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Anatomia della malinconia, Appunti di Filosofia

Riassunto dell'introduzione dell'"Anatomia della malinconia" di Robert Burton

Tipologia: Appunti

2016/2017
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Caricato il 24/02/2017

Dafne.Borgia
Dafne.Borgia 🇮🇹

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Scarica Anatomia della malinconia e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! Anatomia della malinconia – Burton Democrito parla (L’utopia malinconia di Robert Burton) La maschera del malinconico. Lo pseudonimo che usa Burton nell’opera è quello di Democritus junior, e quanto al libro deve il suo titolo all’attività del suo antenato eponimo: è un’anatomia, quindi un’apertura, dissezione, che mette a nudo nelle loro forme multiple tutti gli aspetti del male di cui soffrono varie figure che Burton espone. L’opera si annuncia come l’inventario e la confessione di una serie di dipendenze: dipendenza dell’autore nei confronti del suo antico predecessore, dipendenza del vecchio Democrito nei confronti dell’astro di Saturno al quale deve il suo genio e nel contempo la sua malinconia; ma nello stesso tempo si annuncia la possibilità di una liberazione: conoscere le cause della malinconia, consegnarle in un libro, significa aprire la strada all’atto terapeutico. L’autore quando vuole parlare in maniera più sorprendente parla con la voce degli altri: racconta se stesso attraverso i testi dei maestri, che manovra a suo uso personale. C’è qui, da un lato, l’attestazione di un sapere e, dall’altro, un’ammissione di insufficienza: cedere costantemente la parola a coloro che vengono considerati le massime autorità potrebbe essere la conseguenza del sentimento d’inferiorità, cioè di spersonalizzazione, di cui soffre la coscienza malinconica, alla quale sono necessari dei sostegni, degli appoggi esterni, dei garanti: essa si imbottisce di sostanze estranee per colmare il proprio vuoto. L’annullamento (al tempo stesso ridente e malinconico) dell’autore gli consente ogni libertà: la libertà di dire tutto e di negare tutto. Democrito è uno dei nomi che possono essere assegnati alla voce satirica, quando questa porta in sé al tempo stesso il riso e la scienza. Il progetto è quello di parlare della follia e delle sua cause in un grande libro. Il libro sulla follia del vecchio Democrito è andato perduto e il libro di Burton, senza pretendere di eguagliarlo, sogna di rimpiazzarlo: lo pseudonimo comporta per Burton l’obbligo di riscrivere l’opera scomparsa; il nome di Democrito per Burton si associa strettamente all’attività monografica, che tratta della follia, e che concerne l’intera condizione umana. Burton non pretende di restituire il libro perduto, ma lo riscrive a fronte di un nuovo presente, su nuove prove, in un altro linguaggio, e citando mille testimoni venuti dopo Democrito, ma si tratta sempre della stessa follia: il mondo non è diventato meno malinconico. Parlerà dunque di se stesso parlando della follia del mondo. Dopo l’introduzione in cui l’autore attira la benevolenza del lettore scusandosi per lo pseudonimo, lo stile, la negligenza, l’intrusione (perché non è medico ma ecclesiastico) in un dominio che non è il suo, il tema conduttore del testo è l’accusa della follia generale del mondo. Messa ampiamente in evidenza, la malinconia universale si lascia suddividere: si può parlare della malinconia degli Stati, delle famiglie, degli individui: ogni corpo, individuale o collettivo, può essere soggetto alla malattia, ed ogni corpo deve essere l’oggetto di un’appropriata terapia. Democrito e gli Abderitani. Burton aggiunge un elemento di più alla filosofia del riso di cui Democrito è l’emblema, e l’elemento supplementare consiste nel ricordare che il riso e la solitudine contemplativa di Democrito sono stati il pretesto di una imputazione di follia da parte dei suoi concittadini: colui che rideva della follia del mondo è passato, agli occhi del volgo, per un malato; questo dato implica Democrito in un racconto che fa di lui l’eroe di un dramma intellettuale, che non costituisce più soltanto l’oggetto di un ritratto ma di una narrazione. Gli attori del ‘romanzo di Ippocrate’ sono gli Abderitani, Ippocrate, Democrito: in altri termini la società, il medico, il filosofo. Il ‘romanzo di Ippocrate’ comincia con una lettera in cui il senato e il popolo di Abdera supplicano Ippocrate di accorrere in quanto essi sono gravemente preoccupati perché Democrito, l’uomo più eminente della loro città, è diventato folle a causa della grande saggezza che lo possiede: gli Abderitani contavano su di lui e temono ormai che la loro città sia destinata all’abbandono, ripongono tutte le loro speranze nell’aiuto del medico. Successivamente, dal colloquio fra Ippocrate e Democrito, risulta che i cittadini di Abdera condividono il male fittizio del loro eminente concittadino: essi sono le vittime di una identificazione immaginaria, cosicché anch’essi sembrano aver bisogno di un trattamento. Gli Abderitani rivelano un disordine mentale che bisogna curare con urgenza e su questo punto l’opinione di Democrito e quella di Ippocrate concordano sul fatto che gli Abderitani sono nel delirio e che ciò che essi vedono e credono deve essere preso al contrario: vedono in Democrito un folle che si disinteressa degli affari della città. Ma di fatto Democrito è l’unico lungimirante, infatti egli ha rotto con le illusione e la verità gli è accessibile. A questo punto per Democrito la derisione non è sufficiente, ma bisogna che si prolunghi attraverso la punizione; detestare gli uomini significherà allora trovarsi in accordo con la legge cosmica. Un riso anti-popolare Ciò a cui Democrito si rivolge non sono solamente gli abusi della civilizzazione, ma gli stessi usi e le regole della vita sociale: tutto ciò che l’uomo intraprende per assicurare la propria prosperità terrestre è frivolo e vano e quindi il riso solitario di Democrito è un riso offensivo e distruttore. Il riso di Democrito è anti- comunicativo: se esso inquieta gli Abderitani è perché contrassegna il distacco e l’assenza; è segno di rottura della solidarietà, d’indifferenza beffarda nei riguardi del gruppo. Democrito ha optato per l’esistenza singolare, la vita politica, e soprattutto la democrazia, sono da lui tenute in scarsa stima. Burton non solo ripete gli argomenti sarcastici di Democrito, ma fa di lui il portavoce della sua stessa critica contro gli scandali del mondo contemporaneo: diatribe religiose, guerre, eccessi, arricchimenti scandalosi, abusi e ingiustizie di ogni tipo. L’antico Democrito è il testimone immaginato da Democrito junior per prendere atto della follia e della perversione universale: la maschera del filosofo antico gli permette di smascherare le turpitudini del mondo contemporaneo. È un riso sulle rovine dell’ordine naturale, sul rovesciamento dei valori, sulle false prosperità e le troppo reali sventure che accumulano sulla propria testa i fautori del male; paradossalmente, Burton fa di Democrito l’accusatore del tradimento, da parte dei cristiani, dell’ideale del cristianesimo. L’utopia Nella Lettera a Damageto nulla viene proposto per rimettere a posto il mondo e guarirlo, il male è infatti considerato irrimediabile e il riso attesta che la sola risorsa consiste nel prenderne atto e accettarlo; Burton di contro non si limita all’atto d’accusa ma chiede a questo mondo capovolto di essere rimesso a posto e qui comincia a prendere corpo la tentazione utopica. Il legame tra malinconia e utopia offre un aspetto relativo all’oggetto (lo Stato) e un aspetto che implica la personalità dell’utopista. Da una parte, il disordine, la violenza, l’usurpazione generale del potere o della ricchezza, le diatribe e processi che affliggono gli stati (e soprattutto l’Inghilterra) sono paragonati ad un disordine malinconico che turba il temperamento del corpo sociale. D’altra parte, Burton non ci permette di ignorare che la stessa percezione del disordine universale risulta da uno sguardo malinconico. L’utopia non sarà solamente un progetto destinato a cambiare la faccia del mondo, essa costituisce un’impresa auto-terapeutica. L’immaginazione utopica sceglie di rimettere in ordine il mondo che, provocando l’indignazione e il riso satirico, si era svelato ai nostri occhi come il regno del disordine. Gli abitanti attivi del paese utopico non avranno il tempo libero per divenire malinconici: quando smettono di lavorare conoscono solo, in momenti determinati, dei festeggiamenti. L’ordine utopico ristabilisce la signoria della ragione sugli elementi che la follia generale lasciava all’abbandono; ma questa signoria esige l’onnipresente vigilanza di una supervisione e la minaccia della pena capitale per chiunque infranga la legge del lavoro e lasci prevalere il dispendio fastoso sull’accumulazione laboriosa. L’utopia di Burton sembra proporsi lo scopo di eliminare la violenza attuale che procede di pari passo con il disordine, trasformandola, per mezzo della legge, in una violenza potenziale di cui lo stato ha il monopolio. L’utopia burtoniana si presenta come un fantasia poetica, non un progetto politico. L’utopia di Burton è una maniera di sviluppare pienamente le risorse della maschera democritea. Anatomia della malinconia Democrito junior al lettore Burton afferma che la sua opera riguardi l’uomo e l’umanità, e che l’argomento del suo discorso sia tutto ciò che gli uomini fanno. Ciò che dice di se stesso è che ha vissuto una vita silenziosa, sedentaria, solitaria, appartata per sé e per i suoi studi all’università, per imparare la sapienza completamente immerso per la maggior parte del tempo nei suoi studi. E sebbene sia per professione un ecclesiastico, egli nutriva un grande desiderio di avere un’infarinatura di tutto. Saturno fu il pianeta dominante del suo oroscopo e Marte quello che ha maggiormente influenzato la sua indole in perfetta congiunzione col suo ascendente. Burton si dice un semplice spettatore delle avventurose vicende degli uomini, ed in mezzo agli splendori e alle miserie del mondo egli continua la sua strada in completo isolamento: le irruenze eccessive degli uomini sono state spesso oggetto del suo riso e del suo malumore. Il motivo per cui Burton si nasconde sotto il nome di Democrito è quello di godere un po’ d’indipendenza e libertà di parola sotto sembianze sconosciute; oppure la ragione deve unicamente ricercarsi nel fatto che l’argomento del suo libro era la malinconia e la follia: Democrito voleva scoprire la sede di questa malinconia, da dove venga e come si produca nel corpo umano, con lo scopo di poterla meglio curare in se stesso e con le sue opere e osservazioni insegnare agli altri a prevenirla ed evitarla. Democritus junior ha
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