Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Analisi sintetica di "Il soggetto bambino. L'etica pedagogica di Loris Malaguzzi"., Sintesi del corso di Psicologia Dei Processi Di Apprendimento E Motivazione

Breve riassunto del saggio proposto da Alfredo Hoyuelos in merito al pensiero pedagogico di Loris Malaguzzi. L'analisi può risultare utile per lo scritto e per l'orale di "Linguaggi Espressivi", Corso "Scienze dell'educazione e della formazione", 6 CFU.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 28/10/2022

GianpyXCIV
GianpyXCIV 🇮🇹

4.4

(43)

36 documenti

1 / 11

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Analisi sintetica di "Il soggetto bambino. L'etica pedagogica di Loris Malaguzzi". e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Dei Processi Di Apprendimento E Motivazione solo su Docsity! ANALISI “IL SOGGETTO BAMBINO” – ALFREDO HOYUELOS L’ETICA PEDAGOGICA DI LORIS MALAGUZZI PRINCIPI STRATEGIE L’educazione inizia con l’immagine del bambino, immagine che rivela l’indeterminatezza dell’essere umano. La pedagogia dell’ascolto L’osservazione attraverso sonde di ricerca Idea di progettazione in contrapposizione a quella di programmazione Educare significa aumentare il numero di opportunità possibili Un’adeguata organizzazione nella scuola Il piccolo gruppo Il ruolo dell’adulto Attribuzione o suddivisione personalizzata delle responsabilità Il bambino è un soggetto con diritti storici e culturali Difesa dei diritti dei bambini, degli insegnanti, delle famiglie e della donna Identità della scuola e dell’educazione infantile Sviluppo dei diritti dell’infanzia prendendo a prestito la voce dei suoi cento linguaggi CAPITOLO PRIMO: L’educazione inizia con l’immagine del bambino, immagine che rivela l’indeterminatezza dell’essere umano. Per Malaguzzi l’educazione passa dal come valutiamo il bambino: ognuno di noi ha una teoria riguardante l’immagine del bimbo; essa influenza il nostro modo di agire, in particolare in campo educativo. Occorre però riconoscere che a volte le nostre teorie possono essere smentite da altre azioni e supposizione; ciò implica una riformulazione della teoria al fine renderla più efficace. Malaguzzi, inoltre, afferma che è necessario che gli adulti diano una identità al bimbo: un bambinon senza nome, senza cultura e senza identità è un bambino che non riesce a trovare un significato alla propria esistenza. 1.1 L’interpretazione dell’immagine Interpretare l’immagine del bambino è molto difficile poiché secondo Malaguzzi parlare di infanzia è di per sé difficile; l’immagine dell’infanzia cambia in base al periodo storico e i cambiamenti a livello sociale culturale. Per Malaguzzi il bambino è un piccolo Ulisse, ossia un avventuriero che può prendere mille strade imprevedibili. 1.2. L’immagine che l’uomo ha di sé stesso L’infanzia è un periodo di sviluppo che fu considerato tale solo intorno al XVIII secolo quando il bimbo iniziò ad essere valutato per la sua capacità lavorativa. Nei secoli precedenti infatti l’infante era considerato solo come un piccolo uomo. Per Malaguzzi occorre dare all’infanzia ciò che si merita, ossia deve poter essere considerata una fase di sviluppo vera e propria; lo sviluppo del bambino però non deve essere forzato, così come i suoi tempi e i suoi spazi. Malaguzzi cerca di dare importanza a questo stadio di sviluppo, cercando di operare in modo da riscattare una fase che a livello storico e culturale è stata anche maltrattata. 1.3 L’immagine di bambino nell’immagine dell’adulto Per Malaguzzi il bimbo non è isolato ma si trova all’interno di relazioni; quindi l’immagine del bambino coincide anche con l’immagine dell’uomo, della donna e del mondo. Il modello con cui opera Malaguzzi si rifà da un lato all’importanza sia della teoria e sia della pratica educativa, ma allo stesso tempo il pedagogista dà importanza alla pratica: è proprio attraverso la pratica che ogni persona riesce a dare un’immagine è un’identità al bambino. 1.4 Considerazioni sulla solitudine del bambino Malaguzzi si occupa poi di un’altra problematica: il numero dei bambini continua a diminuire e ciò si ripercuote da un lato a livello sociale poiché non vengono calcolati quando si progettano degli interventi a loro favore mentre dall’altro vengono educati con una sorta di iper protezione e con meno autonomie. Malaguzzi crede che il bimbo sia una persona con potenzialità e abilità proprie e cerca di rivendicare la loro posizione. 1.5 l’immagine del bambino e la forma di costruzione della conoscenza Per Malaguzzi il bambino non era una tavola rasa, ossia una persona capace di immagazzinare informazioni che arrivano dal dall’esterno, e credeva anche che non ci si poteva rifare alle concezioni comportamentisti, quindi quelle basate su semplici premi e rinforzi. Per il pedagogista emiliano occorre rifarsi alla visione di Piaget: il bambino è un soggetto attivo all’interno della sua realtà: quando è in movimento, quando apprende e quando riproduce. Il bimbo è in balìa di continui scambi con l’ambiente ma non è definito solo dallo stesso. Inoltre, egli credeva nelle ricerche neurologiche, tra cui le idee di Gerald Edelman, secondo le quali la conoscenza è approssimativa, imprevedibile e il cervello non è immobile, ma è soggetto alle condizioni casuali e alle variazioni ambientali. Egli si definiva un tifoso di un cervello democratico, non ingabbiato né immobilizzato da determinismi genetici. I problemi dell’istruzione della seconda metà del ‘900 sono correlati alla scarsa capacità dell’uomo di utilizzare funzionalmente le proprie risorse; l’istruzione deve perciò essere in sintonia con la cultura presente e i nuovi strumenti a disposizione. 1.6 Il concetto di intelligenza in Malaguzzi Per Malaguzzi parlare di intelligenza significa fare un’analisi quantitativa sulle diversità dei bambini: si parla quindi di un bambino più o meno intelligente. L’intelligenza appare come una dotazione innata (quindi ereditata geneticamente) che, come diceva Malaguzzi, è una specie di bernoccolo, dal quale escono diverse dotazioni. Malaguzzi diffidava nei test sull’intelligenza e inoltre lui non credeva nella teoria di Gartner sulle intelligenze multiple: secondo lui l’intelligenza è la unica che al di sotto di essa vi erano le diverse abilità che si differenziavano da soggetto a soggetto. Fonte di critiche fu la sua visione dei diversamente abili: se è vero che tutti i bambini sono intelligenti, ciò significa che per lui non esistono handicap e i disabili. Infine, il pedagogista crede che l’intelligenza non sia solo una componente cognitiva ma anche emozionale: le emozioni guidano il nostro intelletto. Malaguzzi crede nella visione piagetiana dell’intelligenza: il suo funzionamento è innato ma le sue componenti accrescono con il tempo (visione costruttivista). 1.7 L’immagine del bambino partendo dalla critica al costruttivismo piagetiano Il pensiero di Malaguzzi è stato influenzato fortemente dalle tesi di Piaget. In particolare, di Piaget Loris elogia l’immagine costruttivista del bambino, le ipotesi sull’egocentrismo e l’intelligenza come risposta alle esigenze legate all’adattamento. Tuttavia, egli crede che lo sviluppo del bambino non possa ricondursi alla successione di stadi di sviluppo: lo sviluppo non è continuo per tutti i bambini. Credere a fasi di sviluppo fissi e universali rafforza l’idea che le abilità del bambino Il programma quindi è un procedimento fisso, immutabile, il quale non può certo competere con il processo strategico, che rappresenta appunto l’ipotesi. Tuttavia, anche utilizzando strategie si cade nell’abuso di programmi, ogni attività didattica ed educativa quindi deve promuovere le capacità strategiche del bambino, in quanto offrendo solo programmi specifici e fissi, si limita il naturale sviluppo del bambino stesso. PROGETTO: il progetto all’interno dell’attività educativa di Malaguzzi nasce innanzitutto dall’idea del bambino: i bambini infatti dettano ciò che necessitano o di cui hanno bisogno. In secondo luogo, un progetto può anche nascere dalla necessità avvertita dall’adulto o dalla scuola stessa. Essere funzionali i progetti devono portare avanti concretamente ciò che i bambini hanno richiesto. Ogni progetto ha quindi degli elementi e delle caratteristiche che devono coesistere:  Praticabilità: ogni progetto deve essere messo in atto realmente in ogni sua componente; ciò significa che anche le cose impensabili, come costruire una buca nel terreno o recarsi in un determinato luogo, siano eseguite;  Fiducia negli adulti;  Sicurezza;  Speranza nell’arrivare al risultato finale;  Maturazione dell’identità;  Conquista della propria autonomia;  Sviluppo delle competenze. Ogni progetto preso piede all’interno delle scuole di Reggio Emilia ha inoltre un’importante caratteristica: tratta sempre di attività a lungo termine. CAPITOLO SECONDO: Educare significa aumentare il numero di opportunità possibili Secondo Malaguzzi la pedagogia deve offrire un ventaglio di proposte che però non siano troppo vaghe (quello che egli definisce pedagogia folkloristica); occorre piuttosto avere a disposizione una varietà di offerte che siano realmente funzionali a livello educativo: una proposta può essere valutata sotto diversi punti di vista e quindi affrontata in modo diverso. 2.1. Il reale e il possibile Per Malaguzzi aumentare il numero delle possibilità significare pensare in modo completamente diverso rispetto a ciò che viene imposto dalle condizioni attuali; quello che viene fatto realmente quindi è solo una delle probabilità del possibile. Ciò significa che in ogni scuola il reale presenta uno dei tanti elementi che compongono il ventaglio della possibilità, possibilità che, maneggiate accuratamente, permettono la creazione di attività educative ben più efficaci. 2.2. La diversità L’idea di aumentare il numero delle opportunità nasce Malaguzzi da un’altra premessa importante: se i bambini sono diversi, la scuola deve partire dalla premessa che non può, e neppure deve, rendere uguale ciò che è differente. I bambini sono tutti intelligenti e mostrano interessi, desideri e i modi di agire diversi tra di loro. Sarebbe un errore quindi cercare di uniformare ogni piano didattico: ogni bambino deve avere un piano di lavoro individuale che cerca di promuovere le caratteristiche del soggetto. 2.3. La prima strategia: un’adeguata organizzazione dei nidi e delle scuole di infanzia. Uno degli aspetti positivi che promuovono un buon sviluppo dei Piani di lavoro scolastici è sicuramente l’organizzazione scolastica. Le scuole comunali di Reggio Emilia furono aperte nel 1963 e per i primi anni di attività la loro organizzazione era piuttosto caotica: gli insegnanti non erano sufficientemente preparati mentre ogni classe era seguita da un solo insegnante affiancato da un assistente di categoria gerarchicamente inferiore. È nel 1972 che viene approvato dal consiglio comunale il “regolamento delle scuole comunali dell’infanzia”, con il quale si introducono delle importanti modifiche all’interno delle scuole d’infanzia: la ricerca educativa è utilizzata come metodo permanente, le classi sono seguite da due insegnanti dello stesso livello e si cerca di rifiutare la gerarchizzazione delle posizioni lavorative. Ecco i punti salienti del Regolamento: a. La dimensione della scuola Per Malaguzzi le scuole non dovevano essere grandi, ma dovevano avere dimensioni contenute; esse dovevano quindi rappresentare il luogo del tutto familiare non solo per i bambini ma anche per il personale e le famiglie. Le scuole grandi infatti erano maggiormente burocratizzate e vedevano il bambino come un numero piuttosto che un individuo. Le scuole piccole risultano invece più gestibili, creano un ambiente famigliare dove tutti si riconoscono e quindi promuovono l’aspetto relazionale di ogni componente. b. La coppia educativa Però degli aspetti salienti del regolamento fu proprio l’introduzione della coppia educativa: per Malaguzzi ogni gruppo di alunni non doveva essere seguito da un unico insegnante ma da due insegnanti allo stesso livello. Far seguire il gruppo da un unico insegnante permette un’azione educativa disfunzionale: l’insegnante si trova da solo a dover affrontare drammi e incertezze, a organizzare piani didattici che risultano quasi sempre incompleti. Ecco che allora occorre inserire una coppia di educatori così da portare enormi miglioramenti:  Diverse immagini del bambino, quindi più punti di vista;  Nascono più conflitti, più idee e strategie;  Organizzazione più dettagliata e più flessibile.  Meno difficoltà nei processi di lavori. c. Il personale ausiliario di pulizia e di cucina. Per Malaguzzi il personale ausiliario di pulizia e di cucina era equiparabile alla figura dell’educatore, in quanto anche loro, seppure in piccola parte, si relazionano con i bambini. Il Regolamento del 1972 sancisce allora la parità di orari ad ausiliari, cuochi ed educatori. d. La cucina come emblema culturale del progetto pedagogico. Per Malaguzzi la cucina era uno dei simboli culturali dell’identità di una scuola diversa; secondo lui la cucina era un luogo da valorizzare poiché grazie adesso i bambini hanno la grande opportunità di conoscere ulteriori processi di conoscenza. Inoltre, qui i bambini capiscono che tutti i lavori hanno una propria importanza. All’interno della visione pedagogica di Malaguzzi ogni luogo della scuola ha un’importanza nell’apprendimento. e. Nessuna presenza di direttori didattici Il regolamento del 1972 eliminò dalla scuola la figura del direttore didattico. Questa scelta fu approvata per cercare di eliminare le gerarchie: ogni elemento del personale è perciò sullo stesso livello; ognuno di loro collabora con gli altri al fine di organizzare dei piani di lavoro funzionali. Alla figura del direttore (il tuttologo) va a sostituirsi il pedagogista, professionista che, attraverso e con l’Equipe pedagogico-didattica, coordina l’intero progetto educativo. 2.4. La seconda strategia: il piccolo gruppo. La strategia del piccolo gruppo risulta una delle più utilizzate nelle scuole infantili a Reggio Emilia. Malaguzzi dà il via a questa strategia prendendo spunto da una concezione pedagogica relazionale secondo cui la scuola debba promuovere una comunicazione costruttiva e un’interazione cooperativa. Scopo principale del piccolo gruppo infatti è quello di far comunicare efficacemente i bambini: attraverso questa strategia infatti si cerca di stimolare il confronto tra le diverse idee dei bimbi al fine di promuovere lo sviluppo di altrettante idee e teorie. Per far si che ciò avvenga occorre elaborare dei progetti molto lunghi, così da permettere ai partecipanti di conoscersi a fondo. Attraverso il piccolo gruppo, poi, i bambini possono sviluppare delle potenzialità che altrimenti possono rimanete sopite. Secondo Malaguzzi il piccolo gruppo doveva essere formato da 2,3 o 4 individui (max 8) della stessa età; la formazione del gruppo avveniva per affinità tra i bambini, attraverso il loro sesso oppure in base alle motivazioni dei diversi progetti.  “L’interazione dei bambini se lavorano in piccolo gruppo”: articolo del 1992 in cui Malaguzzi espone i vantaggi delle dinamiche di gruppo per l’educazione e lo sviluppo dei bambini. Infine, Malaguzzi dà molta importanza al piccolo gruppo perché risulta la strategia in grado di creare e rafforzare i legami di amicizia e amore tra i bambini. Il compito di ogni educatore e dei progetti educativi è infatti quello di promuovere lo sviluppo di tali relazioni. 2.5. La terza strategia: il ruolo dell’adulto Il ruolo dell’adulto riveste molta importanza per Malaguzzi poiché permette il concretizzarsi di molteplici opportunità educative. Questa figura può essere vista sulla base di 4 piani complementari:  Piano sociopolitico: l’adulto (educatore, personale ausiliario e genitori) viene visto da Malaguzzi come una figura che non può rimanere neutrale, ma che deve impegnarsi a perseguire una particolare ideologia: la loro professione non ha solo importanza didattica ma è implicata nel favorire delle trasformazioni sociali;  Piano relazionale e culturale: l’adulto è per Malaguzzi una figura con una vasta cultura (ciò gli permette di educare in libertà), completamente autonomo (in grado di elaborare da solo dei piani di lavoro efficaci ed efficienti) e capace di interagire positivamente con gli altri membri del tessuto scolastico e sociale.  Formazione degli insegnanti: per Malaguzzi gli educatori dovevano seguire un percorso di formazione continuo (4 ore e 30 ogni settimana) che permetteva loro di essere sempre pronti ad educare efficacemente ogni bambino. La formazione partiva dalla pratica piuttosto che dalla teoria (M. parla di riabilitazione).  Piano di ricerca: l’educatore come ricercatore permanente = l’adulto è visto come un ricercatore permanente: durante l’osservazione e l’ascolto dei bambini egli è capace di proporre interpretazioni diverse e molteplici. Lungo il tragitto dell’educazione non si cerca di dare sicurezza all’adulto, bensì di metterlo in un interrogativo permanente: il suo lavoro è cercare di porsi continue domande e interrogativi e cercare quindi di risolverli. Sia bambino che adulto sono simili in questo: entrambi si pongono domande e cercano di dare una risposta. Senza ricerca l’opera educativa diventa portatrice di vizi, atteggiamenti e stereotipi che dequalificano la professione stessa e il suo operato; 3.2. La seconda strategia: l’identità della scuola e dell’educazione infantile. Un altro punto trattato da Loris Malaguzzi è l’identità della scuola: essa è servizio educativo e un servizio sociale; sociale perché tiene conto dei diritti dei bambini, ma anche di educatori e famiglia. Secondo Malaguzzi le scuole dovevano essere progettate per offrire il maggior numero di esperienze possibili, ma soprattutto dovevano basarsi su piani didattici che portavano effettivamente allo sviluppo delle potenzialità di ogni singolo individuo. La scuola doveva permettere la famiglia di lavorare e ritagliarsi i suoi spazi (in particolare le donne), senza però trascurare i momenti che il bambino trascorre in essa. Essa deve permettere inoltre di incentivare l’interazione sociale del bambino, assicurandogli anche il soddisfacimento dei bisogni base. Tuttavia, la scuola italiana del secondo novecento risultava ancora povera, sia dal punto di vista sociale che educativo/didattico. Loris elenca quelli che sono i rischi che secondo lui possono influenzare l’educazione:  Assistenzialismo: vige la concezione errata che educazione sia sinonimo di assistenzialità. Malaguzzi afferma che la scuola non deve essere vista e concepita come un insieme di attività assistenziali verso il povero o il bisognoso. Ogni bambino infatti è capace di apprendere anche autonomamente e perciò bisogna organizzare attività che siano in grado di promuovere lo sviluppo di tali attività. L’assistenzialismo vede il bambino come una tabula rasa quindi mentre l’ideologia di Malaguzzi vede il bambino come un auto- costruttore della propria conoscenza.  Pedagogia pediatrica: la scuola diventa prima un centro per la salute e poi centro educativo. Questa visione è sbagliata in quanto per M. la pediatria deve distaccarsi dalla pedagogia.  Pedagogia da infermeria: ogni atto educativo ha lo scopo di individuare l’handicap o la disabilità del bambino; per Malaguzzi non esiste handicap ma diversità. Tale diversità deve essere parte integrante di ogni azione educativa;  L’istruzionismo: rischio in cui la scuola organizza piani nei quali i bambini vengono istruiti e non educati; in questo caso il bambino viene ammaestrato e non educato;  Anticipo: la scuola d’infanzia diviene anticipatoria della scuola elementare; in questo caso si annullano le differenze tra i due contesti e, di conseguenza, i piani educativi della scuola dell’infanzia si riducono a mere attività preparatorie;  Il precocismo e la stimolazione precoce: Malaguzzi disprezzava l’idea malsana di stimolare precocemente il bambino al fine di fargli apprendere contenuti e capacità prima del suo naturale sviluppo. Ogni bambino infatti deve seguire il corso naturale della propria maturazione. Loris criticava inoltre quei manuali che, diffondendosi dall’America fino al Giappone, spiegavano come stimolare precocemente il bambino.  Attività vetrina: l’educazione va a servizio di strutture private che monetizzano tale attività in ogni suo aspetto;  Maternalismo: i servizi educativi si occupano di sostituire la figura materna ma a tutti gli effetti non educano a dovere.  Pedagogia da macelleria: gli insegnanti credono che il bambino venga educato solo in particolari fasi o quando svolge determinate attività. In realtà, come afferma M., ogni bimbo apprende e viene educato in ogni situazione.  La falsa separazione del carattere sociale ed educativo nelle istituzioni: la scuola persegue solo uno dei suoi due scopi principali. Per Malaguzzi la scuola è un istituto sia sociale che educativo.  Il rischio della falsa continuità e delle macroscuole: convinzione socialmente diffusa secondo cui il processo educativo deve essere lineare e accomulativo. Questo pensiero per Malaguzzi è errato in quanto l’educazione (così come l’evoluzione) è un processo discontinuo, a salti. La scuola deve quindi basarsi su progetti che muniscano il bambino di ogni abilità possibile. Ciò è possibile secondo Malaguzzi in scuole famigliari e non macroscuole.  Il folclorismo: si parla di folclorismo in relazione alla cultura, a quella cultura che secondo Loris Malaguzzi trasformava il bambino in un essere anonimo, così come è anonima diventa anche la scuola. Tali culture sono quelle che seguono le mode passeggere e, più importante, non tengono in considerazione i diritti del bambino. 3.3. La terza strategia: lo sviluppo dei diritti dell’infanzia prendendo a prestito la voce dei suoi cento linguaggi. Cercando di difendere i diritti dell’infanzia, Malaguzzi e Reggio Emilia utilizzano i cento linguaggi dei bambini al fine di diffondere la loro voce; vengono così organizzate delle mostre (L’occhio se salta il muro e I cento linguaggi dei bambini) che attraverso testi e immagini raccontano la storia dell’educazione del bambino, di un adulto sensibile e di una città. Le mostre vengono organizzate come strumento per ascoltare i cento linguaggi dei bambini: è così che la loro voce riesce a diffondersi. Tra i linguaggi utilizzati vi è linguaggio verbale, il linguaggio plastico e il linguaggio dell’immagine o audiovisivo.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved