidenza delle realtà astratte (qui riferito a notte e solitudine). | versi 2 e 3 sono caratterizzati dall'analogia: l'idea della solitudine è suggerita dall'ombra dei fili tranviari, in cui si raccoglie un'immagine di realtà inconsistente e incorporea. | fili stessi segnano appena un'esile quanto inafferrabile direzione spaziale, che attraversa l'astratta e vuota(in senso metafisico) profondità dell'ambiente circostante (in giro) , raccogliendosi nell'immagine sensoriale e visiva dell'umido asfalto. Il punto di vista è ricondotto, in apertura dell'ultima terzina, alla persona del soggetto «guardo» , che scorge solo qualche figura oscillante: l'infinito "tentennare" (che occupa per intero il verso conclusivo) riprende il «tentennare» del verso 3, anche sul piano delle componenti foniche ("t" e n", associate tra di loro o con le vocali "a" ed "e"). A sua volta è giustificato dalla sonnolenza (nel mezzo sonno) che, richiamando le immagini della notte e dell'ombra, si materializza anche nelle "teste dei brumisti" (al di là del suo significato letterale, questo termine rimanda, per associazione verbale, alla "bruma", ossia alla nebbia, alla foschia). Brumisti vuol dire vetturini di piazza, un tipo di carrozze. Enjambements: vv. 2-3; 3-4; 5-6; 6-7. Epifora: "Questa" (vv. 1-2). Sinonimia: "titubante" (v. 3) e "tentennare" (v. 7). Commento: Ungaretti sceglie come argomento centrale della poesia la condizione esistenziale della noia; questa nasce dall'idea della solitudine che c'è intorno, nell'ombra dei fili dei tram che attraversano uno spazio vuoto e si stagliano sull'umido asfalto. L'immagine della noia per il poeta, si concretizza nella figura dei brumisti, vetturini di piazza, che vacillano nel sonno. Commento: La poesia parla della morte di un caro amico di Ungaretti, Mohammed Sceab, con il quale Ungaretti aveva condiviso una parte della sua vita negli anni giovanili ad Alessandria d'Egitto e in seguito a Parigi in Francia. Nella poesia emergono i due destini a confronto: il destino tragico di Mohammed e il destino, sempre sofferente, ma con un diverso epilogo del poeta. Mohammed Sceab, un giovane arabo discendente di emiri, si è ucciso perché non aveva più una patria. Stanco di vivere in una tenda del deserto, aveva raggiunto Ungaretti nella grande metropoli francese e li aveva cambiato il suo nome Mohammed in Marcel. Ma non basta mutare il nome per sentirsi francese: a Parigi, lui, figlio di un capo tribù, era un emarginato della società, era "nessuno"! E così, non potendo vivere a Parigi, né volendo ritornare nel deserto, patria dei suoi avi, si era tolto la vita. L'amico ha pagato con il suicidio l'incapacità di uscire dalla solitudine attraverso relazioni d'amore e di amicizia. Entrambi i personaggi si ritrovano senza patria, senza radici. È diverso però l'esito: Ungaretti - come si coglie nel finale - si salva grazie alla poesia, cioè nel canto, in cui trova una risposta alle sue sofferenze, perché ha la funzione di conservare nella memoria gli avvenimenti e le persone, mantenendo in vita il loro significato. Invece per l'amico la poesia non è intervenuta a costituire un elemento di aiuto e di risposta ai propri bisogni ed alle proprie ansie. Si nota da questo testo che Ungaretti vede nella poesia una funzione sacrale, in quanto la poesia è una conoscenza che si diffonde su una totalità di contenuti che risultano indeterminati: l'uomo, la vita, la morte. Attraverso la scrittura l'uomo, pur essendo senza radici, riesce a sublimare i valori dello sradicamento, della mancanza di una patria e della vita in solitudine in un paese straniero dove è difficile ambientarsi. In sostanza il testo, posto a premessa della raccolta, è un canto che inneggia al valore e anche dalla funzione della poesia come memoria e ricordo. PORTO SEPOLTO. La poesia "Il porto sepolto" è stata scritta dal poeta Giuseppe Ungaretti, è datata "Mariano il 29 giugno 1916" e fa parte dell'omonima raccolta di cui è la poesia di apertura. | temi trattati sono la poesia come immersione nelle profondità dell'io - l'ascolto delle radici nascoste della vita - la dispersione della poesia ai lettori. Analisi: Lo schema metrico si presenta caratterizzato da due strofe di versi liberi. La prima strofa si riassume in tre momenti, che esprimono il senso stesso del far poesia secondo Ungaretti. La poesia è definita come: viaggio = è immersione nell'io profondo, nelle radici nascoste, alle quali la poesia attinge i propri canti; ritorno = la poesia è poi una risalita alla luce, un ritorno all'esperienza del mondo, vissuta tra gli altri; dispersione = i canti si disperdono nell'attimo in cui si comunicano al mondo: il messaggio della poesia è fragile, affidato alle cure ai lettori. La seconda strofa dopo il dinamismo della prima, si sofferma su ciò che il poeta giudica il risultato più prezioso della precedente avventura: il nulla / d'inesauribile segreto. Si tratta di un'immagine coraggiosa, intraducibile: da una parte vi è il vuoto, il nulla, appunto e dall'altra un segreto inestimabile e inesauribile. Tale segreto coincide con la vita profonda dell'io, con la sua memoria personale; ma riguarda anche un orizzonte più largo, il mondo delle origini, a cui rinvia la leggenda del porto sepolto dell'antica Alessandria. Il linguaggio poetico di Ungaretti è essenziale: i versi sono brevissimi, spezzettati, come a cercare la rarefazione della parola isolata, pura, pronunciata nel silenzio. Molto significativa è in questa lirica l'assenza totale della punteggiatura, come nel suo stile ermetico: la lingua nuova della poesia novecentesca si libera dalle regole del linguaggio tradizionale; il discorso, che un tempo era affidato alla sintassi e alla punteggiatura, è ora comunicato anche attraverso il silenzio degli spazi bianchi. Nel verso 1 «vi arriva» si intende al porto sepolto, che è poi il titolo del canto. Anafora = "e poî" "e lî" (vv. 2-3). Anafora = "di cui è stata" e "di inesauribile" (vv. 4-7) Metafora = "torna alla luce" (v. 2). Ossimoro = "nulla / di inesauribile" (vv. 6-7). Enjambements = vv. 1-2; 2-3; 4-5; 5-6; 6-7. Commento: Il testo, come già detto, è un richiamo alla funzione del poeta che è quella di riportare alla luce ciò che è nascosto, ciò che non si vede, ciò che è rimasto sepolto dalla dimenticanza e dal tempo. Il poeta ha quasi la funzione di un palombaro che si inabissa per compiere un processo culturale e psicologico; infatti egli sprofonda al disotto della superficie della vita e ed è proprio lì che prende la forza per il suo canto e riporta con le sue parole alla luce quello che è rimasto nascosto. L'uso del pronome "Vi" sta a significare che il poeta viaggia verso il "SUO" porto sepolto, un luogo familiare, e vi si immerge; esce di nuovo alla luce con i propri versi; e li dona al mondo, disperdendoli. Il porto è un luogo reale, ma è anche un luogo privo di dimensioni, perciò la poesia resta alla fine un qualche cosa di inafferrabile e lo stesso termine porto sepolto resta un paradosso espressivo. Per Ungaretti la Poesia delle cose è nascosta ed il poeta deve scoprirla per poi restituirla a tutti, ma rimarrà sempre qualcosa di segreto nella poesia (inesauribile segreto), perché è questo che la rende tale. La poesia è ciò che può sopravvivere nel difficile momento della guerra, della sofferenza, della distruzione. Il messaggio che il poeta ci vuole dare è quello di un nulla, di un segreto sconfinato che, per ciò stesso, è un segreto inesauribile. LINDORO DI DESERTO. Analisi: Le poesie contenute nella raccolta L'Allegria sono tutte datate e da ciò possiamo notare che la poesia "Lindoro di deserto" sia stata scritta il giorno precedente in cui il poeta scriverà la poesia Veglia, dove si trovava a passare la notte buttato vicino a un compagno. Come già visto in altre poesie non è presente la punteggiatura. Il titolo "Lindoro di deserto" va suddiviso in due parti: Lindoro + è il nome di una maschera veneziana della commedia di Carlo Goldoni della Trilogia di Zelinda e Lindoro. Il personaggio in questione è un giovane innamorato. Di deserto + è un riferimento alla guerra, perché si combatte in ampi spazi all'aperto. Nella notte del 22 dicembre 1915, Ungaretti si trova in trincea ma non ci sono sparatorie, anzi, sta "godendo" del suo turno di riposo o forse c'è una breve tregua. In realtà è una delle tanti notti difficili per via del freddo tipico della stagione invernale, vi è anche la nebbia e quindi c'è scarsa visibilità, e non vede l'ora che giunga l'alba perché il Sole riscalda e consente di avere una visuale migliore. E così arriva l'alba e, il paesaggio che prima sembrava come se fosse avvolto dalle tenebre, per via del vento che allontana (spippola) la nebbia un po' alla volta, arriva in modo crescente un bagliore rossastro (il poeta dice che la sensazione è quella che si ha quando si stacca un pezzo alla volta un qualcosa, lui nomina il corallo, ma forse l'intento è quello di paragonarlo al rosario che si recita dicendo una preghiera per ogni perla della collana del rosario). La sete di baci di cui si parla nel testo ribadisce il concetto che l'alba è il momento poetico per eccellenza, come se avesse labbra da baciare. E con la luce e il calore riprende la vita, come se sentisse l'alba dentro di sé. Come conseguenza di questo cambiamento climatico e umorale del poeta, riprendono vita anche i pensieri nostalgici, in compenso se prima si sentiva smarrito per la nebbia (sia quella reale che metaforica), adesso in assenza della nebbia ha di nuovo ritrovato l'orientamento ("i punti dimondo che aveva come compagni" sono i 4 punti cardinali). E così Ungaretti si colloca nello spazio sostenendo che, in quanto uomo, è in balia del viaggio dell'esperienza. Durante questo viaggio vi sono le soste di sonno, che è il modo di procedere di una carovana nel deserto che si ferma solo quando è l'ora di dormire. Il riferimento al deserto, che è solo nei suoi pensieri perché appunto non si trova lì nel momento in cui scrive questa poesia, è dovuto al fatto che ha trascorso la giovinezza ad Alessandria d'Egitto. Per la condizione dell'uomo di essere in balia del viaggio non gli è concesso sostare e, in suo soccorso arriva il sole, che è la vita, ovvero una figura riparatrice che cancella la malinconia (il sole spegne il pianto). E con il verso "mi copro di un tepido manto" il poeta vuole dirci che la luce del sole lo riscalda come una coperta d'oro puro (il colore d'oro è anche un riferimento alla sabbia del deserto). Infine conclude la poesia con i versi "Da questa terrazza di desolazione i braccio mi sporgo al buon tempo" in cui riappare il presente devastato dalla trincea carsica che Ungaretti descrive come una terrazza di desolazione, dal momento che davanti a lui ha solo deserto e solitudine. La presenza del sole è così confortante per il poeta che gli ha permesso di ritrovare quella vitalità che pareva aver perso in quella notte e rivolge le sue braccia verso la luce del sole come se lo stesse abbracciando. Sebbene lo spettro della guerra rimane sempre sullo sfondo vi è un sole che tutte le mattine sorge ugualmente: quello che vuole esprimere il poeta in questi versi è che l'alba rappresenta un giorno che comincia, un nuovo inizio, ed è sufficiente questo per non perdere la speranza. Silenzio degli occhi = sinestesia (v. 2). Sete di baci = metafora (v. 4). Allibisco all'alba = allitterazione di L e B (v. 5). Sino alla morte in balia del viaggio = anastrofe (v. 11). Cioè: "in balia del viaggio sino alla morte". Il sole spegne il pianto = metafora (v. 13) Manto/ di lind'oro = enjambement (vv. 14-15). Terrazza di desolazione = metafora (v. 16). FASE D’ORIENTE. La poesia "Fase d'oriente" è stata scritta da Giuseppe Ungaretti, porta l'indicazione "Versa, il 27 aprile 1916" e fa parte della raccolta L'Allegria, all'interno della sezione // porto sepolto. Analisi: Fase d'oriente: il titolo è divisibile in due parti, la "fase" è il momento di svago e di sospensione, mentre "l'oriente" va inteso in senso fiabesco, un luogo dove si può fantasticare. Nel molle giro di un sorriso ci sentiamo legare da un turbine di germogli di desiderio = il sorriso dell'anima è paragonato a quello di una donna ed è per questo che fa uso degli aggettivi "dolcezza" e "morbidezza". E in questa atmosfera germoglia (= si sviluppa) un desiderio di legame così forte che lo definisce un vortice (movimento vorticoso) inevitabile. Ci vendemmia il sole = va inteso come essere impregnati di sole, pieni di sole. Il sole rappresenta l'elemento "maschile" fecondatore, che feconda la terra e fa germogliare la vita: l'atto del vendemmiare è il momento in cui utilizziamo tutte le energie per abbandonarci al desiderio. La vendemmia è sia il periodo della raccolta dell'uva, ma in generale è anche un momento di felicità, un premio per tutto il lavoro svolto durante l'anno. Chiudiamo gli occhi per vedere nuotare in un lago infinite promesse = ciò che si vede all'esterno passa in secondo piano rispetto a ciò che si può vedere dentro: i ricordi. Il sole, qui sembra fecondare la vista, e chiudendo gli occhi è possibile scendere nelle profondità e trovare le dolcezze che sono svanite nel tempo (le "infinite promesse"). Ci rinveniamo a marcare la terra con questo corpo che ora troppo ci pesa = e passata questa fase di "sogno" si ritorna nuovamente nella realtà: come un brusco risveglio. L'espressione "a marcare la terra" sta a significare che lasciamo un solco sulla terra come un aratro, usando il peso del nostro corpo (paragone che fa da contrasto al fatto che nella fase del sogno non siamo in grado di percepire il nostro peso). Il risveglio da questa "fase d'oriente" affligge sia l'anima sia il corpo, che si "appesantisce" di fronte alla realtà. Antitesi = "Chiudiamo gli occhi per vedere" (vv. 5-6). Anafora = "ci" (v. 2, 4, 8). TRAMONTO. La poesia "Tramonto" è stata scritta da Giuseppe Ungaretti, porta l'indicazione "Versa, il 20 maggio 1916" e fa parte della raccolta L'allegria all'interno della sezione // porto sepolto. Analisi: All'interno della sezione // porto sepolto, la poesia "Tramonto", si trova collocata dopo la poesia “fase d'oriente”: non è una collocazione casuale, infatti quando usa i termini "oasi" o "nomade" non fa nessun riferimento all'Oriente o al deserto egiziano, perché lo ha già fatto nella poesia precedente e, quindi, questa ne è il continuo. Anche "i/ carnato del cielo" fa riferimento al tramonto nel deserto. Non va dimenticato che Ungaretti è nato ad Alessandria d'Egitto e che il paesaggio della sua città natale è molto presente in questa raccolta. Per Ungaretti la parola deve essere innocente e capace di recuperare i contatti del passato; deve essere intensificata e lui concentra tutto il verso in un'unica parola. Primo verso: Essendo il cielo di un colore rosaceo, per via del sole al tramonto, adotta il termine "carnato" che sta per carnagione. È come se al cielo volesse dargli un volto tondo e paffuto con le guance rosa. Secondo verso: significa che il colorito del cielo fa scaturire nell'innamorato delle forti emozioni come quelle che proverebbe un nomade che attraversando il deserto vede l'oasi, ovvero un luogo che offre sollievo e ristoro. Terzo verso: il nomade d'amore è un individuo che è in cerca di amore, ne ha bisogno, così come metaforicamente chi attraversa il deserto ha bisogno di trovare un oasi per assetarsi dopo un lungo viaggia intrapreso senza sosta. In questa poesia la meta del nomade potrebbe essere la terra promessa. Con questo termine si indica la regione compresa tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano, attualmente divisa tra gli Stati di Israele e di Palestina. L'aggettivo si riferisce al significato spirituale di quella terra per ebrei, cristiani e musulmani. Per gli ebrei è la terra verso in cui Dio ha guidato il suo popolo tramite il profeta Mosè, invece per i cristiani, che hanno in comune con gli ebrei l'Antico Testamento, è anche la terra in cui è nato, morto e risorto Gesù Cristo. Personificazione = "i/ carnato cielo" (v. 1). Come se il cielo avesse una carnagione rosacea tipica degli umani. Metafora = "sveglia oasî" (v. 2). Enjambements = vv. 1-2; 2-3. ANNIENTAMENTO. Analisi: | titolo "Annientamento" a prima vista potrebbe far pensare a una poesia che parla di guerra, però qui la guerra non è il tema in questione, forse è più una poesia religiosa. Questa poesia va vista ed analizzata in chiave "mistica" e quello a cui fa riferimento Ungaretti è l'estasi, ovvero uno stato psichico di sospensione ed elevazione mistica della mente, che viene percepita a volte come estraniata dal corpo: da qui la sua etimologia, a indicare un «uscire fuori di sé». Si afferma di provare in questi momenti una sorta di annullamento di sé (non più prigionieri del nostro io), e di identificazione e fusione con Dio o con l'"Anima del mondo" (cioè si diventa una sola cosa con il tutto), e a questo punto tutto perfino la morte non fa più paura perché quella che si sta vivendo è una vita cosmica (cioè di tipo spirituale e di vastissima ampiezza). Analizzando la poesia verso per verso: Il cuore ha prodigato le lucciole s'è acceso e spento di verde in verde ho compitato = Il cuore in questione non è un cuore di un essere umano bensì un cuore universale e sente la sua pulsazione nella luce delle lucciole che si accende e spegne a intermittenza. Il concetto è che anche attraverso una creatura minuscola come una lucciola (un insetto) si possa sentire il tutto. La poesia è stata scritta il 21 maggio e nomina il colore verde perché è la stagione della primavera. Utilizza il verbo "compitare", che significa leggere pronunciando lentamente e separatamente le sillabe, perché lui come un bambino che sta imparando a leggere ha imparato a distinguere e a pronunciare le infinite sfumature del verde primaverile. Colle mie mani plasmo il suolo diffuso di grilli mi modulo di sommesso uguale cuore = Il verbo "modulare" in poesia significa ispirare a precisi ritmi o sonorità: infatti isola la strofa dandogli un andamento circolare. Inoltre accorda il battito del suo cuore che è sommerso dalle lucciole e in questo verso accenna anche ai grilli che si trovano sul suolo perché si sente un tutt'uno con le piante (sulle quali si posano gli insetti). Le espressioni "m'ama non m'ama" e "mi sono smaltato di margherite" ci fanno ritornare nuovamente al verbo "compitare" perché si pronunciano scandendo per bene le sillabe, al fine di creare relazioni sonore e dare mistero alle parole. Inoltre Ungaretti dice che raccogliendo un rametto di biancospino (spinalba) è come se avesse raccolto un pezzo di sé perché lui stesso è quel biancospino. Per il poeta la vita vegetale è umile in quanto mette le radici sotto terra ma allo stesso tempo è rivolta alla luce. Oggi come l'Isonzo di asfalto azzurro mi fisso nella cenere del greto scoperto dal sole e mi trasmuto in volo di nubi = L'Isonzo è un asfalto azzurro sia perché l'acqua è vista da lontano sia perché sta osservando i suoi punti più aridi laddove si vede il greto azzurro, sia perché in chiave mistica è come se il tempo si fosse fermato (le acque sono immobili): non c'è tempo né spazio ma si è rivolti verso uno spazio illimitato e un tempo infinito. A seguire dice che è illuminato dal sole e poi avviene una sorta di metamorfosi perché prima impersonava una pianta di biancospino (era un tutt'uno con la terra) mentre adesso si identifica nelle nuvole (è un tutt'uno con il cielo). Appieno infine sfrenato il solito essere sgomento non batte più il tempo col cuore non ha tempo né luogo è felice = Rimane sbigottito di fronte alla grandezza della natura e dice che il cuore non pulsa più ed è felice di essere in questa nuova dimensione senza spazio e senza tempo finalmente libero da ogni freno in quanto perde la propria identità (fase di annientamento). Ho sulle labbra il bacio di marmo = questi due versi sono un po' criptici perché parlano di un bacio gelido (esiste il modo di dire "freddo come il marmo") e le labbra sono fredde quando si è morti, quindi è qualcosa che non sta avvenendo nel mondo reale ma attraverso la visione mistica in cui si esce dal corpo (muore il proprio io) per unirsi con il tutto. Il suolo / diffuso di grilli = enjambement (vv. 5-6). M'ama non m'ama = antitesi (v. 11). Smaltato / di margherite = enjambement (vv. 12-13). Radicato / nella terra = enjambement (vv. 14-15). Cresciuto / come un crespo = enjambement (vv. 16-17). Come un crespo = similitudine (v. 17). Mi sono colto / nel tuffo / di spinalba = enfambement (vv. 19-21). Come l'Isonzo = similitudine (v. 23). Mi fisso / nella cenere del greto / scoperto dal sole = enjambement (vv. 25-27). SILENZIO. Analisi: Le poesie di Ungaretti sembrano nate di getto; invece, come appare dal confronto delle due stesure di Silenzio egli è arrivato a rendere l'ultima edizione così scarna ed essenziale in virtù di un lavoro di lima e di riduzione. Il suo è un tipo di poesia «nuovo» sia per la scelta del lessico, sia per la sintassi, sia per la struttura metrica. La scelta lessicale: egli usa parole comuni, non poetiche: qui ce ne sono soltanto tre di «tono» letterario: rapito (=avvolto di luce), limìo (la parola è stata scelta con molta cura: esprime bene infatti, l'insistenza del canto delle cicale che assorda e rode dentro come una «lima»), torbida (a causa della foschia prodotta dal caldo). La sintassi: manca completamente la punteggiatura a scandire i periodi e le frasi. Riusciamo a capire la fine di un periodo dagli spazi bianchi che isolano periodo per periodo (ci sono anche di guida il senso di ogni pensiero e la lettera maiuscola con cui ha inizio ogni nuovo periodo). Le frasi sono semplici e si accordano con il tipo di lessico: ne risulta uno stile scarno, adatto a esprimere l'intensità del pensiero del poeta. La struttura metrica: sono strofe varie, con «pause semantiche» (coincidono cioè con il significato della frase o del periodo), e versi liberi, senza rima (ce n'è una sola: momento... bastimento) e non legati ai consueti schemi metrici: al poeta interessava soprattutto esprimere il suo pensiero, in piena libertà di spirito e fuori da ogni legame metrico che avrebbe raffreddato l'ispirazione e spento la gioia del canto. Enjambements= vv. 1-2; 5-6; 7-8; 9-10; 11-12; 12-13; 13-14. Metafora = "/a mia città sparire" (v.10). Metafora = "un abbraccio di lumî' (v. 13). Commento: Silenzio è il ricordo improvviso di un passato sereno e gioioso che riemerge sullo sfondo buio del presente, un presente denso di pena e desolazione (la poesia viene scritta durante un periodo di pausa della guerra, in un raro momento di silenzio, quando si trovava con il suo battaglione a Mariano del Friuli). Si apre in maniera quasi ottimistica e nel momento in cui afferma «conosco una città», si capisce che sta ripensando a un paese del passato: si tratta di Alessandra d'Egitto, la città in cui Ungaretti è nato nel 1888 e che dovette lasciare nel lontano giugno del 1912 quando venne strappato dalla propria terra per andare a combattere sul fronte. La città natale viene descritta come una città solare (s'empie di sole e tutto è rapito in quel momento) e musicale (limio delle cicale), una città che non ha nulla da invidiare alle altre. Forse questo suono (di cicale) che la memoria rievoca sorge dal silenzio, ma potrebbe anche darsi che sia un silenzio interiore (caratterizzato dalla nostalgia del ricordo) come la luce dal buio. Alla fase ottimistica iniziale va a sovrapporsi la memoria dolorosa del distacco dalla città natale, e man mano ci si avvicina al presente: la città, nel ricordo, svanisce alla vista del poeta perché si trova sulla nave per il trasporto di passeggeri che sta prendendo il largo, e quello che ancora riesce a vedere a distanza della città sono i lumi sospesi nella foschia (il distacco è completo quando svaniscono anche le luci). L'allontanarsi, inteso come spostamento, si può metaforicamente collegare allo svanire del ricordo, mentre l'aggettivo «sospesi» con cui si chiude il componimento potrebbe indicare la condizione sospesa dell'uomo che affronta la morte giorno dopo giorno. Il poeta-soldato cerca di aggrapparsi a l'unica cosa bella in quel momento: i ricordi... a conferma che a distanza di anni, prova ancora nostalgia per la sua città. PESO. Analisi: Vi è simmetria tra la prima e la seconda strofa, mentre la pausa che le divide serve a dare un certo equilibrio. Anastrofe = vv. 6-7. Commento: Questa poesia fa parte di quel gruppetto di poesie, insieme a "dannazione, “risvegli” e “ destino” che hanno in comune la religiosità. Nel periodo in cui la compose, Ungaretti era solito frequentare ambienti anarchici e atei, ragione per cui si poneva delle domande sulla figura di Dio. Il contadino di cui parla la poesia non è Ungaretti, ma è un contadino-soldato, cioè un individuo semplice che negli anni della guerra in Italia fu costretto a lasciare i campi per andare a fare la guerra. Il contadino è povero, sporco di lavoro e pure stanco, perché ha lavorato un'intera giornata, ma quando guarda la medaglia di San'Antonio (che porta sempre con sé per scaramanzia e per fede) è felice e si sente fiducioso e, quindi, la sua anima è leggera, perché credendo in qualcosa si riesce a sopportare meglio il dolore della vita. La medaglia di Sant'Antonio di cui parla la poesia è un dischetto metallico raffigurante sant'Antonio Abate, invocato come patrono dei contadini e protettore degli animali domestici. Ungaretti non nasconde la sua invidia verso il contadino, perché a differenza sua, possiede un anima "sola e nuda", cioè senza qualcosa a cui credere, senza alcuna possibilità di conforto, senza protezione e senza speranza. La sua anima è molto pesante da sostenere perché è caratterizzata da un senso di vuoto e di solitudine. DANNAZIONE. Analisi: Nonostante la poesia sia molto breve, può essere suddivisa in due parti: la prima parte (i primi due versi) è caratterizzata dalla rassegnazione, invece la seconda parte è caratterizzata dalla (irraggiungibile) speranza. Il titolo è la chiave per capire il senso della poesia. Dannazione è intesa come la nostra condanna: vuole esprimere la dolorosa consapevolezza dei limiti dell'uomo, della fragilità di ogni cosa esistente, ma al contempo il profondo desiderio che l'uomo ha di superare questi limiti, di giungere all'assoluto, al perfetto, a Dio, forse. Ellissi = "dato che sono chiuso fra cose mortali" (v. 1). Cioè è assente il verbo essere, che è sottinteso. Commento: Il primo verso ci dice che il poeta è un individuo mortale (cioè che è soggetto alla morte) e che si trova "chiuso tra le cose mortali". Questo vuol dire che non solo egli stesso morirà prima o poi (la morte è inevitabile per le persone), ma anche tutto ciò che lo circonda è destinato a finire. Questo morire va visto con desolazione e disperazione, come una sensazione claustrofobica, in quanto il poeta si sente accerchiato e impossibilitato ad uscire da questa negatività. Il secondo verso non solo conferma quanto detto nel primo ma tende anche a rendere più forte il concetto di morte: se prima si stava facendo riferimento alle cose in terra, ora il discorso viene esteso al cielo, in particolare alle stelle. Nel cielo apparentemente infinito vi sono le stelle, che noi vediamo sempre brillare (di luce propria), ma se perfino il loro destino è segnato e un giorno si spegneranno, che speranza possiamo avere noi comuni mortali (egli compreso) sulla Terra? È questa la domanda esistenziale che si pone il poeta. Quindi la morte non fa eccezione fra chi vive in terra o in cielo. Il terzo verso, invece, quasi ribalta quel senso di pessimismo che hanno caratterizzato i primi due versi. Egli dice "perché perdiamo tempo a cercare Dio se tanto alla fine moriremo in ogni caso?" oppure "perché desideriamo la vita eterna in un mondo dove tutto ciò che ci circonda ha un inizio e una fine”. Qui Ungaretti esprime drammaticamente tutto il tormento dell'uomo in ricerca di dare un senso alla vita. Egli invoca Dio, l'unico essere che resisterà in eterno, perché noi comuni mortali non possiamo sapere ciò che c'è dopo la vita, cioè abbiamo dei limiti che non siamo in grado di superare da soli, a meno che non facciamo affidamento alla fede. Credere in Dio e riporre in lui le nostre speranze è un modo per sentirci più leggeri in quanto possiamo scaricare nella religione tutte le nostre preoccupazioni più grandi e di cui non siamo in grado di dare una spiegazione (come quello che ci sarà dopo la vita), e chi non è capace di fare affidamento a Dio cade in dannazione (non a caso la poesia si chiama dannazione). RISVEGLI. Analisi e commento: La metrica è caratterizzata da versi liberi. Questa è una delle poesie più religiose de // Porto Sepolto insieme a Dannazione e Peso. Presenta un linguaggio ermetico e frammentato. Dall'esperienza della guerra Ungaretti, sia come uomo che come poeta, non ha estratto solamente gli aspetti negativi (come la sofferenza) ma anche altre emozioni importanti per riflettere sul proprio io, sugli uomini e sul mondo, una sorta di continua ricerca di un mistero da scoprire e rivelare, che in questo caso prende la strada del sogno. Ad ogni orrore della guerra corrisponde per contrasto una rinascita e la lirica in questione si traduce in una forte volontà di continuare a vivere. Il titolo Risvegli sta ad indicare il risveglio della coscienza ed è un qualcosa che si ripete nel tempo, e non è casuale il verso conclusivo che termina con "riavere", che rafforza il concetto di ripetizione. Verso per verso possiamo dire che: Ogni mio momento io l'ho vissuto un'altra volta in un'epoca fonda fuori di me = In questa lirica il poeta sente di aver vissuto altre vite, cioè ricorda che certe cose gli sono già accadute in passato (sensazione della preesistenza), in un'epoca lontana, e vaga in esse, tra sogno e ricordo, alla ricerca di un mistero da rivelare a se stesso e agli altri. Qui è possibile intravedere la profondità del porto sepolto, e da ciò si può percepire che il proprio essere non è soltanto la persona legata al proprio corpo, ma un lungo viaggio della propria anima. Sono lontano colla mia memoria dietro a quelle vite perse = nel tentativo di ricostruire la percezione di quelle esistenze perdute, il poeta si "allontana", nel senso che si cala in una dimensione di profondità del suo essere. L'aggettivo "perse" sta a significare che inizialmente queste vite le stava "inseguendo!, fino a quando non le ha perse di vista. Mi desto in un bagno di care cose consuete sorpreso e raddolcito = da questo continuare a perdersi nelle profondità, egli riemerge nelle cose familiari, che lo riportano nel presente. Si viene a creare un clima di tranquillità tranquilla (egli è raddolcito) perché può rimettere piede su un un punto fermo e stabile: la sua vita attuale. Rincorro le nuvole che si sciolgono dolcemente cogli occhi attenti e mi rammento di qualche amico morto = la nuvola rappresenta il mutare degli eventi, perché si compone e si scompone. Ragione per cui il suo pensiero va agli amici che c'erano e frequentava (forse Moammed Scead) e che adesso non ci sono più (in quanto defunti). Ma Dio cos'è? = Dopo aver vissuto su di sé l'esperienza della preesistenza, si chiede: "ma Dio cos'è?" Se la vita degli uomini ha un inizio e una fine, proprio come le nuvole che si generano dal nulla e poi vengono dissolte nel vento, è anche vero che, per contrapposizione, l'essere eterno esiste ed è Dio. Dio deve essere per forza qualcosa di enorme e allo stesso tempo non ha confini precisi (altra contrapposizione), e questo è un pensiero che lo inquieta. E la creatura atterrita = si sente come un animale terrorizzato. Però non usa il termine "animale", bensì "creatura" (creato da Dio), perché si sente piccolo (es. un insignificante pezzo di un puzzle) ma è un piccolo che fa parte di un tutto (il puzzle senza quel piccolo pezzo non può essere terminato). Atterrita sbarra gli occhi e accoglie gocciole di stelle e la pianura muta = E come se una rugiada cosmica (gocciole di stelle) scendesse su di noi e la pianura mutasse, la vastità e, quindi, l'infinito. E si sente riavere = la rugiada celeste è vista come una forza che rianima (ridà vita). Quindi la creatura impaurita da questo punto di vista si sente confortata. Ossimoro = "sorpreso e raddolcito" (vv. 10-11). Metafora = "rincorro le nuvole" (v. 12). Analogia = "gocciole di stelle" (v. 23). Enjambements = vv. 10-11; 16-17; 19-20; 25-26. FRATELLI. Si tratta di una poesia che ovviamente rimanda al tema della guerra, infatti come ben sappiamo tutta la raccolta l'allegria è ambientata in quel periodo storico della prima guerra mondiale. Analisi: La metrica è delineata da versi liberi, disposti in cinque strofe, due delle quali composte in un sola unità. Di fronte alla guerra non ci sono amici ne nemici, vinti o vincitori, ma solo fratelli. La parola chiave campeggia nel secondo e nell'ultimo verso, oltreché nel titolo. Accostata a fragilità, il penultimo verso-parola, si ottiene iltema fondamentale della lirica, cioè la combinazione tra le idee di fragilità e di fratellanza: gli uomini sono fratelli soprattutto perché accomunati da un'identica condizione di precarietà e miseria. Tale significato è reso da un linguaggio nudo e spoglio. | verbi sono quasi del tutto eliminati, la punteggiatura ridotta a un solo punto interrogativo (come usavano i futuristi), le immagini accostate senza elementi di raccordo: per cogliere il senso della frase nominale Foglia appena nata, dobbiamo ricavare il primo termine del paragone nei due versi Parola tremante / nella notte e ricostruire così l'analogia implicita: parola incerta e tremante come una foglia appena nata. Nell'aria spasimante vuol dire agitata e sofferente come se fosse contratta in spasmi dai colpi della guerra. Il poeta si sofferma su questa parola che è tremante nella notte, paragonata ad una foglia appena nata che con un niente può appassire, una parola che appare come una rivolta involontaria nell'uomo quando è di fronte alla sua fragilità, quando si trova sul filo del rasoio tra vita e morte. È in questi momenti che l’uomo tenta di ribellarsi creando dei legami di fratellanza necessari per poter sopravvivere (chiaro rimando alla poesia Veglia). Anche in questa poesia Ungaretti ha fatto diverse revisioni rispetto alla prima stesura: una revisione a togliere, a scavare, a rendere più snello, più secca e più pregnante la versione finale. Personificazione = "tremante" (v. 3). Come se la parola fosse una persona che trema per l'emozione e per la paura (le parole non tremano, siamo noi a far tremare la voce), che quasi non osa essere pronunciata perché parlare di fratelli dove ci si ammazza quotidianamente è un’assurdità. Metafora = "foglia appena nata" (v. 5). Si riferisce sempre alla parola "fratelli" che "trema" come una fogliolina appena nata. Allitterazione di F - R = "fragilità fratelli" (vv. 9-10). Enjambement = "tremante / nella notte (vv. 3-4); rivolta / dell'uomo (vv. 7-8), alla sua / fragilità (vv. 8-9)". Commento: Le poesie di Ungaretti mancano di patriottismo, piuttosto i valori della guerra fanno scoprire il valor della fratellanza umana. A questo proposito, è significativa la brevissima, ma intensa lirica "Fratelli". Qui il poeta cerca di esprimere il senso della fragilità della vita sconvolta dalla follia della guerra attraverso una esperienza che il poeta ha vissuto quando si era arruolato come soldato durante la 1° guerra mondiale. È notte. L'aria è squarciata da lampi di battaglia. Due reparti combattenti si incontrano sulla linea del fronte. Mentre si salutano e si scambiano notizie, ecco nel buio risuonare la parola che il mondo impazzito sembra aver dimenticato: fratelli! Viene detta timidamente, perché era più formale usare il termine "soldati" e non "fratelli". In questa realtà il poeta sembra riscoprire il vero significato della fratellanza. La parola "fratelli" assume un valore nuovo rispetto al secondo verso e conclude la commossa meditazione del poeta: può significare speranza, saluto reciproco di uomini che soffrono, messaggio di solidarietà, ma soprattutto essa è il segno di una ritrovata dignità umana, tanto calpestata dalle barbarie della guerra. È come un grido di rivolta contro gli orrori della guerra. La poesia è raccontata in modo triste a causa delle situazioni difficili che vivevano a quei tempi i soldati arruolati in guerra. Mi è piaciuta perché non è una poesia come le altre, lunghe e e di difficile comprensione, ma è una poesia corta e significativa che ti fa capire le sensazioni che provavano i soldati nelle trincee. Abbiamo detto che la parola- chiave di questa lirica, una delle più significative dell'Allegria, è “Fratelli". Partito volontario per la guerra, la visse subito in tutta la sua tragica realtà. E in trincea, a contatto con altri commilitoni che portavano sui volti la sua stessa sofferenza e l'angoscia provocata dai disagi inenarrabili e dalla consapevolezza che la vita umana, nella sua fragilità, era appesa a un filo, si sentì acuire in cuore quel senso di fraterna solidarietà che lega particolarmente gli esseri esposti alle bufere della vita. In tanto squallore di morte, la parola "fratelli" è dunque una voce di solidarietà e di speranza. C’ERA UNA VOLTA. Analisi: la poesia è composta da due strofe in versi liberi. Il titolo è una tipica espressione utilizzata come introduzione in numerose fiabe. Adotta di proposito parole dolci e serene tipiche del mondo fiabesco e dei sognatori: "cappuccio, velluto, dolce, poltrona, appisolarmi, fievole, luna". Inoltre il "c'era una volta" si usa per raccontare storie di un passato molto lontano e, quindi, Ungaretti che è in guerra e si sta riposando all'aperto, ripensa a quando si poteva rilassare in luoghi più confortevoli. Sebbene la guerra sia un tema dominante in molte poesie di Ungaretti (in fratelli, veglia etc), in questa sembra non essere presente, perché non vi sono riferimenti a trincee, distruzione, dolore e morte. Tuttavia, andando a rivedere la data in cui è stata scritta "1 agosto 1916" vi è già un riferimento alla prima guerra mondiale, e anche il luogo "Quota Centoquarantuno" è un altro riferimento, in quanto è il nome di una località del fronte. Per quanto riguarda lo stile possiamo dire che viene fatto un uso attento degli aggettivi (verde, dolce, remoto, fievole); usa molte pause, rese evidenti dalla scomposizione dei versi liberi; il ritmo è lento, che serve a mettere in risalto alcune parole chiave (declivio, velluto, dolce, poltrona, appisolarmi), e a trasmettere un effetto di dolcezza e il desiderio di una pace perduta. la sintassi accosta due sole frasi senza alcun segno di interpunzione. Nella prima strofa le parole tramutano ciò che il poeta vede (un declivio) in un'immagine analogica e di fantasia (una poltrona), tale analogia si fa più intensa nella seconda strofa, e ciò che era solo nella sua fantasia inizia prendere forma anche nella memoria del poeta: il declivio è divenuto veramente una poltrona, in un caffè remoto; l'avverbio di luogo (là) indica la lontananza dal colle di Bosco Cappuccio, invece l'aggettivo dimostrativo (questa, v. 10), che forma un deittico perché si ripete per due volte, indica la vicinanza della località del Carso in cui il poeta si trova; il verbo all'infinito (appisolarmi) indica un'azione che non avviene in una precisa dimensione temporale, ma che si compie soltanto nella mente del poeta. Similitudine = "come una dolce poltrona" (vv. 4-5). Similitudine = "come questa di questa luna" (vv. 10-11). Simploche = "questa... questa" (vv. 10-11). Enjambements = vv. 1-2; 2-3; 3-4; 4-5; 6-7; 8-9; 9-10; 10-11. Commento: Questa poesia è stata scritta il 1 agosto 1916, nel pieno della stagione estiva. Nell'arido pomeriggio carsico, in piena guerra, il poeta, osserva l'improvviso cambiamento del colle di Bosco cappuccio lasciandosi trasportare in un primo momento dall'immaginazione e poi dai ricordi. Egli non vede più l'arido paesaggio intorno a sé, bensì un terreno in pendenza (un declivio), ricoperto di erba verde, morbida e folta, come il velluto, che gli richiama alla mente la comodità di una riposante poltrona. E quando il poeta pensa alla poltrona, egli fisicamente si trova nel paese straziato dalla guerra (il Carso), invece spiritualmente si trova a Parigi, in un caffè remoto e appartato, in cui gli sarebbe piaciuto appisolarsi alla luce di una lampada a bassa luminosità, come il chiarore della luna che imbianca Bosco Cappuccio. Non si tratta della speranza di poter rivivere questi momenti bensì di riviverli attraverso il dolce ricordo del passato: prima che partisse per la guerra, il poeta viveva a Parigi ed era un assiduo frequentatore di caffè, dove incontrava i suoi amici letterati e artisti. Tra questi vi era anche l'amico Moammed Sceab a cui ha dedicato il componimento “in memoria”. Per questo il titolo della lirica è "C'era una volta": l’inizio consueto di tutte le favole. SONO UNA CREATURA. Analisi: Troviamo una metrica caratterizzata da tre strofe di versi liberi. Varia il numero dei versi nelle strofe e varia anche la misura dei versi, che sono senari, quinari, quaternari e ternari. La lirica è costruita secondo una struttura molto semplice, sia per la brevità dei versi che per le immagini ridotte all'essenziale, in modo da ottenere il massimo risultato espressivo (cioè evocare sentimenti, emozioni, oggetti e paesaggi) con il minimo uso di parole poetiche. Due sono i procedimenti adottati dal poeta: il primo è quello dell'accumulazione ascendente, che tende, attraverso una serie di immagini in successione, a culminare in un vertice emotivo (climax) costituito da "totalmente disanimata". Il secondo procedimento consiste nell'uso della figura retorica dell'anafora: ancora una volta si raggiunge il vertice emotivo (climax) attraverso quattro versi costituiti da aggettivi di spessore semantico crescente (fredda, dura, prosciugata, refrattaria) introdotti dall'avverbio "così", ripetuto all'inizio di ognuno dei quattro versi e anche nel penultimo verso della strofa, seguito dall'avverbio "totalmente", così perentorio, il quale, a sua volta, introduce l'ultimo verso della strofa, che è formato da una sola parola: l'aggettivo "disanimata". L'altra ripetizione di verso "Come questa pietra": serve a mettere in rapporto di comparazione le prime due strofe (comparativo di uguaglianza). La parola chiave della poesia è "pietra": viene, infatti, ripetuta per due volte. La rima collega "prosciugata" a "refrattaria" con affinità di senso (entrambi i termini suggeriscono un'idea di privazione). I punti sono sostituiti dagli spazi bianchi (effetto di solitudine e sofferenza) e la cadenza del ritmo sostituisce le virgole. Similitudine = "Come questa pietra" (v.1 e 9); Assonanza = "pietra-fredda"; "prosciugata-refrattaria-disanimata"; Allitterazioni = delle consonanti " ed "/": "questa pietra; prosciugata refrattaria"; Epanalessi = "Come questa pietra" (v.1 e 9); Anafora = "così...cosî", perché è all'inizio di più versi (vv. 3-7); Anastrofe = "come questa pietra / è il mio pianto" (vv. 9-10); Epifonema = "La morte si sconta vivendo”, cioè un'asserzione che ha valore di sentenza, ogni giorno con la nostra sofferenza paghiamo il nostro tributo. (vv. 12-14); Enjambement = vv. 1-2; 7-8. Climax = "fredda, dura, prosciugata, refrattaria, disanimata". Ossimoro = "morte" e "vivendo" (vv. 12-14). Commento: la poesia è ambientata nel monte di San Michele, presso Gorizia, alle pendici del quale gli eserciti italiani erano schierati nell'agosto del 1916 in attesa dell'imminente conquista della città. Iniziamo col dire che in Ungaretti l'acqua è sempre un elemento positivo, mentre l'idea di morte è espressa con i termini di aridità. In questa poesia vi è uno scenario duro e arido: da una parte il pianto, segnale di dolore, ma anche di vita, dall'altra la pietra, in cui il pianto stesso si è ridotto, pietrificandosi. Non è sparito il dolore: solo, è penetrato nell'intimo dell'anima e non lascia più tracce all'esterno. L'aridità delle rocce, carsiche, però è solo apparente: in profondità l'acqua scorre. Alla pietra prosciugata del Carso corrispondono gli occhi asciutti del poeta. È una poesia triste, quasi come il paesaggio del Carso così arido e freddo. La sofferenza del poeta Ungaretti è così tale che non ha più le lacrime per piangere, o per meglio dire, si tratta di un pianto nascosto, intimo. Il suo dolore lo possiamo paragonare a quella pietra così senza vita. Vivere è uguale a soffrire, la sofferenza è uguale solo con la morte. della Filosofia (Bergson).; infine l’Isonzo, il fiume legato al momento attuale, quello della guerra nel Carso, la morte, la distruzione. Tutti questi fiumi citati confluiscono simbolicamente nel fiume in cui sta vivendo le sue ore più difficili, cioè l’isonzo. Significa che tutte le esperienze del poeta sfociano in una amara considerazione sulla vita e sul dolore. In questo rifluire nostalgico delle memorie del passato egli ritrova la serenità e la pace che la notte ora protegge e avvolge nel silenzio delle sue tenebre. Per quanto riguarda lo stile Ungaretti sceglie, nella prima fase della sua produzione poetica, versi molto brevi, i cosiddetti versicoli, che si presentano frantumati e destrutturano il discorso e la sintassi tradizionale. Pochi gli aggettivi e i connettivi logici, assente la punteggiatura; scarse le rime, sostituite dalle assonanze, dalle allitterazioni, dal fonosimbolismo. La tecnica più usata è il procedimento analogico, che consiste nell’accostare immagini e parole che apparentemente non hanno alcun nesso logico, ma che, in realtà, nascondono segrete corrispondenze e forti connessioni intuitive. La poesia di Ungaretti, in sostanza, punta sull'efficacia espressiva della parola e per questo viene definita «poesia pura». Ci sono numerose e significative figure retoriche in questo testo. Metafora = "Stamani mi sono disteso / in un'urna d'acqua" (vv. 9-12). Urna d’acqua ha un significato simbolico di sacralità. Il poeta, stendendosi nell'acqua, si è sentito come chiuso in un’urna, ha meditato sulla sua vita e sull'esistenza umana e universale; si è riconosciuto come parte dell'Universo e ha trovato in se stesso ed in ogni uomo una dimensione sacrale (ecco il perché dell’accostamento alla reliquia). Similitudine = "come una reliquia ho riposato" (vv. 11-12). Metafora = "L'Isonzo scorrendo / mi levigava / come un suo sasso" (vv. 13-15). L'acqua assume una funzione rigeneratrice e purificatrice, richiama l’acqua del fonte battesimale Similitudine = "mi levigava / come un suo sasso" (vv. 14-15). Sineddoche = "Ho tirato su /le mie quattr'ossa" (vv. 16-17). La figura umana, designata con le ossa (una parte per il tutto) è scarnificata dal male e dal peccato, ma questo è un presupposto per la sua futura rigenerazione. Similtudine = "come un acrobata / sull'acqua" (vv. 19-20). Richiama allusivamente Cristo che cammina sulle acque del Giordano e mette alla prova i suoi discepoli sulla fede in lui. Similitudine = "come un beduino / mi sono chinato..." (vv. 24-25). Richiama le preghiere dei musulmani che si inchinano rivolgendo il corpo in direzione della Mecca Metafora = "docile fibra / dell'universo" ( vv. 30-31). L'uomo è una componente dell'universo debole e parte integrante dello stesso. Anafora = (Questo ... Questo ... Questi ...). vv. 45,47,52,57,61,63 Ossimoro = "corolla / di tenebre" (vv. 68-69). Dà l’idea della vita come di un qualcosa di misterioso e di labile, difficilmente conoscibile all'uomo. Aspetto centrale della lirica è sicuramente il viaggio come percorso spirituale che richiama la vita del poeta. Il tema del viaggio, spesso metaforico, è un motivo ricorrente nella letteratura simbolista e decadente. Possiamo partire da Baudelaire, il maestro dei poeti simbolisti francesi. Egli ha visto il viaggio come evasione nel mondo dei sensi e in quello incontaminato e puro dell’immaginazione. La metafora del viaggio serve a Baudelaire per esprimere il suo disagio verso la società contemporanea in cui non si riconosce. Per questo aspira ad un altro mondo, e in lui ricorre il tema dell'esilio come, ad esempio, l'esilio dell’albatro, che significa poi l'esilio del poeta sulla terra. La ricerca di un “altrove”, diventa l'aspirazione del poeta ad una nuova patria, e, nello stesso tempo, una evasione. Alcune sue composizioni ci parlano, infatti, di un viaggio immaginario che muove dai sensi. Il viaggio in sostanza rappresenta una compresenza tra la fedeltà alle radici della terra natale e dei valori della società in cui si vive, e la volontà della ricerca, della conoscenza piena dell'altro. È un rischio di perdere qualcosa, ma può essere anche l'occasione di conquistare qualcos'altro e di realizzare la speranza del ritorno o l'esperienza estatica dell’ abbandono all'ignoto. Commento: Durante la prima guerra mondiale (1915-18), il fiume Isonzo è stato teatro di ben undici sanguinose battaglie che hanno sconvolto il paesaggio. La poesia ripercorre la biografia storico — familiare di Ungaretti con: i quattro fiumi (Serchio, Nilo, Senna, Isonzo) rappresentano le tappe fondamentali della vita del poeta. Attraverso questi fiumi egli riesce a riconoscere se stesso e la propria identità storica, civile, morale e culturale. La riflessione di Ungaretti, condotta attraverso i fiumi, è una presentazione del proprio «io» la sua «carta di identità». 1 strofa: mi tengo, mi sono disteso, ho riposato ovvero dei termini che fanno capire la stanchezza del poeta. Il poeta abbandonato in questa dolina ricorda il tendone del circo quando è vuoto. Qui lo spettacolo è la guerra che in questo momento è sospesa. In questo frangente lui guarda il cielo e vede la luna che attraversa il cielo. L'isonzo rappresenta la reliquia all’interno del quale si conserva il valore della vita. 2-3 strofa: terminano con una similitudine, la prima fra Ungaretti e un acrobata, dettata dal circo evocato prima, e la seconda con il beduino dettata dalle sue origini egiziane. Lui si sente come un elemento della natura lisciato dall'acqua del fiume, ha tirato su le sue quattro ossa e ha camminato sul fiume come un acrobata appunto. Poi si è sdraiato vicino ai suoi panni sudici della guerra a prendere tutto il sole. 4-6 strofa: ora compare l’Isonzo, lui qui si è riconosciuto come docile (che si stende al sole, che si fa lisciare) fibra dell’universo, il suo dolore maggiore è quando non si sente in armonia col mondo. Ma quelle occulte mani (quelle del fiume) gli infondono, gli regalano una rara felicità. 7-14 strofa: quindi in questo momento lui medita e rivive i suoi anni passati, li scansiona elencando i fiumi che hanno segnato le date della sua vita. Inizia col Serchio, dal quale per 2000 anni e forse più i suoi antenati hanno preso l’acqua, anche suo padre e sua madre. Procede con il Nilo, fiume della sua nascita che lo ha visto ardere di inconsapevolezza (desiderio di un bambino di conoscere le cose). Poi la Senna, il fiume di Parigi nelle cui acque torbide (perché non è certo limpido, ma anche il torbido della vita parigina) il poeta si è rimescolato e si è conosciuto perché è lì che ha studiato e ha capito quale fosse la sua strada. Questi sono i suoi fiumi che poi confluiscono nell’Isonzo. Bellissima immagine finale che richiama l’idea di un fiore, cioè la corolla fatta però di tenebre perché è notte. Viene preso dalla nostalgia, maggiormente ora perché è notte, mentre lui si sente appunto un fiore fragile avvolto nel buio. Qui viene richiamata l’immagine iniziale dell'uomo che si sente una fibra dell'universo. PELLEGRINAGGIO. Analisi: La lirica è suddivisa in tre strofe, di cui la prima è la più lunga ed è costituita da dieci versi e due quartine più brevi. È assente la punteggiatura; dopo lo spazio bianco, che separa le tre strofe, compare la lettera maiuscola. Gli a capo sono frequenti tanto da obbligare la voce a sostare nella lettura, quasi a scandire. La poesia può essere suddivisa in tre parti: nella prima parte racconta la sofferenza fisica e psicologica dell'esperienza in guerra, nella seconda parte sembra come se il racconto venga interrotto per fare spazio a una riflessione generale sull'esistenza, la terza parte riprende il discorso che aveva iniziato per dirci qual è l'illusione che l'ha indotto a pensare a sé stesso: la visione improvvisa della nebbia, che illuminata da un riflettore sembra trasformarsi in un mare. Enjambements = vv. 2-3; 5-6; 9-10; 15-16. Metafora = "budella di macerie" (vv. 2-3). Similitudine = "come una suola" (v. 8); "come un seme" (v. 9). Anafora = "come...come" (vv. 8-9). Commento: Il luogo, Valloncello dell'Albero Isolato, si trova sotto il monte San Michele, vicino a San Martino del Carso (piccolo paese nel Comune di Sagrado). Tra il 6 e il 17 agosto Ungaretti partecipa ai combattimenti della 6° battaglia dell'Isonzo, che si conclude con la vittoria dell'esercito italiano. L'immagine scabra e potente, che domina la lirica, è quella del fante che trascina la sua carcassa nel fango dei camminamenti e si paragona a un oggetto vile come una suola consumata, ma anche a un seme di biancospino, che, da quello stesso fango, saprà trarre non le ragioni della propria umiliazione, bensì l'energia per fiorire e consolare il mondo mediante la poesia. Il Pellegrinaggio, al quale allude il titolo, va perciò interpretato come una ricerca dell'identità, che Ungaretti compie all'interno di se stesso. Il poeta si definisce "uomo di pena", cioè uomo destinato a soffrire e a faticare. La comparsa del cognome del poeta è insolita nella poesia italiana moderna. Il senso di amarezza e la pena appunto che l'uomo avverte nel suo vivere non devono allontanarlo dalla tensione alla fratellanza con gli altri: quella di Ungaretti è una poesia intrisa di angoscia e di pietà nello stesso tempo. Il contrasto tra angoscia e speranza, tra sofferenza e amore per la vita, è quell'amore per la vita che permette all'uomo in pena di sollevarsi dalla disperazione e di continuare il suo cammino. Da ciò possiamo dedurre che la vita umana è come un continuo pellegrinare, un continuo naufragare di sogni, ma anche un continuo riproporsi della vita attraverso sempre nuove illusioni e speranze. SAN MARTINO DEL CARSO. La poesia è composta da versi liberi distribuiti in quattro strofe, le prime due composte di quattro versi, le ultime di due versi. Come sempre non abbiamo la punteggiatura Stessa costruzione di “Veglia”, appena più complessa, troviamo quattro strofe che esprimono ognuna un concetto, l’ultima esprime la sintesi. 1° strofa: descrizione della città di San Martino bombardata. 2° strofa: descrizione dei compagni. 3° strofa: constatazione del poeta. 4° strofa: sintesi fra la prima e la seconda strofa. La lirica crea un'analogia tra due elementi: - da una parte, il paese di S. Martino del Carso, semidistrutto dai combattimenti; - dall'altra, il cuore del poeta, che è prima di tutto il cuore di un uomo che soffre. Le prime due strofe si possono dire descrittive, pur trattandosi di una descrizione scarna ed essenziale. Del paese carsico non sono rimasti che pochi ruderi: la desolazione è ovunque. Ma la guerra ha creato un vuoto ancora più grande, e più doloroso, fra le persone care al poeta. Tuttavia, con le due brevi strofe conclusive, dove prevale la riflessione, nel cuore del poeta non manca nessuno; lo scrittore ricorda tutti e soffre per tutti. Il suo cuore è un paese ancora più distrutto e sconvolto di S. Martino. BRANDELLO DI MURO: metafora originale che richiama l’immagine di un corpo lacerato. CHE MI CORRISPONDEVANO: che ricambiavano il mio affetto. DI TANTI: Così accentato e isolato evoca tutto l'orrore tragico della guerra. È uno dei tanti esempi in cui la parola, staccata dal contesto logico, vibra di una sola vita propria. NEPPURE TANTO: neppure i brandelli dei corpi straziati dalle cannonate. NESSUNA CROCE MANCA: tutti quei cari morti sono presenti nel mio cuore. IL PAESE PIÙ STRAZIATO: perché ogni croce è presente nella sua mente, ogni brandello di muro gli ricorda quelle ore dolorose. Anafora = "di" e "di" (vv. 1 e 5). Ripetizione della stessa parola a inizio del verso. Metafora = "brandello di muro" (v. 4). Si parla di muro, un oggetto, ma richiama l'immagine di un corpo lacerato, ovvero i brandelli di carne. Anafora = "non è rimasto" (vv. 2 e 7). Per la ripetizione delle stesse parole. Epifora = "tanti" e "tanto" (vv. 5 e 8). Ripetizione di una stessa parola alla fine di più versi per rafforzarne l'importanza. Metafora = "Ma nel mio cuore nessuna croce manca" (vv. 8-9). Il poeta con questo intende dire che se pur i suoi compagni sono morti, e di loro non restano nemmeno i corpi, nei suoi ricordi (nel suo cuore) ci saranno tutti (nessuna croce manca), come in un grande cimitero. Anafora = cuore (vv. 9 e 11). Ripetizione della parola. Analogia = "E" il mio cuore il paese più straziato" (vv. 10-11). Cuore-paese: con ciò il poeta afferma allegoricamente che la sua anima è più martoriata quanto la gente del paese, e il paese stesso. Allitterazione della A = case-rimasto-qualche-tanti-tanto-manca-straziato Allitterazione della R = rimasto-brandello-muro-corrispondevano-neppure-cuore-croce-straziato Allitterazione della C = cuore-croce-manca. Commento: La distruzione di un paese diventa l'emblema del dolore spirituale del poeta. È una lirica scarna senza effusioni sentimentali. Il poeta rivive in essa lo strazio provato in quelle ore lontane avvampanti di fuoco e cariche di dolore. Come è facile osservare, la poesia è impostata sul confronto tra il paese e il cuore del poeta: le case di S. Martino ridotte a brandelli, il cuore del poeta straziato dal dolore e dalle rovine della guerra. La parola "brandello" di solito si riferisce agli uomini (brandello di carne), ma proprio questo è l'obiettivo del poeta: sottolineare l'identificazione fra il paese e la vicenda umana. Alla realtà spaventosa e drammatica della guerra, è possibile opporre solo il potere del ricordo e la fragile arma della poesia: per tanti compagni sventurati che la morte ha inghiottito, il ricordo straziante del poeta rappresenta l'ultimo disperato legame con il mondo della luce e della vita. Ritorna dunque il valore della poesia come testimonianza e memoria, che Ungaretti aveva già esplicitato nella lirica In memoria. ITALIA. Analisi e commento: Il titolo "Italia" chiaramente è riferito al nostro Paese, l'Italia, della quale Ungaretti parla con ammirazione e fiducia, più precisamente si sta parlando dell'Italia in epoca di guerra, un paese sofferente ma che deve ritrovare il coraggio e la forza di ripartire. Una poesia dall'alto valore patriottico che ha lo scopo di far riflettere le generazione future per farci rivivere gli orrori della guerra per raccontarci l’amore per il suo paese. Possiamo analizzare la poesia verso per verso: Sono un poeta un grido unanime sono un grumo di sogni = nei primi versi, dicendo che è un poeta, Ungaretti sta mettendo in chiaro che si sta parlando di se stesso. Inoltre secondo Ungaretti la vita dell'uomo è collegata con quella degli altri individui, per questa ragione il grido di paura e di terrore per gli eventi di guerra non può che essere unanime, cioè di gruppo. E il grumo di sogni potrebbe significare che in mezzo alle grida vi sono anche piccole (grumi) speranze per il futuro (sogni). Sono un frutto d’innumerevoli contrasti d’innesti maturato in una serra = in questi versi il poeta si paragona a un frutto maturo di una pianta su cui sono stati effettuati numerosi innesti (in botanica si tratta di un'operazione in cui in una pianta viene inserita una parte di un'altra pianta per ottenere frutti di qualità più pregiata). La pianta in questione potrebbe essere l'Italia, e lui è il frutto di questa pianta i cui innesti sono le esperienze vissute e la serra potrebbe essere la particolare condizione in cui è maturato, cioè nel corso della guerra. Ma il tuo popolo è portato dalla stessa terra che mi porta Italia = qui Ungaretti vuole esprimere un concetto di fratellanza con il popolo italiano attraverso un legame di terra (la terra madre), sebbene sia nato ad Alessandria d'Egitto. E in questa uniforme di tuo soldato mi riposo come fosse la culla di mio padre = l'uniforme è quella del soldato e che accomuna Ungaretti agli altri soldati italiani in guerra in difesa della madre terra (l'Italia) e rivede il bambino che è in lui che si lascia cullare da suo padre (che morì quando lui era aveva solo 2 anni) e, quindi, oltre alla madre (la terra), il poeta ritrova anche il padre, cioè "riscopre" le proprie origini italiane (nato da genitori italiani originari della provincia di Lucca) e si sente a tutti gli effetti un italiano, mentre prima si sentiva sradicato. Sono un = anafora (v.1, v.3, v.4). Grido, grumo, sogni = allitterazione della G (vv. 2-3). Sono un grumo di sogni = metafora (v. 3). Grumo di sogni = ossimoro (v. 3). Cioè: "con il termine grumi si fa riferimento a piccole masse di liquido o di sostanze solide, ma i sogni sono astratti". Frutto / maturato in una serra = jperbato (vv. 4-6) Portato, porta = figura etimologica (v.7, v.9). Come fosse la culla = similitudine (v. 14). La culla/ di mio padre = enjambement (wv. 14-15) COMMIATO. Analisi: La metrica è caratterizzata da due strofe di versi liberi. Manca la punteggiatura; l'assenza di segni di interpunzione, in questo caso, rende particolarmente densa di significato la definizione di poesia con quell'accostamento de "i/ mondo l'umanità la propria vita" senza interruzioni. Solo dopo lo spazio bianco, che separa le due strofe, compare la lettera maiuscola. Gli ultimi cinque versi esprimono il senso del lavoro del poeta, quasi in forma di sentenza. Il poeta si rivolge al proprio editore nell'atto di congedare il suo volumetto (da qui il titolo Commiato): il risultato è una dichiarazione di fede, ingenua ma appassionata, nella poesia. La dedica all'amico Ettore Serra, considerato da Ungaretti come una parte di sé, è significativa, perché, fin dall'esordio, il concetto di poesia appare strettamente connesso con l'amicizia, con la gentilezza, con la sfera degli affetti. Nella prima strofa Ungaretti illustra le potenzialità della poesia su due versanti: - da un lato, la parola sa esprimere e far fiorire (cioè far conoscere e, insieme, arricchire) ogni cosa; - dall'altro lato, aggiunge l'autore, poesia è anche fermento, è cioè l'espressione palpitante della vita stessa, nella sua bruciante e inafferrabile intensità. - Nella seconda strofa l'autore mette in gioco se stesso: il suo essere poeta dipende dal cercare, nel proprio silenzio interiore, una parola, una soltanto, si noti, e quando la trova, essa è sufficiente a illuminare il mistero, l'abisso della nostra vita. ("scavata" ricorda il "penetrata" in Veglia) Sinestesia = "/impida meraviglia" (v. 7). Enjambements = vv. 1-2; 3-4; 4-5; 5-6; 6-7; 7-8; 9-10; 10-11; 11-12; 12-13. Commento: Nella parola poetica, dice Ungaretti, si fondono ordine e caos, chiarezza e mistero (due dimensioni molto diverse ma riassunte nella sinestesia "limpida meraviglia" del v.7): - da un lato con la poesia il poeta introduce lo sforzo di un ordine razionale (per gli antichi greci la "parola" era logos, "discorso ordinato"); - dall'altro, però, egli continua anche a testimoniare il calore e la complessità della vita, il suo delirante fermento. Il significato di questa poesia consiste in una miracolosa scoperta, in un'operazione di scavo. È una faticosa e sofferta esplorazione sotterranea nell'abisso", l'abisso de "Il Porto Sepolto" (la prima lirica della raccolta, mentre "Commiato" è l’ultima) alla ricerca di una parola (l'unica che possa essere quella "giusta"). In questo abisso insondabile e misterioso, l'abisso di sé, il poeta sfiora per un attimo il mistero, è vicino ad una verità e continua a cercare. DOLINA NOTTRUNA. Analisi e commento: Una dolina è una cavità simile a un imbuto e di varia ampiezza formatasi per dissoluzione della roccia calcarea a opera delle acque di superficie, tipica delle regioni carsiche. Il Carso, è un altopiano roccioso che viene nominato da Ungaretti direttamente e indirettamente nelle sue poesie ed è noto storicamente per essere stato teatro di violente battaglie durante la prima guerra mondiale Prima strofa: il poeta dice che la notte ha un volto secco e prosciugato, cioè senza acqua e, quindi, senza vita. Paragona la notte alla pergamena (realizzata con pelle d'animale), per la cui lavorazione era necessario prima immergere la pelle dell'animale in un calcinaio (una soluzione di acqua e calce), poi andava messa su un apposito cavalletto a "schiena d'asino" per rimuovere i peli dell'animale mediante una lama e, successivamente, andava montata su un telaio e lasciata ad essiccare sotto tensione. Seconda strofa: qui vi è la figura del nomade (si sposta perché è in cerca di qualcosa, forse la pace interiore) che è assetato d'amore (morbido di neve) e ricurvo (adunco) come una foglia accartocciata. Terza strofa: in questa ultima strofa il poeta dice che il tempo avvolge e domina il soldato che è rigido e fragile (come una foglia secca). Il termine fruscio (mi adopera come un fruscio), che letteralmente significa rumore lieve, acquista il valore di esile segno di vita. Personificazione = "// volto di stanotte" (vv. 1-2). Similitudine: "come una pergamena" (vv. 4-5) Similitudine: "come una foglia accartocciata" (vv. 10-11). Similitudine: "come un fruscio" (vv. 15-16). Antitesi = "adunco" (v. 7) e "accartocciata" (v. 11) si oppongono a "morbido" (v. 7). Iperbole = "interminabile" (v. 12). Personificazione = "tempo mi adopera" (13-14). SOLITUDINE. Analisi: la metrica è caratterizzata da versi sciolti, senza schema metrico. Questa lirica è priva di punteggiatura, e ciò rende ancora più difficile l'analisi e la comprensione del testo al lettore, che può interpretarla in molteplici modi diversi: solo il titolo aiuta il lettore a comprenderne il senso, che però è estremamente soggettivo. Con questa scelta (non usare la punteggiatura), sembra che il poeta consideri i vari momenti della sua esistenza come un tutt'uno, indistinto e inarrestabile (assenza del punto fermo finale), che si prolunga e si perde nel tempo, tanto che le sue urla si espandono e si propagano all'infinito. Attraverso una minuziosa scelta delle parole Ungaretti, sotto metafora, parla ancora della tragedia bellica. Colpisce l'inizio della poesia con "Ma", che presuppone un antefatto, un ragionamento precedente, su cui potremmo pronunciarci, ponendoci la domanda: A cosa rimanda il poeta? Da che cosa il poeta è afflitto? Da notare anche stravolgimento iconografico che si realizza nella scena dei fulmini scagliati dal basso verso l’alto, dalla terra verso il cielo, anziché viceversa. Fu rimaneggiata per tre volte, fino alla stesura definitiva. Tuttavia sono poche le differenze tra le tre redazioni: forse la principale è la pausa che separa le due strofe e l'accompagnamento dell'aggettivo impaurite al verbo sprofondano; inoltre la parola fulmini presenta l'articolo determinativo, mentre fioca precede il sostantivo a cui si riferisce, ed è distaccato da esso. Quella presente in questa pagina è la versione definitiva della lirica. Anche questa poesia, come altre tratte dalla raccolta L'allegria, ha una struttura diaristica, infatti sotto la poesia è riportata la data e il luogo della sua creazione: Santa Maria la Longa, 26 febbraio 1917. La stessa dicitura è presente anche nelle poesie come Mattina e Dormire, il che significa che sono state tutte scritte nello stesso giorno. Sinestesia = "urla feriscono" (vv. 1-2) Similitudine = "come fulmini" (v.3). Metafora= "/a campana...del cielo" (vv. 4-5) Personificazione = "/e mie urla...sprofondano impaurite" (v.1 e vv. 6-7). Metafora = "sprofondano impaurite" (vv. 6-7). Allitterazione della m = "ma, mie" (v. 1). Allitterazione della f = "feriscono, fulmini, fioca" (v. 2-3-4). Allitterazione della c = "campana, fioca, cielo" (v. 4-5). Commento: Nella poesia si evince un senso di paura e di desolazione. Le urla del poeta, che vorrebbero arrivare ad un cielo così poco percettibile, rappresentano una forte ribellione nei confronti del dolore causato dalla guerra e dalle sue devastazioni, ma accade che Ungaretti non riceve alcuna risposta come se non fosse stato sentito e che avesse gridato per nulla (le sue urla arrivano alla campana dai rintocchi soffocati e, quindi, tutto quello che ha detto attraverso la poesia viene ignorato). Il poeta accusa il colpo e prova un vuoto interiore per aver provato ad alzare la voce: si sente a disagio con il mondo e con se stesso. E così le urla vanno disperdendosi nel cielo, sprofondando impaurite nel silenzio. E l'uomo dopo questa vicenda si abbandona in uno stato di solitudine. MATTINA. La poesia "Mattina" è stata scritta dal poeta Giuseppe Ungaretti e viene ricordata sotto il nome "M'illumino d'immenso" proprio perché è l'unica frase del testo della poesia. Fu scritta il 26 gennaio 1917 a Santa Maria la Longa e il suo titolo originario era Cielo e mare; e fa parte della raccolta L’allegria, nella sezione Naufragi. È la più breve poesia di Ungaretti e sicuramente quella con il significato più profondo ed interpretativo. | temi affrontati sono la tensione verso la luce, l'aspirazione all'armonia e la fusione con l'infinito. In questa poesia Giuseppe Ungaretti si mette nei panni di un soldato che esce dalla trincea e si fonde con l'universo quindi c'è un sentimento di libertà. Analisi: Spesso quando si va ad analizzare questa poesia si sottovaluta il titolo che, però, è assolutamente fondamentale ed è parte integrante della lirica. Il titolo "Mattina", o meglio il mattino, è il momento in cui la luce nascente vince le tenebre della notte, e rivela le cose prima adombrate dal buio. Quella luce che svela tutto, dà il senso dell'immensità. Metaforicamente, può essere Mattino, anche la folgorazione del poeta che scopre la sua ispirazione, e gli detta verità nuove e non ancora pensate, lo porta alla ricerca di parole chiave che, nella loro brevità esprimano tutti i significati possibili (immensi, quindi, perché inesauribili). Il messaggio che la lirica vuol comunicare è la fusione di due elementi contrapposti: - da una parte il singolo, ciò che è finito (l'autore); - dall'altra l'immenso, ciò che respira in una dimensione d'assolutezza. Straordinaria per concisione, essenzialità, potenza evocativa ed espressiva, questa brevissima lirica è composta da due soli versi-parola, dal momento che le elisioni fondono nella pronuncia il pronome e la preposizione in un'unica emissione di fiato con il verbo e il sostantivo. La lirica è costruita su un'unica sinestesia analogica, che mette in connessione campi diversi della percezione: la vista e il tatto, perché la luce oltre a vedersi è anche calore; e l'olfatto, perché è apertura all'aria fresca del mattino (la lirica si intitola Mattina); e l'udito, perché l'immensità è eco e silenzio. L'altra connessione è tutta interiore, in quanto l'immensità è il luogo dello spirito in cui si acquietano tutti i desideri di infinito e di eterno dell'uomo. L'analogia pone quindi in stretta relazione il finito, rappresentato dal poeta nella sua pochezza d'uomo, e l'infinito, rappresentato dall'immensità in cui terra, cielo e mare si fondono e confondono, così come il pronome "mi" che richiama l'individualità del poeta e della sua personale esperienza, attraverso l'elisione, è fuso e confuso con la luce che lo proietta nella dimensione dell’assoluto. Commento: Scritto nel 1917, il brevissimo testo è confluito nell'Allegria con il titolo definitivo di Mattina, mentre in alcune stampe precedenti aveva quello di Cielo e Mare. Questo primitivo titolo aiuta ad attribuire il giusto significato al testo: Ungaretti si alza di mattina, in riva al mare; qui il poeta s'illumina perché assiste al sorgere del sole, la cui luce si riflette sul mare. L'idea di immenso scaturisce invece dall'impressione che cielo e mare, nella luce del mattino, si fondono in un'unica, infinita chiarita. Fa parte dell'ermetismo e con questa poesia Ungaretti ha voluto esprimere tutto l'entusiasmo del nuovo giorno, la sua gioia nel vedere il mondo al mattino. Ciò che produce la sensazione di magia non può essere spiegato, altrimenti perderebbe il suo fascino e secondo molti esperti in letteratura questa poesia è più vera e piena di significati che alcuni romanzi. Bisogna tenere conto che a quanto pare l'ispirazione per questa poesia Ungaretti l'ebbe durante il servizio militare, quando un mattino scorse dalla sua postazione nei pressi di Trieste in montagna il sole riflesso nel mare adriatico che diventa così un annuncio di speranza, e volge il pensiero dalle brutture della guerra alle bellezze del creato. Egli ha voluto così esprimere con due parole la gioia di immergersi nella bellezza del creato dopo il frangente doloroso della guerra, quando tornò dal fronte con i suoi amici martoriati. SEMPRE NOTTE. Analisi: la poesia è stata scritta nel 1917, anno della disfatta di Caporetto; è una poesia che ci riporta al tema della guerra. La scelta di questo titolo fa riferimento ad una notte infinita, come se non finisse mai. La notte è emblema di una condizione di angoscia e di smarrimento dell'anima. Qui l'uomo combatte e si misura con il nulla e la vita è prigioniera della notte: si trarre della vita del soldato che è vuota e l’idea della solitudine sconforta. “La mia vita si estende piu spaventata di se”: il verso si estende ha un valore duplice cioè occupa uno spazio, si estende verso l'infinito dove si percepisce la sensazione del tatto. E' come se l'infinito si opprimesse dentro. Questo è percepito come un momento di angoscia che nasce dalla fragilità del corpo, si estende allo squallore, nello spavento. Il corpo è fragile nello spazio e non è possibile proteggerlo. “In un infinito che mi calca e mi preme col suo fievole tatto”: finito qui è percepito come tatto, ma non lo pesiamo e non lo vediamo. Qui ungaretti prova un senso di solitudine e di sgomento per l'infinito, è qualcosa che lo intimorisce, spaventa. “Che mi calca” vuol dire che mi preme con forza, che pesa sul corpo, come se lo stesse pestando. “Mi preme col suo fievole tatto” è in antitesi a calca e preme; in questo caso l'infinito notte non finisce mai e gli grava addosso, ma nel mentre, allo stesso tempo gli da una sensazione di fievoolezza e lievità che sembra percepire appena: si tratta di un contatto leggermente percettibile proprio come quello di una mano. UN’ALTRA NOTTE. Analisi e commento: Per analizzare le poesie di Ungaretti bisogna sempre iniziare dal titolo, che è "Un'altra notte". Non è una notte in particolare, ma è un'altra notte, e questo vuol dire che ce ne sono state altre come questa. Ma cosa hanno di particolare queste notti che il poeta ha voluto ricordare attraverso una poesia? Innanzitutto, essendo collocata nella raccolta L'allegria possiamo dedurre che siano notti trascorse quando era in guerra. E ne ha scritte anche altre di poesie catterizzate dalla comune ‘ambientazione notturna. In quest'oscuro = s'intende nell'oscurità della notte, ed usa la preposizione "in" perché lui è in mezzo a questa oscurità che lo avvolge. Colle mani gelate = l'aggettivo "oscuro" non è riferito al "colle" (oscuro colle), perché il termine colle non fa nessun riferimento a una collina. Il "colle" della poesia di Ungaretti sta per "con le mani gelate", e può darsi che abbia unito le due parole per la condizione fisica per cui il ghiaccio si attacca alla pelle, quindi per trasmettere con le sole parole quella sensazione di freddo gelido che stava provando, e che era più forte nelle sue mani. Distinguo il mio viso = in questo buio, il poeta, distingue il suo viso, ed è come se si stesse guardando in terza persona. Un po' per il buio che non ti permette di vedere, un po' per il freddo e il vento che danno fastidio agli occhi, un po' perché in guerra si perde la dignità umana, Ungaretti afferma che nonostante tutto riesce a identificarsi quando guarda se stesso. Evidentemente altri suoi compagni si sono smarriti in guerra, nel senso che potrebbero aver avuto un crollo psicologico, mentre lui, grazie alla poesia, è come se avesse indossato una sorta di elmo che gli ha permesso di proteggere il suo viso, e quindi, non ha perso l'identità. Mi vedo abbandonato nell'infinito = nei due versi finali il poeta prende coscienza della sua paurosa condizione (mi vedo) e la descrive come se si trovasse abbandonato nell'infinito, senza alcun appoggio. È proprio una brutta sensazione quella che sta vivendo, caratterizzata da una profonda solitudine (abbandonato) e di smarrimento (nell'infinito). Ungaretti non vede l'ora che arrivi l'alba e che sorga il sole che lo possa riscaldare, questa sensazione l'ha invece descritta nella poesia Lindoro di deserto. Enjambement = "Mani / gelate" (vv. 2-3), "distinguo / il mio viso" (vv. 4-5), "mi vedo / abbandonato nell'infinito" (vv. 6-7) Abbandonato nell'infinito = iperbole (v. 7). VANITA. Analisi: la poesia è scritta in versi liberi. Il poeta riprende in questa poesia il motivo morale e religioso della vanità delle cose umane, impresso nella visione cristiana del mondo, attraverso la letteratura medievale, prendendo come riferimento lo stile di Petrarca. Ogni verso è composto al massimo da due parole. Nella prima strofa è contenuto l'indicazione essenziale per poter cogliere la natura di questo movimento infinito e indefinito . "D'improvviso" = questa locuzione avverbiale indica il carattere subitaneo e repentino; . "è alto" = indica la prospettiva dell'altezza che incombe sulle cose; indica un evento insolito e sorprendente; . "immensità" = compare solo alla fine della strofa, quasi per aumentare l'atmosfera di magica evocazione. La seconda strofa sposta il suo discorso sull'uomo riprendendo alcuni elementi già introdotti in precedenza. . "sole" = sensazione di luce. . "sorpresa" = viene usato questo termine per recuperare la sensazione di stupore. La poesia da qui in poi sviluppa gli elementi di un'antitesi esistenziale: . all'immagine dell'altezza (è alto) si sostituisce quella dell'«uomo curvato» . lo spazio si sposta dal cielo alla terra . si passa dalla luce all'ombra. L'ombra è un sostantivo astratto che sta a indicare la fragilità e la precarietà della condizione umana, che si riflette nella mobile superficie dell'acqua, elemento essenziale e simbolo della vita (come il "sole", ma con un significato completamente diverso). | tre versi conclusivi che vanno a comporre la terza strofa sono collegati alla strofa precedente (all'acqua e all'ombra), ma lo spazio tra le due strofe e l'iniziale maiuscola servono a dare un'idea di continuità e allo stesso tempo di rottura. Infine i verbi coniugati al participio passato indicano con estrema delicatezza uno stato di ondeggiante sospensione fra la dolcezza protettiva ("cu/lata' rievoca l'infanzia a Ungaretti) e il rischio di perdersi (la precarietà di "franta", attenuata dall'avverbio piano). Enjambements = vv. 1-2; 2-3; 3-4; 4-5; 6-7; 7-8; 8-9; 9-10; 10-11; 11-12; 13-14; 14-15. Antitesi = "vanita" (titolo della poesia) "immensità" (v.5). Vanità: rappresenta la fragilità umana, specialmente in quel luogo di guerra. Immensità: la scoperta della vastità del cielo, della sua grandezza rispetto all'uomo. che si riconosce 'ombra', cioè passeggero del mondo. L'uomo si illude, si fa cullare, ma può essere ‘franto', spezzato. Commento: Se andassimo a cercare sul dizionario la definizione del termine "vanità", troveremo che si tratta di una qualità negativa di una persona, ovvero un frivolo compiacimento di sé e delle proprie qualità personali. Ma il titolo della poesia affronta un altro tipo di vanità, infatti, la parola deriva dal latino vanitas il cui significato è "vuoto", in questo caso un vuoto che ci confonde e ci smarrisce difronte alla vastità del cielo. La poesia si apre con qualcosa di inatteso, che evoca una dimensione che ci porta verso l'alto, verso il cielo: uno squarcio di cielo che illumina le macerie della guerra che non viene mai nominata da Ungaretti ma evocata. La "luce" è qualcosa di inatteso, qualcosa che si apre nel paesaggio cupo e che illumina dall'alto il paesaggio. Questa luce non è descritta come la vediamo, ma come è sentita nell'intimo. Lo "stupore" è per qualcosa di inaspettato, qualcosa di rarefatto e non terreno, infatti la luce ci porta in un'altra dimensione, cioè l'immensità. La luce del sole che filtra con la vastità del cielo che si apre non viene vista alzando gli occhi al cielo ma attraverso il riflesso di essa nell'acqua, acqua che ci riporta al mito di Narciso. Quella pozzanghera, prima cupa, riflette la luce del sole e anche l'acqua è sorpresa dal sole e l'uomo, lì, si rende conto di essere solo un riflesso in quello specchio d’acqua: insomma scopre di essere un'ombra e prende coscienza del carattere breve e transitorio dell'uomo. L'acqua, simbolo del ciclo della vita, scorre e su di essa si riflette l'immagine fragile e oscura dell'uomo. Inizialmente trova conforto in questo ma il moto dell'acqua tende a cancellare l'ombra che prima era visibile e questo ci fa capire che siamo solo dei passeggeri in questa natura immortale, mettendo in evidenza la precarietà dell'uomo e la sua vanità nel mondo. SERENO. Analisi: La lunghezza dei versi è varia; questi sono raggruppati in strofe. | versi sono liberi. La punteggiatura è completamente assente e le parole usate utilizzano un linguaggio semplice. Il titolo della poesia "Sereno" viene usato sia per indicare un cielo stellato privo di nubi e di nebbia (un cielo sereno), sia per indicare lo stato di assoluta tranquillità interiore, senza turbamenti o preoccupazioni (un animo sereno). Enambements = vv. 1-2; 3-4; 5-6; 7-8; 9-10; 12-13; 14-15. Antitesi = "passeggera" e "immortale" (v.13 e v.15) Commento: La poesia "Sereno" è stata scritta nel mese di luglio 1918, nel pieno della stagione estiva, ma soprattutto a pochi mesi dalla fine della Grande Guerra. In estate il cielo è solitamente limpido, privo di nuvole e di nebbia, che avrebbero impedito la visione del cielo stellato. Il poeta dice che le stelle appaiono una alla volta (a una una), come se stesse ripensando all'inverno, periodo nel quale ogni volta che scrutava il cielo non riusciva a scorgere nessuna stella. Man mano che i mesi trascorrevano, vedeva apparire ogni sera sempre più stelle in cielo, che hanno raggiunto il numero più alto proprio nel mese di luglio. Questo suo osservare le stelle può essere visto come un tentativo di Ungaretti di congiungersi con la natura (anche perché è cresciuto in Alessandria, un paese esotico), e approfitta della fine della guerra per respirare la frescura del cielo e riempirsi gli occhi di impressioni, di immagini e sentimenti che non provava più da molto tempo. La guerra di trincea, quella combattuta a poche centinaia, a volte poche decine di metri di distanza, rintanati dentro camminamenti scavati per decine di chilometri, il tutto per conquistare pochi metri di terreno che poi venivano regolarmente persi, gli aveva negato tutte queste emozioni, mostrandogli ritratti di immensa crudeltà e brutalità. Ne sono testimonianza la poesia Veglia in cui si trova buttato vicino a un compagno morto sotto il bagliore della luna piena, la poesia San Martino del Carso che parla di morte e distruzione, oppure la poesia Sono una creatura che trasmette così tanta sofferenza che si sono esaurite perfino le lacrime per piangere. Tutti questi ricordi sono i "doni" che la guerra gli ha fatto, e che lui non ha potuto rifiutare, portando con sé per sempre quello smisurato bagaglio. Ma dopo tante indicibili brutalità, in lui torna il desiderio di riscoprire la natura, di sentirsi legato ad essa. Nella guerra, l'uomo sente la presenza costante della morte, e per questo motivo si attacca disperatamente a tutto ciò che possa rappresentare vita, come la natura stessa. Tuttavia, attraverso i versi finali, ci tiene a precisare che è consapevole della limitatezza della vita umana, che non è altro che un qualcosa di passaggio all'interno di un progetto molto più grande. SI PORTA. Analisi e commento: Questa poesia è costituita di solo due verbi disposti uno a inizio verso e l'altro nel verso finale. Si parte dal presupposto che Ungaretti scrisse nella poesia "I fiumi" che si sente una docile fibra dell'universo, una piccola parte del tutto, senza la quale però il tutto non sarebbe tale. Il verbo "si porta" è riferito alla stanchezza fisica e mentale dell'uomo per il rigenerarsi della terra quando subentra la stagione della primavera. Lo sforzo lo fa la terra ma ne risente anche l'uomo di questo sforzo. L'infinita/ stanchezza = enjambement (vw. 2-3). Dello sforzo / occulto = enjambement (vv. 4-5). Questo principio che ogni anno scatena la terra = perifrasi (vv. 6-8). Per indicare la primavera, ovvero la stagione della rinascita. LUCCA. Analisi: È una poesia in prosa, caratterizzata da un testo molto lungo in cui le frasi sono brevi e schematiche grazie alla punteggiatura, ma rispetto alle sue poesie più ermetiche, questa presenta versi più articolati e collegati fra loro. Non vi sono rime e manca l'intestazione diaristica tipica di molte composizioni di Ungaretti, con l'indicazione del luogo e della data. Viene fatto un frequente uso di aggettivi possessivi che svelano il forte legame che il poeta avverte con le tematiche trattate. Ciò che racconta è la sua reale esperienza e non il frutto di qualche vaga immaginazione. Inoltre se nella prima parte del testo compaiono parole rustiche e semplici come "zappa", "rosario", "madre", "città" e "osteria"; la seconda parte è caratterizzata da uno slancio poetico concentrato sull'interiorità del poeta e, quindi, compaiono termini più sofisticati ("nostalgie e desideri", "appetito maligno", "amori mortali") e tematiche più concettuali e profonde (amore, destino, morte). La città è spesso caratterizzata da aggettivi di accezione negativa ("Timorato e fanatico") o termini che richiamano alla semplicità della vita campestre ("zappa", “prole"). Ossimoro = "timorato" e "fanatico" (v. 4). Similitudine = "come d'un suo podere" (v, 8). Ossimoro = "passato" e "avvenire" (v. 14). Similitudine = "come una garanzia della specie" (v, 20). Enjambements = vv. 1-2; 7-8; 18-19. Commento: Nel testo Ungaretti descrive Lucca, città natia dei suoi genitori, ma non la sua perché egli è nato in Alessandria d'Egitto. Il testo si apre con un ricordo d'infanzia: dopo aver cenato tutti insieme e dopo aver recitato il rosario, la madre del poeta era solita raccontare al figlio di come era la città lucchese e che poi dovette lasciare per andare a lavorare in Egitto, dove Ungaretti nasce e trascorre la sua prima infanzia. Alessandria d'Egitto era una città nella quale fatica a riconoscersi e identificarsi. Invece, Lucca, descritta amorevolmente come una sola madre sa fare, affascinava il piccolo Ungaretti al punto che si ritrovava ad immaginare la fisicità della città, con le sue mura ed il traffico, e si immaginava lui stesso in quelle mura. Un giorno (al termine della Prima Guerra Mondiale) Ungaretti, che si trova in una fase molto significativa della sua vita (scosso dal dolore), decide di recarsi nella città che ha visto nascere i suoi genitori (Lucca), con la speranza di ottenere un cambiamento o una maturazione, e si scopre simile alla gente che lo circonda. | lucchesi di cui parla Ungaretti sono persone molto semplici, che ben poco hanno conosciuto al di là della propria esistenza paesana (non sanno dove sia o addirittura cosa sia la California). Questo pensiero gli piace e allo stesso tempo lo turba: da un lato si sente parte di questo mondo contadino e si immagina con la zappa, ma dall'altro questo pensiero lo terrorizza. Il terrore che prova Ungaretti nasce dal fatto che lui si è sempre considerato senza patria, come un viandante che aspira al ritorno a casa, invece, in questo modo egli sa di avere radici toscane e contadine e, lo riscoprire le proprie radici, significa per lui essere diventato vecchio. Quando Ungaretti scrisse questa poesia aveva solo trent'anni, e il fatto che questo aspetto lo facesse sentire vecchio lo terrorizzava. Giungendo nella patria tanto ricercata, il poeta si ritrova costretto ad abbandonare nostalgie e desideri passati. L'insoddisfazione di questa scoperta lo obbliga a cambiare il suo stile di vita con triste rassegnazione. Il futuro e il destino si tramutano in momenti di morte, di cambiamento e di distacco dai desideri e dai sogni giovanili diventando una routine priva di interesse e di stimoli. Anche il concetto di amore è costretto a trasformarsi: all'appetito maligno che lo spingeva negli "amori mortali" sostituisce un rapporto amoroso concepito unicamente come mezzo per dare vita alle generazioni future. Per questo si sente pronto ad "allevare tranquillamente una prole" e a diventare "un'origine", così come i suoi antenati lo sono stati per lui. Si rende conto che il destino e il futuro non sono un'incognita misteriosa ma la semplice continuazione della vita cittadina, e che bisogna abbandonarsi alla quotidianità come qualcosa di inevitabile e di giusto. Lo stato d'animo che si può cogliere nei versi finali è di pace e rassegnazione, serenità e mancanza di turbamento. Ora il poeta ha ricostruito le dinamiche della propria esistenza, conosce la sua origine e il suo destino, l’inizio e la fine, e può abbandonarsi all'idea della morte. PREGHIERA. Analisi: La poesia "preghiera" è la poesia conclusiva della raccolta L'allegria, ed è strettamente collegata ad altre poesie di Ungaretti presenti in questa raccolta e ciò lo si può intuire dall'uso di termini "riutilizzati": 1. naufragio: sitrova nella poesia Allegria di Naufragi; 2. peso, leggero: si trovano nella poesia Peso. vv. 1-3 Il poeta usa il futuro (quando mi desterò) e da ciò si può dedurre che non è qualcosa che gli sta capitando adesso, ma intuisce che gli potrebbe capitare in futuro. Potrebbe essere un riferimento al giorno in cui morirà (il giorno in cui si scopre cosa c'è dopo la vita) o forse alla sua conversione (un giorno di grande cambiamento), o della fine della guerra (nel senso che uscirà dalla trincea, dal fango ecc. e rivedrà la luce); secondo me è più probabile la seconda ipotesi. E questo qualcosa lo descrive come un risveglio dinnanzi al bagliore (barbaglio) dovuto alla vicinanza (promiscuità) della perfezione (limpida e attonita sfera). v.4 Il poeta sostiene che quando si sarà destato (= scosso dal torpore, risvegliato), avverrà come una metamorfosi in lui, che lo farà sentire leggero. vv. 5-6 Ungaretti che è nel mezzo di un percorso di religiosità, e ha raggiunto un contatto con Dio (lo invoca chiamandolo Signore, con la lettera maiuscola), gli chiede attraverso una preghiera di poterlo fare naufragare (nella terminologia ungarettiana il naufragio non è un termine negativo), ovvero di perdersi in questa esperienza, per rinascere a vita nuova appena sorgerà quel giorno. Da notare che per descrivere la nascita del giorno non usa un'immagine visiva ma uditiva, il grido lo si può associare alle urla e al pianto dei bambini appena nati. Quando... quando = anafora (v.1, v.4). Limpida e attonita = endiadi (v. 3). Il naufragio concedimi = anastrofe (v. 5). Cioè: "concedimi il naufragio". Giovane giorno grido = allitterazione della G (v. 6). Di quel giovane giorno al primo grido = anastrofe e personificazione(v. 6). Cioè: "al primo grido di quel giovane giorno", il giorno che grida come un bambino appena nato INNO ALLA MORTE. Analisi: Questa poesia inizia con un'invocazione d'amore, un amore collegato all'immagine del sole che illumina con la sua luce ed è dorato in quanto viene fatto riferimento ad Apollo, Dio del sole, che col cocchio dorato attraversava il cielo durante il giorno. Qui, l'amore raffigurato come immagine del tempo, del sole e della forza è un'emblema di giovinezza che fa da contrasto alla vecchiaia ("mi pesano gli anni venturi"), che è solo il principio di un percorso che porta alla morte. Il "giorno rupestre" sta a significare che l'alba è collocata all'interno di un paesaggio rupestre (costituito da rocce grandi e scoscese), a cui aggiunge che vi sono fossati, cavità naturali e corsi d'acqua che scorrono impetuosi. Continua creando un legame di tipo sinestetico tra la luce e la tortora: dice che la scia di luce è paragonabile allo spostamento della tortora, perché la scia di luce è in continuo cambiamento. Di conseguenza si ha la percezione non solo del mutare delle cose ma anche del fatto che ci sfuggono e possiamo perderle per sempre e, quindi, la vita non è altro che la perdita di un qualcosa. È per questo che al poeta pesano gli anni che dovranno ancora arrivare (venturi), in quanto oltre a quelli che ha già perso se ne andranno ad aggiungerne altri che faranno la stessa fine. Continua dicendo che l'amore è una la luce che diventa lucente (v. 10), un altro modo per dire che è l'immagine stessa della vita, cioè senza amore non c'è vita. Giungiamo quindi nei versi più importanti del testo "Abbandonata la mazza fedele..morte arido fiume", dove il poeta come era solito fare nelle poesie della raccolta Sentimento del tempo, fa riferimento a un fiume e e per ogni fiume corrisponde un periodo storico della sua vita. Tutti i fiumi sfociano nell'Isonzo e il fiume in questione rappresenta la nostalgia per ciò che non c'è più; l'acqua è buia perché in essa si riflette l'oscurità della notte e il vuoto della perdita, ma anche perché è arrido. Per Ungaretti l'acqua raffigura la vita e l'assenza di acqua raffigura la morte. Il rapporto tra Ungaretti e la morte è così stretto da essergli familiare, infatti definisce la morte come una sorella ("immemore sorella morte"). Infine, riprendendo il concetto di eros e thanatos, il poeta ci vuole dire che la piena consapevolezza del gesto di abbandonare la "mazza fedele", cioè accettando la morte, può scatenare nel nostro animo le stesse piacevoli sensazioni prodotte da un rapporto d'amore. È la fine dei rimpianti ("Non avrò più pensieri né bontà") e l'inizio di una speranza ("Farò da guida alla felicità"). Anafora = "Amore" (v. 1,10). Antitesi = "jrruenti' (v. 5) e "arido" (v. 15). Antitesi = "/uce" (v. 7) e "buia" (v. 13). Sinestesia = "scia di luce Che pari alla tortora lamentosa" (vv. 7-8). Sfera sensoriale visiva e uditiva. Similitudine = scia di luce Che pari alla tortora lamentosa" (vv. 7-8). Paronomasia = "turba" (v. 9) al posto di "tuba", che è il verso della colomba. Metafora = "cuore immobile" (v. 21). Paronomasia = "mentre" al posto di "mente" (v. 24) IL CAPITANO. Analisi e commento: La lirica è dettata, come la maggior parte delle sue poesie, dalla tragedia della guerra, con le sue macerie materiali e morali le quali, mentre da una parte scoprono l'uomo nella sua condizione di fragilita e di precarieta, dall'altra parte lo spingono ad attaccarsi di piu alla vita, ad immedesimarsi negli altri e a vedere nei compagni di trincea dei “fratelli”. “Il Capitano” si apre con l'indicazione di una caratteristica fondamentale della sua vita di nomade, sempre “pronto a tutte le partenze”, e con l’immagine della notte, custode pietosa dei segreti della vita e della morte. Immergendosi nel passato, il poeta ricorda momenti della sua infanzia e si rivede bambino quando, di notte, svegliandosi di soprassalto, si calmava solo al sentire il latrato dei cani che lo rassicurava piuy del lumino alla Madonna che rimaneva costantemente acceso nella sua stanza come “mistica compagnia”. Ripercorrendo poi le tappe della sua tormentata esistenza, il poeta si interroga sull'origine della sua musa poetica e prova quasi un senso di incredulita e di stupore nel sentirsi grande e famoso. Ma nel buio della notte, Im, dentro il fango della trincea e nel freddo della neve, abbandonato e sdraiato sulla nuda terra, egli si scopre in tutta la sua fragilita e precarieta di “fibra di elementi”, mentre prende forma un sentimento di umilta creaturale ‘pazza, palese in ogni oggetto, era schiacciante l'umilta”. Nell'ultima parte della lirica il poeta descrive con rapidi tocchi la figura del Capitano colto nella rigida fissita della morte, sereno e amorevolmente vegliato dal poeta che con pietoso affetto gli chiude gli occhi. La lirica si conclude con l’immagine tenera e dolce della luna che appare nel cielo quasi ad accarezzare con la sua candida luce il Capitano, per poi accompagnare, con la sua velata presenza, la tragica fine. “Fui pronto a tutte le partenze” è il primo verso, è epigrafico ovvero breve e conciso ed è un attacco bruciante in cui l'atteggiamento dell’uomo è quello di chi è pronto a ripartire ogni volta e che mette in gioco tutto. “Quando hai segreti, notte hai pietà" è un modo per tornare alla sua infanzia dove il segreto è concepito da lui come mistero. Si tratta di ricordi di ungaretti e momenti della sua vita. LA MADRE. Analisi: la poesia è caratterizzata da endecasillabi e settenari liberamente alternati. Tre sono i momenti esaltati in questa lirica bellissima, scritta da Ungaretti nel 1930, alla morte di sua madre: l'amore della madre che trepida per la salvezza eterna del figlio; la sua fiducia nella misericordia di Dio; il senso di sollievo quando vede il figlio perdonato. . E il cuore quando...il muro d'ombra: quando il cuore con il suo ultimo battito, avrà fatto superare il muro d'ombra, di mistero che separa la vita terrena dall'aldilà. . Per condurmi...la mano: come al tempo dell'infanzia, madre, mi darai la mano, per accompagnarmi fino a Dio. . In ginocchio: in ginocchio davanti a Dio, resterai immobile come una statua, decisa a non alzarti finché non avrai ottenuto misericordia per il tuo figliolo. e Tivedeva: io ti vedevo ( nel consueto atteggiamento fermo, deciso e risoluto). . M'avrà perdonato: il soggetto è Dio. . E avrai...sospiro: quando tempo hai atteso trepidando e temendo, ora finalmente mandi un sospiro di sollievo, rasserenata e in pace per sempre. Analogia = "/'ultimo battito" (v. 1). Cioè la morte. Analogia = "avrà fatto cadere il muro d'ombra" (v. 2). Cioè quando la barriera oscura avrà ceduto, ovvero dopo la morte. Anastrofe = "E il cuore quando d'un ultimo battito avrà fatto cadere il muro d'ombra" (vv. 1-2). Anastrofe = "come una volta mi darai la mano" (v. 4). Apostrofi Madre" (v. 3). Metafora = "sarai una statua davanti all'eterno" (v. 6). Antonomasia = "eterno" (v. 6). Invece di dire Dio. Sinestesia = "e avrai negli occhi un rapido sospiro" (v. 15). Sfera sensoriale della vista e sfera sensoriale dell'udito. Commento: Caduto il muro d'ombra che gli impedisce di vedere la luce dell'aldilà (cioè dopo la morte), il poeta immagina di ritrovarsi di nuovo con l'anziana madre, che nell'oltretomba lo attende per condurlo dinanzi a Dio, Giudice eterno, per fargli ottenere l'assoluzione, gettandosi in ginocchio, pregando risoluta e invocando il perdono per lui. A questo punto, nel momento supremo, il poeta si ritrova come una volta, come un bambino, quando fiducioso si affidava alla mano della mamma. Di lei ha ancora bisogno per essere condotto davanti al giudizio e al perdono di Dio. E solo quando Dio glielo avrà accordato, guarderà in volto il proprio figlio. Nei versi di questa bellissima poesia viene espresso, con un'ammirevole sobrietà di toni il dramma intimo e sofferto di una madre che aspetta il figlio alle soglie dell’eternità per vederlo redento con la sua preghiera. Protagonista dell'azione e la madre, come mediatrice di grazia e di misericordia (le qualità tradizionalmente attribuite alla Madonna). Notiamo due fasi nel suo atteggiamento: . in un primo momento ella si comporta con tratti rigidi e severi, come una sacerdotessa che segue un preciso rituale liturgico (dà la mano, vv. 3-4; sta in ginocchio , vv. 5-6; alza le braccia, v.9); . solo dopo che la purezza e l'innocenza spirituale del figlio sono state riconosciute dall'assenso divino (v.12), la madre riacquista dolcezza e affettuosità (guarda e sospira , vv. 13-15).
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