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Analisi "Vita" di Vittorio Alfieri, Appunti di Letteratura Italiana

In questo file è presente il riassunto dei vari capitoli dell'opera di Vittorio Alfieri "Vita".

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 05/12/2023

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laura-masiello-1 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica Analisi "Vita" di Vittorio Alfieri e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! ANALISI “VITA” DI V. ALFIERI. PARTE PRIMA: INTRODUZIONE  Alfieri spiega le ragioni per la scrittura dell’opera. Dichiara di non voler addurre scuse di falsa modestia, e che ogni biografia è scritta per amor proprio, qualità della quale sono forniti tutti gli uomini ed in particolare poeti ed artisti in generale. Vi sono però alcuni elementi di captatio benevolantiae, come, per esempio, quando vengono nominati i “pochi estimatori della sua opera”. Alfieri dice di scrivere per loro in quanto sa che le sue opere verranno comunque prima o poi precedute da una biografia, di cui preferisce essere direttamente l’autore. Inoltre, ammette che potrebbe omettere degli eventi, ma assicura che non scriverà falsità, cosa che invece potrebbe accadere se l’autore della sua biografia fosse uno scrittore al saldo degli editori. La biografia sarà organizzata in cinque parti, corrispondenti alle cinque fasi della vita: Infanzia, Adolescenza, Giovinezza, Età Adulta, Vecchiaia (quest’ultima non verrà mai realizzata). Al momento della stesura dell’introduzione, Alfieri dichiara di essere occupato nella scrittura della quarta sezione, e di aver notato di scrivere meno di getto di quanto accadesse nelle opere precedenti. Si scusa quindi con i lettori nel caso in cui trovino che si sta dilungando troppo e chiede loro di punire questo suo errore non leggendo, eventualmente, l’ultima parte, che trattando la vecchiaia dovrebbe essere quella a carattere più riflessivo. Altra particolarità della biografia è che parlerà esclusivamente del suo protagonista, nominando le persone intorno a lui solo in eventualità positive: scopo della biografia è, infatti, lo studio di un uomo, e l’autobiografia è perciò il caso più lodevole di biografia perché l’autore non può conoscere nessuno meglio di sé stesso. L’introduzione è chiusa da una dichiarazione stilistica: la scrittura sarà semplice in quanto l’argomento è personale ed istintivo, al contrario di altre opere. EPOCA PRIMA. PUERIZIA  - CAPITOLO PRIMO: Alfieri racconta brevemente della sua famiglia: suo padre, nobile astigiano, Antonio Alfieri e la madre, nobile di origina francese (barbara), Monica Maillard di Tournon. La madre aveva avuto figli da un primo marito ed era rimasta vedova, il padre non aveva mai lavorato (essendo appunto nobile) ed è già in età avanzata quando si sposa: anche per questo Vittorio resta orfano mentre è ancora dalla balia a Ronciglione. La madre si sposa la terza volta, con Giacinto Alfieri, un cadetto, matrimonio del quale Alfieri è felice, anche se vorrebbe restare più vicino alla madre ora anziana. Alfieri riflette sulla fortuna di essere nato da genitori nobili (perché così può conoscere davvero, e dunque criticare, la nobiltà), agiati (perché così può servire solo la verità e non avere padroni) e onesti (perché così non deve vergognarsi di essere nobile). Alfieri dichiara di avere quarantuno anni mentre scrive la biografia. - CAPITOLO SECONDO: Alfieri inizia con un ricordo alla Proust, scritto, dice lui stesso, proprio per far vedere come funzionano i ricordi: uno zio che gli dà dei confetti e di cui lui si ricorda solo le scarpe squadrate. Proprio la vista di scarpe simili a quella dello zio fa tornare in mente a Vittorio il sapore dei confetti. Il secondo ricordo della prima infanzia è legato a una forte malattia che lo ha fatto quasi morire. Vi è poi la riflessione sulla sorella Giulia, la sorella prediletta, con la quale Alfieri vive in casa del patrigno. Uno dei ricordi più brutti dell’infanzia è quindi la separazione da Giulia, che viene mandata a studiare in un convento astigiano. C’è anche una digressione sul fatto che la separazione da tutte le persone amate, siano esse amici, parenti, o amanti, dà sempre lo stesso tipo di sofferenza in quanto l’amore parte sempre alla stessa maniera. Al contrario Alfieri riceve la sua istruzione in casa, da un sacerdote, Don Ivaldi, che lui stesso giudicherà piuttosto ignorante. L’autore riconosce addirittura che i suoi stessi genitori non sono persone colte, in quanto secondo loro “un nobile non deve diventare dottore”. Alfieri riconosce però di aver sempre avuto una tendenza verso lo studio e l’introspezione. - CAPITOLO TERZO: Alfieri descrive alcuni piccoli avvenimenti che però sono decisivi per la formazione del suo carattere. Il primo è il fatto che a poco a poco si dimentica della sorella Giulia, in quanto la vede sempre meno spesso. Al contrario visita spesso la vicina chiesa del Carmine e in lui nasce un affetto per i novizi, giovani frati che sono in fondo gli unici coetanei che vede. Si tratta di infatuazione platonica e puerile: Alfieri apre il suo vocabolario e sostituisce alla voce “frati” la voce “padri”, in quanto ha sempre sentito parlare bene dei padri e spesso male dei frati. Un altro avvenimento è una sorta di tentativo di suicidio. Alfieri va in giardino e comincia a mangiare erba sperando di trovarvi della cicuta, ma ammette lui stesso di non avere neanche idea di cosa voglia dire la morte. Poco dopo vomita per l’erba ingerita, la madre a pranzo si accorge delle sue labbra verdi e lui viene messo in castigo. Secondo Alfieri il fatto di essere lasciato solo per punizione ha favorito lo svilupparsi del carattere malinconico. - CAPITOLO QUARTO: in questo capitolo vengono indicati altri piccoli episodi decisivi per la formazione del carattere di Alfieri. Lo scrittore spiega infatti di essere stato da piccolo molto taciturno, talvolta al contrario eccessivamente estroverso, ma soprattutto terrorizzato dalle punizioni. Vi è in particolare un castigo che lui ricorda con terrore, ovvero l’essere costretto a recarsi in chiesa con la reticella da notte in capo. La prima volta il tutore lo porta nella vicina chiesa dei carmelitani, dove però lui si vergogna di essere visto dai novizi. La seconda volta Alfieri viene trascinato fino alla Chiesa di San Martino, molto più affollata di gente, ed infatti l’autore racconta di essere stato inginocchiato ad occhi chiusi per tutta la durata della funzione. In entrambi i casi Alfieri non ricorda quale fosse il motivo del castigo, ma solo la profonda sofferenza che la punizione gli aveva causato. Vi sono poi altri due episodi molto significativi. Il primo è un incontro con la nonna materna, venuta da Torino, la quale insiste - CAPITOLO QUARTO: prosegue il racconto degli anni in Accademia. Alfieri racconta che il terzo anno è dedicato alla retorica: tanto gli insegnanti quanto il programma però sono insufficienti e l’autore ribadisce ancora una volta che gli anni in Accademia sono stati quasi inutili per la sua formazione. Per spiegare ciò, racconta che era riuscito a riottenere i tre tomi dell’opera di Ariosto, ma che non avendo ricevuto un’istruzione sufficiente riusciva ancora. Vi è poi una critica alla tecnica narrativa dell’Ariosto, che lascia spesso storie in sospeso per riprendere con i capitoli più avanti. Secondo Alfieri, questa tecnica non accende l’interesse del lettore ma spezza la sua suspense impedendogli poi di ritrovarla. Vi è poi la descrizione degli altri libri letti nella gioventù: non Tasso, che lui pensa avrebbe amato molto di più, bensì alcune storie dell’Eneide, alcune opere di Goldoni, e altri brevi testi. Alfieri descrive poi il suo fisico durante gli anni della scuola: era un ragazzino emaciato, magro, tanto che i compagni lo chiamavano carogna fradicia. Ad un certo punto un compagno prepotente si fa fare i compiti da lui ripagandolo con dei giocattoli, ma minacciando di picchiarlo se si fosse rifiutato. Alfieri inizialmente accetta, poi si stufa e invece di denunciare il compagno esegue il componimento, ma lo scrive male. Da questa Alfieri ricava un insegnamento importante, cioè che molte volte i rapporti umani sono governati dalla paura reciproca. Il capitolo si chiude con la descrizione della scuola di geometria e filosofia all’università. Come nei casi precedenti, anche questo è totalmente inutile e Alfieri racconta di aver anche spesso dormito durante le lezioni. Viene raccontato anche di una spada che lo zio avrebbe dovuto regalare ad Alfieri, ma che non gli viene data perché ancora una volta si rifiuta di chiedere qualcosa al parente. - CAPITOLO QUINTO: prosegue il metodo dei capitoli precedenti, ovvero Alfieri racconta tanti piccoli avvenimenti della sua giovinezza. A questo punto ha tredici anni, e racconta che la sorella Giulia viene finalmente portata via dal convento di Asti e trasferita in un convento di Torino. La decisione viene presa perché la ragazza si era invaghita di un coetaneo mentre era nell’astigiano; con la lontananza gli Alfieri sperano di farglielo dimenticare come infatti succede. Alfieri racconta comunque di aver consolato molte volte la sorella durante le sue pene d’amore. Vi è poi la descrizione delle prime esperienze di Alfieri con il teatro comico e con la poesia. A portare Vittorio a vedere un’opera comica per la prima volta è il cugino di suo padre, lo zio architetto, che gli fa vedere un’opera al teatro Carignano. Nel frattempo, Alfieri sta finalmente crescendo, il suo fisico è più forte e quando ha quattordici anni può passare l’estate a Cuneo con lo zio. Ricorda molto bene il viaggio ed il fatto di essersi vergognato per il fatto di aver viaggiato con un calesse lento e non velocemente come da Torino ad Asti nel primo viaggio della sua vita. C’è anche il racconto della prima poesia scritta da lui in onore di una dama di cui suo zio era invaghito, e che affascinava anche lui; lo zio però ha condannato questo fatto poetico e lui stesso spiega che fino ai venticinque anni non avrebbe mai più scritto versi. Riconosce, inoltre, che la scuola gli ha spiegato sì i versi latini, ma non la poesia italiana, tanto che il componimento è un miscuglio tra Ariosto e Metastasio. Vi è poi il racconto dell’ultimo anno di scuola, nel quale studia fisica (con Beccaria) ed epica, ma ancora una volta non viene tratto grosso giovamento dalle ore scolastiche. - CAPITOLO SESTO: lo zio viene nominato viceré della Sardegna e lascia il ragazzo con un nuovo tutore. In questo modo Alfieri ha più libertà economica, anche perché non è più sotto la guida del servitore Andrea, che sfruttava la sua posizione per sottrargli dei soldi. Vi è poi il racconto degli ultimi anni di studi, che sono dedicati alla preparazione alla professione di avvocato. Nello stesso periodo Alfieri si ammala nuovamente di un problema alla testa, ed è costretto a portare una parrucca. Per adattarsi agli schemi che riceve per la sua capigliatura impara che reagire prima di essere attaccati è una delle cose migliori. Segue la descrizione delle sue lezioni di musica e ballo. Nella musica ha un certo talento, ma non riesce bene come vorrebbe; al contrario, è scarso tanto nella scherma quanto nel ballo. La sua non propensione per la danza è procurata anche dal fatto di avere il maestro francese, nazionalità che gli è sempre stata avversa, tanto aver scritto in età più avanzata il Misogallo. Spiega lui stesso alcune delle motivazioni che lo hanno portato a detestare così francesi: il primo è un incontro con la Duchessa di Parma mentre era ancora ad Asti e poi proprio l’incontro con questo suo maestro di danza. Lo stesso autore riconosce come spesso sia la prima impressione verso una persona o una popolazione ad impedirci poi di ragionare razionalmente anche quando si incontrano persone diverse provenienti dalla presenza dello stesso Paese. - CAPITOLO SETTIMO: muore anche lo zio di Alfieri, quello che era diventato viceré a Cagliari e che era suo tutore economico. Avendo l’autore ormai quattordici anni diventa padrone delle sue ricchezze, e ha solo un curatore patrimoniale. Essendo così giovane e disponendo di così grande fortuna Alfieri si dedica all’ozio. Innanzitutto, dichiara di non voler più studiare da avvocato e viene trasferito nel Primo Appartamento, ovvero la parte dell’Accademia dove vi sono soprattutto ragazzi francesi, inglesi che si dedicano solo minimamente allo studio. Chiede, inoltre, di poter essere indirizzato alla Cavallerizza ed imparare anche ad andare a cavallo; trascorre così molte delle giornate con alcuni compagni tra cavalcate ed altre attività poco formative. Racconta di spendere moltissimo denaro in abbigliamento e altre spese, ma di averne, allo stesso tempo, tratto giovamento a livello di sviluppo fisico, in quanto finalmente riesce a crescere in statura e a riconquistare i capelli. Nel frattempo, ha perso anche l’infido servitore Andrea; tuttavia, l’autore ne conserva un buon ricordo, soprattutto perché l’uomo era molto pronto ad obbedire i suoi ordini, anche per questo lui stesso lo era andato a trovare a lungo, anche dopo che Andrea aveva trovato un altro padrone. - CAPITOLO OTTAVO: vicino ai quindici anni Alfieri comincia a trovare pesante il fatto di essere sempre seguito da un servitore, e chiede più volte al direttore dell’Istituto di poter uscire da solo come fanno i suoi compagni. Vedendosi negare la sua autorizzazione, prova più volte ad uscire da solo senza permesso, e ogni volta viene messo in castigo. Il castigo più lungo dura tre mesi, durante i quali si rifiuta sia di chiedere scusa, sia di chiedere il permesso di uscire, addirittura di mangiare con gli altri, riducendosi a non lavarsi e a vivere vicino il caminetto cucinandosi qualcosa che gli viene portato dagli amici, ai quali però non dice parola. - CAPITOLO NONO: la sorella Giulia si sposa con il Conte Giacinto di Cumiana. Dopo le nozze Alfieri riacquistata la libertà rispetto ai compagni di accademia, un maggiore controllo delle sue finanze che anche il suo primo cavallo. In poco tempo arriva a possedere otto cavalli, nonché una carrozza e svariati capi di abbigliamento lussuosi. Racconta però di essere sempre stato restio al vantarsi con gli amici del pomeriggio, quelli con cui va a cavalcare, che sono meno benestanti di lui. Detesta soverchiare chi già dall’inizio è minore di lui, mentre al contrario è forte il senso di competitività verso chi ritiene suo pari o superiore. - CAPITOLO DECIMO: Alfieri vive il suo primo innamoramento, verso la cognata di alcuni suoi amici. La subordinazione militare (cui è destinato in quanto figlio primogenito di una famiglia aristocratica), però non fa per lui: decide quindi di intraprendere un primo viaggio a Roma e Napoli. Ha solo diciassette anni, e fino allora il viaggio più lungo che ha fatto è stato fino a Genova pochi mesi prima. Per questo, per poter partire deve riuscire ad ingannare suo cognato, il marito della sorella, presso la quale vive. Intraprende perciò il viaggio con tre amici dell’Accademia, un inglese, un belga, in olandese. Con la partenza verso questo viaggio si conclude la sezione dedicata all’adolescenza, che Alfieri riconosce come totalmente inutile in quanto dedicato in maggioranza all’ozio e all’ignoranza. EPOCA TERZA. GIOVINEZZA  - CAPITOLO PRIMO: Alfieri parla del suo primo viaggio in Italia con due amici. Con loro ci sono anche tre servitori, un aio (precettore) e anche Francesco Elia, un anziano ed esperto servitore del suo defunto zio. La prima tappa del viaggio è Milano, che ad Alfieri non piace in quanto molto più disordinata di Torino. Alla biblioteca ambrosiana gli viene dato anche un manoscritto di Petrarca, che però Alfieri riconosce di non aver molto apprezzato. Le otto carrozze ed i cavalli proseguono poi tra Parma e Mantova, due città che vengono visitate solo di sfuggita. La prima lunga tappa è Firenze; Alfieri si vergogna perché, nonostante sia nella patria del toscano, preferisce imparare l’inglese, ed inoltre continua a voler utilizzare la ridicola u alla francese di Torino. Il viaggio prosegue poi con brevi tappe a Lucca, Pisa e Livorno: quest’ultima è la città che più piace all’autore, sia per la somiglianza con Torino, sia per il mare che per lui sempre un elemento affascinante. Vi è XV nel giorno di Capodanno. Alfieri nota come il re sia totalmente indifferente a tutti coloro che vede, siano essi piccoli nobili come l'autore o personaggi davvero importanti. Alfieri riflette sul fatto di aver poi visto un altro re nome Luigi essere salutato molto diversamente dal popolo durante la rivoluzione.  - CAPITOLO SESTO: l'autore viaggia verso Londra. Con lui questa volta c'è compagno di viaggio, il figlio del suddetto ambasciatore a Parigi, un ragazzo molto più estroverso di lui ma con il quale Alfieri, che ama ascoltare gli altri più che parlare, si trova bene. Londra e l'Inghilterra acquistano molto di più l'ammirazione dell'autore rispetto alla Francia; Alfieri, infatti, ammira l'operosità degli inglesi, le loro leggi che fanno vivere bene la gente nonostante il clima ostico. Stessa cosa vale per le donne, forse meno belle di quelle francesi ma più buone e spontanee. In Inghilterra, Alfieri è costretto dal suo amico a fare vita sociale, ma si trova ben presto a preferire l'attività di cocchiere per lui e fraternizza con altri cocchieri passando lungo tempo a cavallo nelle campagne vicino a Londra. Il viaggio prosegue poi dopo novembre in Olanda dove Alfieri si innamora la prima volta. La sua amante è una giovane donna sposata da circa un anno con un nobile spesso in viaggio, e con la quale l'autore intrattiene una relazione amorosa. Sempre in Olanda conosce anche il suo primo vero amico, un diplomatico portoghese, Acuñaav, persona come lui taciturna ma con il quale trova quindi grande affinità. La liaison con la ragazza olandese continua senza problemi anche con la consapevolezza del marito di lei, finché la ragazza non è costretta undici però a seguire il marito in uno dei suoi trasferimenti. Alfieri ne patisce molto, e arriva addirittura a tentare il suicidio strappandosi la benda che trattiene il sangue durante un salasso. Ancora una volta è indispensabile l'intervento del fido servitore Elia, che lo salva senza proferire parola e accompagna poi Alfieri nel lungo viaggio verso casa che si conclude a Carmagnola presso la sorella. Ancora una volta c'è una riflessione sulle attività intellettuale di Alfieri: l'amicizia con il diplomatico portoghese lo invoglia per la prima volta ad aumentare la sua cultura, mentre l'amore per la ragazza ispira la prima volta il desiderio di scrivere, che Alfieri abbinerà sempre alla presenza di effetti nella sua vita. - CAPITOLO SETTIMO: capitolo cuscinetto, nel quale Alfieri rimane per alcuni mesi a casa della sorella a Carmagnola e a Torino. - Parte del tempo è occupato dalle letture, anche se Alfieri fa ad esempio fatica a comprendere gli scritti politici di Rousseau, che in quel periodo erano già molto in voga. Lo stesso succede con la nuova Eloisa, romanzo d'amore, ma che Alfieri giudica troppo cerebrale e non riesce a finire. Un'altra parte del tempo di preoccupata di studi di astronomia, che sono però molto teorici in quanto Alfieri non è riuscito ancora a superare la sua avversione per le regole geometriche e matematiche. Durante il suo soggiorno a Torino il cognato cerca di accasarlo con una giovane nobildonna, ma anche questo tentativo non va a buon fine in quanto la ragazza gli preferisce un altro pretendente meglio inserito nella vita di corte. Alfieri riflette su questo scampato pericolo passato, ridendo del fatto che un possibile matrimonio intorno ai vent'anni avrebbe probabilmente spento in lui ogni futura velleità poetica. C'è inoltre un anticipo della sua attività di scrittore: i libri che più gli piacciono, infatti, sono le vite di Plutarco, del quale lo affascinano le biografie dei grandi personaggi, forse un anticipo del futuro titanismo alfieriano. Il capitolo si conclude con la decisione di riprendere il viaggio in Europa poiché, compiuti vent'anni, è libero dal controllo del tutore e dispone pienamente del suo patrimonio.  - CAPITOLO OTTAVO: Alfieri riprende il suo viaggio, questa volta nell'Europa continentale e settentrionale. La prima città ad essere visitata è Vienna, nella quale ha occasione di incontrare Metastasio, celebre poeta classicista italiano al servizio della corte asburgica. Prosegue poi il viaggio per Praga, Dresda, infine Berlino, dove ha la possibilità di incontrare il celebre Federico il Grande di Prussia. L'autore ha un ricordo pessimo di questo incontro con l'imperatore prussiano: egli è infatti deluso dall'eccessiva militarizzazione del regno tedesco e dalla rigidità dei cortigiani. Il viaggio prosegue poi verso la Danimarca, stato che per la sua somiglianza con l'Olanda piace sommamente all'autore. Ultima tappa, la Svezia, altro 12 Stato ideale in quanto eccessivo nel suo essere nordico (ricordiamo ancora una volta come Alfieri ripeta spesso di preferire sempre gli eccessi ai valori moderati). Parallelamente l'autore descrive anche le letture fatte: Montaigne, ancora Plutarco, nonché alcuni autori italiani, tra cui l'Aretino. Egli, infatti, durante i suoi viaggi incontra più volte alcuni personaggi italiani e si sforza quindi anche di parlare il dialetto toscano. In Svezia, inoltre, si diletta molto con le corse con le slitte, ma fa sempre attenzione a non trovare né affetti, né amore.  - CAPITOLO NONO: ancora viaggio attraverso l'Europa. Alfieri descrive minuziosamente l'attraversamento delle isole svedesi alla volta della Finlandia, non risparmiandosi un commento metaletterario sul poco interesse che questa descrizione susciterà nei lettori. Il viaggio prosegue poi fino a San Pietroburgo, allora capitale russa; Alfieri si rifiuta di incontrare la zarina Caterina II, da tutti riconosciuta come filosofa e monarca illuminata, ma che per lui è solo un enorme esempio di tirannide in quanto ha fatto uccidere il marito Pietro III in una congiura e non ha liberato il suo popolo dalla schiavitù. Inoltre, Alfieri prova un grande disprezzo verso i russi, che per lui sono un popolo asiatico mascherato da europeo. C'è anche un parallelo con il regno di Prussia, regno per lui eccessivamente militarizzato il cui sovrano ha infatti rapporti di grande amicizia con la zarina Caterina. Nel tornare verso sud Alfieri è costretto a ripassare in Germania, paese che per lui non ha alcuna attrattiva. Il transito presso un fronte di battaglia gli permette di riflettere anche sull'assurdità di alcuni regimi europei. Il viaggio riprende poi verso settentrione, visto che Alfieri va a visitare l'amico portoghese Acuña in Olanda, senza però poter vedere la sua amante ormai trasferitasi a Parigi. Prima di recarsi in Inghilterra Alfieri compie un'altra breve deviazione in Belgio, dove la visita al principato di Liegi, controllato da un vescovo, è il pretesto per ribadire ancora una volta la sua avversione per la vita clericale quanto per quella militare. - CAPITOLO DECIMO: descrizione delle disavventure amorose di Alfieri a Londra. Nella capitale inglese l'autore ritrova il principe di Masserano, ambasciatore del regno di Napoli, e suo amico. Inizia inoltre un legame amoroso con Penelope, una nobildonna inglese sposata che lo prende come suo amante, con cui si incontra in segreto mentre il marito è fuori di casa. Quando lei si sposta nelle campagne inglesi per la villeggiatura estiva di sette mesi il marito riceve notizia di una visita alla moglie, e la seconda volta la fa seguire. Pochi giorni dopo Alfieri fa una gita a cavallo con l'amico principe di Masserano e si ferisce il braccio, fortunatamente il sinistro. Il fatto di avere il braccio destro funzionante lo salva poche sere dopo, quando il 13 marito di Penelope lo trova nel teatro italiano e lo sfida a duello. L'uomo è però d'indole britannica, quindi si accontenta di ferirlo, e Alfieri dal canto suo non è in grado di fargli ulteriormente male con la spada. Poco dopo Alfieri si reca presso una parente di Penelope che li aveva protetti e lì la sua amante gli racconta di aver cercato di avvisarlo, senza però riuscirvi. La faccenda si risolve con il marito di Penelope che le chiede il divorzio e l'autore, pronto a diventare il nuovo compagno della donna, che si rifugia presso un altro amico, il marchese Caracciolo.  - CAPITOLO UNDICESIMO: l’illusione amorosa dell’autore si spegne presto. L’amante dice più volte ad alfieri di essere sicura che lui non la sposerà, ma di saperne solo lei il motivo. Pochi giorni dopo, infatti, confessa all'autore di aver avuto un'altra relazione, con uno dei palafrenieri del marito. Si scopre quindi che anche il marito era a conoscenza della relazione tra la moglie e il suo servitore, ma dato che questi aveva confessato spontaneamente lo aveva perdonato prendendosela invece con l'autore. Alfieri pensa che Penelope sia stata altrettanto spontanea nella sua confessione a lui, ma viene ancora una volta deluso: la donna gli ha parlato solo perché sapeva che la vicenda era ormai nota alla stampa e Alfieri l'avrebbe comunque letta sui giornali. Il processo di divorzio viene disputato a nome dell'autore come causa della separazione tra i due coniugi: tocca quindi a lui pagare un risarcimento al marito tradito. Nonostante la disprezzi, Alfieri non riesce a staccarsi da Penelope, e compie con lei un breve viaggio in Francia. A un certo punto finalmente il ribrezzo verso la donna fedifraga supera l'attrazione, e Alfieri riesce ad allontanarsi da lei proseguendo da solo il viaggio verso Londra. - CAPITOLO DODICESIMO: visto che a Londra sono troppi ricordi della disavventura con Penelope, Alfieri ritorna in Olanda a trovare ancora una volta l'amico Acuña, per poi proseguire il viaggio per Parigi (che ancora una volta non gli piace) e poi fino in Spagna. Nella penisola iberica Alfieri adotta un metodo singolare di viaggio, ovvero acquista due cavalli e prosegue al galoppo fino a Madrid e poi a Barcellona per altre città, sempre accompagnato dal fido Elia. Ancora una volta evita il più possibile gli incontri con altri essere umani, commediografo contemporaneamente. Alla fine di questa terza sezione della biografia sono riportati alcuni stralci di queste opere giovanili, e anche alcune delle lettere dei suoi primi maestri e correttori; essi però sono state modificate dall'Alfieri per essere inserite nell'opera. Si legge chiaramente come i versi siano acerbi, le rime ancora abbozzate, gli accenti mal distribuiti: è lo stesso autore a criticarsi in alcune note aggiunte poi a margine, non senza falsa modestia probabilmente. Questa sezione si chiude qui in quanto secondo Alfieri l'inizio della sua attività di poeta corrisponde all'ingresso nell'età adulta. EPOCA QUARTA. VIRILITA’  - CAPITOLO PRIMO: Alfieri decide, quindi, a 27 anni di diventare autore di tragedia. Prende la decisione, però, di scrivere tragedie in lingua italiana, lingua che non ha parlato in famiglia e non ha poco esercitato negli ultimi anni di continui viaggi all’estero. Questo si riflette sullo scarso risultato linguistico della sua prima opera in italiano, la tragedia Cleopatra. Alfieri confessa di aver provato precedentemente con la scrittura in francese, elaborando due opere dei titoli di Filippo e Polinice. Provando poi a tradurre le stesse due opere in italiano si rende conto che scrivere in italiano e cosa ben diversa, e capisce di non avere le capacità linguistiche necessarie per il lavoro del genere. Alfieri fa, dunque, un paragone tra il lavoro del drammaturgo ed un lungo percorso, che abbia come punto di arrivo proprio il successo nei teatri. Spiega che lui si trova a metà strada, in quanto sa di essere bravo per quanto riguarda l’invenzione delle storie e la descrizione dei sentimenti umani, ma di dover rifare svolta della strada dietro di sé per riappropriarsi delle competenze dell’italiano. Ancora una volta Alfieri usa la falsa modestia, per spiegare come il suo carattere a quel tempo fosse alquanto presuntuoso e come sia stato per lui un atto di grande umiltà lo scegliere di ricominciare degli studi quasi scolastici di grammatica. Per meglio apprendere la lingua italiana Alfieri si ritira in montagna sul confine francese. Idea come riconosce lui stesso poco produttiva, in quanto il suo compagno di studi è l’Abate Aillaud, ex precettore di alcuni suoi compagni di accademia. Il religioso gli consiglia di iniziare dei grandi classici della letteratura italiana, e Alfieri con grande sforzo riesce a leggere l’intera opera di Tasso, Dante, Ariosto, Petrarca: quest’ultimo è, tra gli autori della tradizione italiana, quello che gli va meno a genio. Non sono tanto le difficoltà nel comprendere riferimenti degli autori a preoccuparlo, quanto il fatto che spesso non capisce la lingua vera e propria. La preparazione linguistica prosegue leggendo alcuni testi tradotti in italiano da altre lingue, tra questi, particolare è la scelta di leggere l’Ossian, il poema del falso bardo inglese, ma nessuna opera francese, proprio perché Alfieri vuole disintossicarsi da quella lingua. L’ultima sezione del capitolo è dedicata ad un libro che Alfieri fatica a leggere quando è vicino ai trent’anni, ma che racconta avrebbe detto molte volte più avanti con l’età, ovvero il Galateo di Giovanni Della Casa. - CAPITOLO SECONDO: prosegue la preparazione di Alfieri per diventare un drammaturgo. L’autore decide di non occuparsi solo della letteratura italiana, ma anche di quella latina, che aveva accanto trascurato durante gli anni all’Accademia. Si affida quindi ad un maestro, con il quale legge le opere di Seneca e di Orazio: queste, avendo temi vicini alla vita reale e a volte scurrili, risultano più facili all’autore, che aveva quasi totalmente dimenticato il latino ed il greco. Anche la lettura di Fedro, infatti, gli risulta ormai quasi impossibile. Il secondo importante passo in questo avvicinamento alla perfetta lingua italiana è un viaggio in Toscana. Alfieri si reca prima a Pisa e poi a Firenze. Lungo il viaggio verso Pisa fa un’importante incontro, quello con il tipografo Bodoni, famoso in tutta Europa per la sua opera di stampatore. A Pisa prosegue la lettura dei grandi classici: per Alfieri è il pretesto per discutere su quelle che poi saranno le fondamenta del suo stile, che nasce proprio durante questi studi. Per esempio, fa una lunga disquisizione sul fatto che l’endecasillabo sia il verso ideale per la poesia in lingua italiana, sia essa tragica o comica. Per spiegare questa sua idea confronta universi giambici latini con due versi di Torquato Tasso. Vi è poi una critica ai maestri che trova sia a Pisa sia a Firenze, in quanto spesso essi sono totalmente in disaccordo su ciò che per lui è buono per quanto riguarda il contenuto dell’opera. Alfieri infatti, non senza presunzione, non vuole imparare ad argomentare in maniera tragica, in quanto crede di esserne già perfettamente in grado, bensì vuole imparare le regole linguistiche legate al buon italiano. Il soggiorno di Firenze serve anche per elaborare e sistemare alcune delle sue opere già scritte, tra cui il Filippo, che viene tradotto in italiano. Alfieri stende, inoltre, l’idea per un’altra opera completamente nuova, Antigone. Scrivendo capisce, però, definitivamente che non solo non può tradurre opere scritte inizialmente in francese, ma anche leggere opere di altri autori sullo stesso tema può rivelarsi una mossa poco felice, in quanto porterà anche involontariamente a copiare l’autore originario. Per questo, Alfieri racconta di aver rinunciato a leggere, tra gli altri, le opere di Shakespeare che è un autore che lui apprezza molto. In Toscana, inoltre, Alfieri non ha nessuno di cui si fidi come correttore per le sue opere (come erano invece, per esempio, il Tana ed il Paciaudi a Torino). L’ultima parte di questo capitolo racconta di come è venuto a conoscenza della storia che è poi diventata una delle due tragedie medicee, il Don Garzia. - CAPITOLO TERZO: capitolo molto breve. Alfieri torna a Torino, attirato sia dalle compagnie, sia dai suoi amati cavalli. Mentre è lì riesce finalmente a scrivere un sonetto che l’amico Tana giudica ben scritta: si tratta di un racconto in versi del rapimento di Ganimede. Entusiasta per questo buon risultato, Alfieri continua a scrivere piccoli sonetti, anche in onore di una donna della quale si è innamorato. Prova poi a mettere in versi l’Antigone ideato durante il viaggio a Pisa. Il risultato è però poco lusinghiero: Alfieri decide di tornare ancora una volta in Toscana, per non essere influenzato dal dialetto piemontese che parla tutti i giorni a Torino. - CAPITOLO QUARTO: Alfieri racconta, quindi, del suo secondo viaggio in Toscana. Questa volta il viaggio viene organizzato diversamente: l’autore conta di stare molto tempo in quella regione, e porta con sé servitori e cavalli. Vi è una breve descrizione del viaggio fatto da Alfieri, in parte a cavallo e in parte su una piccola barca partita dalla Liguria. L’autore spiega poi che ha rinunciato a soggiornare a Pisa, perché si trova una giovane che avrebbe potuto sposare; egli però non vuole ancora contrarre matrimonio, perciò, per evitare imbarazzi preferisce andare a Siena, dove, inoltre, vi sono meno stranieri e quindi è più facile apprendere il giusto toscano. A Siena trova un altro importante amico: si tratta del mercante Gori Gandellini, uomo colto che ha il merito di stimolare Alfieri al miglioramento delle sue competenze letterarie: questo è infatti uno degli aspetti che Alfieri cerca maggiormente nelle sue poche amicizie. Stimolato proprio dal Gori, Alfieri riprende la lettura del Machiavelli. Quest’opera gli stimola contemporaneamente sia La Congiura dei Pazzi che il Della Tirannide, opera che, infatti, viene stesa proprio in quel periodo e molto rapidamente. Alfieri spiega quindi che l’edizione del Della Tirannide che ha fatto pubblicare si discosta davvero poco con la prima stesura fatta da lui così repentinamente: si tratta però di una scelta ponderata, perché Alfieri sa che l’opera corretta dalla saggezza dell’età non avrebbe avuto lo stesso spirito che aveva, invece, quando lui l’aveva stesa. In questo capitolo, inoltre, Alfieri spiega un aspetto importante del suo lavoro, ovvero due pagine abbozzate in cui racconta la storia e definisce i personaggi. Segue poi la stesura, in cui Alfieri decide veramente in prosa cosa diranno i personaggi. L’ultimo aspetto, quello più importante, è quello del verseggiare, ovvero mettere in poesia quello che è stato finora scritto in prosa. Alfieri non nega, però, che le opere hanno anche bisogno di una lunga successiva revisione. - CAPITOLO QUINTO: capitolo tanto breve quanto fondamentale. Alfieri racconta, infatti, di aver steso in questo periodo la Virginia e l’Oreste, continuando però ad evitare ispirazioni anche involontarie leggendo l’omonima opera di Voltaire. L’evento importante in questo capitolo è un soggiorno a Firenze, durante il quale fa conoscenza con quella che diventerà la donna della sua vita: Luisa Stolberg, maritata con il Conte d’Albany, il marito è pretendente giacobino al trono d’Inghilterra, ma questo non impedisce ad Alfieri di innamorarsi della donna e di iniziare con lei una relazione. La donna, infatti, affascina Alfieri perché egli sente che il suo amore per lei non lo distoglie dalla carriera letteraria, ma anzi lo sprona. Alfieri, inoltre, in questo capitolo compie un lungo flash forward: rivela, infatti, che anche mentre sta scrivendo queste sue memorie la donna è al suo fianco, ancora innamorata di lui, e che quindi l’amore tra i due si è risolto per il meglio. - CAPITOLO SESTO: racconto dell’anno 1778. Alfieri si ritrova a questo punto in una situazione difficile: vorrebbe restare a Firenze con la Contessa d’Albany, suo viaggio prosegue poi portandolo a vedere dalle altre le tombe del Petrarca e di Dante, nonché a visitare due letterati suoi contemporanei, ovvero il Parini a Milano e a Padova il Cesarotti, famoso per aver tradotto in italiano l'Ossian. Questo viaggio di Alfieri si conclude a Venezia. - CAPITOLO UNDICESIMO: Alfieri decide di tornare in Toscana, passando questa volta da Modena e Pistoia. Lungo il tragitto scrive alcuni epigrammi, riconoscendo, però, che si tratta di un genere poco adatto alla lingua italiana. Si ferma poi a Firenze, per far giudicare le opere da lui pubblicate agli accademici, ma si accorge che essi non sanno dargli un giudizio concreto pur criticando i suoi scritti. Fa poi visita al Gori, e decide di pubblicare altre tragedie, per un totale di sei. Questa volta è Alfieri in persona ad occuparsi della revisione e della discussione con i censori, impicci di cui per la prima edizione si era occupato l’amico. Lo stress causato dal lavoro e dalla discussione con i revisori gli causa anche un ennesimo periodo di malattia. Nel frattempo, l’autore riceve la critica positiva del Casalbigi (che invita i drammaturghi a farsi pittori), che cita anche nella Vita dicendo che aveva avuto anche la tentazione di farne la prefazione delle sue opere. Alfieri decide poi di trascorrere l’inverno in Francia e Inghilterra, perché tanto non può rivedere Luisa. - CAPITOLO DODICESIMO: Alfieri in Inghilterra acquista svariati cavalli, dedicandosi invece all’ozio per quanto riguarda la scrittura. Alla fine, ne porta quattordici in Toscana, passando le Alpi e soggiornando alcune settimane a Torino. In questo capitolo ribadisce ancora una volta la sua avversione per i francesi e per la letteratura francese. - CAPITOLO TREDICESIMO: a Torino Alfieri rivede alcuni dei suoi amici di gioventù; non tutti però lo accolgono amichevolmente, più che altro per invidia. Inoltre, deve fare visita al Re (che lui anche da apolide rispetta) e al Ministro, che gli offre di ritornare in Piemonte e fare carriera politico - diplomatica. Alfieri rifiuta, convinto ancora di continuare a scrivere. La stessa convinzione gli resta dopo aver assistito a Carignano ad una brutta versione della sua Virginia. È il pretesto per una dura critica all’Italia e all’assenza di un vero movimento teatrale nazionale: mancano bravi attori, autori competenti ed un pubblico attento. Per questo, Alfieri sa che non potrà mai ottenere la vera gloria, ma continuerà a scrivere. L’autore riparte, fa visita alla madre ad Asti e poi torna a Siena dall’amico Gori. Nel frattempo, ha finalmente notizie dell’amata, che libera da Roma si sta recando alle terme di Baden. - CAPITOLO QUATTORDICESIMO: Alfieri riceve in Toscana i cavalli acquistati in Inghilterra. Prosegue con la scrittura del poemetto Etruria Vendicata e riparte poi alla volta della Germania per rivedere Luisa. L’incontro con l’amata è il pretesto per scrivere tre nuove tragedie, nonostante Alfieri avesse deciso di non occuparsi più di tali opere. Vi è anche un flash forward in quanto Alfieri anticipa che è l’ultima volta che ha salutato l’amico Gori. Ritrovata l’amata a Baden, i due vengono raggiunti dalla notizia della morte del Gori, che Alfieri può affrontare più serenamente proprio perché c’è Luisa al suo fianco. Tornato in Toscana dopo l’ennesima separazione dalla sua donna decide di non restare più a Siena (dove era proprio Gori ad ospitarlo) bensì di trasferirsi a Pisa per l’inverno 1748 / 1785. - CAPITOLO QUINDICESIMO: solo a Pisa, Alfieri decide di scrivere per distrarsi dall’assenza dell’amata; Luisa, infatti, si trova a pochi chilometri da lui, a Bologna (stando a Bologna, infatti, la donna non contravviene all’obbligo di rimanere nello Stato Pontificio, ma almeno rimane lontana dal cognato a Roma). Inizialmente, l’autore prova ad operare una correzione dei versi di Sallustio, ma si tratta di un lavoro troppo certosino per sfogare il suo stress, perciò, decide di andare avanti con la scrittura de “Del Principe e Delle Lettere”. Nello stesso periodo vengono date in stampa altre tragedie, e si arriva così al terzo volume; Alfieri chiede a questo proposito una critica al Cesarotti, che critica in parte lo stile dell’autore astigiano. L’ultimo paragrafo è dedicato alla tradizionale festa pisana del Ponte, alla quale Alfieri partecipa ottenendo grande ammirazione per i suoi cavalli: è il pretesto per far notare ancora una volta come in Italia sia più facile avere gloria per le proprie ricchezze che per ciò che si è scritto. - CAPITOLO SEDICESIMO: Alfieri può finalmente riunirsi all’amata nella villa alsaziana di lei. I due si separano nuovamente quando lei si reca a Parigi, ma Alfieri approfitta della solitudine per finire di scrivere Mirra e Sofonisba. Termina, inoltre, il terzo libro di Del Principe e delle Lettere ed inizia un nuovo testo, il Della Virtù sconosciuta, ed inizia l’Abele. Finisce poi l’Etruria vendicata. Riceve da Luisa la notizia che la donna ha assistito a Parigi al Bruto di Voltaire, e decide di fare meglio. Stende quindi di getto il Bruto Primo e Secondo, che dovrebbero essere le sue due ultime tragedie. In totale sono diciannove: Alfieri al momento di scrivere la sua autobiografia non ha più scritto nulla per il teatro, rispettando la promessa fatta. Alfieri prosegue nella correzione delle opere mentre attende Luisa, e si ammala per l’ennesima volta mentre l’attende. Una volta tornata la donna in Alsazia i due trascorrono insieme l’estate e poi partono in coppia alla volta di Parigi, dove Alfieri decide si dedicherà ad un nuovo genere letterario, ovvero la satira. - CAPITOLO DICIASSETTESIMO: mentre si trovava a Parigi Alfieri non scrive opere nuove, ma decide di dare alla stampa le sue tragedie presso un editore francese. Per provare i caratteri e gli effetti della stampa dà per prima cosa in stampa il Panegirico a Traiano, breve opera che aveva composto anni prima. A Parigi ha anche un breve scatto d’ira mentre legge la Sofonisba ad un amico; prova a bruciare l’opera, ma poi la recupera, anche se per lui resterà sempre tra le meno riuscite. Ritorna quindi a Colmar con Luisa e riceve la visita dell’abate di Caluso. L’amico gli porta un messaggio della madre, che gli propone una nobildonna in sposa, ma Alfieri ovviamente rifiuta. Durante il soggiorno dell’Abate Alfieri viene colpito da una durissima dissenteria, che lo risparmia ma lo fa uscire dalla malattia molti giorni dopo gravemente debilitato. Nel frattempo, anche l’amico Abate è infortunato, essendosi slogato il polso a cavallo. In questo capitolo Alfieri ribadisce inoltre che per lui l’italiano è, per la sua musicalità, l’unica lingua degna di fare poesia, sebbene sappia che sia con l’inglese che con il francese otterrebbe la gloria più rapidamente. - CAPITOLO DICIOTTESIMO: Alfieri, la donna e Caluso si recano a Strasburgo, dove visitano anche la tipografia Beaumarchais. La tipografia è molto bella e Alfieri decide di farvi stampare tutte le sue opere che non siano tragedie. Le prime ad andare in stampa sono le cinque doti dell’America libera. Torna quindi a Parigi con Luisa, che riceve la notizia della morte di suo marito. Nonostante la separazione avvenuta molti anni prima, Luisa è sinceramente dispiaciuta per la morte del marito. Alfieri, nel frattempo, prosegue con la stampa delle sue opere, e a fine 1789 ha anche scritto un’ode sulla recente Rivoluzione francese, intitolata Parigi Sbastigliata. - CAPITOLO DICIANNOVESIMO: Alfieri vive un periodo difficile e di tensione, in quanto con la Rivoluzione francese vede in pericolo sia i privilegi dei nobili, sia la sua pensione depositata presso il Regno di Francia. Nel frattempo, le tragedie vengono distribuite in Italia, dove hanno un certo successo; Alfieri spiega però ancora una volta di aver scritto poco e lentamente preferendo di scrivere sempre il vero, che scrivere di più solo per avere maggior gloria e maggiori guadagni. Alfieri ribadisce, inoltre, che spesso dava alla stampa il manoscritto delle sue opere (come succede per esempio per l’America Libera) perché per lui le opere non esistono finché non stampate. Siamo nel 1790 e Alfieri ha quarantuno anni. È arrivato con la sua autobiografia al presente, e spiega che la rileggerà solo dopo circa quindici anni, o per raccontare dei nuovi generi letterari che in quel momento pensa di sperimentare, o per iniziare una quinta epoca, quella del “rimbambimento”. Lascia poi istruzioni nel caso in cui muoia senza poter continuare e rivedere l’opera. Chiede che l’opera venga eventualmente tagliata e rifinita stilisticamente, ma che non vengano né aggiunti, né tolti eventi. Quest’opera infatti è l’unica in cui Alfieri dice di aver scritto non per il suo ingegno, come nelle altre, ma facendo operare prevalentemente il suo cuore, e quindi l’opera è più personale, spontanea e quindi anche meno raffinata stilisticamente. PARTE SECONDA: PROEMIETTO  Alfieri spiega che sono passati tredici anni da quando aveva terminato di scrivere le sue memorie. Ora ha cinquantacinque anni, sa di non avere più molto tempo, perciò, dopo aver corretto ciò che aveva già scritto decide di raccontare quanto successo negli anni successivi al 1790. CONTINUAZIONE DELLA QUARTA EPOCA 
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