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Convergenza di serie: Definizioni e proprietà, Schemi e mappe concettuali di Analisi Matematica I

La convergenza di serie, introducendo le definizioni di serie e somme parziali, il criterio di convergenza di cauchy e le proprietà di convergenza di serie assolute e condizionata. Vengono inoltre discusse le osservazioni sul riordinamento di serie e l'esempio di convergenza puntuale e globale di diverse serie. Il documento include anche esercizi per la pratica.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2023/2024

Caricato il 27/01/2024

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Scarica Convergenza di serie: Definizioni e proprietà e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Analisi Matematica I solo su Docsity! Appunti di Analisi matematica 1 Paolo Acquistapace 27 gennaio 2024 Indice 1 Numeri 1 1.1 Alfabeto greco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1.2 Insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1.3 Funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1.4 Il sistema dei numeri reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1.5 Assioma di completezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 1.6 Numeri naturali, interi, razionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1.7 La formula del binomio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 1.8 Radici n-sime . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 1.9 Valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 1.10 La funzione esponenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 1.11 Geometria nel piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 1.12 Numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 1.13 Geometria nello spazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 2 Successioni 111 2.1 Limiti di successioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 2.2 Serie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120 2.3 Successioni monotone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124 2.4 Criteri di convergenza per le serie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 2.5 Convergenza assoluta e non . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 2.6 Successioni di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 2.7 Serie di potenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149 2.8 Riordinamento dei termini di una serie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 2.9 Moltiplicazione di serie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168 3 Funzioni 174 3.1 Spazi euclidei Rm e Cm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174 3.2 Funzioni reali di m variabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185 3.3 Limiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193 3.4 Proprietà delle funzioni continue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205 3.5 Asintoti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215 i allora che l’insieme è infinito), esso si può descrivere individuando una proprietà p(x) che gli elementi x dell’universo X possono possedere o no, e che caratterizza l’insieme che interessa. Per esempio, l’insieme A = {1, 2, 3, 4, 6, 12} è altrettanto bene descritto dalla proprietà p(x) = “x è divisore di 12”, la quale, all’interno dei numeri naturali (che in questo caso costituiscono il nostro uni- verso), contraddistingue esattamente gli elementi dell’insieme A. Introduciamo alcuni simboli che useremo costantemente nel seguito. • x ∈ A significa: x appartiene ad A, ovvero x è un elemento di A. • A ⊆ B, B ⊇ A significano: A è contenuto in B, ovvero B contiene A, ovvero ogni elemento di A è anche elemento di B, o anche A è sottoinsieme di B. • A = B significa: A coincide con B, ovvero A e B hanno gli stessi elementi, ovvero A ⊆ B e B ⊆ A. • A ⊂ B, B ⊃ A significano: A è strettamente contenuto in B, ovvero A è sottoin- sieme proprio di B, ovvero ogni elemento di A è elemento di B ma esiste almeno un elemento di B che non è elemento di A, ovvero A ⊆ B ma A non coincide con B. Per negare le proprietà precedenti si mette una sbarretta sul simbolo corrispondente: ad esempio, x /∈ A significa che x non appartiene all’insieme A, A 6= B significa che gli insiemi A e B non hanno gli stessi elementi (e dunque vi è almeno un elemento che sta in A ma non in B, oppure che sta in B ma non in A), eccetera. Sia X un insieme e siano A,B sottoinsiemi di X. Definiamo: • A ∪ B = unione di A e B, ossia l’insieme degli x ∈ X che appartengono ad A oppure a B (oppure ad entrambi). • A ∩ B = intersezione di A e B, ossia l’insieme degli x ∈ X che appartengono sia ad A che a B. • A \B = differenza fra A e B, ossia l’insieme degli x ∈ X che appartengono ad A, ma non a B. • Ac = X \ A = complementare di A in X, ossia l’insieme degli x ∈ X che non appartengono ad A. • ∅ = insieme vuoto, ossia l’unico insieme privo di elementi. 2 Si noti che A∪B = B∪A, A∩B = B∩A, ma in generale A\B 6= B \A. Se A∩B = ∅, gli insiemi A e B si dicono disgiunti. Vi sono altre importanti proprietà degli insiemi e delle operazioni su di essi, di cui non ci occupiamo qui: ne parleremo di volta in volta quando ci occorreranno. Introduciamo ora alcuni insiemi importanti: • N = insieme dei numeri naturali = {0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, . . .}. • N+ = insieme dei numeri naturali diversi da 0 = {1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, . . .}. • Z = insieme dei numeri interi = {0, 1,−1, 2,−2, 3,−3, 4,−4, . . .}. • Q = insieme dei numeri razionali, cioè di tutte le frazioni p q con p ∈ Z, q ∈ N+. • R = insieme dei numeri reali: su questo insieme ci soffermeremo a lungo; esso contiene Q, ma anche numeri irrazionali come π, e, √ 2, √ 3. • C = insieme dei numeri complessi, cioè i numeri della forma a+ ib, con a, b ∈ R; la quantità i si chiama unità immaginaria e verifica l’uguaglianza i2 = −1: essa non è un numero reale. Anche su questo insieme avremo molto da dire. Notiamo che valgono le inclusioni proprie N+ ⊂ N ⊂ Z ⊂ Q ⊂ R ⊂ C. Nelle nostre formule useremo alcuni altri simboli che sono delle vere e proprie abbrevia- zioni stenografiche, e che andiamo ad elencare. • Il simbolo “∀” significa “per ogni”: dunque dire che “x ∈ B ∀x ∈ A” equivale a dichiarare che ogni elemento di A sta anche in B, cioè che A ⊆ B. • Il simbolo “∃” significa “esiste almeno un”: dunque affermare che “∃x ∈ A tale che x ∈ B” vuol dire che c’è almeno un elemento di A che sta anche in B, ossia che A ∩B non è vuoto. i due simboli ∀, ∃ vengono detti “quantificatori esistenziali”. • Il simbolo “∃ !” significa “esiste un unico”: dunque la frase “∃ ! x ∈ A tale che x ∈ B” indica che c’è uno ed un solo elemento di A che sta in B, ossia che A∩B è costituito da un solo elemento. • Il simbolo “:” significa “tale che”: dunque l’enunciato “∃ ! x ∈ A : x ∈ B” ha lo stesso significato dell’affermazione del punto precedente. 3 • Il simbolo “=⇒” significa “implica”: quindi la frase “x ∈ A =⇒ x ∈ B” vuol dire che se x ∈ A allora x ∈ B, ossia che A ⊆ B. Useremo anche il simbolo contrario “⇐=” per indicare un’implicazione nel verso opposto: con la frase “x ∈ A ⇐= x ∈ B” intendiamo dire che se x ∈ B allora x ∈ A, ossia che B ⊆ A. • Il simbolo “⇐⇒” significa “se e solo se”: si tratta della doppia implicazione, la quale ci dice che i due enunciati a confronto sono equivalenti. Ad esempio la frase “x ∈ A⇐⇒ x ∈ B” indica che A = B. Nel nostro corso non ci occuperemo di questioni di logica formale e non parleremo di predicati, proposizioni, variabili, tabelle di verità, eccetera; cercheremo di ragionare secondo il nostro buon senso, affinato (si spera) dalle passate esperienze scolastiche, rimandando al corso di logica la sistemazione rigorosa di questi aspetti. Ci limitiamo ad osservare che la pulizia formale è sempre fondamentale, ma non determinante al fine di dire cose giuste: l’affermazione di poco sopra “∃x ∈ A : x ∈ B” è formalmente perfetta ma, se ad esempio A = {n ∈ N : n ≤ 5}, B = {n ∈ N : n2 > 25}, essa risulta inequivocabilmente falsa. Come si fa a negare un’affermazione della forma “∀x ∈ A ∃y ∈ B : x = y”? Dobbiamo formulare l’esatto contrario dell’enunciato precedente: dunque, a lume di naso, ci sarà almeno un x ∈ A per il quale, comunque si scelga y ∈ B, risulterà sempre x 6= y; e dunque, “∃x ∈ A : x 6= y ∀y ∈ B”. Si noti come i quantificatori ∃ e ∀ si siano scambiati di posto: questa è una regola generale delle negazioni. Un’altra importante operazione fra due insiemi X, Y è il prodotto cartesiano X × Y : esso è definito come l’insieme di tutte le coppie (x, y) con x ∈ X e y ∈ Y . Può anche succedere che Y = X, ed in tal caso scriveremo spesso X2 in luogo di X ×X; in questo caso si noti che entrambe le coppie (x, y) e (y, x) appartengono all’insieme X2, e che esse sono diverse l’una dall’altra. Esercizi 1.2 1. Sia A ⊆ R. Scrivere la negazione delle seguenti affermazioni: (i) ∃y ∈ R : x < y ∀x ∈ A, (ii) ∀x ∈ A ∃y ∈ A : x < y, (iii) ∃y, z ∈ R : y < x < z ∀x ∈ A, (iv) ∀x ∈ A ∃y, z ∈ A : y < x < z. 2. Elencare gli elementi di ciascuno dei seguenti insiemi: A = { k ∈ Z : 1 k ∈ Z } ; B = {k ∈ Z : ∃h ∈ Z : k = 6h}; C = {n ∈ N : ∃m ∈ N : m ≤ 10, n = 6m}; 4 Si noti che è sempre possibile supporre che una data funzione f : X → Y sia surgettiva: basta pensarla come funzio- ne da X in f(X). Il problema è che nei casi concreti è spesso difficile, e talvolta impossibile, caratterizzare il sottoinsie- me f(X) di Y . Vedremo innumerevoli esempi di fun- zioni e di grafici nel seguito del corso. Esercizi 1.3 1. Posto f : R→ R, f(x) = 3x− 1, e g : R→ R, g(t) = −t2, scrivere esplicitamente le funzioni composte g ◦ f(x) = g(f(x)), x ∈ R, f ◦ g(t) = f(g(t)), t ∈ R. 2. Quali di queste funzioni a valori in R sono iniettive, quali surgettive e quali invertibili? (i) f(x) = 1/x, x ∈ R \ {0}; (ii) f(x) = x3 − x, x ∈ R; (iii) f(x) = 1 x2+1 , x ∈ R; (iv) f(k) = (−1)k, k ∈ Z; (v) f(s) = s2, s ∈ R; (vi) f(x) = { x2 se x ≥ 0 −x2 se x < 0. 3. Sia f(x) = 2x− 1, x ∈ R. Tracciare il grafico delle seguenti funzioni: (i) f(x); (ii) f(−x); (iii) max{f(x), f(−x)}; (iv) f(f(x)); (v) f(x)−f(−x) 2 ; (vi) f(x)+f(−x) 2 ; (vii) min{f(x), 0}; (viii) max{−f(−x), 0}. 1.4 Il sistema dei numeri reali reali Definire in modo rigoroso che cosa siano i numeri reali è un compito tutt’altro che ele- mentare anche per un matematico di professione: non è il caso quindi di addentrarsi in questa problematica all’inizio di un corso di analisi. Ma anche senza avere pretese “fon- dazionali”, per lavorare coi numeri reali occorre conoscerne le proprietà, e riflettere per un momento sul significato dei simboli e delle formule che siamo abituati a manipolare più o meno meccanicamente fin dalle scuole elementari. Le proprietà dei numeri reali si possono classificare in tre gruppi: 7 (a) proprietà algebriche, riguardanti le operazioni che si possono eseguire tra numeri reali; (b) proprietà di ordinamento, relative alla possibilità di confrontare tra loro i numeri reali per identificarne il “maggiore”; (c) proprietà di continuità, più profonde e nascoste, legate all’idea che devono esistere “abbastanza numeri” per rappresentare grandezze che variano “con continuità”, quali il tempo o la posizione di un punto su una retta. Tutte queste proprietà caratterizzano il sistema R dei numeri reali, nel senso che esse si possono assumere come assiomi che definiscono ed individuano in modo unico il sistema R. Noi non entreremo in questa questione, limitandoci più modestamente a mettere in rilievo il fatto che le proprietà (a) e (b) sono alla base di tutte le regole di calcolo che abbiamo imparato ad usare fin dall’infanzia. Proprietà algebriche Nell’insieme R sono definite due operazioni, l’addizione e la moltiplicazione, le quali associano ad ogni coppia a, b di numeri reali la loro somma, che indichiamo con a+ b, e il loro prodotto, che indichiamo con a · b od anche con ab. Valgono le seguenti proprietà: 1. associatività: a+ (b+ c) = (a+ b) + c, a(bc) = (ab)c per ogni a, b, c ∈ R; 2. commutatività: a+ b = b+ a, ab = ba per ogni a, b ∈ R; 3. distributività: a(b+ c) = ab+ ac per ogni a, b, c ∈ R; 4. esistenza degli elementi neutri: esistono (unici) due numeri reali distinti, che indi- chiamo con 0 e 1, tali che a+ 0 = a, a · 1 = a per ogni a ∈ R; 5. esistenza degli opposti: per ogni a ∈ R esiste un (unico) b ∈ R tale che a + b = 0, e tale numero b, detto opposto di a, si indica con −a; 6. esistenza dei reciproci: per ogni a ∈ R \ {0} esiste un (unico) b ∈ R tale che ab = 1; tale numero b si dice reciproco di a e si indica con 1 a od anche con a−1. Dalle proprietà precedenti seguono facilmente tutte le regole usuali dell’algebra elemen- tare, quali: • il fatto che a · 0 = 0 per ogni a ∈ R; • la semplificazione per l’addizione: se a+ b = a+ c, allora b = c; • la semplificazione per la moltiplicazione: se ab = ac e a 6= 0, allora b = c; • la definizione di sottrazione: per ogni a, b ∈ R esiste un unico c ∈ R tale che a+ c = b, e tale numero c, detto differenza fra b e a, si indica con b− a; 8 • la definizione di divisione: per ogni a, b ∈ R con a 6= 0 esiste un unico c ∈ R tale che ac = b, e tale numero c, detto quoziente, si indica con b a ; • la legge di annullamento del prodotto: se ab = 0 allora deve essere a = 0 oppure b = 0 (oppure entrambi). Si provi a dimostrare gli enunciati precedenti utilizzando gli assiomi 1-6 ! Proprietà di ordinamento Nell’insieme dei numeri reali esiste un sottoinsieme P , i cui elementi sono detti numeri positivi, dotato delle proprietà seguenti: 7. se a, b sono numeri positivi, anche a+ b e ab sono positivi; 8. per ogni a ∈ R vale una e una sola di queste tre possibilità: a è positivo, oppure −a è positivo, oppure a = 0. Si noti che, per l’assioma 8, il numero reale 0 non può essere positivo. I numeri diversi da 0 e non positivi si dicono negativi: dunque un numero reale a è negativo se e solo se −a è positivo. Si scrive a > 0 quando a è positivo, e b > a (o equivalentemente a < b) quando b − a è positivo, cioè b − a > 0; in particolare, x < 0 significa −x > 0, cioè x negativo. Si scrive poi a ≥ 0 quando a è positivo o uguale a 0, e b ≥ a (o equivalentemente a ≤ b) quando b− a ≥ 0. Si osservi che a ≥ b e a ≤ b ⇐⇒ a = b. Dagli assiomi 7-8 discendono i seguenti altri fatti (esercizi 1.4.2 e 1.4.3). • Il prodotto di due numeri negativi è positivo; in particolare, se x è un numero reale diverso da 0, il suo quadrato, ossia il numero reale x2 definito come x · x, è sempre positivo: x2 = x · x > 0 ∀x ∈ R \ {0}. • Il numero 1 è positivo (e quindi N+ ⊆ P ). Inoltre si deducono facilmente tutte le usuali regole di calcolo con le disuguaglianze: invitiamo il lettore a farlo. Introduciamo adesso alcuni speciali sottoinsiemi di R definiti mediante l’ordinamento: gli intervalli. Se a, b ∈ R ed a ≤ b, poniamo: • [a, b] = {x ∈ R : a ≤ x ≤ b} = intervallo chiuso di estremi a, b; • ]a, b[ = {x ∈ R : a < x < b} = intervallo aperto di estremi a, b; • [a, b[ = {x ∈ R : a ≤ x < b} = intervallo semiaperto a destra di estremi a, b; • ]a, b] = {x ∈ R : a < x ≤ b} = intervallo semiaperto a sinistra di estremi a, b; • ]−∞, b] = {x ∈ R : x ≤ b} = semiretta chiusa di secondo estremo b; 9 L’assioma di completezza di R asserisce la possibilità di interporre un numero reale fra gli elementi di qualunque coppia di insiemi separati: in sostanza, esso ci dice che i numeri reali sono in quantità sufficiente a riempire tutti i “buchi” fra coppie di insiemi separati. L’enunciato preciso è il seguente: 9. (assioma di completezza) per ogni coppia A, B di sottoinsiemi di R non vuoti e separati, esiste almeno un elemento separatore, cioè un numero reale ξ tale che a ≤ ξ ≤ b ∀a ∈ A, ∀b ∈ B. Questo assioma sembra avere un carattere abbastanza intuitivo: in effetti è facile de- terminare esplicitamente gli elementi separatori in tutti i casi degli esempi 1.5.7 in cui essi esistono. Tuttavia, come vedremo, le conseguenze dell’assioma di completezza sono di larghissima portata. Si osservi che in generale l’elemento separatore fra due insiemi separati A e B non è unico: se A = {0} e B = {1}, sono elementi separatori fra A e B tutti i punti dell’inter- vallo [0, 1]. Però se A è un insieme non vuoto limitato superiormente e scegliamo come B l’insieme dei maggioranti di A, allora vi è un unico elemento separatore fra A e B. Infatti ogni elemento separatore ξ deve soddisfare la relazione a ≤ ξ ≤ b ∀a ∈ A, ∀b ∈ B; in particolare, la prima disuguaglianza dice che ξ è maggiorante per A, ossia ξ ∈ B, e la seconda ci dice allora che ξ = minB. Poiché il minimo di B è unico, ne segue l’unicità dell’elemento separatore. In modo analogo, se B è non vuoto e limitato inferiormente e prendiamo come A l’insie- me dei minoranti di B, allora vi è un unico elemento separatore fra A e B: il massimo dei minoranti di B. estrsup Definizione 1.5.8 Sia A ⊂ R non vuoto e limitato superiormente, sia M l’insieme dei maggioranti di A. L’unico elemento separatore fra A e M si dice estremo superiore di A e si denota con supA. Il numero reale supA è dunque il minimo dei maggioranti di A. In particolare, esso coincide con maxA quando quest’ultimo numero esiste. estrinf Definizione 1.5.9 Sia A ⊂ R non vuoto e limitato inferiormente, sia N l’insieme dei minoranti di A. L’unico elemento separatore fra N e A si dice estremo inferiore di A e si denota con inf A. Il numero reale inf A è dunque il massimo dei minoranti di A e coincide con minA quando quest’ultimo numero esiste. L’estremo superiore di un insieme A (non vuoto e limitato superiormente), la cui esistenza è conseguenza diretta dell’assioma di completezza, si caratterizza in questo modo: sup Proposizione 1.5.10 Sia A ⊆ R non vuoto e limitato superiormente, e sia m ∈ R. Si ha m = supA se e solo se m verifica le seguenti due proprietà: 12 (i) a ≤ m per ogni a ∈ A; (ii) per ogni ε > 0 esiste a ∈ A tale che m− ε < a ≤ m. Dimostrazione Se m = supA, allora m è un particolare maggiorante di A: quindi vale (i). D’altra parte, essendo m il minimo dei maggioranti di A, per ogni ε > 0 il numero m − ε non è un maggiorante per A: quindi c’è almeno un elemento a ∈ A per il quale m− ε < a, il che implica la condizione (ii). Viceversa, se m verifica (i) e (ii), allora m è maggiorante di A mentre per ogni ε > 0 il numero m − ε non può essere maggiorante di A. Ne segue che m è il minimo dei maggioranti di A, ossia m = supA.  Una caratterizzazione analoga, la cui dimostrazione viene omessa essendo identica alla precedente, vale per l’estremo inferiore: inf Proposizione 1.5.11 Sia A ⊆ R non vuoto e limitato inferiormente, e sia µ ∈ R. Si ha µ = inf A se e solo se µ verifica le seguenti due proprietà: (i) µ ≤ a per ogni a ∈ A; (ii) per ogni ε > 0 esiste a ∈ A tale che µ ≤ a < µ+ ε.  infsup Esempi 1.5.12 (1) Se A = [0, 1], si ha supA = maxA = 1, inf A = minA = 0. (2) Se A = [0, 1[, si ha ancora inf A = minA = 0, supA = 1, mentre maxA non esiste. (3) Se A = {−1, 7, 8}, si ha inf A = minA = −1, supA = maxA = 8. (4) Questo esempio mostra l’importanza dell’assioma di completezza: esso permette di costruire, nell’ambito dei reali, il numero √ 2. Sia A = {x ∈ R : x2 < 2}; ovviamente A non è vuoto, perché 1 ∈ A. Mostriamo che A è limitato superiormente: a questo scopo basta far vedere che sono maggioranti di A tutti i numeri positivi t tali che t2 > 2. Infatti se t > 0 e t2 > 2, e se t non fosse un maggiorante di A, troveremmo un x ∈ A con x > t; allora avremmo anche x > 0 e quindi 2 < t2 < xt < x2 < 2: ma la relazione 2 < 2 è assurda. Dunque A è limitato superiormente e per l’assioma di completezza esiste m = supA. Poiché 1 ∈ A, si ha m ≥ 1; affermiamo che m2 = 2. Infatti, non può essere m2 < 2, poiché in tal caso, scrivendo per ogni ε ∈]0, 1[ (m+ ε)2 = m2 + ε2 + 2mε < m2 + ε+ 2mε, avremmo (m+ ε)2 < m2 + ε+ 2mε < 2 pur di scegliere ε < min { 1, 2−m2 2m+ 1 } : tale scelta è sempre possibile, prendendo ad esempio come ε la metà del numero a secondo membro. Ciò significherebbe che m+ ε appartiene ad A, contro il fatto che m 13 è uno dei maggioranti di A. D’altra parte non può nemmeno essere m2 > 2, poiché in tal caso avremmo per ogni ε ∈]0,m[ (m− ε)2 = m2 + ε2 − 2mε > m2 − 2mε, e dunque (m− ε)2 > m2 − 2mε > 2 pur di scegliere ε < m2 − 2 2m . Ciò significherebbe, per quanto osservato all’inizio, che m − ε è un maggiorante di A; ma allora m non può essere il minimo dei maggioranti di A, e ciò è assurdo. Pertanto l’unica possibilità è che sia m2 = 2. Si noti che m è l’unica radice reale positiva dell’equazione x2 = 2; tale numero si dice radice quadrata di 2 e si denota con√ 2; l’equazione x2 = 2 ha poi un’altra radice reale che è negativa: è il numero − √ 2. Osservazione 1.5.13 Si vede facilmente che il numero reale √ 2 non può essere un numero razionale. Infatti supponiamo che sia √ 2 = p q con p, q ∈ N+, e che la frazione sia stata ridotta ai minimi termini: allora si ha p2 q2 = 2, ossia p2 = 2q2. Ciò implica che p2, e quindi anche p, è un numero pari: sarà dunque p = 2k, con k ∈ N+. Ma allora 4k2 = p2 = 2q2, da cui 2k2 = q2: ne segue che q2 è pari e pertanto anche q è pari. Ciò però è assurdo, perché la frazione sarebbe ulteriormente semplificabile, cosa che era stata esclusa. Dunque √ 2 non è un numero razionale. In modo assolutamente analogo (esercizio 1.5.2) si prova l’esistenza della radice quadrata di un arbitrario numero positivo x, che sarà in generale un numero irrazionale. In definitiva, imponendo l’assioma 9 siamo necessariamente usciti dall’ambito dei numeri razionali, che sono “troppo pochi” per rappresentare tutte le grandezze: per misurare la diagonale del quadrato di lato unitario occorre il numero irrazionale √ 2. In altre parole, nell’insieme Q non vale l’assioma di completezza. infsupinfinito Osservazione 1.5.14 Nel seguito del corso useremo massicciamente, più che l’assioma di completezza in sé, il fatto che ogni insieme non vuoto e limitato superiormente è dotato di estremo superiore. Notiamo a questo proposito che se, invece, A ⊆ R non è limitato superiormente, A non ha maggioranti e dunque l’estremo superiore non esiste; in questo caso si dice per convenzione che A ha estremo superiore +∞ e si scrive supA = +∞. Analogamente, se A non è limitato inferiormente, si dice per convenzione che A ha estremo inferiore −∞ e si scrive inf A = −∞. In questo modo, tutti i sottoinsiemi non vuoti di R possiedono estremo superiore ed inferiore, eventualmente infiniti. Per l’insieme vuoto, invece, non c’è niente da fare! Esercizi 1.5 1. Provare che − √ 2 = inf {x ∈ R : x2 < 2}. 14 1.6 Numeri naturali, interi, razionali nzq A partire dagli assiomi di R, ed in particolare dall’assioma di continuità, possiamo ora rivisitare in maniera più rigorosa alcuni concetti che abbiamo conosciuto e adoperato su base intuitiva fin dalla scuola dell’obbligo. Cominciamo ad esaminare l’insieme N dei numeri naturali e le sue apparentemente ovvie proprietà. Ci occorre anzitutto la seguente induttivo Definizione 1.6.1 Un insieme A ⊆ R si dice induttivo se verifica le seguenti condi- zioni: (i) 0 ∈ A, (ii) per ogni x ∈ A si ha x+ 1 ∈ A. Ad esempio sono insiemi induttivi R, [a,+∞[ per ogni a ≤ 0, ]b,+∞[ per ogni b < 0. Si noti che se A,B ⊆ R sono induttivi, anche la loro intersezione A∩B lo è; anzi, dato un qualunque insieme di indici I e presa una arbitraria famiglia di insiemi induttivi {Ai}i∈I , la loro intersezione⋂ i∈I Ai = {x ∈ R : x ∈ Ai ∀i ∈ I} è un insieme induttivo: infatti 0 ∈ Ai per ogni i ∈ I in quanto ciascun Ai è induttivo, e se x ∈ Ai per ogni i ∈ I, lo stesso si ha per x + 1, sempre a causa dell’induttività di ciascun Ai. N Definizione 1.6.2 Chiamiamo insieme dei numeri naturali, e denotiamo con N, l’in- tersezione di tutti i sottoinsiemi induttivi di R. Da questa definizione segue subito che N è il più piccolo insieme induttivo: infatti se A ⊆ R è induttivo, esso viene a far parte della famiglia di insiemi di cui N è l’intersezione, cosicché N ⊆ A. Dunque in N c’è “il minimo indispensabile” di numeri che occorre per essere induttivo: perciò ci sarà 0, ci sarà 1 = 0+1, ci sarà 2 = 1+1, ci sarà 3 = 2+1, e cos̀ı via. Questa definizione di N è stata però introdotta proprio per evitare di far uso della locuzione “...e cos̀ı via”: a questo scopo conviene introdurre il seguente fondamentale induzione Teorema 1.6.3 (principio di induzione) Sia A ⊆ N un insieme definito da una certa proprietà p(n), ossia A = {n ∈ N : p(n)}. Supponiamo di sapere che (i) p(0) è vera, ovvero 0 ∈ A; (ii) p(n) =⇒ p(n+ 1) per ogni n ∈ N, ovvero se n ∈ A allora n+ 1 ∈ A. Allora p(n) è vera per ogni n ∈ N; in altre parole, si ha N ⊆ A e dunque A = N. Dimostrazione Si tratta di una immediata conseguenza della definizione di N. In effetti, per ipotesi A è contenuto in N; le condizioni (i) e (ii) ci dicono d’altronde che l’insieme A è induttivo, e quindi A contiene N per definizione di N: se ne deduce che 17 A = N.  Il principio di induzione è importante non solo come metodo dimostrativo, come vedre- mo, ma anche perché consente, nell’ambito della nostra teoria (dedotta dagli assiomi di R), di introdurre definizioni ricorsive in modo non ambiguo. dopoinduz Esempi 1.6.4 (1) (Fattoriale) Consideriamo la sequenza di numeri cos̀ı definiti:{ a0 = 1, an+1 = (n+ 1) · an ∀n ∈ N. Si vede subito che a1 = 1, a2 = 2 · 1, a3 = 3 · 2 · 1, a4 = 4 · 3 · 2 · 1, “e cos̀ı via”; fissato n ∈ N, il numero an cos̀ı introdotto si chiama fattoriale di n e si scrive an = n! (si legge “n fattoriale”). (2) (Somme finite) Data una famiglia infinita di numeri reali {an}n∈N, consideriamo la sequenza di numeri cos̀ı definita:{ s0 = a0 sn+1 = an+1 + sn ∀n ∈ N. Si ha chiaramente s1 = a0 + a1 s2 = a0 + a1 + a2 s3 = a0 + a1 + a2 + a3 s4 = a0 + a1 + a2 + a3 + a4 “e cos̀ı via”; per il numero sn, che è la somma di a0, a1, a2, eccetera, fino ad an, si usa il simbolo sn = n∑ k=0 ak . Si noti che la variabile k dentro il simbolo di somma Σ è “muta”: ciò significa che sn è un numero che dipende solo dall’estremo n della somma, e non da k, il quale è solo una lettera per denotare gli addendi della somma. In particolare, potremmo usare qualunque altro simbolo al posto di k senza alterare il valore di sn: n∑ k=0 ak = n∑ i=0 ai = n∑ &=0 a& = n∑ pippo=0 apippo . Naturalmente, è anche lecito considerare somme finite il cui primo estremo sia un numero diverso da 0: ad esempio 34∑ k=30 k = 30 + 31 + 32 + 33 + 34 = 160. (3) (Prodotti finiti) In modo analogo al caso delle somme, data una famiglia {an}n∈N di numeri reali si definisce la seguente sequenza di numeri:{ p0 = a0 pn+1 = an+1 · pn ∀n ∈ N; 18 si ha p1 = a0a1, p2 = a0a1a2, p3 = a0a1a2a3, e per il numero pn si usa il simbolo pn = n∏ k=0 ak , ove nuovamente k è una variabile muta. Si noti che, in particolare, n! = n∏ k=1 k ∀n ∈ N+. (4) Sia q un numero reale. La somma 1 + q + q2 + q3 + ...+ qn = n∑ k=0 qk si dice progressione geometrica di ragione q. Naturalmente, qk significa 1 se k = 0, mentre se k > 0 denota il prodotto di k fattori uguali a q; nel caso speciale k = 0 e q = 0 il simbolo qk deve intendersi come 1. Proviamo che si ha n∑ k=0 qk = { n+ 1 se q = 1 1−qn+1 1−q se q 6= 1 ∀n ∈ N, Se q = 1, la dimostrazione è banale e si lascia per esercizio. Supposto q 6= 1, indichiamo con p(n) l’enunciato seguente: p(n) = “vale l’uguaglianza n∑ k=0 qk = 1− qn+1 1− q ”. Allora p(0) è vera in quanto 0∑ k=0 qk = q0 = 1 = 1− q1 1− q ; Supponiamo adesso che p(n) sia vera per un dato n ∈ N, e proviamo a dedurre p(n+ 1) (il che, di per sé, non significherà che p(n) e p(n + 1) siano vere per davvero!). Si può scrivere, isolando l’ultimo addendo, n+1∑ k=0 qk = n∑ k=0 qk + qn+1, e poiché stiamo supponendo vera p(n), otteniamo n+1∑ k=0 qk = 1− qn+1 1− q + qn+1 = 1− qn+1 + (1− q)qn+1 1− q = 1− qn+2 1− q , 19 Vi è un risultato di densità più fine, che è il seguente: densfine Teorema 1.6.10 Sia α un numero reale. L’insieme E = {kα + h : k, h ∈ Z} è denso in R se e solo se α è irrazionale. Dimostrazione Se α ∈ Q, α = m n , allora E = { km+ hn n : k, h ∈ Z } = {p n : p ∈ Z } e quindi i punti di E distano fra loro almeno 1 n : pertanto E non può essere denso in R. Supponiamo invece α ∈ R \Q: proveremo la densità di E in R mostrando che per ogni x ∈ R e per ogni ε > 0 esistono k, h ∈ Z tali che x− ε < kα + h < x+ ε. È chiaramente sufficiente provare la tesi per α > 0. Sia dunque ε > 0 e cominciamo con il caso x = 0. Fissiamo N ∈ N e poniamo EN = {kα + h : k, h ∈ Z ∩ [−N,N ]}. Poiché α è irrazionale, gli elementi di EN sono tutti distinti e sono esattamente in numero di (2N + 1)2. Inoltre EN ⊆ [−N(1 + α), N(1 + α)]. Consideriamo adesso, per 1 ≤ m ≤ [ 4N(1+α) ε ] + 1, gli intervalli chiusi adiacenti Im = [ −N(1 + α) + (m− 1) ε 2 ,−N(1 + α) +m ε 2 ] , la cui unione ricopre l’intervallo [−N(1 + α), N(1 + α)], e quindi EN . Scegliamo N sufficientemente grande, in modo che[ 4N(1 + α) ε ] + 1 < (2N + 1)2 : ciò è certamente possibile, risolvendo la disequazione più forte (2N + 1)2 > 4N(1 + α) ε + 1, o quella ancora più forte, ma più facile, (2N + 1)2 > (2N + 1) 2(1 + α) ε + (2N + 1). 22 Allora, necessariamente, almeno uno fra gli intervalli Im dovrà contenere due diversi elementi di EN (questo è il cosiddetto principio dei cassetti: se mettiamo p oggetti in q cassetti vuoti, e se p > q, allora esiste almeno un cassetto che contiene più di un oggetto). Quindi esistono quattro interi p1 , p2 , q1 , q2 , non superiori a N in valore assoluto, tali che p1α + q1 , p2α + q2 ∈ Im per un opportuno m. In particolare, poiché Im ha ampiezza minore di ε, −ε < (p1 − p2)α + (q1 − q2) < ε, e ciò prova la tesi nel caso x = 0. Sia ora x > 0: per quanto già provato, esistono m,n ∈ Z tali che −ε < mα + n < ε, e rimpiazzando eventualmente m,n con −m,−n possiamo supporre che 0 < mα + n < ε. Adesso scegliamo p ∈ N tale che p(mα + n) ≤ x < (p+ 1)(mα + n) (sarà quindi p = [ x mα+n ] ). Si ha allora x− ε < x− (mα + n) < p(mα + n) ≤ x < x+ ε e quindi abbiamo la tesi con k = mp, h = np.  Una conseguenza della densità in R dei numeri decimali è la possibilità di rappresentare ogni numero reale come estremo superiore di una famiglia numerabile di numeri decimali. A questo scopo, fissato x ≥ 0, definiamo induttivamente le cifre decimali di x: cifredec Definizione 1.6.11 Posto per n ∈ N a0(x) = [x], an(x) = [ 10n ( x− n−1∑ k=0 ak(x) 10k )] , n ∈ N+, il numero an(x) è detto n-sima cifra decimale di x e la successione {an(x)} è detta sviluppo decimale di x. Osserviamo che an(x) ∈ N per ogni n ∈ N, e che an(x) < 10 per ogni n ∈ N+. Infatti, per definizione di parte intera, risulta 0 ≤ a0(x) ≤ x < a0(x) + 1 e an(x) 10n ≤ x− n−1∑ k=0 ak(x) 10k < an(x) + 1 10n ∀n ∈ N+, 23 ovvero 0 ≤ x− n∑ k=0 ak(x) 10k < 1 10n ∀n ∈ N. Da questa relazione segue subito che an ≥ 0 per ogni n ∈ N. Inoltre an(x) ≤ 10n ( x− n−1∑ k=0 ak(x) 10k ) < 10n 10n−1 = 10 ∀n ∈ N+. Vale allora il seguente risultato di rappresentazione: reali_decim Teorema 1.6.12 Per ogni x ∈ R risulta: (i) se x ≥ 0, allora x = sup n∈N { n∑ k=0 ak(x) 10k } ; (ii) se x < 0, allora x = − sup n∈N { n∑ k=0 ak(|x|) 10k } . Dimostrazione Sia x ≥ 0 e poniamo L = sup n∈N { n∑ k=0 ak(x) 10k } . Dalla definizione 1.6.11, come si è visto poco fa, segue che n∑ k=0 ak(x) 10k ≤ x < n∑ k=0 ak(x) 10k + 1 10n ∀n ∈ N. Dunque, in particolare, L ≤ x, x ≤ L+ 1 10n ∀n ∈ N. Pertanto L ≤ x ≤ L+ inf n∈N 1 10n = L. Se x < 0 allora |x| > 0 e, per quanto visto, x = −|x| = − sup n∈N { n∑ k=0 ak(|x|) 10k } .  24 (i) n ≤ k(n+ 1− k) ≤ 1 4 (n+ 1)2 per ogni k ∈ N con 1 ≤ k ≤ n; (ii) (n!)2 = ∏n k=1 k(n+ 1− k) per ogni n ∈ N+; (iii) nn ≤ (n!)2 ≤ ( n+1 2 )2n per ogni n ∈ N+. 19. Siano a1, . . . , an, b1, . . . , bn numeri reali. Denotiamo con {âk} il riordinamento crescente e con {ăk} il riordinamento decrescente della sequenza {ak}, e similmente per {bk}. Si provino le disuguaglianze seguenti: (i) ∑n k=1 ăkb̂k ≤ ∑n k=1 akbk ≤ ∑n k=1 âkb̂k , (ii) ∑n k=1 ăkb̂k ≤ 1 n ( ∑n k=1 ak) ( ∑n k=1 bk) ≤ ∑n k=1 âkb̂k . [Traccia: si può supporre che {bk} sia già riordinata in modo crescente. Con- sideriamo le due disuguaglianze di destra: per (i), si verifichi che se i < j e ai > aj, allora risulta aibi + ajbj < ajbi + aibj; per (ii), si decomponga la quantità∑n k,h=1(âk − âh)(b̂k − b̂h) e si noti che essa è non negativa. Le disuguaglianze di sinistra si ottengono applicando quelle di destra a {ak} e a {−bk}.] 1.7 La formula del binomio binomio Per ogni n, k ∈ N con n ≥ k definiamo i coefficienti binomiali ( n k ) (si legge “n su k”) nel modo seguente: ( n k ) = n! k!(n− k)! . Si noti che ( n k ) = 1 quando k = n e quando k = 0; negli altri casi si ha( n k ) = n(n− 1) · · · · · (n− k + 1) k! , e questa espressione si presterà ad ulteriori generalizzazioni nel seguito del corso. Dalla definizione seguono subito queste proprietà: • (simmetria) ( n k ) = ( n n− k ) , • (legge del triangolo di Tartaglia) ( n k − 1 ) + ( n k ) = ( n+ 1 k ) . 1 1 1 1 2 1 1 3 3 1 1 4 6 4 1 1 5 10 10 5 1 1 6 15 20 15 6 1 1 7 21 35 35 21 7 1 1 8 28 56 70 56 28 8 1 27 · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · Il triangolo di Tartaglia, qui sopra riprodotto, ha tutti 1 sui lati obliqui ed ogni suo elemento all’interno è la somma dei due elementi ad esso soprastanti. Gli elementi del triangolo sono appunto i coefficienti binomiali: ( n k ) si trova al posto k-simo nella riga n-sima (cominciando sempre a contare da 0). La denominazione “coefficiente binomiale” nasce dal fatto che questi numeri saltano fuori come coefficienti nella formula di Newton che dà lo sviluppo del binomio (a+ b)n, formula che adesso dimostreremo. Ricordiamo preliminarmente che se x ∈ R\{0} e n ∈ N, la potenza xn, il cui significato è comunque ovvio, andrebbe definita rigorosamente nel seguente modo: { x0 = 1 xn+1 = x · xn ∀n ∈ N; se invece x = 0, si pone 0n = 0 per ogni n ∈ N+, mentre 00 non si definisce. Ciò posto, si ha: binNew Teorema 1.7.1 Se a, b ∈ R \ {0} e n ∈ N+, si ha (a+ b)n = n∑ k=0 ( n k ) akbn−k. Dimostrazione Utilizziamo il principio di induzione. Se n = 1 la formula è vera perché a+ b = ( 1 0 ) a0b1 + ( 1 1 ) a1b0 = b+ a. Supponiamo vera la formula per un binomio di grado n e proviamola per un binomio di grado n+ 1. Si ha (a+ b)n+1 = (a+ b)(a+ b)n = (per ipotesi induttiva) = (a+ b) · n∑ k=0 ( n k ) akbn−k = n∑ k=0 ( n k ) ak+1bn−k + n∑ k=0 ( n k ) akbn+1−k = (ponendo h = k + 1 nella prima somma e h = k nella seconda) = n+1∑ h=1 ( n h− 1 ) ahbn+1−h + n∑ h=0 ( n h ) ahbn+1−h = (isolando l’ultimo addendo nella prima somma e il primo addendo nella seconda) = ( n n ) an+1b0 + ( n 0 ) a0bn+1 + n∑ h=1 ( n h− 1 ) ahbn+1−h + n∑ h=1 ( n h ) ahbn+1−h = = an+1 + bn+1 + n∑ h=1 [( n h− 1 ) + ( n h )] ahbn+1−h = (per la legge del triangolo di Tartaglia) = an+1 + bn+1 + n∑ h=1 ( n+ 1 h ) ahbn+1−h = n+1∑ h=0 ( n+ 1 h ) ahbn+1−h. 28 Per il principio di induzione la formula è vera per ogni n ∈ N+.  dopoNew Osservazioni 1.7.2 (1) La formula del binomio vale più in generale per a, b ∈ R e n ∈ N, se in tale formula si conviene di interpretare il simbolo 00 come 1. (2) Scelti a = −1, b = 1, n ∈ N+ si ottiene 0 = (−1 + 1)n = n∑ k=0 ( n k ) (−1)k1n−k, cioè n∑ k=0 (−1)k ( n k ) = 0 ∀n ∈ N+. (3) Scelti a = 1, b = 1, n ∈ N si ottiene n∑ k=0 ( n k ) = 2n ∀n ∈ N. Questa uguaglianza ha una interpretazione combinatoria: 2n è il numero di sottoinsiemi distinti di un fissato insieme con n elementi (esercizio 1.6.8), mentre ( n k ) è il numero di sottoinsiemi distinti aventi k elementi di un insieme con n elementi (esercizio 1.7.3). Si tratta dunque di contare tutti i sottoinsiemi raggruppandoli per numero di elementi. (4) Un altro modo di enunciare la proprietà dell’esercizio 1.7.3 è il seguente: ( n k ) è il numero di modi in cui si possono sistemare k palline indistinguibili in n scatole distinte, una per scatola: infatti ogni distribuzione di palline individua un sottoinsieme di k scatole (sulle n complessive). In termini probabilistici si può anche dire: data un’urna contenente k palline bianche e n− k palline nere, la probabilità dell’evento che consiste nell’estrarre le k palline bianche nelle prime k estrazioni (intesa come rapporto tra gli esiti favorevoli e gli esiti possibili) è pari a 1( n k ) . Infatti, nella prima estrazione ci sono k esiti favorevoli su n possibili, nella seconda k−1 su n−1, e cos̀ı via, finché nella k-sima si ha un solo esito favorevole su n−k+1 possibili: dunque la probabilità che l’evento considerato si verifichi è k n · k − 1 n− 1 · · · · · 1 n− k + 1 = 1( n k ) . Ad esempio la probabilità di fare 6 al Superenalotto è 1( 90 6 ) = 1 622.614.630 ≈ 0.000000016 (qui le “palline bianche” sono i 6 numeri prescelti e il simbolo “≈” significa “circa uguale a”). 29 Ora si osservi che, ovviamente, (−1)2j = 1 per ogni j; inoltre, per la formula di Newton, n−j∑ q=0 (−1)q ( n− j q ) = { 1 se n = j, (−1 + 1)n−j = 0 se n > j; e dunque nella somma esterna sopravvive solo l’addendo con j = n. Pertanto, come richiesto, n∑ p=1 ( n p ) (−1)pbp = an .  A questo punto applichiamo il lemma scegliendo N = k e bn = nk, an = (−1)nSk,n n = 1, . . . , k. L’ipotesi del lemma vale, in quanto, come sappiamo, bn = nk = n∑ j=1 ( n j ) Sk,j = n∑ j=1 ( n j ) (−1)jaj; dunque vale la tesi, che ci dà (−1)nSk,n = an = n∑ p=1 ( n p ) (−1)pbp = n∑ p=1 ( n p ) (−1)ppk. Ne segue infine la formula cercata: Sk,n = n∑ p=1 ( n p ) (−1)n−ppk ∀k > n ≥ 1. Si noti che, in particolare, per k = n le applicazioni surgettive da A in B sono tutte e sole le applicazioni iniettive: dunque si ha n! = Sn,n = n∑ p=1 ( n p ) (−1)n−ppn ∀n ≥ 1. (si vedano anche gli esercizi 1.7.10, 1.7.11 e 1.7.12). Algoritmo della radice quadrata Vogliamo giustificare rigorosamente il metodo di calcolo approssimato della radice qua- drata di un numero razionale dato, che viene di solito esposto in modo meccanico agli studenti della scuola media inferiore. Il problema è il seguente: dato y ≥ 0, si vuol trovare un numero x ≥ 0 il cui quadrato approssimi y per difetto; si richiede cioè che sia x2 ≤ y < (x + 1)2. Poiché (x + 1)2 = x2 + 2x + 1, equivalentemente si cerca x tale 32 che x2 + r = y, con 0 ≤ r < 2x+ 1. Per affrontare questa questione, scriviamo y in base 100: y = k∑ h=1 bh100k−h = 100k−1b1 + . . .+ 100bk−1 + bk, ove 0 ≤ bh ≤ 99 per h = 1, . . . , k. Scriviamo invece il numero incognito x in base 10: x = k∑ h=1 ch10k−h = 10k−1c1 + . . .+ 10ck−1 + ck, con 0 ≤ ch ≤ 9 per h = 1, . . . , k. Lemma 1.7.5 Posto, per 1 ≤ p ≤ k, sp = [ p∑ h=1 ch10p−h ]2 − [ p−1∑ h=1 ch10p−h ]2 = [ 2 p−1∑ h=1 ch10p−h + cp ] cp, rp = p∑ h=1 bh100p−h − [ p∑ h=1 ch10p−h ]2 , risulta { r1 = b1 − s1 rp = 100rp−1 + bp − sp ∀p ∈ {2, . . . , k}. Dimostrazione Verifica diretta per induzione, noiosa ma facile.  Andiamo a costruire gli interi ch passo a passo. Scegliamo c1 imponendo che c2 1 ≤ b1 < (c1 + 1)2, il che determina c1 univocamente, con 0 ≤ c1 ≤ 9. Essendo s1 = c2 1 e r1 = b1 − s1, la condizione si riscrive come 0 ≤ r1 < 2c1 + 1. Per ogni p ∈ {2, . . . , k}, supposti noti c1, . . . , cp−1 scegliamo cp imponendo che[ p∑ h=1 ch10p−h ]2 ≤ p∑ h=1 bh100p−h < [ p∑ h=1 ch10p−h + 1 ]2 , il che determina cp univocamente, con 0 ≤ cp ≤ 9. Sottraendo il primo membro dagli altri due, la condizione si può riscrivere nel modo seguente, per definizione di rp e di sp: 0 ≤ rp = p∑ h=1 bh100p−h − [ p∑ h=1 ch10p−h ]2 < < [ p∑ h=1 ch10p−h + 1 ]2 − [ p∑ h=1 ch10p−h ]2 = 1 + 2 p∑ h=1 ch10p−h, 33 ovvero 0 ≤ rp = 100rp−1 + bp − sp < 2 p∑ h=1 ch10p−h + 1. In particolare, per p = k, la condizione che determina ck è x2 = [ k∑ h=1 ch10k−h ]2 ≤ y = k∑ h=1 bh100k−h < [ k∑ h=1 ch10k−h + 1 ]2 = (x+ 1)2; essa si riscrive, ponendo r = rk , come 0 ≤ r < 2 k∑ h=1 ch10k−h + 1 = 2x+ 1. Il numero r risolve il nostro problema, dato che x2 + r = [ k∑ h=1 ch10k−h ]2 + k∑ h=1 bh100k−h − [ k∑ h=1 ch10k−h ]2 = y. Osservazione 1.7.6 Se si vuole un’approssimazione fino alla m-sima cifra decimale, basterà considerare gli sviluppi di y in base 100 e di x in base 10 arrivando a h = k+m anziché a h = k, il che corrisponde a considerare gli sviluppi fino alla m-sima cifra “dopo la virgola” per x e y nelle rispettive basi. Esempi 1.7.7 (1) Sia y = 4810: quindi y = 100 · 48 + 10. Cerchiamo x della forma 10c1 + c2. La condizione per c1 dà c1 = 6 (perché 72 = 49 > 48 > 36 = 62). Dunque s1 = 36 e r1 = 48 − 36 = 12. Ne segue 100r1 + b2 = 1210. Adesso si determina c2 in modo che s2 = (20c1 + c2)c2 < 10r1 + b2, ossia (120 + c2)c2 < 1210: dato che si trova (120 + 9) · 9 = 129 · 9 = 1161 < 1210, deve essere c2 = 9, da cui s2 = 1161 e r = r2 = 100r1 + b2− s2 = 1210− 1161 = 49. Qui si termina. In definitiva si ha x = 69, ed infatti risulta x2 + r = 692 + 49 = 4810 = y. Possiamo tradurre l’intero algoritmo nello schema seguente: c1 c2 ↓ ↓√ 100 · 48 + 10 = √ 48 10 6 9 s1 = 36 c1 = 6 s2 = (120 + c2)c2 r1 = 12; 100r1 + b2 = 12 10 129 · 9 = 1161 = s2 < 1210, c2 = 9 s2 = 11 61 r = 49 (2) Sia y = 33333 = 3·1002+33·100+33. Cerchiamo di conseguenza x = 102c1+10c2+c3. 34 surgric 12. Si provi la formula ricorsiva Sk,n = n [Sk−1,n + Sk−1,n−1] ∀k, n ∈ N+. 13. Si mostri che n! = n∑ h=0 ( n h ) (−1)n−h(h+ 1)n ∀n ∈ N. 14. Determinare la radice quadrata approssimata per difetto dei seguenti numeri: 1200, 35.99, 123456.789, 0.000678. 1.8 Radici n-sime radici Proviamo adesso un’altra conseguenza dell’assioma di continuità, vale a dire l’esistenza della radice n-sima di qualunque numero reale non negativo. radice Teorema 1.8.1 Sia n ∈ N+. Per ogni numero reale a ≥ 0 esiste un unico numero reale r ≥ 0 tale che rn = a; tale numero si chiama radice n-sima di a, e si scrive r = n √ a oppure r = a 1 n . Dimostrazione Supporremo n ≥ 2, dato che per n = 1 la tesi è ovvia. Se a = 0, allora l’unica soluzione dell’equazione xn = 0 è il numero 0 in virtù della legge di annullamento del prodotto. Supponiamo dunque a > 0. Proviamo dapprima l’unicità della radice n-sima. Se vi fossero due numeri r e ρ, entram- bi non negativi ed entrambi soluzioni dell’equazione xn = a, uno dei due, ad esempio ρ, sarebbe maggiore dell’altro; ma da r < ρ segue (esercizio 1.6.17) che a = rn < ρn = a, il che è assurdo. Dunque r = ρ e l’unicità è provata. Per dimostrare l’esistenza della radice n-sima, consideriamo l’insieme A = {x ≥ 0 : xn < a} (ovviamente non vuoto, dato che 0 ∈ A) e mostriamo: (a) che A è limitato superiormente, (b) che r = supA è il numero che stiamo cercando, ossia che rn = a. Proviamo (a): se a ≥ 1, facciamo vedere che il numero a è un maggiorante di A, mentre se 0 < a < 1 facciamo vedere che il numero 1 è un maggiorante di A. Sia a ≥ 1: se per un x ∈ A risultasse x > a, moltiplicando questa disuguaglianza per x e per a avremmo x2 > ax > a2; essendo a ≥ 1, dedurremmo x2 > a2 ≥ a. Procedendo per induzione, avremmo xn > a, contraddicendo il fatto che x ∈ A: dunque si ha x ≤ a per ogni x ∈ A. Sia ora 0 < a < 1: se per un x ∈ A risultasse x > 1, procedendo analogamente troveremmo xn > 1; essendo 1 > a, otterremmo xn > a, nuovamente contraddicendo il fatto che x ∈ A. Quindi si ha x ≤ 1 per ogni x ∈ A. Se ne conclude che per ogni scelta di a l’insieme A ha maggioranti, e quindi è limitato superiormente. 37 Proviamo (b). Notiamo anzitutto che r = supA > 0. Infatti A contiene elementi non nulli: ad esempio, se a > 1 si ha 1 ∈ A in quanto 1n = 1 < a, mentre se 0 < a < 1 si ha a ∈ A poiché an < a; infine se a = 1 si ha 1 2 ∈ A dato che ( 1 2 )n < 1 2 < 1 = a. Dobbiamo mostrare che rn = a, e lo faremo provando che sono assurde entrambe le relazioni rn > a e rn < a. Supponiamo che sia rn > a: vogliamo mostrare che, di conseguenza, deve essere (r − ε)n > a per ogni ε positivo e sufficientemente piccolo; ciò implicherebbe che l’intervallo ]r−ε, r[ è costituito da punti che non appartengono ad A, contraddicendo il fatto che, essendo r il minimo dei maggioranti di A, in tale intervallo dovrebbero cadere punti di A. Invece di ricavare ε dalla disuguaglianza (r− ε)n > a, che non sappiamo risolvere, ne dedurremo un’altra più restrittiva, ma più facile da risolvere. A questo scopo osserviamo che per ε ∈ ]0, r[ si ha, grazie alla disuguaglianza di Bernoulli (esercizio 1.7.6; si noti che − ε r > −1) (r − ε)n = rn ( 1− ε r )n ≥ rn ( 1− nε r ) ; se ne deduce (r − ε)n > a purché risulti rn ( 1− nε r ) > a. Questa disuguaglianza, che segue da quella originale ed è quindi più restrittiva di essa, si risolve subito: essa è verificata se e solo se ε < r n ( 1− a rn ) , e dunque si deduce, come volevamo, che (r − ε)n > a ∀ε ∈ ] 0, r n ( 1− a rn )[ ⊂ ]0, r[; di qui, come si è detto, segue l’assurdo. Supponiamo ora che sia rn < a: vogliamo analogamente dedurre che (r + ε)n < a per ogni ε positivo ed abbastanza piccolo; da ciò seguirà che A contiene numeri mag- giori di r, contraddicendo il fatto che r è un maggiorante di A. Trasformiamo la disuguaglianza che ci interessa: si ha (r + ε)n = rn ( 1 + ε r )n < a ⇐⇒ 1 rn ( 1 + ε r )n > 1 a ; d’altronde, applicando nuovamente la disuguaglianza di Bernoulli (si noti che − ε r 1+ ε r > −1), risulta 1( 1 + ε r )n = ( 1− ε r 1 + ε r )n > 1− n ε r 1 + ε r > 1− n ε r ; 38 quindi al posto della disuguaglianza (r + ε)n > a si ottiene la disuguaglianza più restrittiva 1 rn ( 1− n ε r ) > 1 a che è vera se e solo se 0 < ε < r n ( 1− rn a ) . Dunque si ottiene, come si voleva, (r + ε)n < a ∀ε ∈ ] 0, r n ( 1− rn a )[ ⊂ ]0, r[ , e quindi, come si è osservato, l’assurdo. In definitiva, non resta che dedurre l’uguaglianza rn = a.  Disuguaglianza delle medie Un risultato molto importante, utilissimo in svariate situazioni, è la disuguaglianza tra media geometrica e media aritmetica di n numeri non negativi. Se a1, a2, . . . , an sono numeri non negativi, la loro media geometrica è il numero reale G = n √√√√ n∏ k=1 ak , mentre la loro media aritmetica è il numero reale A = 1 n n∑ k=1 ak . Si ha allora: disugmedie Teorema 1.8.2 Se n ∈ N+ e se a1, . . . , an sono numeri non negativi, allora n √√√√ n∏ k=1 ak ≤ 1 n n∑ k=1 ak ; inoltre vale il segno di uguaglianza se e solo se gli ak sono tutti uguali fra loro. Dimostrazione Anzitutto, è chiaro che se gli ak sono tutti uguali fra loro allora G = A. Per provare il viceversa, mostreremo che se gli ak non sono tutti uguali allora risulta G < A; ciò è ovvio se qualcuno degli ak è nullo, perché in tal caso si ha G = 0 < A. Possiamo dunque supporre gli ak strettamente positivi e non tutti uguali. Proveremo la disuguaglianza G < A per induzione. Se n = 2, la tesi è vera perché √ a1a2 < 1 2 (a1 + a2) ⇐⇒ ( √ a2 − √ a1)2 > 0, 39 discri 3. Si dimostri la formula risolutiva per le equazioni di secondo grado. [Traccia: data l’equazione ax2+bx+c = 0, si osservi che non è restrittivo supporre a > 0; si “completi il quadrato” a primo membro scrivendola nella forma(√ a x+ b 2 √ a )2 = b2 − 4ac 4a , e si analizzi il segno del discriminante b2 − 4ac. . . ] dismedie2 4. Sia n ∈ N+. Si provi la seguente disuguaglianza tra media armonica e media geometrica di n numeri positivi: n∑n k=1 1 ak ≤ n √√√√ n∏ k=1 ak . 5. Dimostrare che la media geometrica è superadditiva, nel senso che se n ∈ N+ e se a1, . . . , an, b1, . . . , bn sono numeri positivi, allora( n∏ i=1 ai ) 1 n + ( n∏ i=1 bi ) 1 n ≤ ( n∏ i=1 (ai + bi) ) 1 n . [Traccia: si dividano entrambi i membri per la quantità a secondo membro e si utilizzi opportunamente il teorema 1.8.2.] 1.9 Valore assoluto valassoluto In geometria la retta è un concetto primitivo, ossia non se ne fornisce la definizione ma la si considera come un ente intrinsecamente noto. Il sistema dei numeri reali costituisce il modello matematico dell’idea intuitiva di retta: si assume che ad ogni punto della retta corrisponda uno ed un solo numero reale (che viene detto ascissa del punto). Questo è un vero e proprio assioma, ma è peraltro un enunciato del tutto ragionevole; per realizzare tale corrispondenza, si fissa sulla retta un sistema di riferimento, costituito da un’origine, a cui associamo il numero reale 0, da un’unità di misura, che ci permette di identificare i punti a cui associare i numeri interi, e da un’orientazione, allo scopo di distinguere i punti corrispondenti a numeri positivi da quelli corrispondenti a numeri negativi. Per misurare la “grandezza” di un numero, a prescindere dal fatto che esso sia positivo oppure negativo, è fondamentale la seguente valass Definizione 1.9.1 Il valore assoluto, o modulo, di un numero reale x è il numero non negativo |x| cos̀ı definito: |x| = √ x2 = { x se x ≥ 0 −x se x < 0. 42 Si noti che risulta −|x| ≤ x ≤ |x| ∀x ∈ R, od equivalentemente |x| = max{x,−x} ∀x ∈ R. Si noti anche che |x| ≤ a ⇐⇒ −a ≤ x ≤ a e, più generalmente (esercizio 1.9.4), |x− u| ≤ a ⇐⇒ u− a ≤ x ≤ u+ a. Rappresentando R come retta orientata, |x| è la distanza del numero reale x dall’origine 0, e analogamente |a− b| è la distanza fra i due numeri reali a e b. La proposizione che segue riassume le principali proprietà del valore assoluto. proprvalass Proposizione 1.9.2 Valgono i seguenti fatti: (i) |x| ≥ 0 per ogni x ∈ R, e |x| = 0 se e solo se x = 0; (ii) |x| · |y| = |xy| per ogni x, y ∈ R; (iii) (subadditività) |x+ y| ≤ |x|+ |y| per ogni x, y ∈ R; (iv) ||x| − |y|| ≤ |x− y| per ogni x, y ∈ R; (v) ∣∣ 1 x ∣∣ = 1 |x| per ogni x ∈ R \ {0}; (vi) ∣∣∣xy ∣∣∣ = |x| |y| per ogni x ∈ R e y ∈ R \ {0}. Dimostrazione La proprietà (i) è evidente. Per (ii) si osservi che dalla definizione segue subito x2 = |x|2 per ogni x ∈ R; quindi (|x| · |y|)2 = |x|2|y|2 = x2y2 = (xy)2 = |xy|2; da qui segue la tesi estraendo la radice quadrata: infatti t ∈ R, √ t2 = t ⇐⇒ t ≥ 0. Proviamo (iii): usando (i) e (ii), si ha |x+ y|2 = (x+ y)2 = x2 + y2 + 2xy ≤ |x|2 + |y|2 + 2|xy| = = |x|2 + |y|2 + 2|x||y| = (|x|+ |y|)2, 43 da cui la tesi estraendo la radice quadrata. La (iv) è conseguenza della subadditività: infatti |x| = |(x− y) + y| ≤ |x− y|+ |y|, da cui |x|−|y| ≤ |x−y|; scambiando i ruoli di x e y si ottiene anche |y|−|x| ≤ |y−x| = |x− y|, e quindi ||x| − |y|| = max{|x| − |y|, |y| − |x|} ≤ |x− y|. Dimostriamo (v): da (ii) segue |x| · ∣∣∣∣1x ∣∣∣∣ = ∣∣∣∣x · 1 x ∣∣∣∣ = |1| = 1, quindi ∣∣ 1 x ∣∣ è l’inverso di |x|, ossia vale la tesi. Infine (vi) è conseguenza evidente di (ii) e (v).  Disuguaglianza di Cauchy-Schwarz Un’altra importante disuguaglianza, che come si vedrà ha un rilevante significato geo- metrico, è la seguente: disugCS Teorema 1.9.3 Fissato n ∈ N+, siano a1, . . . , an, b1, . . . , bn numeri reali. Allora si ha n∑ i=1 aibi ≤ √√√√ n∑ i=1 a2 i √√√√ n∑ i=1 b2 i . Dimostrazione Fissato t ∈ R, consideriamo la quantità, certamente non negativa,∑n i=1(ai + tbi) 2. Si ha 0 ≤ n∑ i=1 (ai + tbi) 2 = n∑ i=1 a2 i + 2t n∑ i=1 aibi + t2 n∑ i=1 b2 i ∀t ∈ R : Questa espressione è un trinomio di secondo grado nella variabile reale t. Il fatto che esso sia sempre non negativo implica che il discriminante ∆ = 4 ( n∑ i=1 aibi )2 − 4 n∑ i=1 b2 i n∑ i=1 a2 i deve essere non positivo (esercizio 1.8.3). La condizione ∆ ≤ 0 implica la tesi.  44 2o passo (radici n-sime) Per n ∈ N+ e a > 0 la quantità a 1 n è stata definita nel paragrafo 1.8 come l’unica soluzione positiva dell’equazione xn = a; dunque per definizione si ha (a 1 n )n = a ∀n ∈ N+. Risulta anche a 1 nm = (a 1 n ) 1 m ∀n,m ∈ N+ (perché, per (iii), i due membri risolvono entrambi l’equazione xmn = a), (a 1 n )m = (am) 1 n ∀n,m ∈ N+ (perché, per (iii), i due membri risolvono entrambi l’equazione xn = am), (ab) 1 n = a 1 n · b 1 n ∀n ∈ N+ (perché, per (iv), i due membri risolvono entrambi l’equazione xn = ab),{ a < 1 =⇒ a 1 n < 1 a > 1 =⇒ a 1 n > 1 ∀n ∈ N+ (per l’esercizio 1.10.2),{ a < 1 =⇒ a 1 n < a 1 m a > 1 =⇒ a 1 n > a 1 m ∀n,m ∈ N+ con m > n (elevando entrambi i membri alla potenza mn ed usando (v), (vii)). 3o passo (esponenti razionali) Se r ∈ Q, sarà r = p q con p ∈ Z, q ∈ N+; se a > 0 poniamo allora, per definizione, a p q =  ( a 1 q )p se p ≥ 0 1( a 1 q )−p se p < 0. Si noti che nel caso q = 1 e p < 0 si ottengono le potenze ad esponenti interi negativi. Occorre però verificare che questa è una buona definizione, nel senso che essa non deve dipendere dal modo di rappresentare in frazione il numero razionale r: in altri termini, bisogna controllare che se r = p q = m n , ossia np = mq, allora risulta a p q = a m n . Ed infatti, supposto ad esempio p ≥ 0, utilizzando le proprietà precedenti si trova a m n = (a 1 n )m = (((a 1 n ) 1 p )p)m = (a 1 np )mp = (a 1 mq )mp = (((a 1 q ) 1 m )m)p = (a 1 q )p = a p q ; il discorso è del tutto analogo se p < 0. Si ottengono allora facilmente le estensioni delle proprietà (i)-(vii) al caso di esponenti 47 razionali (vedere l’esercizio 1.10.3): (i) ar > 0 ∀r ∈ Q, a0 = 1; (ii) ar+s = ar · as ∀r, s ∈ Q; (iii) ars = (ar)s ∀r, s ∈ Q; (iv) (ab)r = ar · br ∀r ∈ Q; (v) a < b =⇒ ar < br ∀r ∈ Q con r > 0; (vi) { a < 1 =⇒ ar < 1 a > 1 =⇒ ar > 1 ∀r ∈ Q con r > 0; (vii) { ar < as se a < 1 ar > as se a > 1 ∀r, s ∈ Q con r > s. 4o passo (esponenti reali) Manco a dirlo, nell’estensione da Q a R è essenziale l’assioma di continuità. Prima di definire la quantità ax per x ∈ R, dimostriamo il seguente risultato che ci illuminerà sul modo di procedere. Proposizione 1.10.2 Siano a, x ∈ R con a > 0, e poniamo A = {ar : r ∈ Q, r < x}, B = {as : s ∈ Q, s > x}. Allora gli insiemi A e B sono separati; in particolare, se a ≥ 1 si ha supA = inf B, mentre se a ≤ 1 risulta inf A = supB. Dimostrazione Supponiamo a ≥ 1 e poniamo λ = supA, µ = inf B; questi numeri λ, µ sono finiti (esercizio 1.10.4). Da (vii) segue che ar ≤ as ∀r, s ∈ Q con r < x < s, quindi risulta λ ≤ µ. Dobbiamo provare che λ = µ. Se fosse invece λ < µ, dal fatto che inf n∈N+ a 1 n = 1 (esempio 1.8.3 (1)) segue che possiamo scegliere n ∈ N+ tale che 1 ≤ a 1 n < µ λ . Scelto poi r ∈ Q tale che x− 1 n < r < x, il che è lecito per la densità dei razionali in R (corollario 1.6.8), si ha r + 1 n > x; dunque, usando (ii), µ ≤ ar+ 1 n = ar · a 1 n ≤ λ · a 1 n < λ · µ λ = µ. Ciò è assurdo e pertanto λ = µ. Supponiamo adesso 0 < a ≤ 1 e poniamo L = inf A, M = supB; nuovamente, questi numeri L,M sono finiti (esercizio 1.10.4). Da (vii) segue stavolta ar ≥ as ∀r, s ∈ Q con r < x < s, 48 cosicché L ≥M . Se fosse L > M , preso n ∈ N+ tale che M L < a 1 n ≤ 1 (lecito, essendo supn∈N+ a 1 n = 1) e scelto s ∈ Q con x < s < x + 1 n , si ha s − 1 n < x e dunque, per (ii), L ≤ as− 1 n = as a 1 n ≤ M a 1 n < M · L M = L. Ciò è assurdo e pertanto L = M .  La precedente proposizione ci dice che la nostra scelta per definire ax è obbligata: se vogliamo mantenere la proprietà (vii) siamo forzati a dare questa expreale Definizione 1.10.3 Siano a, x ∈ R con a > 0. Indichiamo con ax il numero reale seguente: ax = { sup{ar : r ∈ Q, r < x} = inf{as : s ∈ Q, s > x} se a ≥ 1 inf{ar : r ∈ Q, r < x} = sup{as : s ∈ Q, s > x} se 0 < a ≤ 1. Non è difficile verificare che nel caso in cui x è razionale questa definizione concorda con la precedente (esercizio 1.10.4). dopodefexp Osservazioni 1.10.4 (1) Dalla definizione segue subito che 1x = 1 per ogni x ∈ R. (2) Per ogni a > 0 e per ogni x ∈ R risulta a−x = 1 ax . Infatti, supposto ad esempio a ≥ 1, si ha a−x = sup{ar : r ∈ Q, r < −x} = (posto s = −r) = sup{a−s : s ∈ Q, s > x} = (per definizione nel caso di esponente razionale) = sup { 1 as : s ∈ Q, s > x } = (per l’esercizio 1.10.5) = 1 inf{as : s ∈ Q, s > x} = 1 ax ; il discorso è analogo se 0 < a ≤ 1. Estendiamo adesso le proprietà (i)-(vii) al caso di esponenti reali. La (i) è evidente. Per la (ii) si ha: Proposizione 1.10.5 Per ogni a > 0 si ha ax+y = ax · ay ∀x, y ∈ R. Dimostrazione Supponiamo ad esempio a ≥ 1. Poiché ax+y = sup{aq : q ∈ Q, q < x+ y}, 49 (ax)y = 1 (ax)−y = 1( 1 a−x )−y = 1 1 a(−x)(−y) = a(−x)(−y) = axy se x, y < 0. Siano dunque x, y ≥ 0: se x = 0 oppure y = 0 la tesi è evidente, dunque possiamo assumere x, y > 0. Consideriamo dapprima il caso a ≥ 1: in particolare avremo anche ax ≥ 1. Usando la caratterizzazione con gli estremi superiori, si ha (ar)s = ars ≤ axy ∀r, s ∈ Q con r < x e s < y, e per ogni ε ∈]0, 1 2 [ esistono r′, s′ ∈ Q tali che 0 < r′ < x, 0 < s′ < y e ax(1− ε) < ar ′ ≤ ax, (ax)y(1− ε) < (ax)s ′ ≤ (ax)y. Dunque, facendo uso della proposizione 1.10.6 e tenendo conto del fatto che s′ ≥ 0 e 0 < r′s′ < xy, si ottiene (ax)y < (ax)s ′ 1− ε = (ax)s ′ (1− ε)s′ (1− ε)s′+1 = [ax(1− ε)]s′ (1− ε)s′+1 ≤ ar ′s′ (1− ε)s′+1 ≤ axy (1− ε)s′+1 . Da qui, scegliendo n ∈ N tale che s′+1 ≤ n, e osservando che da ε < 1 2 segue 1 1−ε < 1+2ε, concludiamo che (ax)y < axy (1− ε)s′+1 < axy(1 + 2ε)n. D’altra parte, dalla formula del binomio (teorema 1.7.1) e dall’osservazione 1.7.2 (3) segue che (1 + 2ε)n = 1 + n∑ k=1 ( n k ) (2ε)k < 1 + 2ε n∑ k=1 ( n k ) < 1 + 2n+1ε, da cui finalmente (ax)y < axy + axy · 2n+1ε ∀ε ∈ ] 0, 1 2 [ , e dunque (ax)y ≤ axy in virtù dell’arbitrarietà di ε. In modo analogo, usando la caratterizzazione con gli estremi inferiori, si prova la disu- guaglianza opposta: ciò conclude la dimostrazione nel caso a ≥ 1. Se 0 < a ≤ 1 si procede in modo analogo: la caratterizzazione con gli estremi supe- riori implicherà che (ax)y ≥ axy, mentre quella con gli estremi inferiori porterà alla disuguaglianza opposta. La tesi è cos̀ı provata.  Logaritmi Abbiamo visto che la funzione esponenziale di base a (con a numero positivo e diverso da 1) è definita per ogni x ∈ R ed è a valori in ]0,∞[. Essa è strettamente monotòna, ossia verifica (esercizio 1.10.8) x < y =⇒ ax < ay se a > 1, x < y =⇒ ax > ay se a < 1 : 52 se a > 1 è dunque una funzione strettamente crescente su R, se a < 1 è strettamente decrescente su R. In particolare, essa è iniettiva: ciò significa che ad esponenti distinti corrispondono potenze distinte, ossia ax = ay =⇒ x = y. Inoltre la funzione esponenziale ha per codominio la semiretta ]0,∞[, vale a dire che ogni numero positivo è uguale ad una potenza di base a, per un opportuno esponente x ∈ R; ciò è garantito dal seguente risultato: loga Teorema 1.10.9 Se a è un numero positivo diverso da 1, allora per ogni y > 0 esiste un unico x ∈ R tale che ax = y; tale numero x si chiama logaritmo in base a di y e si indica con x = loga y. Dimostrazione L’unicità di x è conseguenza dell’iniettività della funzione esponen- ziale. Proviamo l’esistenza. Trattiamo dapprima il caso a > 1, y > 1: consideriamo l’insieme A = {t ∈ R : at < y}, che è certamente non vuoto, essendo 0 ∈ A. Notiamo che A è anche limitato supe- riormente. Infatti esiste n ∈ N tale che an > y, dato che per la disuguaglianza di Bernoulli (esercizio 1.7.6) si ha an > 1 + n(a − 1) > y non appena n > y−1 a−1 ; quindi risulta an > y > at per ogni t ∈ A, da cui n > t per ogni t ∈ A, ossia ognuno di tali n è un maggiorante di A. Poniamo allora x = supA, e mostriamo che ax = y. Se fosse ax > y, scelto n ∈ N in modo che a1/n < ax · 1 y , il che è possibile grazie all’esem- pio 1.8.3 (1), avremmo ax−1/n > y > at per ogni t ∈ A, da cui x− 1 n > t per ogni t ∈ A: ne seguirebbe che x− 1 n sarebbe un maggiorante di A, il che contraddice la definizione di x. Se fosse ax < y, scelto n in modo che a1/n < y · a−x, avremmo ax+1/n < y, cioè x + 1 n ∈ A, nuovamente contraddicendo la definizione di x. Perciò ax = y, e la tesi è provata nel caso a > 1, y > 1. Se a > 1, y = 1 allora chiaramente x = 0. Se a > 1, 0 < y < 1, allora 1 y > 1, cosicché per quanto già visto esiste un unico x′ ∈ R tale che ax ′ = 1 y ; quindi, posto x = −x′, si ha ax = a−x ′ = y. Infine, se 0 < a < 1 e y > 0, per quanto visto esiste un unico x′ ∈ R tale che (1/a)x ′ = y; posto x = −x′, ne segue ax = y.  La funzione esponenziale (con base positiva e diversa da 1) è dunque invertibile: la funzione inversa, che ad ogni y > 0 associa l’unico esponente x ∈ R per il quale si ha ax = y, è il logaritmo di base a: ax = y ⇐⇒ x = loga y. La funzione logaritmo è definita su ]0,∞[, a valori in R, ed è ovviamente anch’essa bigettiva: dunque per ogni x ∈ R esiste un unico y > 0 tale che loga y = x, e tale y è precisamente ax. Si hanno dunque le relazioni aloga y = y ∀y > 0, loga a x = x ∀x ∈ R. 53 Dalle proprietà dell’esponenziale seguono le corrispondenti proprietà dei logaritmi: loga(bc) = loga b+ loga c ∀b, c > 0, ∀a ∈]0,∞[ \{1} (conseguenza di ax+y = ax · ay, scegliendo x = loga b, y = loga c); loga 1 c = − loga c ∀c > 0, ∀a ∈]0,∞[ \{1} (conseguenza di a−x = 1 ax , scegliendo x = loga c); loga c = loga b · logb c ∀c > 0, ∀a, b ∈]0,∞[ \{1} (conseguenza di (ax)y = axy, scegliendo x = loga b, y = logb c). In particolare: loga b c = loga b− loga c ∀b, c > 0, ∀a ∈]0,∞[ \{1}, loga 1 = 0 ∀a ∈]0,∞[\{1}, loga b c = c loga b ∀c ∈ R, ∀b > 0, ∀a ∈]0,∞[ \{1}, loga b = 1 logb a ∀a, b ∈]0,∞[ \{1}. I grafici approssimativi delle funzioni ax , loga x sono riportati di seguito. 54 si deve fissare il sistema di riferimento, che è costituito da tre oggetti: (a) un punto origine O, (b) due direzioni, ossia due rette orientate (non coincidenti e non opposte) passanti per O, e infine (c) un’orientazione: si deve decidere quale sia la prima direzione e quale la seconda; la prima retta si chiama asse delle ascisse, o asse x e la seconda asse delle ordinate, o asse y. Si dice che il sistema è orientato positivamente se, partendo dal lato positivo dell’asse x e girando in verso antiorario, si incontra il lato positivo dell’asse y prima di quello negativo. Il sistema è orientato negativamente nel caso opposto. Noi considereremo soltanto sistemi di riferimento orientati positivamente. A questo punto si proietta P su ciascuna retta parallelamente all’altra: alle sue due pro- iezioni A sull’asse x e B sull’asse y corrispondono univocamente (per quanto visto) due numeri reali a, b, che si chiamano coordinate di P (rispettivamente, ascissa e ordinata). La coppia (a, b) determina allora in modo unico il punto P : si noti che se a 6= b le coppie (a, b) e (b, a) individuano punti diversi. In definitiva, il piano si può identificare con il prodotto cartesiano R2 = R× R. Nel seguito questa identificazione sarà sistematica. È comodo, anche se per nulla necessario, utilizzare sistemi di riferimento ortogonali, nei quali cioè le due direzioni sono perpendicolari fra loro; è anche utile (ma talvolta controindicato) scegliere la stessa unità di misura per le ascisse e per le ordinate: si parla allora di “coordinate cartesiane ortogonali monometriche”. I punti di R2 si possono sommare fra loro e moltiplicare per una costante reale, utilizzan- done la rappresentazione in coordinate: se P = (xP , yP ) e Q = (xQ, yQ) sono punti di R2, la loro somma P+Q è il punto di coordinate (xP+xQ, yP+yQ); se P = (xP , yP ) ∈ R2 e λ è un numero reale, il prodotto λP è il punto di coordinate (λxP , λyP ). Scriveremo in particolare −P in luogo di (−1)P, e questo permette di definire la sottrazione: P−Q significa P + (−1)Q e dunque ha coordinate (xP − xQ, yP − yQ). Cos̀ı come il prodotto per scalari, la somma e la sottrazione si possono rappresentare graficamente, facendo uso della cosiddetta “regola del parallelogrammo”. 57 Per queste operazioni valgono le usuali proprietà della somma e del prodotto ordinari (associatività, commutatività, distributività, eccetera). La possibilità di effettuare que- ste operazioni sui punti del piano definisce in R2 una struttura di spazio vettoriale, e per questo i punti di R2 sono anche detti vettori. Distanza in R2 disteucli Il passo successivo è quello di rappresentare, e quindi definire mediante i numeri reali, le principali proprietà ed entità geometriche. Cominciamo con la fondamentale nozione di distanza euclidea nel piano. dist2 Definizione 1.11.1 Siano P = (xP , yP ), Q = (xQ, yQ) due punti di R2. La distanza euclidea fra P e Q è il numero non negativo PQ = √ (xP − xQ)2 + (yP − yQ)2. Elenchiamo le proprietà di cui gode la distanza euclidea: (i) (positività) PQ ≥ 0 e PQ = 0 se e solo se P = Q; (ii) (simmetria) PQ = QP per ogni P,Q ∈ R2; (iii) (disuguaglianza triangolare) PQ ≤ PR +RQ per ogni P,Q,R ∈ R2. Le proprietà (i) e (ii) sono ovvie per definizione; proviamo la (iii). Poniamo, al solito, P = (xP , yP ), Q = (xQ, yQ), R = (xR, yR) ed anche, per comodità, u = xP − xR, v = yP − yR, w = xR − xQ, z = yR − yQ. Dobbiamo dimostrare che√ (u+ w)2 + (v + z)2 ≤ √ u2 + v2 + √ w2 + z2. 58 In effetti si ha, utilizzando la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz (teorema 1.9.3), (u+ w)2 + (v + z)2 = u2 + w2 + v2 + z2 + 2(uw + vz) ≤ ≤ u2 + v2 + w2 + z2 + 2 √ u2 + v2 √ w2 + z2 = = ( √ u2 + v2 + √ w2 + z2)2. La distanza euclidea ha un’altra fondamentale proprietà: l’invarianza per traslazioni. Una traslazione è una trasformazione del piano (cioè una funzione da R2 in R2) che manda ogni punto P nel punto P+U, ove U è un fissato punto di R2. Dalla definizione di distanza è evidente il fatto che (P + U)(Q+ U) = PQ ∀P,Q,U ∈ R2, il che esprime appunto l’invarianza per traslazioni della distanza euclidea. Invece la trasformazione del piano che manda ogni punto P di R2 nel punto λP, ove λ è un fissato numero reale, si dice omotetia; il comportamento della distanza rispetto alle omotetie è il seguente: (λP )(λQ) = |λ|PQ ∀P,Q ∈ R2, ∀λ ∈ R. La distanza fra due punti è anche, come suggerisce l’intuizione, invariante rispetto a rotazioni e simmetrie del piano (esercizi 1.11.22 e 1.11.23). notazdist Osservazione 1.11.2 La distanza euclidea PQ fra due punti P e Q coincide, come abbiamo visto, con la distanza di P−Q dall’origine O, cioè conO(P −Q); in particolare, essa fornisce la lunghezza del segmento PQ. Per questa ragione, in luogo della notazione PQ si usa spessissimo la seguente: |P−Q| = PQ = √ (xP − xQ)2 + (yP − yQ)2 ∀P,Q ∈ R2; se Q = O, si scriverà più semplicemente |P| in luogo di |P − O| (si dice che |P | è il modulo del vettore P). Con questa notazione si può scrivere, in modo più naturale, |(P + U)− (Q + U)| = |P−Q| ∀P,Q,U ∈ R2, |λP− λQ| = |λ| · |P−Q| ∀P,Q ∈ R2, ∀λ ∈ R. Alla distanza euclidea si associano in modo natu- rale alcuni speciali sottoinsiemi del piano: i dischi e le circonferenze. Siano P = (a, b) ∈ R2 e r > 0. Il disco, o cerchio, di centro P e raggio r è l’insieme B(P, r) = {X ∈ R2 : |X−P| < r} = = {(x, y) ∈ R2 : (x− a)2 + (y − b)2 < r2}; il disco chiuso di centro P e raggio r è B(P, r) = {X ∈ R2 : |X−P| ≤ r} = {(x, y) ∈ R2 : (x− a)2 + (y − b)2 ≤ r2}; la circonferenza di centro P e raggio r è S(P, r) = {X ∈ R2 : |X−P| = r} = {(x, y) ∈ R2 : (x− a)2 + (y − b)2 = r2}. 59 {(x, y) ∈ R2 : x, y ≥ 0} è descritta dall’equazione y = x, x ≥ 0, oppure y = x, x > 0, a seconda che si consideri la semiretta chiusa, ossia comprendente il suo estremo, oppure aperta, cioè senza l’estremo. Analogamente, il segmento (chiuso) di estremi P e Q sulla retta r di equazione ax + by + c = 0 è descritto, supponendo xP < xQ, dalle condizioni ax+ by + c = 0, xP ≤ x ≤ xQ . Se risultasse invece xP > xQ, si scriverà xQ ≤ x ≤ xP ; se infine xP = xQ, sarà necessariamente yP < yQ oppure yP > yQ e scriveremo allora le limitazioni yP ≤ y ≤ yQ oppure yQ ≤ y ≤ yP . Se il segmento lo si vuole aperto, o semichiuso a destra, o semichiuso a sinistra, occorrerà rendere strette una o l’altra o entrambe le disuguaglianze. Una retta r divide il piano in due semipiani. Se essa ha equazione ax+ by + c = 0 e se P /∈ r, si ha ovviamente axp + byP + c 6= 0. I due insiemi Σ+ = {(x, y) ∈ R2 : ax+ by + c ≥ 0}, Σ− = {(x, y) ∈ R2 : ax+ by + c ≤ 0} sono i due semipiani chiusi delimitati da r; se i semipiani li si vuole aperti, basta mettere le disuguaglianze strette. Per disegnarli, ba- sta tracciare la retta r, poi scegliere un punto P fuori di r e vedere il segno dell’espressione axP +byP +c: se è positivo, il semipiano con- tenente P sarà Σ+, se è negativo sarà Σ−. Ad esempio, il semipiano Σ+ relativo alla ret- ta −10x− 6y + 7 = 0 è quello che sta “al di sotto”: infatti la retta incontra l’asse y nel punto (0, 7 6 ) e quindi l’origine, che appartiene a Σ+, sta sotto la retta. L’intersezione di due rette non parallele è un punto, le cui coordinate si ottengono met- tendo a sistema le equazioni delle due rette: il fatto che le pendenze delle rette siano diverse garantisce la risolubilità del sistema. Se invece le rette sono parallele, il sistema avrà infinite soluzioni o nessuna soluzione a seconda che le rette siano coincidenti o no. 62 L’intersezione di due semipiani è un angolo convesso, cioè minore dell’angolo piatto; un angolo concavo (maggiore dell’angolo piatto) si ottiene invece facendo l’unione di due semipiani. Un triangolo si ottiene intersecando tre (opportuni) semipiani; ogni poligono convesso di n lati si ottiene come intersezione di n semipiani. I poligoni non convessi si realizzano tramite opportune unioni e intersezioni di semipiani. Rette e segmenti in forma parametrica Consideriamo il segmento S di estremi (distinti) A = (xA, yA) e B = (xB, yB) e supponiamo, per fissare le idee, che sia xA < xB e yB 6= yA. Come sappiamo, si ha S = { (x, y) ∈ R2 : y − yA = yB − yA xB − xA (x− xA), x ∈ [xA, xB] } . Se P = (x, y) ∈ S, si ha, per ragioni di similitudine, |P−A| |B−A| = x− xA xB − xA = y − yA yB − yA ∈ [0, 1]. Poniamo t = |P−A| |B−A| : poiché P ∈ S, si ha t ∈ [0, 1]. Le coordinate x, y di P verificano allora{ x = xA + t(xB − xA) y = yA + t(yB − yA). Quindi ogni P ∈ S si rappresenta nella forma sopra descritta, con un opportuno t ∈ [0, 1]. Viceversa, sia P = (x, y) dato dal sistema sopra scritto, per un certo t ∈ [0, 1]: allora si ha x−xA xB−xA = y−yA yB−yA = t, cosicché P appartiene alla retta passante per A e B; d’altra parte, essendo x − xA = t(xB − xA), si ha 0 ≤ x − xA ≤ xB − xA, ossia 63 x ∈ [xA, xB]. Pertanto P appartiene al segmento S. Il sistema { x = xA + t(xB − xA) y = yA + t(yB − yA), t ∈ [0, 1] fornisce le equazioni parametriche del segmento S. Alle stesse equazioni si perviene, come è facile verificare, quando xA > xB (basta scambiare i ruoli di A e B ed effettuare la sostituzione s = (1 − t)), ed anche quando yA = yB (segmento orizzontale) oppure xA = xB e yA 6= yB (segmento verticale). In forma vettoriale si può scrivere, in modo equivalente, S = {P ∈ R2 : P = A + t(B−A), t ∈ [0, 1]}. In modo analogo, il sistema{ x = xA + t(xB − xA) y = yA + t(yB − yA), t ∈ R, ovvero, in forma vettoriale, P = A + t(B−A), t ∈ R, dà le equazioni parametriche della retta per A e B. Il vettore B − A può essere interpretato come la velocità di avanzamento lungo la retta, mentre il parametro t rappresenta il tempo di percorrenza: all’istante t = 0 ci troviamo in A, all’istante t = 1 transitiamo in B, per valori t > 1 ci spingiamo oltre B mentre per t < 0 siamo dall’altra parte, oltre A. Parallelismo e perpendicolarità Due rette r, r′ sono parallele se e solo se hanno lo stesso coefficiente angolare, cosicché le rispettive equazioni cartesiane, a parte un’eventuale costante moltiplicativa, differi- scono solamente per il termine noto. Se le rette hanno equazioni ax + by + c = 0 e a′x+ b′y+ c′ = 0, esse sono parallele se e solo se il sistema costituito dalle due equazioni non ha soluzioni (in tal caso le rette sono parallele e distinte) oppure ne ha infinite (e allora le due rette coincidono). Ciò equivale alla condizione ab′ − ba′ = 0 (esercizio 1.11.1), la quale esprime appunto il fatto che il sistema costituito dalle equazioni delle due rette non è univocamente risolubile. Se le due rette sono scritte in forma parametrica: r = {X = P + tQ, t ∈ R}, r′ = {X = A + tB, t ∈ R}, esse risultano parallele se e solo se esiste λ ∈ R\{0} tale che Q = λB (esercizio 1.11.13). 64 Si noti che comunque si fissi U = (u, v) ∈ r, la retta r descrive l’insieme dei vettori X = (x, y) tali che X−U è ortogonale al vettore dei coefficienti A = (a, b): infatti, essendo U ∈ r si ha c = −(au+ bv), da cui (x− u)a+ (y − v)b = ax+ by + c = 0. Esempio 1.11.4 La retta r di equazione x− y = 0 è la bisettrice degli assi coordinati. La perpendicolare a r passante per (−2, 5) è la retta r′ di equazione −(x+ 2)− (y − 5) = 0, ovvero, più semplicemente, x+y−3 = 0. La parallela a r passante per (−1,−4) è la retta r′′ di equazione (x + 1) − (y + 4) = 0, ossia x− y + 5 = 0. Prodotto scalare prodscal In R2, oltre alla somma ed al prodotto per scalari, è definita un’altra operazione fra vettori: il “prodotto scalare”, che a due vettori assegnati fa corrispondere una quantità scalare, vale a dire un numero reale, e che come vedremo ha un rilevante significato geometrico. prosca Definizione 1.11.5 Siano P = (xP , yP ), Q = (xQ, yQ) punti di R2. La quantità xPxQ + yPyQ si chiama prodotto scalare fra P e Q e si indica con 〈P,Q〉. Le proprietà del prodotto scalare sono le seguenti: per ogni P,Q,R ∈ R2 si ha (i) 〈P,P〉 = |P|2; (ii) 〈P,Q〉 = 〈Q,P〉; (iii) 〈P + Q,R〉 = 〈P,R〉+ 〈Q,R〉; (iv) |〈P,Q〉| ≤ |P| · |Q|. Le prime tre proprietà sono immediata conseguenza della definizione; la quarta è una riformulazione della disuguaglianza di Cauchy-Schwarz. Vale anche il seguente “sviluppo del binomio”: |P−Q|2 = |P|2 + |Q|2 − 2 〈P,Q〉 ∀P,Q ∈ R2 (esercizio 1.11.8). Dalla definizione di prodotto scalare e dalla definizione 1.11.3 segue che due vettori P 67 e Q sono fra loro ortogonali se e solo se 〈P,Q〉 = 0. Ma il significato geometrico del prodotto scalare non è tutto qui: data una retta r per l’origine, di equazione ax + by = 0, il vettore Q = (a, b) appartiene al semipiano Σ+ = {(x, y) ∈ R2 : ax+ by ≥ 0}, come si verifica immediatamente. Poiché il segmento OQ è perpendicolare alla retta, si deduce che Σ+ è l’insieme dei vettori P tali che i segmenti OP e OQ formano un angolo acuto, mentre Σ− = {(x, y) ∈ R2 : ax+ by ≤ 0} è l’insieme dei vettori P tali che l’angolo fra i segmenti OP e OQ è ottuso. D’altra parte, si ha, per definizione di prodotto scalare, Σ+ = {P ∈ R2 : 〈P,Q〉 ≥ 0}, Σ− = {P ∈ R2 : 〈P,Q〉 ≤ 0}; se ne deducono le equivalenze Q̂OP acuto ⇐⇒ 〈P,Q〉 > 0, Q̂OP retto ⇐⇒ 〈P,Q〉 = 0, Q̂OP ottuso ⇐⇒ 〈P,Q〉 < 0. Distanza di un punto da una retta distpr Sia r una retta di equazione ax+ by+ c = 0, e sia U = (xU , yU) un punto di R2. Vogliamo calcolare la distanza del punto U dalla retta r, ossia il minimo delle distanze |U−P| al va- riare di P ∈ r; denoteremo tale distanza con d(U, r). Supponiamo naturalmente U /∈ r, altrimenti la distanza cercata è 0. Conside- riamo la retta r′ passante per U e perpendi- colare a r: essa intersecherà r in un punto Q, le cui coordinate (x, y) si determinano, come sappiamo, risolvendo il sistema{ ax+ by + c = 0 −b(x− xU) + a(y − yU) = 0, È facile, anche se un po’ laborioso, dedurre che xQ = −ac+ b2xU − abyU a2 + b2 , yQ = −bc− abxU + a2yU a2 + b2 . 68 La minima distanza |U−P| si ottiene per P = Q: dunque basterà determinare |U−Q|. Sviluppando con pazienza i calcoli, si trova |U−Q|2 = (xU − xQ)2 + (yU − yQ)2 = = 1 (a2 + b2)2 [( xU(a2 + b2) + ac− b2xU + abyU )2 + + ( yU(a2 + b2) + bc+ abxU − a2yU )2 ] = = 1 (a2 + b2)2 [ a2(axU + byU + c)2 + b2(axU + byU + c)2 ] = = (axU + byU + c)2 a2 + b2 , da cui d(U, r) = |U−Q| = |axU + byU + c|√ a2 + b2 . Quindi, ad esempio, la distanza del punto (32,−48) dalla retta di equazione x−2y−99 = 0 è semplicemente |32 + 96− 99|√ 1 + 4 = 29√ 5 . Lineare indipendenza Siano A,B ∈ R2. Come sappiamo, la somma A + B è il vettore di componenti (xA + yA, xB + yB), e la sua posizione nel piano si determina mediante la regola del parallelogrammo, il cui nome deriva dal fatto che nel parallelogrammo di lati OA e OB il quarto vertice è A + B. Consideriamo l’insieme M = {P ∈ R2 : ∃λ, µ ∈ R : P = λA + µB}, che è il luogo dei quarti vertici di tutti i parallelogrammi, con primo vertice in O, costruiti su multipli dei vettori A e B. Le espressioni λA + µB, al variare di λ, µ ∈ R, si chiamano combinazioni lineari dei vettori A e B: quindi M è l’insieme dei vettori P che sono combinazioni lineari di A e B. È chiaro che O ∈M , dato che per ottenere O basta scegliere λ = µ = 0. A seconda di come si fissano A e B, può capitare che questo sia l’unico modo di ottenere O, o possono invece esistere altri valori (non nulli) di λ e µ tali che λA + µB = O. linindip Definizione 1.11.6 Due vettori A,B di R2 si dicono linearmente indipendenti se l’u- nica loro combinazione lineare che dà come risultato il vettore O è quella con entrambi i coefficienti nulli: in altre parole, A e B sono linearmente indipendenti quando vale l’implicazione λA + µB = O =⇒ λ = µ = 0. I due vettori si dicono linearmente dipendenti se non sono linearmente indipendenti, ossia se esistono λ, µ ∈ R, non entrambi nulli, tali che λA + µB = O. 69 21. Verificare che gli insiemi A = {(x, y) ∈ R2 : |x| ≤ 1, |y| ≤ 1}, B = {(x, y) ∈ R2 : |x|+ |y| ≤ 1} sono quadrati; determinarne i vertici e le lunghezze dei lati. rota 22. Siano a, b ∈ R tali che a2 + b2 = 1. La funzione R : R2 → R2, definita da R(x, y) = (ξ, η), ξ = ax+ by, η = −bx+ ay, definisce una rotazione del piano (attorno all’origine). Si provi che: (i) si ha ξ2 + η2 = x2 + y2 per ogni (x, y) ∈ R2; (ii) posto U = R(1, 0), V = R(0, 1), le rette per O, U e per O, V formano un sistema di coordinate ortogonali monometriche orientato positivamente; (iii) posto (ξ′, η′) = R(x′, y′), si ha (ξ − ξ′)2 + (η− η′)2 = (x− x′)2 + (y− y′)2 per ogni (x, y), (x′, y′) ∈ R2. simme 23. Siano a, b ∈ R tali che a2 + b2 = 1. La funzione S : R2 → R2, definita da S(x, y) = (ξ, η), ξ = ax+ by, η = bx− ay, definisce una simmetria del piano (rispetto a una retta). Si provi che: (i) si ha ξ2 + η2 = x2 + y2 per ogni (x, y) ∈ R2; (ii) posto U = S(1, 0), V = S(0, 1), le rette per O, U e per O, V formano un sistema di coordinate ortogonali monometriche orientato negativamente; (iii) posto (ξ′, η′) = S(x′, y′), si ha (ξ − ξ′)2 + (η− η′)2 = (x− x′)2 + (y− y′)2 per ogni (x, y), (x′, y′) ∈ R2; (iv) i punti (x, y) della bisettrice dell’angolo formato dall’asse x e dalla retta bx− ay = 0 soddisfano la relazione S(x, y) = (x, y). vettli 24. Si provi che se A,B sono vettori linearmente indipendenti in R2, allora per ogni P ∈ R2 esiste un’unica coppia di numeri reali λ, µ tali che P = λA + µB. 1.12 Numeri complessi complessi Una delle possibili motivazioni per ampliare il campo dei numeri reali con l’introduzione dei numeri complessi è il fatto che nell’ambito di R non è possibile risolvere certe equa- zioni algebriche (cioè equazioni della forma P (x) = 0, con P (x) polinomio a coefficienti reali e x variabile reale). Ad esempio, l’equazione x2−1 = 0 ha le soluzioni reali x = ±1, ma l’equazione x2 + 1 = 0 non è risolubile in R. Per risolvere questa ed altre equazioni algebriche occorre dunque aggiungere nuovi numeri all’insieme dei numeri reali: il pri- mo di essi è la quantità (certamente non un numero reale) che indichiamo con i, a cui attribuiamo per definizione la proprietà seguente: i2 = −1. 72 Il numero i è detto unità immaginaria (per pure ragioni storiche: non è meno reale di √ 2, né più immaginario di √ 3). Si osservi allora che l’equazione x2 + 1 = 0 ha le soluzioni x = ±i. Se però vogliamo mantenere, anche con l’aggiunta di questo nuovo numero, la possibilità di fare addizioni e moltiplicazioni, nonché ottenere che restino valide le regole di calcolo che valgono in R, dovremo aggiungere, insieme a i, anche tutti i numeri che si generano facendo interagire, mediante tali operazioni, il numero i con se stesso o con i numeri reali: dunque nell’insieme allargato di numeri dovremo includere quelli della forma a+ ib (a, b ∈ R), ed anche, più generalmente, a0 + a1i+ a2i 2 + · · ·+ ani n (a0, a1, a2, . . . , an ∈ R; n ∈ N), cioè tutti i polinomi P (x) a coefficienti reali calcolati nel punto x = i. Fortunatamente, le regole di calcolo e la definizione di i ci dicono che i0 = 1 i1 = i, i2 = −1 i3 = −i, i4 = 1, i5 = i, i6 = −1, i7 = −i, i4n = 1, i4n+1 = i, i4n+2 = −1, i4n+3 = −i ∀n ∈ N, e quindi è sufficiente prendere polinomi di grado al più 1. In definitiva, introduciamo l’insieme dei numeri complessi C, definito da C = {a+ ib : a, b ∈ R}; in altre parole, assegnare un numero complesso a+ ib equivale ad assegnare una coppia (a, b) di numeri reali. La quantità i, meglio scritta come 0 + i1, appartiene a C perché corrisponde alla scelta (a, b) = (0, 1). Introduciamo in C le operazioni di somma e prodotto in modo formalmente identico a R: (a+ ib) + (c+ id) = (a+ c) + i(b+ d), (a+ ib) · (c+ id) = ac+ iad+ ibc+ i2bd = (ac− bd) + i(ad+ bc). Si vede subito che gli assiomi di R relativi a somma e prodotto valgono ancora; in particolare l’elemento neutro per la somma è 0 + 0i, l’elemento neutro per il prodotto è 1 + 0i, l’opposto di a+ ib è −a− ib. Vale la legge di annullamento del prodotto: (a+ ib)(0 + i0) = (a · 0− b · 0) + i(a · 0 + b · 0) = 0 + i0 ∀a+ ib ∈ C. La corrispondenza Φ che ad ogni numero reale a associa la coppia (a, 0) = a + i0, è chiaramente biunivoca tra R e il sottoinsieme di C costituito dalle coppie con secondo elemento nullo; inoltre essa preserva la somma e il prodotto, nel senso che Φ(a)+Φ(a′) = Φ(a + a′) e Φ(a)Φ(a′) = Φ(aa′) per ogni a, a′ ∈ R. È naturale allora identificare le coppie (a, 0) = a+ i0 con i corrispondenti numeri reali a, ottenendo la rappresentazione semplificata a + i0 = a per ogni a ∈ R; analogamente scriveremo ib anziché 0 + ib. Si 73 noti che la legge di annullamento del prodotto ci dice che, nelle notazioni semplificate, deve essere i0 = 0. In questa maniera si può scrivere R ⊂ C, o più precisamente R = {a+ ib ∈ C : b = 0}. Se a+ib 6= 0 (cioè è non nullo a, oppure è non nullo b, od anche sono non nulli entrambi), si può agevolmente verificare che il reciproco di a+ ib esiste ed è dato da 1 a+ ib = a− ib (a+ ib)(a− ib) = a− ib a2 − i2b2 = a− ib a2 + b2 = a a2 + b2 − i b a2 + b2 . In definitiva, in C valgono le stesse proprietà algebriche di R. Non altrettanto si può dire delle proprietà di ordinamento: in C non è possibile intro- durre un ordinamento che sia coerente con le regole di calcolo valide per R. Infatti, se ciò fosse possibile, per il numero i si avrebbe i > 0, oppure i < 0 (non i = 0, in quanto i2 = −1): in entrambi i casi otterremmo −1 = i2 > 0, il che è assurdo. Per questa ragione non ha senso scrivere disuguaglianze tra numeri complessi, né parlare di estremo superiore o inferiore di sottoinsiemi di C. Dal momento che assegnare un numero complesso equivale ad assegnare una coppia di numeri reali, vi è una ovvia corrispondenza biunivoca fra C e R2, che associa ad a+ ib la coppia (a, b). È naturale allora rappresentare i numeri complessi su un piano cartesiano: il piano complesso, o piano di Gauss. L’asse delle ascisse è detto asse reale, quello delle ordinate è detto asse immaginario. Visualizzeremo i numeri complessi z = a + ib ∈ C come vettori di coordinate (a, b); nel seguito faremo sistematicamente uso di questa identificazione. Essa, fra l’altro, ci permette di rappresentare la somma di due numeri complessi, ed anche il prodotto λz, con λ ∈ R e z ∈ C, esattamente come si è fatto in R2 (paragrafo 1.11). Invece la rappresentazione grafica del prodotto z · w, con z, w ∈ C, non ha un analogo in R2; come vedremo, tale rappresentazione sarà possibile con l’uso della forma trigo- nometrica dei numeri complessi, che introdurremo più avanti. Se z = a+ ib ∈ C, il numero reale a è detto parte reale di z, mentre il numero reale b è detto parte immaginaria di z; si scrive a = Rez, b = Imz, da cui z = Rez + i Imz ∀z ∈ C. 74 Proviamo (vii): si ha ∣∣∣∣1z ∣∣∣∣2 = 1 z · ( 1 z ) = 1 zz = 1 |z|2 , da cui la tesi. Infine, (viii) segue da (iv) e (vii).  Il numero π Prima di introdurre la forma trigonometrica dei numeri complessi, conviene parlare, appunto, di trigonometria. Preliminare a tutta la questione è il problema di dare una definizione il più possibile rigorosa del numero reale π. Il nostro punto di partenza sarà l’area dei triangoli, che supponiamo elementarmente nota (metà del prodotto base per altezza!), insieme con le sue basilari proprietà, e cioè: • se un triangolo è incluso in un altro triangolo, allora l’area del primo è non superiore all’area del secondo; • se due triangoli sono congruenti, allora essi hanno la stessa area; • l’area di una figura costituita da due triangoli disgiunti o adiacenti è pari alla somma delle aree dei due triangoli. Fissato un intero n ≥ 3, consideriamo un poligono regolare P di n lati, inscritto nel cerchio B(0, 1) del piano complesso. I vertici di P sono numeri complessi w0, w1, . . . , wn−1, wn ≡ w0 di modulo unitario. Denotiamo con O, Wi ,W′ i , Zi i punti del piano corrispondenti ai numeri complessi 0, wi , w′i = wi + wi−1 2 , zi = wi + wi−1 |wi + wi−1| . Calcoliamo l’area a(P) di P : poiché il triangolo OWi−1Wi è isoscele con base WiWi−1 e altezza OW′ i, si ottiene a(P) = n∑ i=1 a(OWi−1Wi) = = n∑ i=1 1 2 |w′i| · |wi − wi−1| = = n∑ i=1 1 4 |wi − wi−1| · |wi + wi−1|. Invece il perimetro `(P) del poligono P è semplicemente la somma delle lunghezze dei 77 segmenti Wi−1Wi: quindi `(P) = n∑ i=1 |wi − wi−1|. Si noti che, essendo ∣∣wi+wi−1 2 ∣∣ < 1, si ha 2a(P) < `(P). D’altra parte, detto P ′ il poligono regolare inscritto di 2n lati, di vertici w0, z0, w1, z1, . . . , wn−1, zn−1, wn ≡ w0, si riconosce facilmente che l’area di P ′ è data dalla somma delle aree degli n quadrilateri OWi−1ZiWi; poiché a(OWi−1ZiWi) = 2a(OZiWi) = 2 ( 1 2 |wi − wi−1| 2 · |zi| ) = 1 2 |wi − wi−1|, si ottiene a(P ′) = 1 2 `(P). Questa relazione implica, in particolare: areper1 Proposizione 1.12.3 Risulta sup{a(P) : P poligono regolare inscritto in B(0, 1)} = = 1 2 sup{`(P) : P poligono regolare inscritto in B(0, 1)}.  Consideriamo ora un poligono regolare Q di n lati circoscritto al cerchio B(0, 1). In- dichiamo con v0, v1, . . . , vn−1, vn ≡ v0 i vertici di Q e con z0, z1, . . . , zn−1 i punti in cui Q tocca la circonferenza S(0, 1). Come prima, denotiamo con O, Vi, Zi i punti del piano corrispondenti ai numeri complessi 0, vi, zi. L’area di Q è data da a(Q) = n∑ i=1 a(OVi−1Vi) = n∑ i=1 1 2 |zi| · |vi − vi−1| = n∑ i=1 1 2 |vi − vi−1|, mentre il perimetro di Q è semplicemente `(Q) = n∑ i=1 |vi − vi−1|. Dunque a(Q) = 1 2 `(Q). Pertanto: areper2 Proposizione 1.12.4 Risulta inf{a(Q) : Q poligono regolare circoscritto a B(0, 1)} = = 1 2 inf{`(Q) : Q poligono regolare circoscritto a B(0, 1)}.  78 Adesso notiamo che per ogni poligono regolare P inscritto in B(0, 1) e per ogni poligono regolare Q circoscritto a B(0, 1) si ha, evidentemente, P ⊂ B(0, 1) ⊂ Q e quindi a(P) < a(Q). Ciò mostra che i due insiemi {a(P) : P poligono regolare inscritto in B(0, 1)}, {a(Q) : Q poligono regolare circoscritto a B(0, 1)} sono separati: quindi per l’assioma di completezza esiste almeno un elemento separatore fra essi. Proveremo adesso che i due insiemi sono anche contigui, e che quindi l’elemento separatore è in effetti unico. areper3 Proposizione 1.12.5 Per ogni ε > 0 esistono due poligoni regolari P e Q, uno in- scritto e l’altro circoscritto a B(0, 1), tali che a(Q)− a(P) < ε. Dimostrazione Fissato n ≥ 2 siano Pn e Qn poligoni regolari di 2n lati, il primo in- scritto e il secondo circoscritto al cerchio B(0, 1). Denotando con vi i numeri complessi corrispondenti ai vertici di Pn e con v′i quelli relativi a Qn, supporremo (il che è lecito, a meno di un’opportuna rotazione attorno all’origine) che la posizione di Qn rispetto a Pn sia tale che risulti v′i |v′i| = vi per ciascun vertice. Allora, utilizzando le formule precedenti, in questo caso si trova a(Pn) = 2n |vi − vi−1| · |vi + vi−1| 4 , a(Qn) = 2n |vi − vi−1| |vi + vi−1| , da cui a(Qn)−a(Pn) = 2n|vi−vi−1|·|vi+vi−1| ( 4 |vi + vi−1|2 − 1 ) = 4a(Pn) ( 4 |vi + vi−1|2 − 1 ) . Osserviamo adesso che, indicando con `n la lunghezza del lato del poligono regolare inscritto Pn, si ha `n = |vi − vi−1| e quindi, essendo |v1| = |vi−1| = 1, |vi + vi−1|2 = 2 + 2 Re vivi−1 = 2 + (2− |vi − vi−1|2) = 4− |vi − vi−1|2 = 4− `2 n ; di conseguenza a(Qn)− a(Pn) = 4a(Pn) `2 n 4− `2 n < a(Q2) 4`2 n 4− `2 n . Al crescere di n, il lato `n è sempre più piccolo e, in particolare, inf n≥2 `n = 0; 79 Fissiamo dunque v, w ∈ S(0, 1). Conside- reremo linee spezzate inscritte o circoscritte a γ+(v, w). Una linea spezzata è formata da una sequenza finita ordinata di vertici e dai segmenti che li congiungono; ci limitere- mo a spezzate con primo vertice v e ultimo vertice w. Una tale spezzata è inscritta in γ+(v, w) se tutti i suoi vertici appartengono a γ+(v, w); è invece circoscritta se tutti i suoi vertici, tranne il primo e l’ultimo, sono ester- ni a B(0, 1) e tutti i suoi segmenti sono tan- genti esternamente a γ+(v, w), ossia toccano tale arco senza attraversarlo. Considereremo anche i “settori” ΣP associati a spezzate P inscritte o circoscritte: detti v0 ≡ v, v1, . . . , vn−1, vn ≡ w i vertici di P , il settore ΣP è l’unione degli n triangoli OVi−1Vi (ove al solito O, Vi sono i punti del piano corrispondenti ai numeri complessi 0, vi). Ciò premesso, con considerazioni analoghe a quelle svolte per il cerchio B(0, 1) e per la circonferenza S(0, 1), si ottiene che sup{a(ΣP ) : P spezzata inscritta in γ+(v, w)} = = 1 2 sup{`(P ) : P spezzata inscritta in γ+(v, w)} = = 1 2 inf{`(Q) : Q spezzata circoscritta a γ+(v, w)} = = inf{a(ΣQ) : Q spezzata circoscritta a γ+(v, w)}. Siamo cos̀ı indotti alla seguente arluarc Definizione 1.12.9 Siano v, w ∈ C \ {0}. La lunghezza dell’arco positivamente orien- tato γ+(v, w) è il numero reale non negativo `(γ+(v, w)) = sup{`(P ) : P spezzata inscritta in γ+(v, w)} = = inf{`(Q) : Q spezzata circoscritta a γ+(v, w)}. L’area del settore positivamente orientato Σ+(v, w) è il numero reale non negativo a(Σ+(v, w)) = sup{a(ΣP ) : P spezzata inscritta in γ+(v, w)} = = inf{a(ΣQ) : Q spezzata circoscritta a γ+(v, w)} = = 1 2 `(γ+(v, w)). La lunghezza dell’arco negativamente orientato γ−(v, w) è il numero reale non positivo `(γ−(v, w)) = −2π + `(γ+(v, w)). L’area del settore negativamente orientato Σ−(v, w) è il numero reale non positivo a(Σ−(v, w)) = −π + a(Σ+(v, w)). 82 Una fondamentale proprietà delle lunghezze e delle aree sopra definite è la loro additi- vità. A questo proposito vale la seguente addarelun Proposizione 1.12.10 Siano v, w, z ∈ C \ {0}. Se z |z| ∈ γ+(v, w), allora `(γ+(v, w)) = `(γ+(v, z)) + `(γ+(z, w)), a(Σ+(v, w)) = a(Σ+(v, z)) + a(Σ+(z, w)). Dimostrazione Fissiamo ε > 0. Per definizione, esistono due spezzate P, P ′, l’una inscritta in γ+(v, z) e l’altra inscritta in γ+(z, w), tali che `(γ+(v, z))− ε < `(P ) ≤ `(γ+(v, z)), `(γ+(z, w))− ε < `(P ′) ≤ `(γ+(z, w)), Indicata con P ∗ la spezzata i cui vertici sono tutti quelli di P seguiti da tutti quelli di P ′, è chiaro che P ∗ è inscritta in γ+(v, w); inoltre si ha `(P ) + `(P ′) = `(P ∗) ≤ `(γ+(v, w)). Quindi `(γ+(v, z)) + `(γ+(z, w)− 2ε < `(P ∗) ≤ `(γ+(v, w)). L’arbitrarietà di ε prova che `(γ+(v, z)) + `(γ+(z, w) ≤ `(γ+(v, w)). Per provare la disuguaglianza inversa, sia ε > 0 e sia P una spezzata inscritta a γ+(v, w) tale che `(γ+(v, w))− ε < `(P ) ≤ `(γ+(v, w)). Se la spezzata P non ha come vertice il punto z, esisteranno due vertici consecutivi vi−1, vi tali che z ∈ γ+(vi−1, vi); allora, sostituendo al segmento Vi−1Vi i due segmenti Vi−1Z e ZVi, si ottiene una nuova spezzata P ∗ inscritta a γ+(v, w) tale che `(P ∗) > `(P ). Inoltre tale spezzata è l’unione di due spezzate P ′ e P ′′, l’una formata da tutti i vertici fra v e z (inclusi) e inscritta in γ+(v, z), l’altra formata da tutti i vertici fra z e w (inclusi) e inscritta in γ+(z, w). Si ha allora `(γ+(v, w))− ε < `(P ) < `(P ∗) = `(P ′) + `(P ′′) ≤ `(γ+(v, z)) + `(γ+(z, w)). Nuovamente, l’arbitrarietà di ε prova che `(γ+(v, w)) ≤ `(γ+(v, z)) + `(γ+(z, w)). La prima parte della tesi è provata. La seconda parte segue subito ricordando che l’area di un settore è la metà della lunghezza dell’arco corrispondente.  lungharchi Corollario 1.12.11 Se v, w ∈ γ+(1, i), allora |v − w| < |`(γ+(1, v))− `(γ+(1, w))| ≤ √ 2|v − w|. 83 Dimostrazione Anzitutto notiamo che si ha v ∈ γ+(1, w) oppure w ∈ γ+(1, v); se siamo ad esempio nel secondo caso, allora per la proposizione 1.12.10 `(γ+(1, v))− `(γ+(1, w)) = `(γ+(w, v)), cosicché la prima disuguaglianza è ba- nale. Per provare la seconda, denotia- mo, al solito, con O,V,W,Z i pun- ti corrispondenti ai numeri complessi 0, v, w, v + w, e tracciamo la bisettri- ce dell’angolo VOW; sia U il punto di intersezione delle perpendicolari ai segmenti OV e OW condotte da V e W rispettivamente. La spezzata P di vertici V,U,W è allora circoscritta a γ+(v, w) e la sua lunghezza è `(P ) = |v − u|+ |u− w| = 2|u− v| = 2 |v − w| |v + w| ; ma poiché |v+w| è la lunghezza della diagonale maggiore OZ del rombo OVZW, tale quantità è certamente non inferiore a √ 2 (la diagonale del quadrato di lato OV). Si ottiene allora `(γ+(v, w)) ≤ `(P ) ≤ √ 2|v − w|.  Il corollario appena dimostrato ci permette di enunciare il seguente fondamentale risul- tato, conseguenza dell’assioma di completezza di R. radianti Teorema 1.12.12 Per ogni w ∈ C \ {0} esiste un unico numero ϑ ∈ [0, 2π[ tale che `(γ+(1, w)) = 2a(Σ+(1, w)) = ϑ. La funzione g(w) = `(γ+(1, w)) è dunque surgettiva da C \ {0} in [0, 2π[ ed è bigettiva da S(0, 1) in [0, 2π[. Il numero ϑ = `(γ+(1, w)) si dice misura in radianti dell’angolo individuato dai punti 0, 1, w. Dimostreremo il teorema 1.12.12 più avanti nel corso, utilizzando la teoria delle funzioni continue. Un radiante è quindi, per definizione, la misura dell’unico angolo (orientato in verso antiorario) il cui corrispondente arco della circonferenza unitaria ha lunghezza 1; un angolo misura ϑ radianti se e solo se l’arco corrispondente su S(0, 1) ha lunghezza ϑ e il settore corrispondente ha area ϑ 2 . In particolare, allora, l’angolo piatto misura ±π (radianti), l’angolo retto ±π 2 , e l’angolo sotteso da un lato del poligono regolare di N lati misura ±2π N ; il segno davanti alla misura dipende dal verso di rotazione. 84 Più in generale si ha: formuleadd Proposizione 1.12.15 Per ogni ϑ, α ∈ R valgono le formule di addizione cos (ϑ− α) = cosϑ cosα + sinϑ sinα, cos (ϑ+ α) = cosϑ cosα− sinϑ sinα, sin (ϑ− α) = sinϑ cosα− cosϑ sinα, sin (ϑ+ α) = sinϑ cosα + cosϑ sinα. Dimostrazione Siano z, w numeri complessi di modulo 1, con arg z = ϑ e argw = α: ciò significa che nel piano il punto z ha coordinate (cosϑ, sinϑ) mentre il punto w ha coordinate (cosα, sinα). Calcoliamo la quantità |z − w|2: si ha |z − w|2 = (cosϑ− cosα)2 + (sinϑ− sinα)2. D’altra parte, |z − w| rappresenta la lunghezza del segmento di estremi z e w, quindi tale quantità non cambia se cambiamo sistema di riferimento. Scegliamo due nuovi assi ortogonali x′, y′ tali che la semiretta positiva dell’asse x′ coincida con la semiretta uscente da 0 che contiene w. Dato che |z| = |w| = 1, le coordinate di w in questo nuovo sistema sono (1, 0) mentre quelle di z sono (cos (ϑ− α), sin (ϑ− α)). Pertanto |z − w|2 = (cos (ϑ− α)− 1)2 + (sin (ϑ− α))2. Confrontando fra loro le due espressioni e svolgendo i calcoli, si ricava facilmente la prima uguaglianza. 87 La seconda uguaglianza segue dalla prima scambiando α con −α: cos (ϑ− (−α)) = cosϑ cos (−α) + sinϑ sin (−α) = cosϑ cosα− sinϑ sinα. Per la terza e quarta uguaglianza si osservi che, per quanto già provato, sin (ϑ− α) = − cos ( ϑ− α + π 2 ) = = − cos ( ϑ+ π 2 ) cosα− sin ( ϑ+ π 2 ) sinα = = sinϑ cosα− cosϑ sinα, sin (ϑ+ α) = − cos ( ϑ+ α + π 2 ) = = − cos ( ϑ+ π 2 ) cosα + sin ( ϑ+ π 2 ) sinα = = sinϑ cosα + cosϑ sinα.  I grafici delle funzioni seno e coseno sono illustrati qui sotto. Si noti che il grafico del seno si ottiene da quello del coseno mediante una traslazione di +π 2 lungo l’asse x, dato che, come sappiamo, cosϑ = sin (ϑ+ π 2 ). Completiamo questa breve introduzione alle funzioni trigonometriche definendo la fun- zione tangente. tang Definizione 1.12.16 Se ϑ ∈ R e ϑ 6= π 2 + kπ, k ∈ Z, poniamo tanϑ = sinϑ cosϑ . 88 Questa funzione non è definita nei punti dove si annulla il coseno, ed è periodica di periodo π. Vale questa importante disuguaglianza: senxsux Proposizione 1.12.17 Risulta cosx < sinx x < 1 ∀x ∈ [ −π 2 , π 2 ] \ {0}; di conseguenza si ha sup n∈N+ sin a n a n = 1 ∀a ∈ R \ {0}. Dimostrazione Fissiamo x ∈ ] 0, π 2 [ e siano O l’origine ed E, B i punti corrispondenti ai numeri 1 e cosx + i sinx; sia poi T il punto di incontro tra la perpendicolare ad OE passante per E ed il prolungamento di OB, e H il punto d’incontro con OE della perpendicolare ad OE passante per B. Dato che i triangoli OHB e OET sono simili, si ha |H| : |E| = |B−H| : |T− E|, da cui |T− E| = |B−H| · |E| |H| = sinx cosx = tanx. D’altra parte, il triangolo OEB è contenuto nel settore di vertici O,E,B il quale a sua volta è contenuto nel triangolo OET: ne segue, calcolando le tre aree, 1 2 sinx < 1 2 x < 1 2 tanx, da cui la tesi quando x ∈ ] 0, π 2 [ . Se x ∈ ] −π 2 , 0 [ , per quanto già visto si ha cosx = cos (−x) < sin (−x) −x < 1; 89 z = ρ(cosϑ+ i sinϑ). Questa è la scrittura di z in forma tri- gonometrica. Si noti che, noti ρ e ϑ, si ha { a = ρ cosϑ b = ρ sinϑ , mentre, noti a e b, si ha ρ = √ a2 + b2, { cosϑ = a ρ sinϑ = b ρ , il che equivale, com’è giusto, a determinare ϑ a meno di multipli interi di 2π. La forma trigonometrica dei numeri complessi è utile per rappresentare geometricamen- te il prodotto in C. Siano infatti z, w ∈ C: se uno dei due numeri è 0, allora il prodotto fa 0 e non c’è niente da aggiungere. Se invece z, w sono entrambi non nulli, scrivendoli in forma trigonometrica, z = ρ(cosϑ+ i sinϑ), w = r(cosα + i sinα), otteniamo che zw = ρr(cosϑ+ i sinϑ)(cosα + i sinα) = = ρr[(cosϑ cosα− sinϑ sinα) + +i(sinϑ cosα + cosϑ cosα)] = = ρr[cos (ϑ+ α) + i sin (ϑ+ α)]. Dunque zw è quel numero complesso che ha per modulo il prodotto dei moduli e per argomento la somma degli argomenti. In particolare si ha la formula arg (zw) = arg z + argw + 2kπ, k ∈ Z. Ovviamente si ha anche zw = ρr[cos (ϑ− α) + i sin (ϑ− α)]; scelto poi w = z, troviamo z2 = r2(cos 2ϑ+ i sin 2ϑ), e più in generale vale la formula di de Moivre: zn = rn(cosϑ+ i sinϑ)n = rn(cosnϑ+ i sinnϑ) ∀ϑ ∈ R, ∀n ∈ N. Da questa formula, utilizzando lo sviluppo di Newton per il binomio (valido ovviamente anche in campo complesso, trattandosi di una relazione algebrica) è possibile dedurre 92 delle non banali relazioni trigonometriche che esprimono sinnϑ e cosnϑ in termini di sinϑ e cosϑ (esercizio 1.12.13). Altre formule trigonometriche, che seguono facilmente dalle formule di addizione, sono illustrate negli esercizi 1.12.6, 1.12.7 e 1.12.8. Radici n-sime di un numero complesso Fissato w ∈ C, vogliamo trovare tutte le soluzioni dell’equazione zn = w (con n intero maggiore di 1). Ricordiamo che proprio l’esigenza di risolvere le equazioni algebriche ci ha motivato ad introdurre i numeri complessi. Se w = 0, naturalmente l’unica soluzione è z = 0; se w 6= 0, risulta ancora utile usare la forma trigonometrica. Scriviamo w = r(cosα + i sinα), e sia z = ρ(cosϑ + i sinϑ) l’incognita: affinché sia zn = w bisognerà avere ρn = r (uguagliando i moduli), nϑ = α + 2kπ, k ∈ Z (uguagliando gli argomenti), cioè { ρ = r 1 n (radice n-sima reale positiva) ϑ = α+2kπ n , k ∈ Z. Sembra dunque che vi siano infinite scelte per ϑ, cioè infinite soluzioni z. Però, mentre le prime n scelte di k (k = 0, 1, . . . , n− 1) forniscono n valori di ϑ compresi fra 0 e 2π (ossia ϑ0 = α n , ϑ1 = α+2π n , . . . , ϑn−1 = α+2(n−1)π n ), le scelte k ≥ n e k ≤ −1 danno luogo a valori di ϑ che si ottengono da quelli già trovati traslandoli di multipli interi di 2π: infatti ϑn = α + 2nπ n = ϑ0 + 2π, ϑn+1 = α + 2(n+ 1)π n = ϑ1 + 2π, ed in generale per j = 0, 1, . . . , n− 1 ϑmn+j = α + 2(mn+ j)π n = ϑj + 2mπ ∀m ∈ Z. In definitiva, le infinite scelte possibili per ϑ forniscono solo n scelte distinte per z, e cioè zj = r 1 n ( cos α + 2jπ n + i sin α + 2jπ n ) , j = 0, 1, . . . , n− 1. 93 Quindi ogni numero complesso w 6= 0 ha esattamente n radici n-sime distinte z0, z1, . . . , zn−1 che sono tutte e sole le soluzioni dell’equazione zn = w. I numeri z0, . . . ,zn−1 giacciono tutti sulla circonferenza di centro 0 e raggio |w| 1n ; ciascuno forma un angolo di 2π n con il precedente, cosicché essi sono i vertici di un poligono regolare di n lati in- scritto nella circonferenza. L’argomento del primo vertice z0 si trova dividendo per n l’ar- gomento principale di w, cioè l’unico che sta in [0, 2π[. Se, in particolare, w è reale positivo, si avrà arg z0 = 1 n argw = 0, quindi z0 è reale positivo ed è la radice n-sima reale positiva di w. Dunque, se w è reale positivo, la sua radice n-sima reale positiva w 1 n è una delle n radici n-sime complesse di w (e tra queste ci sarà anche −w 1 n se n è pari). Esercizi 1.12 1. Calcolare le quantità (1− i)24, ( 1 i )67 , ( 1 + i 1− i )45 , ( i+ 2i 1− 2i )5 , 1 + i |1 + i| . 2. Quanti gradi sessagesimali misura un angolo di 1 radiante? 3. Calcolare le aree del poligono regolare di n lati inscritto nella circonferenza di raggio 1 e di quello circoscritto alla medesima circonferenza. larc 4. Dimostrare che: (i) `(γ−(v, w)) = −`(γ+(w, v)) per ogni v, w ∈ C \ {0}; (ii) `(γ−(1, w)) = −`(γ+(1, w) per ogni w ∈ C \ {0}; (iii) `(γ+(i, w)) = `(γ+(1,−iw)) per ogni w ∈ γ+(i,−1); (iv) `(γ+(−1, w)) = `(γ+(1,−w)) per ogni w ∈ γ+(−1, 1). 5. Completare la seguente tabella: 94
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