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Analisi logica prima liceo, Esercizi di Italiano

Analisi logica prima liceo frasi analizzate

Tipologia: Esercizi

2021/2022

Caricato il 07/03/2022

ilaria-moretti-9
ilaria-moretti-9 🇮🇹

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Scarica Analisi logica prima liceo e più Esercizi in PDF di Italiano solo su Docsity! Ulisse e Polifemo – Parafrasi NELLA GROTTA DI POLIFEMO Arrivammo presto alla grotta. Polifemo non c’era: guidava al pascolo il suo gregge. Osservavamo ogni cosa dentro la grotta: i ripiani di canne o vimini intrecciati erano pieni di formaggi; fitti erano i recinti d’agnello e capretti, gli uni separati dagli altri: da un lato i nati per primi, dall’altro i secondi, e poi gli ultimi. Il siero del latte traboccava (usciva) dai vasi, dai secchi, dai recipienti in cui si mungeva il latte. Qui, i compagni mi pregarono (con quali parole!) di portare via dei formaggi, e di far uscire capretti e agnelli dai recinti e di tornare in fretta verso la nave veloce per riprendere a navigare. Ma non volli ascoltarli (era la cosa migliore); volevo vedere il Ciclope E ricevere i doni degli ospiti. Ma ai compagni Il Ciclope non sembrava d’amabile aspetto! Acceso il fuoco, offrimmo bevande e cibi scelti agli dei, e mangiammo anche noi formaggi, aspettando seduti. L’ARRIVO DI POLIFEMO Il Ciclope tornò dal pascolo con un carico enorme di legna secca, da bruciare durante la cena, e la gettò rumorosamente nella grotta; e noi spaventati cercammo rifugio nell’ombra. Egli spinse il gregge da mungere nella grande caverna; e lasciò i maschi, i capri e gli arieti nel recinto in alto, poi mise un enorme e pesante macigno. Ventidue carri ben saldi a quattro ruote non l’avrebbero smosso da terra: perciò mise il macigno contro la porta. Poi, seduto, mungeva una dopo l’altra le pecore e capre belanti, e metteva un piccolo nato sotto ad ognuna. Fatto condensare metà di quel candido (bianco) latte lo raccolse in canestri di vimini, e l’altra metà la versò nei recipienti per berlo durante la cena. LA RICHIESTA DI OSPITALITÀ DI ULISSE Polifemo accese il fuoco, e vedendo disse: «O stranieri, chi siete? E da che terra venite, da quali mari? Siete forse mercanti? O vagate all’avventura sul mare come pirati che rischiano la vita assalendo i naviganti?». Così disse; e sentimmo un colpo al cuore, spaventati dalla cupa voce e dall’orrido volto. Ma io, che come gli altri ero spaventato, così gli risposi: «Siamo Achei, e partimmo da Troia verso la patria; ma venti diversi ci spinsero via, per altre rotte e altre rive; ed anche qui giungemmo: ma era forse volontà di Zeus. Siamo, ed è nostra gloria, soldati di Agamennone, l’Atrìde (figlio di Atreo), che vince ogni altra fama sotto il cielo, così forte che distrusse città e sconfisse tanti popoli. E ora qui, per essere accolti, ci prostriamo per ricevere almeno un dono, che è diritto degli ospiti. Tu, o potente, porta rispetto agli dei: noi ti preghiamo, e Zeus protegge chi prega, e così gli stranieri: e Zeus è sempre guida degli ospiti, e li fa onorare». Così dissi; e, senza pietà nel cuore, mi rispose: «O straniero, o sei ingenuo come un fanciullo o vieni da lontano, se mi spingi a temere o a sottrarmi agli dei: né di Zeus, né degli dei felici si curano i Ciclopi, che sono molto più potenti di loro. Non avrò pietà di te o dei compagni per sfuggire l’ira di Zeus, bensì solo se il cuore me lo ordinerà. Ma dimmi, dov’è ancorata la tua bella nave: forse là sulla spiaggia lontana, o qui vicino? Ditemi». Così diceva cercando di spingermi a rispondere; ma con me, esperto di ogni cosa, i trucchetti on potevano funzionare, e subito gli risposi con astute parole: «Poseidone, che scuote la terra, m’infranse la nave, lanciandola contro gli scogli sul limite dell’isola, contro lo spigolo di una roccia, dove la spinse il vento proveniente dal mare in tempesta. E noi scampammo alla morte violenta». LA FEROCIA DI POLIFEMO E LA DISPERAZIONE DI ULISSE E DEI SUOI COMPAGNI Così dicevo; ed egli non rispose, non ebbe pietà; con un salto allungò le mani sui compagni, ne prese due, e li sbatteva al suolo: e il cervello si sparse, bagnando intorno la terra. E poi facendoli a pezzi, preparava il suo pasto; come un leone che vaga sui monti, divorava tutto: la carne, le viscere e le ossa con il loro midollo. Noi, al vedere quello scempio (orrore), alzavamo a Zeus le mani piangendo, disperati nel cuore. Dopo che il Ciclope si fu riempito la pancia enorme con carne umana e latte purissimo, si mise a riposare, disteso nell’antro, in mezzo alle greggi. L’ASTUZIA DI ULISSE E L’ACCECAMENTO DI POLIFEMO «Ciclope, tu chiedi il mio nome famoso; ed io te lo dirò. Ma tu dammi, come hai promesso, il dono degli ospiti. Il mio nome è Nessuno; e Nessuno mi chiama mia madre e mio padre, e così mi chiamano i compagni.» Io dissi così; e senza pietà nel cuore, Polifemo rispose: «Io, tra i suoi compagni, mangerò per ultimo Nessuno; e prima mangerò tutti gli altri: questo sarà il mio dono». Disse, e cadde al suolo. E là, supino (a pancia in su) riposava con il gran collo reclinato; e il sonno, che governa ogni cosa, lo prese: e uscivano dalla gola il vino bevuto e pezzi di carne umana, mentre ruttava ubriaco. Allora spinsi il palo sotto il mucchio di brace, per farlo bruciare, e intanto motivavo a parole i compagni, perché nessuno di loro fosse vinto dalla paura.
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