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Anatomia della malinconia, Schemi e mappe concettuali di Filosofia

Di “The anatomy of melancholy” è stata tradotta l'introduzione, sintesi programmatica che l'autore firma con lo pseudonimo di Democrito junior. Quanto al libro deve il suo titolo all’attività del suo antenato eponimo: è un’anatomia, quindi un’apertura, dissezione, che mette a nudo nelle loro forme multiple tutti gli aspetti del male di cui soffrono varie figure che Burton espone. L’opera si annuncia come l’inventario e la confessione di una serie di dipendenze: dipendenza dell’autore nei confronti del suo antico predecessore, dipendenza del vecchio Democrito nei confronti dell’astro di Saturno al quale deve il suo genio e nel contempo la sua malinconia; ma nello stesso tempo si annuncia la possibilità di una liberazione: conoscere le cause della malinconia, consegnarle in un libro, significa aprire la strada all’atto terapeutico.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 24/11/2023

marzia-martella-1
marzia-martella-1 🇮🇹

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10 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Anatomia della malinconia e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Filosofia solo su Docsity! lOMoARcPSD|4536529 ANATOMIA DELLA MALINCONIA (Robert Burton) L’utopia di Robert Burton Il festino di Sardanapalo L’opera di Robert Burton è un ineguagliato affresco enciclopedico di ciò che è stato detto e scritto sulla malinconia, a cominciare dagli autori più antichi. Questo libro offre uno degli esempi più belli di mosaico citazionista (festino di Sardanapalo dell’erudizione classica sono presi in considerazione e citati numerosissimi autori). Di “The anatomy of melancholy” è stata tradotta l'introduzione, sintesi programmatica che l'autore firma con lo pseudonimo di Democrito junior. Quanto al libro deve il suo titolo all’attività del suo antenato eponimo: è un’anatomia, quindi un’apertura, dissezione, che mette a nudo nelle loro forme multiple tutti gli aspetti del male di cui soffrono varie figure che Burton espone. L’opera si annuncia come l’inventario e la confessione di una serie di dipendenze: dipendenza dell’autore nei confronti del suo antico predecessore, dipendenza del vecchio Democrito nei confronti dell’astro di Saturno al quale deve il suo genio e nel contempo la sua malinconia; ma nello stesso tempo si annuncia la possibilità di una liberazione: conoscere le cause della malinconia, consegnarle in un libro, significa aprire la strada all’atto terapeutico. L’autore quando vuole parlare in maniera più sorprendente parla con la voce degli altri: racconta sé stesso attraverso i testi dei maestri, che manovra a suo uso personale. C’è qui, da un lato, l’attestazione di un sapere e, dall’altro, un’ammissione di insufficienza: cedere costantemente la parola a coloro che vengono considerati le massime autorità potrebbe essere la conseguenza del sentimento d’inferiorità, cioè di spersonalizzazione, di cui soffre la coscienza malinconica, alla quale sono necessari dei sostegni, degli appoggi esterni, dei garanti: essa si imbottisce di sostanze estranee per colmare il proprio vuoto. L’annullamento (al tempo stesso ridente e malinconico) dell’autore gli consente ogni libertà: la libertà di dire tutto e di negare tutto. Chi per esprimersi ha bisogno di tutte le grandi voci del passato abbandona la propria identità alla discrezione del lettore. Democrito è uno dei nomi che possono essere assegnati alla voce satirica, quanto egli porta in sé al tempo stesso il riso e la scienza. Il progetto è quello di parlare della follia e delle sue cause in un grande libro. Il libro sulla follia del vecchio Democrito è andato perduto e il libro di Burton, senza pretendere di eguagliarlo, sogna di rimpiazzarlo: lo pseudonimo comporta per Burton l’obbligo di riscrivere l’opera scomparsa; il nome di Democrito per Burton si associa strettamente all’attività monografica, che tratta della follia, e che concerne l’intera condizione umana. Burton non pretende di restituire il libro perduto, ma lo riscrive a fronte di un nuovo presente, su nuove prove, in un altro linguaggio, e citando mille testimoni venuti dopo Democrito, ma si tratta sempre della stessa follia: il mondo non è diventato meno malinconico. Parlerà dunque di sé stesso parlando della follia del mondo. Dopo l’introduzione in cui l’autore attira la benevolenza del lettore scusandosi per lo pseudonimo, lo stile, la negligenza, l’intrusione (perché non è medico ma ecclesiastico) in un dominio che non è il suo, il tema conduttore del testo è l’accusa della follia generale del mondo. La malinconia, in questo testo, è una malattia universale, l'angoscia esistenziale del malinconico diventa l'emblema della condizione umana: l'anatomia della malinconia è dunque anatomia dell'uomo e anatomia del mondo. Messa ampiamente in evidenza, la malinconia universale si lascia suddividere; si può parlare di malinconia degli Stati, delle famiglie, degli individui: ogni corpo, individuale o collettivo, può essere soggetto alla malattia, ed ogni corpo deve essere l’oggetto di un’appropriata terapia. Ridere o piangere Burton aggiunge un elemento in più alla “filosofia del riso” di cui Democrito è l’emblema: l’elemento supplementare consiste nel ricordare che il riso e la solitudine contemplativa di Democrito sono stati il 1 lOMoARcPSD|4536529 pretesto di un’imputazione di follia da parte dei suoi concittadini: colui che rideva della follia del mondo è passato, agli occhi del popolo, per un malato. Democrito diventa così l’eroe di un dramma intellettuale descritto da Ippocrate. I protagonisti del “romanzo di Ippocrate” sono: gli Abderitani, Ippocrate, Democrito, in altri termini la società, il medico, il filosofo. Il “romanzo di Ippocrate” comincia con una lettera in cui il senato e il popolo di Abdera supplicano Ippocrate di correre in loro aiuto in quanto essi erano gravemente preoccupati perché Democrito, l’uomo più illustre della loro città, era diventato folle a causa della grande saggezza che possiede. Gli Abderitani contavano su di lui e temono ormai che la loro città sia destinata all’abbandono, dunque ripongono tutte le loro speranze nell’aiuto del medico (Ippocrate). Dal colloquio fra Ippocrate e Democrito risulta che i cittadini di Abdera condividevano il male fittizio del loro illustre concittadino: essi sono le vittime di un’identificazione immaginaria e dunque, anch’essi, sembrano aver bisogno di un trattamento. Gli Abderitani rivelavano un disordine mentale che bisognava curare con urgenza: sia Democrito che Ippocrate concordano sul fatto che gli Abderitani sono nel delirio e che ciò che essi vedevano e credevano doveva essere preso al contrario; infatti essi vedevano in Democrito un folle disinteressato degli affari della città, mentre di fatto egli era l’unico accorto a ciò (egli ha di fatto rotto con le illusioni e ora la verità gli è accessibile). A questo punto per Democrito la derisione non è sufficiente, ma occorreva che essa si prolungasse attraverso la punizione: detestare gli uomini significherà allora trovarsi in accordo con la legge cosmica. Sono qui implicate diverse questioni: chi è pazzo? Il filosofo solitario o la collettività? Chi è l'arbitro qualificato per discriminare tra salute e follia? Ciò a cui Democrito si rivolge non sono solamente gli abusi della civilizzazione, ma gli stessi usi e le regole della vita sociale: tutto ciò che l’uomo intraprende per assicurare la propria prosperità terrestre è frivolo e vano e quindi il riso solitario di Democrito è un riso offensivo e distruttore. Il riso di Democrito è anti- comunicativo: se esso inquieta gli Abderitani è perché è segno di distacco e di assenza, è segno di rottura della solidarietà, d’indifferenza beffarda nei riguardi del gruppo. Democrito ha optato per l’esistenza singolare e la vita politica, soprattutto la democrazia, è ritenuta da lui in scarsa stima. Burton non solo ripete gli argomenti sarcastici di Democrito, ma fa di lui il portavoce della sua stessa critica contro gli scandali del mondo contemporaneo: diatribe religiose, guerre, eccessi, arricchimenti scandalosi, abusi e ingiustizie di ogni tipo. L’antico Democrito è il testimone immaginato da Democrito junior per prendere atto della follia e della perversione universale: la maschera del filosofo antico gli permette di smascherare le turpitudini (=spregevolezza, disonestà) del mondo contemporaneo. È un riso sulle rovine dell’ordine naturale, sul rovesciamento dei valori, sulle false prosperità e le troppo reali sventure che accumulano sulla propria testa i fautori del male; paradossalmente, Burton fa di Democrito l’accusatore del tradimento, da parte dei cristiani, dell’ideale del cristianesimo. Burton sa che il corrispettivo antitetico del riso satirico di Democrito è il pianto di Eraclito. Tale coppia di filosofi illustri rappresenta due atteggiamenti psicologici opposti: è meglio ridere o piangere di fronte agli errori e alle sciagure degli uomini? Una coerenza estrema Nella “Lettera a Damageto” nulla viene proposto per rimettere a posto il mondo e guarirlo: il male è infatti considerato irrimediabile e il riso attesta che la sola risorsa consiste nel prenderne atto e accettarlo. Burton di contro non si limita all’atto d’accusa, ma chiede a questo mondo capovolto di essere rimesso a posto. È lo stesso mondo alla rovescia a chiedere di essere raddrizzato. Ecco da dove trae origine la tentazione utopica, in cui l'energia critica sembra trasformarsi in volontà riformatrice Il legame tra malinconia e utopia offre un aspetto relativo all’oggetto (lo Stato) e un aspetto che implica la personalità dell’utopista. Da una parte, il disordine, la violenza, l’usurpazione generale del potere o della ricchezza, le diatribe e processi che affliggono gli stati (e soprattutto l’Inghilterra) sono paragonati ad un disordine malinconico che turba il temperamento del corpo sociale. D’altra parte, Burton non ci permette di ignorare che la stessa percezione del disordine universale risulta da uno sguardo malinconico. L’utopia non sarà solamente un progetto destinato a cambiare la faccia del mondo, essa costituisce 2 lOMoARcPSD|4536529 malinconia, è una malattia congenita in ognuno di noi poiché noi stessi ci dedichiamo ad essa, e non è possibile nemmeno sradicarla facilmente tanto è salda e perché profonde sono le radici della follia. Alcuni sostengono che due sono i principali difetti del senno: l’errore e l’ignoranza, ai quali si riconducono tutti gli altri. Per ignoranza non conosciamo ciò che è necessario, per errore conosciamo in modo errato: l’ignoranza è mancanza di qualche cosa, l’errore l’affermazione di una falsità; dall'ignoranza viene il vizio, dall'errore l’eresia. Il filosofo Eraclito, dopo una serie di riflessioni sulla vita degli uomini, si sentì le lacrime agli occhi e con un pianto ininterrotto lamentò la loro miseria, pazzia e stoltezza. Democrito, al contrario, scoppiò a ridere: tutta la vita degli uomini gli pareva tanto ridicola e si lasciò trasportare tanto dall’ironia che i cittadini di Abdera lo lo presero per matto chiamando il medico Ippocrate affinché desse prova della sua abilità su di lui (la storia viene ampiamente raccontata da Ippocrate nella sua “Epistola a Damageto”). Ippocrate chiese a Democrito perché rideva ed egli gli rispose che il suo riso era dovuto dalle vanità e dalle frivolezze del suo tempo, nel vedere uomini così lontani da ogni azione virtuosa andare in cerca dell’oro e non porre nessun limite alla propria ambizione: questi comportamenti rivelavano la loro intollerabile follia. Se gli uomini controllassero le proprie azioni con misura e prudenza non si dichiarerebbero stolti come fanno ora ed egli non avrebbe motivo di riso, ma essi per la loro scarsa intelligenza sono gonfi d’orgoglio in questa vita come se fossero immortali e semi-dei. Il problema è che gli uomini non conoscono loro stessi: un uomo, fin o al momento della sua nascita, è miserabile, debole e malaticcio. Dunque, vedendo che gli uomini sono tanto volubili, stupidi, sregolati, perché Democrito non dovrebbe ridere di coloro ai quali la follia sembra saggezza? Burton afferma che ora Democrito avrebbe un motivo ancora migliore per ridere in quanto la vita odierna è molto più ridicola della sua o di quella dei suoi predecessori: un solo Democrito non basterebbe per ridere di questi tempi, ora si avrebbe bisogno di un Democrito per ridere di Democrito. Infatti ora il mondo intero recita la parte dello stolto. Il mondo cambia ogni giorno, cambiano le lingue, le abitudini, leggi, costumi, comportamenti, ma non cambiano i vizi, le malattie, i sintomi della follia e della stoltezza, questi sono sempre gli stessi. Burton constata che al suo tempo nessuno si cura dei danni che provoca pur di potersi arricchire e continuerà ad alimentare guerre e massacri, finché tutto il mondo sarà consumato da esse. Per il vantaggio di singoli uomini le leggi divine e umane sono calpestate: è solo la spada che decide ogni cosa: ciò che è iniziato nella follia, è continuato nel crimine e finisce in sofferenza. Le guerre cominciano per la decisione di alcuni viziosi, teste calde, per placare il malumore di un uomo solo o soddisfare la sua brama; soldati muoiono mentre uomini politici se ne stanno sicuri a casa, immersi in tutte le delizie e i piaceri. Nessuno si cura dei danni che provoca pur di potersi arricchire e continuerà a soffiare sulla brace della contesa, finché tutto il mondo sarà consumato dal fuoco. Non c'è niente di più comune che vedere un padre che combatte contro il figlio, il fratello contro il fratello, parente contro parente, regno contro regno, provincia contro provincia, cristiani contro cristiani. Pensate a tutto ciò che avrebbe costretto il nostro Democrito a ridere, o piuttosto a cambiare tono e a piangere con Eraclito, o invece lamentarsi e rimanere stupefatto; o come Niobe che rimase instupidito dal dolore e trasformato in pietra. E non ho ancora detto il peggio! Tanti si offrono volontari per la guerra come se andassero in trionfo posseduti da un'insensata convinzione di falso onore. Privi di ogni timore si precipitano verso pericoli imminenti, contro le bocche dei cannoni, per guadagnarsi fama di valorosi, onori che non durano affatto, perché questa fama sfiorisce in un istante. Tutto questo per il desiderio di immortalità, orgoglio e vana gloria che spronano gli uomini tante volte a uccidere impetuosamente se stessi e molti altri. Vengono persuasi che questo infernale genere di vita è santo, viene promesso loro il paradiso e loro come stolti credono che non ci sia gloria più grande che morire sul campo. Quelli che non si precipitano sulla punta di una spada o cercano di evitare un colpo di cannone sono ritenuti vili codardi. Se un uomo nel privato uccidesse un altro uomo verrebbe rigorosamente giustiziato, ma se lo fa pubblicamente in guerra viene chiamato coraggioso e gli vengono resi onori. Il vizio quando ha successo viene chiamato virtù. Uno viene incoronato, ma per lo stesso fatto un altro viene torturato. Un povero ladro di pecore viene impiccato per aver rubato dei viveri, ma un grande funzionario politico può derubare in tutta tranquillità intere province e dopo tutto essere ricompensato con titoli pomposi. Ci sono tanti legali, avvocati, tribunali, ma ben poca giustizia; tanti magistrati, ma ben poca 5 lOMoARcPSD|4536529 preoccupazione per il bene comune; tante leggi e tuttavia mai ci sono stati più disordini. Il peggior malfattore amministra la giustizia, il più empio si occupa di religione, il più ignorante presiede alla cultura, il più ozioso al lavoro e i più insensibili alla distribuzione della carità. L'agnello viene giustiziato e il lupo pronuncia la sentenza. I vecchi amici diventano improvvisamente i peggiori nemici per delle sciocchezze e offese da poco e coloro che prima erano desiderosi di scambiarsi gesti affettuosi ora si insultano e sì per seguitano a morte l'un l'altro. Finché hanno convenienza si amano e si aiutano a vicenda, ma quando non c'è più da aspettarsi nessun vantaggio dall'altro lo cacciano via. In una parola, ognuno ha a cuore solo il suo interesse! La dea che adoriamo è la Dea Moneta, alla quale offriamo sacrifici ogni giorno e che dirige i nostri cuori, mani, affetti, tutto. Ci affatichiamo e lottiamo come pesci che litigano per una mollica che cade nell'acqua, non hanno importanza la virtù, la saggezza, il valore, il sapere, l'onestà, me ne ha il denaro. Come sarebbe rimasto Democrito nel vedere queste cose! Vedere un uomo assumere le forme più diverse come un camaleonte, recitare venti parti e personaggi contemporaneamente per il proprio vantaggio, essere un opportunista: buono con i buoni, cattivo con i cattivi, poiché ha innumerevoli facce, una per ogni persona che incontra. Uomini che come scimmie seguono le mode nell'abbigliamento, nel modo di fare, nel comportamento: se il re ride, tutti ridono. Uomini interamente guidati dall'impulso, hanno il cervello nella pancia! I cechi giudicano i colori, i saggi tacciono, gli sciocchi parlano; trovano a ridire sugli altri e loro fanno peggio, denunciano in pubblico ciò che loro stessi fanno in privato. Burton afferma che i peggiori criminali, assassini, sconsiderati, crudeli sono chiamati comunemente animi coraggiosi e generosi, capitani eroici e degni, soldati valorosi: uomini di armi prodi e famosi sono in verità posseduti da un’insensata convinzione di falso onore. Il vizio, quando ha successo, viene chiamato virtù. Gli uomini generalmente si derubano l’un l’altro, o ingannano o sono ingannati: l’unico sistema è sbranare gli altri o essere fatti a pezzi; la rovina di uno serve da trampolino per un altro. Così ci si comporta generalmente. E il mondo è un grande caos, un teatro dell’ipocrisia, una guerra dove si deve combattere che lo si voglia o no, e vincere o essere sconfitto; dove ognuno sta per proprio conto, per i suoi scopi privati. Tutti quanti sono ipocriti e ambigui. Ciò che si deve maggiormente lamentare è che gli uomini sono matti e non lo ammetteranno, né cercheranno alcuna cura perché pochi vedono le proprie malattie e tutti sono ad esse attaccati. E quando tutti sono pazzi, dove tutti sono afflitti, chi può distinguere un pazzo? Quella degli uomini, afferma Burton, è un’amabile pazzia, così piacevole che l’uomo non può liberarsene: egli riconosce il suo errore ma non cercherà di allontanarsene. Burton è d’accordo con Democrito e sostiene l’opinione che gli uomini siano degni di essere derisi. Burton espone le ragioni per cui considera che gli uomini siano tutti matti. La prima argomentazione, tratta da Salomone, è che gli uomini si ingannano a grande misura perché pensano troppo bene di sé. Molti uomini sarebbero stati senza dubbio dei saggi se non fossero stati convinti di avere già raggiunto la perfezione della conoscenza, ancora prima di essere giunti a metà strada. La presunzione e la fierezza di sé hanno rovinato tutto. La grande opinione di sé stessi è una prova sicura di grande follia. La seconda argomentazione di Burton è che gli uomini sono stolti per le loro trasgressioni, e tutti i trasgressori devono essere stolti: se nessuno è onesto, nessuno saggio, allora tutti sono stolti. Una terza argomentazione può essere derivata dalla precedente, in quanto tutti gli uomini sono trascinati da passioni e turbamenti, generalmente odiano quelle virtù che dovrebbero amare e amano i vizi che dovrebbero odiare: quindi più che malinconici essi sono completamente pazzi. Burton ammette che esiste una follia possibile da accettare, una santa follia, e la definisce una passione inerente alla natura stessa di Dio, ma intrinseca agli uomini buoni. Come nei corpi umani ci sono varie alterazioni determinate dai diversi umori, nello stesso modo ci sono molte malattie nella collettività che si comportano in modo diverso a seconda dei vari disordini. Se si vede un popolo civile, obbediente a Dio e ai principi, giudizioso, pacifico e quieto, fiorente, che vive in pace, unità e concordia, dove si vive bene e felicemente, allora quel Paese è esente dalla malinconia. Le malattie più frequenti di una società sono quelle che derivano da noi stessi, come quando la religione e il servizio di Dio vengono trascurati, innovati o alterati, quando non c’è timore di Dio, non si obbedisce al principe, o quando l’ateismo e altri simili empietà sono perpetrate liberamente, così che il paese non può 6 lOMoARcPSD|4536529 prosperare. Qual è il principe tale è il popolo: i loro esempi sono seguiti e i vizi imitati. Quando la gente è sempre disubbidiente e litigiosa, quando ci sono molte discordie, molte leggi, molti processi, molti avvocati e medici, è sintomo manifesto di uno stato di disordine, malinconico. Quello che oggi è legge non lo è più domani, quello che è giusto secondo un uomo è sbagliato per un altro; in conclusione, Burton afferma che tra gli uomini non c’è che discussione e confusione e ci si scaglia l’uno contro l’altro. In breve Burton riassume che dove c’è un buon governo, principi assennati e saggi, le cose fioriscono e prosperano e in quelle terre regna la pace e la felicità; dove altrimenti tutto appare desolato, incolto, abbandonato, incivile. Burton passa poi ad analizzare la situazione dell’Inghilterra del suo tempo: non nega che il suo Paese gode di alta considerazione all’estero ed afferma che loro hanno doti che mancano ai loro vicini, come una giusta interpretazione del Vangelo, una chiesa disciplinatamente organizzata, una lunga pace e tranquillità; tuttavia tra tante cose buone crescono anche cose che disturbano la pace del corpo politico, ne offuscano l’onore e la gloria e che quindi per lui devono essere sradicate e il tutto velocemente riformato. La prima cosa che si deve estirpare è l’ozio, considerato il male principale del Paese: non basta che un Paese sia fertile se non vi si accompagna anche industriosità ed ingegno. Fra le città dell’Inghilterra c’è solo Londra che ne merita il titolo, ma essa cresce solo a spese del resto del Paese. Secondo Burton i commerci dovrebbero essere riformati e i bisogni del Paese e del popolo soddisfatti. Essi hanno buone leggi per rimediare alle irregolarità presenti, ma non sono sempre indirizzate a buon fine; nella sua epoca, egli afferma, occorrerebbe un ispettore generale per correggere tutto quello che non va, un esercito che compia ogni genere di riforme relative alla religione, alla politica, ai costumi, all’arte, alle scienze… Tuttavia non dobbiamo nutrire desideri vani, assurdi ridicoli: gli uomini non saranno più pazzi soltanto quando non saranno più uomini. A questo punto Burton, concedendo agli uomini la piena facoltà di essere pazzi e malinconici, per sua personale soddisfazione e piacere descrive una Utopia tutta sua, o una Nuova Atlantide, in cui possa esercitare liberamente la sua autorità, in cui costruire città, emanare leggi e statuti secondo il suo intendimento. Per quello che riguarda il luogo, anche se non dà indicazioni precise, afferma che tale Utopia dovrebbe essere collocata in un luogo di 45 gradi di latitudine circa al centro della zona temperata, o forse sotto l’Equatore, in quel paradiso terrestre dove la primavera è perenne. Concede il fatto che se un uomo onesto contribuisse in denaro sarebbe messo a parte del suo progetto: dato poi che non ammetterebbe né rappresentanze né diritti di nomina, se tale persona è sufficientemente qualificata e pienamente in grado di esercitare il proprio dovere, accederà alla carica direttamente. Lo Stato sarà diviso in 12 o 13 province separate da colline, fiumi, strade o da altri chiari elementi di confine. Ciascuna provincia avrà una metropoli e in essa si venderà tutto ciò che è necessario agli uomini in ore e in giorni stabiliti, non ci saranno centri di mercato né grandi mercati o fiere perché non fanno altro che impoverire le città. Burton immagina che in ogni città farebbe costruire delle chiese e i morti sarebbero sepolti in luoghi separati dalle chiese, ci sarebbero prigioni per i malfattori, comodi mercati per ogni genere di merci, tribunali, teatri e spaziosi campi destinati a esercizi ginnici e oneste attività ricreative, ospedali di ogni tipo; ci sarebbero pure lazzaretti e affini costruiti non come un favore né elargiti da gottosi benefattori. Gli ospedali dovrebbero essere in numero ben stabilito in stretto rapporto a coloro che ne abbiano necessità e mantenuti sempre a spese pubbliche. Burton farebbe fare condutture per acqua dolce e potabile, istituirebbe collegi di matematici, musicisti e attori, di medici, artisti e filosofi, perché tutte le arti e le scienze si possano apprendere compiutamente nel più breve tempo e nel miglior modo possibile: egli doterebbe lo Stato di scuole pubbliche di ogni tipo. Così come farebbe costruire tutti questi posti, così collocherebbe in ciascuno di essi dei funzionari pubblici, ufficiali idonei, che una volta all’anno dovrebbero fare un rigoroso rendiconto di tutte le entrate, di tutte le spese al fine di evitare confusione; questi controllori dovrebbero stabilire l’estensione di terra in ciascuna proprietà da attribuire al signore e al fittavolo, e anche come essa debba essere coltivata. Dovrebbero stabilire inoltre in quale proporzione debbano essere le varie professioni. Alcune cariche sarebbero ereditarie, altre ancora elettive o elargite per donazione. La forma di governo sarebbe la monarchica; ci sarebbero poche leggi ma rigorosamente rispettate, esposte 7
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