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Andrea Graziosi, L’Unione Sovietica 1914-1991, Appunti di Storia Contemporanea

Riassunto per STORIA CONTEMPORANEA DELLA RUSSIA E DELLA EURASIA - LM

Tipologia: Appunti

2018/2019

In vendita dal 11/01/2019

Alessandro.Proietti
Alessandro.Proietti 🇮🇹

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Scarica Andrea Graziosi, L’Unione Sovietica 1914-1991 e più Appunti in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! 1.Stato vecchio e stati nuovi, 1914 - 1919 1.Forza e debolezze dell’Impero russo Tutte le riforme successive alla sconfitta nella guerra di Crimea del 1854-1855 (emancipazione inclusa) rafforzano il periodo di boom demografico russo ed un intenso sviluppo industriale ed urbano. Da una parte il progresso, seppur veloce, era troppo lento in confronto ai paesi europei, dall’altra l’urbanizzazione aveva portato alla disgregazione delle famiglie rurali russe e all’alfabetizzazione. Vi era anche il problema della nazionalità perché molti erano i popoli che componevano l’Impero russo e i russi veri e propri erano soltanto 44,3%, inoltre l’alfabetizzazione aveva acuito i sentimenti nazionalistici delle frange emarginate. La leva obbligatoria aveva acuito queste differenze etniche e i generali avevano cominciato a classificare i gruppi etnici dal più pericoloso al meno pericoloso. Le carestie radicalizzarono la popolazione e furono prese al balzo dagli intellettuali di varie parti politiche, bolscevichi inclusi, in chiave anti-zarista. Lenin voleva un partito di rivoluzionari professionali e pronti a tutto, sottoposti alla disciplina del partito centrale, mentre altri progettavano movimenti “di tutti”. Mentre lo scontro tra bolscevichi e menscevichi era forte, in tutto l’Impero moti di vario genere scuotevano lo stato e portavano alla morte di molti ministri e non solo. Il conflitto con il Giappone del 1904 porta una radicalizzazione ulteriore e, nel 1905 si arriva alle proteste e alla richiesta di un suffraggio universale, un’assemblea costituente e garanzia delle libertà individuali. Le riforme che ne seguirono, sotto la guida di Stolypin non riuscirono però a frenare l’inevitabile fine del governo zarista (formazione di uno strato di contadini benestanti, interessati a legge, benessere economico). Mentre Trockij immaginava una rivoluzione permanente Lenin cominciava a pensare di poter sollevare i movimenti contadini per realizzare un qualcosa di diverso da quanto prospettato fino a quel momento. Plechanov, fino a quel momento ispirazione di Lenin, pensava che una rivoluzione socialista fatta in quel modo avrebbe portato ad un dispotismo semi-asiatico. Intanto la Russia tornava a crescere e questo acuiva le differenze e le tensioni tra operai, contadini. Si rafforzava la prospettiva marxista della potenza dello stato come in grado di dare una direzione all’economia. Stalin nel 1913 pubblicava il suo ​Marxismo e la questione nazionale, ​nel quale la nazione era vista come prodotto storico e non come aggregazione di tribù ecc. e pertanto andava trattata “oggettivamente” (cosa che Stalin farà). 2. Guerra e rivoluzione, agosto 1914 - luglio 1917 La guerra di nuovo genere che l’Impero affrontò fu il colpo di grazia che rese possibile il sorgere del nuovo stato sovietico. L’errore di considerarlo un normale conflitto si sentì subito con milioni di morti. La barbarie si diffuse in trincea e lo scontento serpeggiava nelle retrovie, dove le deportazioni di ebrei e tedeschi aumentarono considerevolmente. Si rispose con l’​economia di guerra alla necessità di far fronte alle spese. All’inizio si ebbe un boom dei salari ma poi l’inflazione arrivò e distrusse il poco di buono che era stato fatto. Per alcuni comunque, questo era un segno che lo stato doveva intervenire perché otteneva risultati migliori di un’economia di concorrenza. L’assenza di beni sul mercato, lo scarso valore dei salari generarono scontento e molte rivolte e proteste. Tra queste c’erano anche quelle “nazionali” delle popolazioni minori, soprattutto nelle campagne. Lenin nel 1916 sosteneva la questione coloniale e delle minoranze come motore della rivoluzione, nonostante le sue tesi costituissero motivo di scandalo tra la sinistra tutta. Il crollo del regime zarista è dovuto a molteplici fattori: lo scontento operaio, l’errore di far riposare i reggimenti nelle città, la volontà aristocratica e borghese di rafforzare la potenza russa. I primi mesi di governo sono caratterizzati da un doppio filo tra Duma e Soviet, con Kerenskij a fare da tramite. Alla lunga i liberali, appartenenti alla Duma, ebbero la peggio. Il Soviet era paralizzato dalla sua stessa ideologia e all’interno le idee non erano chiare. Gli SR di sinistra volevano insorgere con i contadini, quelli di destra no; i bolscevichi e i menscevichi pensavano che una rivoluzione in quel momento fosse impossibile. In varie regioni dell’impero prendevano forma i movimenti nazionalisti come in Ucraina con la nascita della Rada. Anche questi, per un motivo o per un altro, erano immobili e non riuscivano ad approfittare della situazione, lasciando il campo ai bolscevichi. Ad aprile accordi con i tedeschi permettevano a Lenin di tornare in patria a rioccupare il suo posto, ormai di leader incontrastato. Trockij rientra in seguito ed accetta le posizioni di Lenin per quel che riguarda la liberazione nazionale e redistribuzione agraria, in ottica di una rivoluzione permanente. Poco dopo l’offensiva di giugno voluta dal governo fallì miseramente lasciando spazio ai bolscevichi per rivoltarsi, dopo il fallimento dei moti Lenin fu costretto a scappare in Finlandia e Trockij fu processato. 3. Rivoluzione, guerra e vittoria, agosto 1917 - ottobre 1917 La nomina di Kornilov e il suo successivo ordine di marciare sulla capitale disgregarono quanto rimaneva del governo provvisorio lasciando spazio ai bolscevichi. La rivoluzione bolscevica esplose in tutto il paese contagiandone ogni parte, Ucraina e Asia compresa. Lenin con un colpo di genio sostenne i contadini al congresso che avevano indetto, portando dalla sua la fetta più grande della popolazione. Gli organizzatori della militarizzazione erano una fascia diversa dai bolscevichi, tutti ex zaristi, che divennero dei veri e propri comandanti di fabbrica che trattavano gli operai come un numero (forza lavoro, non più persone). La riconquista territoriale culminò con l’invasione della Polonia, voluta da Lenin, che sembrava andare per il meglio. Le cose non finirono bene e l’Armata rossa fu sconfitta da polacchi aiutati dai francesi. Il governo polacco voleva una Polonia nazionale e fu disposto a cedere parte dei territori che non considerava assimilabili, questo fu sancito nel marzo 1921 dal trattato di Riga. 2. Crisi e carestia, 1920-1922 Nel 1920 c’erano tre tipi di banditismo, secondo i rapporti della polizia: il primo sostenuto dalla popolazione; il secondo non sostenuto dalla popolazione in maniera attiva (un po’ ovunque); il terzo era solo di criminali veri e propri. Le esperienze di questi anni diedero vita alla convinzione, tutta Stalinista, che la risolutezza sarebbe stata perdonata dalla Storia e che il nemico non erano solo i bianchi e gli imperialisti ma anche chi non voleva piegarsi al potere sovietico, contadini ​in primis​. Per stroncare le rivolte Lenin decise, nel 1921, di varare la Nep, invece di andare allo scontro frontale con i contadini, appropriandosi delle rivendicazioni dei rivoltosi e presentando la nuova politica come una ritirata strategica imposta dalle circostanze. La carestia del 1921 danneggiò in avvio la Nep ma favorì la politica volta a danneggiare la Chiesa, mentre l’American Relief Administration portava cibo alla popolazione russa. La Chiesa, con vari provvedimenti, fu fiaccata e piegata, anche se molti villaggi non erano disposti ad abbandonare la loro religione. La tassa in natura fu una sciagura nelle zone colpite dalla carestia e generò malcontento nelle altre. Raccolte aggiuntive generarono altra violenza. La Nep colpì anche gli operai che, in inverno, per sopravvivere andavano a lavorare anche nei campi. La reazione del governo fu di deportare chi non poteva provare di lavorare in fabbrica e velocizzare la Nep nelle città. La moneta, in tempi di crisi soprattutto, non poteva essere abolita e fu reintrodotta, inizialmente nella forma di rublo-oro, ma l’inflazione era talmente alta che i salari si volatilizzavano in un attimo generando scontento. Intanto a Mosca, in giugno, veniva celebrato il primo processo-spettacolo contro gli SR accusati di aver fomentato la rivolta contadina, era l’istituzionalizzazione di questo mezzo di propaganda. Stalin diventava segretario generale. 3. La Nep: ripresa e dubbi nel partito, 1922-1925 I 13 milioni di morti che superavano le nascite nel 1922 (nel ‘17 la popolazione era a 143, dopo a 136) generarono riflessioni. Sorokin, sociologo russo, sostenne che la guerra aveva causato una deformazione complessiva dello stato e della vita umana. Ora tutto si basava su violenza e sopravvivenza, diretta conseguenza del socialismo russo. I bolscevichi avevano sì vinto, nel 1922 ma avevano dovuto scendere a compromessi, la Nep era espressione di questi: in primis tra stato e campagne, poi con la nazionalità, il mercato e i borghesi tecnici. Il compromesso col mercato è importante come quello con i contadini perché la riforma avviata nel maggio del 1922 rimetteva in gioco il rublo, uno valeva dieci anteguerra, ma aveva un altro risvolto. Lenin decise di tenere separato il valore del rublo internazionale da quello interno, e i vantaggi iniziali furono molto alti ma, sul lungo periodo, fu disastroso perché questo toglieva dalla competizione mondiale i russi e stimolava all’obsolescenza le industrie. Le purghe e la repressione aumentarono d’intensità con il passare del tempo e divennero uno strumento anche di espansione economica, infatti i detenuti erano tenuti a lavorare per pagarsi la detensione. Ma la Nep era in pericolo perché sostenere l’industria pesante generava carenza di risorse nei mercati e i contadini volevano imporre la loro visione allo sviluppo dello stato. La battaglia finale di Lenin per non dare il potere a Stalin dopo la sua morte fallì miseramente e creò le condizioni per l’emarginazione definitiva di Trockij dal partito. Nel 1923 avvenne la crisi delle ​forbici ovvero dei prezzi industriali che aumentavano e di quelli agricoli che diminuivano. Questo generò malcontento tra i poveri. Sempre in ottobre in Germania la rivoluzione fallì miseramente. La crisi interna intanto continuava e Trockij si portò alla testa della “sinistra leninista” che proponeva un’economia pianificata come soluzione alla crisi. Stalin osteggiò Trockij e dopo la morte di Lenin riuscì ad estrometterlo dal Comitato militare rivoluzionario sostituendolo con Frunze. Così si rompe anche il compromesso con i borghesi tecnici, almeno una prima rottura. La ripresa economica, sotto il governo Rykov, era dettata dal boom demografico che aveva favorito e da un raccolto proficuo nel 1925. Lo Stato non era riuscito a proporre lo scambio iniquo ai contadini che vendevano risorse ad un prezzo più alto dello stabilito. All’estero i rapporti con Germania, Cina erano i pilastri della politica sovietica, che per ora non era del tutto isolata dal resto del mondo. Alla fine del 1923 quando l’industria era tornata ai livelli del 1913 c’erano di nuovo 3 milioni di operai ma molti erano entrati in fabbrica prima del 1917. Molti proletari erano possessori di terra, sorprendentemente per il regime sovietico. Sul campo culturale si consumò lo scontro delle idee che in politica non potevano più essere espresse e molti autori famosi (Pasternak, Majakovskij ecc.) divennero famosi in tutto il mondo. La Costituzione del 1924 diede a Mosca poteri praticamente su tutto, le Repubbliche ricevettero ampi diritti formali, capo di stato, lingua e addirittura diritto di secessione. Fino a quando questo stato di cose non cambiò lo scontento tra i russi fu moltissimo perché le altre nazionalità, minoranze, godevano di privilegi e diritti che loro non avevano (per esempio non esisteva un’accadema delle scienze russe). Le concessioni alle nazionalità erano state fatte perché si sperava in una futura occupazione di regioni occidentali. Così erano nate molte nuove repubbliche, soprattutto in Asia, e si era accelerato sull’ucrainizzazione in Ucraina. L’insicurezza generata dai risultati della Nep, che sembravano testimoniare la superiorità del mercato sul comunismo, generò un profondo cambio di rotta nel 1925, dettato anche dalla situazione europea. L’industrializzazione forzata diede luogo nel ‘25 alla prima crisi di domanda, generata dal fatto che l’eccesso di domanda statale per investimenti creava prezzi alti alimentando corruzione e abusi. Nessuno sembrava però curarsene. La discussione su come fare per procedere su quella strada generò spaccature nel partito e Stalin si alleò con Bucharin sconfiggendo Kamenev e gli altri. La Nep andava terminata e i piani quinquennali prevedevano una lotta contro i contadini, senza alcuna pietà. 3. Nuovo assalto, nuova crisi, 1926 - 1930 1. Ambizioni crescenti: la barbarie come virtù, 1926-1929 Nel 1926 fu annunciato che il reddito pro capite era tornato ai livelli del 1913, notizia non vera perché mancava circa un 20%, e Stalin decise di aumentare ancora la corsa all’industria pesante come mezzo d’indipendenza. Si destinava il 74% delle risorse all’industria non valutando più l’apporto e il costo economico del singolo impianto ma la sua importanza nella costruzione del socialismo. Così il mercato era soffocato da un eccesso di domanda e la crisi si acuiva sempre più, dopo un iniziale sviluppo. Tra il 1926 e il 1927 venne aumentata nuovamente la pressione sui contadini e gli ammassi ripresero a crescere generando nuove crisi e carestie. Intanto Stalin accusò Trockij sostenendo che la politica di combinare un tributo eccessivo con investimenti grandi in campo industriale avrebbe potuto generare carestie (Stalin fece esattamente questo). I rapporti internazionali andavano peggiorando a seguito della scoperta di una rete spionistica sovietica che spinse Londra a rompere i rapporti con i russi gettando nel panico il governo. Stalin allora colse la palla al balzo per epurare il partito e varare misure straordinarie contro oppositori e contadini. Trockij fu esiliato ad Alma-Ata ma non smise di criticare il regime e le sue degenerazioni. soggetta ad inflazione solo il denaro circolante, non quello emesso dalla banca che continuavano ad elargire a profusione. La crisi agraria non faceva che aggravare la crisi generale perché non c’erano risorse “serbatoio” se non in manodopera che, però, stava abbandonando le campagne in massa. La crisi di Wall Street colpiva, indirettamente, anche il regime sovietico. Il primo aprile 1929 la riforma entrò in vigore lanciando il paese nel caos, la Gosbank non riusciva più a controllare il credito e non si sapeva se le imprese operassero in attivo o in passivo. Così si fece uno sforzo enorme per recuperare la situazione mentre le requisizioni di oro e altro aumentavano considerevolmente. Per far fronte alla crisi si pensò ad ulteriori requisizioni ai contadini ma non era possibile, così si varò il nuovo sistema retributivo delle “giornate di lavoro” che si basava su unità prettamente teoriche che, spesso, si traducevano in lavoro gratis perché lo stato confiscava tutto e risultava quindi che gli obbiettivi giornalieri non erano stati raggiunti. In fabbrica facevano il loro ingresso i contadini e questo autorizzò il governo ad usare metodi di repressione “contadina” sugli operai che si trovarono, come nel ‘19-’20, a rubare per sopravvivere. Alla fine le organizzazioni sindacali furono spazzate via ed i dirigenti investiti di alti poteri. Il valore del rublo assunse una sfaccettatura diversa a seconda della classe d’appartenenza, anche se il governo sovietico cercò di difendere l’unità della moneta successivamente perché altrimenti voleva dire che i bilanci erano tutti falsi. Si creò quindi una società piramidale basata sulla voglia di ascesa sociale e sulla corruzione per sopravvivere. 4. Rilancio, catastrofe e vittoria, 1930 - 1934 1. La nuova offensiva e la sua crisi, 1930 - 1932 Stalin aumentò la sua sospettosità e nel 1930 si tennero due processi farsa che servivano a distogliere l’attenzione della gente: contro il Partito Industriale, in novembre (partito inesistente); contro l’ufficio federale menscevico a marzo del 1931; il terzo contro il Partito contadino non si tenne. Il despota tenne interrogatori personalmente con ricatti e torture. Usò verbali manomessi per far incriminare altri dirigenti del partito che persero cariche e, spesso, anche la vita. Bucharin era nel mirino di Stalin che lo reputava troppo pericoloso perché voce fuori dal coro. Intanto, per reprimere le minacce interne ed esterne, si voleva aumentare il numero di soldati e servivano soldi. La produzione di vodka fu incrementata, e così la sua vendita, arrivando a rappresentare un quinto delle entrate statali. Le esportazioni furono aumentate, soprattutto per le materie prime. Per accelerare i ritmi produttivi furono allargati i ​lager e i gulag che raccolsero una gran quantità di uomini e costituirono il più grande bacino di lavoratori fino al 1953. L’abolizione della moneta, ancora una volta, risultò impossibile così si diede il contrordine ai dirigenti di fabbrica di ragionare con il ​calcolo economico per gestire l’industria, risparmiando ecc. Questo comunque generava il paradosso che le imprese che erano in passivo venivano aiutate e non chiudevano. La riforma del sistema fiscale introduceva una tassa unica sui beni di consumo, diversificata a seconda dei beni stessi, ma questo era un mezzo che generava tensione perché non regolava il mercato e si distaccava per sempre dal rapporto valore-lavoro. La riforma dell’industria fatta da Ordzonikidze e Pjatakov (messo al riparo dall’ira di Stalin) fece avanzare tecnologicamente l’apparato e fu approvata dal dittatore. Si ritornò al nazionalismo russo promettendo che il paese non sarebbe più stato sconfitto per la sua arretratezza. La nuova offensiva e i nuovi investimenti sull’industria acuirono la crisi, che i dirigenti pensavano passata, e portarono a nuovi ammassi ed ulteriori esportazioni. Si arrivò ad aprire i negozi riservati agli stranieri alla popolazione in cambio di oro e gioielli. Intanto le deportazioni e gli arresti si moltiplicarono con numeri spaventosi, milioni, e la prima semina “bolscevica” dei colchoz era andata male. Così Stalin ordinò di pagare i contadini a giornata di lavoro portata a termine con successo sperando di ottenere risultati migliori, ma non fu così. In Kazakistan la colletivizzazione dei capi di bestiame causò una vera tragedia perché furono portati via l’80% del totale, lasciando il paese in preda alla fame ed alla carestia. Gli operai passarono da 3,8 a 4,6 milioni mentre i contadini si spostavano in città aggravando la situazione, già precaria, delle abitazioni. Ogni famiglia aveva spesso a disposizione 4 metri quadri, nei “cantieri del socialismo” le cose erano peggiori e si dormiva in tenda o in buche scavate per terra. L’alcolismo e il degrado erano all’ordine del giorno in una società che aveva perso totalmente il controllo delle cose. La fame era totale e la propaganda all’estero era intensificata sovvenzionando gli autori “meritevoli” per il regime. La situazione peggiorava e, quando nel 1932 il grano era finito ma le esportazioni erano intoccabili, si decise di togliere le razioni agli operai dell’industria leggera e a quelli con un legame con le campagne. Quando le rivolte si moltiplicarono furono represse ma non troppo duramente, perché a Mosca si conosceva la verità. Furono fatte delle concessioni, fu concesso di vendere beni a prezzi maggiorati rispetto a quelli previsti dallo stato, si comprò grano dall’estero (per la prima e ultima volta) ma alla fine era solo un modo per tenere buoni i contadini, non per risolvere la crisi. 2. La fame e il suo uso, giugno 1932 - dicembre 1933 Gli ucraini in giugno 1932 cominciarono a chiedere la fine degli ammassi perché stavano morendo migliaia di persone, Stalin fece delle concessioni che però dovevano essere locali e modeste. Intanto pensava a risolvere la situazione dei dirigenti ucraini che era convinto stessero tramando qualcosa. La questione ucraina era diventata fondamentale mentre la crisi si acuiva e il grano raccolto in ucraina era poco, troppo poco. La mancanza di materie prime aveva costretto le industrie dell’auto, dei trattori ecc. a chiudere in attesa di rifornimenti e i salari non potevano essere pagati, inaccettabile per Stalin. A settembre-ottobre il regime sembrava affondare ed il malcontento cominciò a circolare anche nei membri del partito. Stalin inviò ad ottobre 1932 Molotov, Kaganovic, Postysev in Ucraina, Caucaso settentrionale e nelle regioni del Volga. Dopo il suicidio della moglie, avvenuto durante le celebrazioni del quindicennale della rivoluzione, prese la decisione di dare una lezione ai contadini “chi non lavora non mangia”. Il terrore di fine 1932 seguì due linee principali: la repressione nelle regioni cerealicole e l’altra d’ispirazione politica che si indirizzava verso le roccaforti d’opposizione. Inoltre la questione nazionale era legata, soprattutto in Kuban e in Ucraina, a quella contadina e le carestie avevano generato nemici del partito con la tessera. Nel gennaio 1933 Molotov e Stalin ordinarono all’Ogpu di rispedire in Ucraina e in Kuban i contadini che provavano a fuggire. La reintroduzione dei passaporti interni fece per trasformare di nuovo i colcosiani in servitù della gleba che non poteva trasferirsi nemmeno in città, di fatto aumentando lo scontento. Nelle città chiuse, nell’agosto del 1934, i passaporti rifiutati erano circa 385 mila, inoltre bisognava richiedere il diritto di residenza che lo rilasciava la polizia. Molti a cui veniva rifiutato il passaporto venivano deportati. Il 1933 rimane un anno senza piano perché si chiude anticipatamente, per fallimento, quello del 1928. Intanto erano state varate misure repressive, simili a quelle contadine, per gli operai ai quali veniva dato licenziamento immediato per assenza, e i razionamenti tornarono in mano ai dirigenti delle fabbriche, come nel 1921, diventando ancora meno egualitari. Fu organizzata una grande purga del partito, gestita da Ezov, ex operaio, che servì a Stalin per organizzare le successive contro i membri del partito che si opponevano a lui, tra il 1936-1938. Le decisioni del dittatore portarono a milioni di morti in Ucraina, Caucaso settentrionale e nelle regioni del Volga. Egli era ben informato riguardo la situazione generale di sofferenza anche nelle grandi città ma non era interessato dalla cosa. Quando la situazione volse a favore del regime le misure furono allentate e furono rilasciati 350mila deportati ed impedite altre deportazioni. In Ucraina si colpì duro chi aveva sostenuto l’ucrainizzazione, intellettuali in primis. Furono inasprite le già severe leggi di lavoro per gli operai con dei libretti, in mano alle fabbriche, che segnavano la vita dell’operaio e potevano costituire un pericoloso precedente. Ci si preparava alla guerra e si testimoniava il fallimento dei fronti popolari che non avevano allontanato le potenze europee dalla Germania nazista. Intanto le purghe dei dirigenti delle repubbliche minori aumentavano perché Stalin voleva finire il processo di russificazione, anche dell’esercito, in vista della guerra sempre più vicina. Le riunioni si facevano sempre più di rado e Stalin ormai non sentiva più nessuno che non fosse lui stesso. 6. Rovina e rinascita, 1939 - 1945 1. Con Hitler, 1939-1941 Il patto firmato il 23 agosto del 1939, dopo l’aggressione giapponese, fallita, alla Mongolia, con Hitler shockò occidente e russi. I dirigenti erano dubbiosi ma Stalin disse che questo serviva a non combattere la Germania da soli e a prendere tempo. La sconfitta iniziale in Finlandia convinse il dittatore a cancellare la sua decisione di smantellare i corpi corazzati e diede ordine a Zukov e Timosenko di liberare alcuni ufficiali incarcerati per ricostruire gli alti gradi dell’esercito. Fu eliminata l’elite polacca con quattro ondate successive tra il 1940 e il 1941 in modo da sovietizzare il territorio e russificarlo, come era già avvenuto altrove. Questo portò alla nascita di organizzazioni clandestine di polacchi che odiavano il regime. La vittoria di Hitler sulla Francia spinse il dittatore ad accelerare la conquista dei territori dell’Europa orientale minore: le rep. baltiche e la Bessarabia. Il trattamento riservato, come a tutti gli altri, di sovietizzazione non fece altro che far germogliare l’odio in quelle popolazioni per i russi, che prima non disprezzavano. Procedeva la purga degli ebrei in tutti i campi, dai dirigenti agli intellettuali e acceleravano i processi di preparazione alla guerra imminente. Stalin voleva combattere nel 1942 e cominciò a cullarsi in illusioni come quella che se Londra non fosse caduta Hitler non avrebbe attaccato. La paura della guerra si riflettè nella ricerca di un ulteriore balzo industriale e nell’inasprimento delle misure sugli operai (cambiare lavoro senza permesso divenne un reato). Intanto i matrimoni calavano e le deportazioni aumentavano. Stalin prese a bere e a far bere i suoi collaboratori e, anche per questo, continuava a cullarsi nei suoi sogni rifiutando di accettare le notizie che provenivano da tutte le parti secondo le quali l’attacco tedesco era imminente. Così non fece mettere le truppe in stato d’allerta quando ormai la situazione era fuori controllo ed i tedeschi pronti per attaccare. 2. La dolorosa via per Stalingrado, 1941-1942 Dopo qualche giorno, il 28 giugno, Stalin si ritirò in crisi nella sua dacia di fronte all’avanzata tedesca. Quando riprese il controllo di sé stesso emanò un comunicato che invitava tutti a prendere le armi ed a collaborare per la difesa della patria. Furono firmati accordi con Londra e Washington per collaborare contro il nemico fascista. Nacque il Comitato statale di difesa (GKO) che aveva super poteri e poteva governare per decreto imponendo le sue scelte a tutti. La parte militare fu data all’Alto comando delle forze armate, ovvero nelle mani di Stalin. Lentamente l’esercito si riprendeva e, seppur non ancora in grado di vincere, era in grado di bloccare l’avanzata tedesca in alcuni punti strategici. I tedeschi, nei territori occupati, continuarono a reprimere nel sangue le rivolte e a liquidare i gruppi sociali pericolosi. Lentamente, soprattutto in Ucraina e Bielorussia, si svilupparono repubbliche partigiane che intralciarono i tedeschi arrivando, nel 1942-1943, a occupare in combattimento almeno il 10% delle truppe del Reich, pur sfuggendo al controllo di Mosca. In Ucraina i russi persero per l’insensatezza di Stalin 600 mila uomini e nacque il mito dell’Ucraino traditore da punire a fine conflitto. Intanto Halder, generale tedesco, si convinceva che la Germania avrebbe perso, infatti le vittorie derivavano principalmente da errori russi. Stalin tra il 15 e il 16 ottobre decise di far evacuare i diplomatici stranieri e parte del governo a Kujbysev e questo scatenò il panico tra la popolazione di Mosca, ma egli rimase a dar morale. L’offensiva tedesca fallì e il dittatore si convinse che la vittoria era possibile, così usò il primo ministro polacco per chiedere che cosa si sarebbe fatto dell’Europa orientale dopo la vittoria: voleva dare la Prussia orientale alla Polonia come compenso per i territori persi a favore dell’Urss. Sebbene i tedeschi fossero respinti da Mosca occupavano ancora territori dove si produceva gran parte delle risorse primarie, così Stalin risolse la crisi come nel ‘32 militarizzando le fabbriche e spremendo i contadini. Hitler progettava per l’estate un’offensiva per sbaragliare il Caucaso e Stalingrado e prendeva il controllo delle operazioni mentre gli americani mandavano copiosi aiuti ai sovietici. L’offensiva del luglio tedesca, aiutata dalla pessima idea russa di riprendere Char’kov, spalancò le porte ad ulteriore panico quando presero Rostov, la crisi militare sembrava potersi trasformare in politica. Il famoso ordine 00227 ordinava di non ritirarsi di un millimetro pena la morte o altro. Stalin aveva imparato dal ‘42 che l’ordine e la disciplina contro i tedeschi non bastavano ed imparò a fidarsì dei migliori generali: Zukov e Vasilevskij. Nonostante la riduzione della popolazione, gli imprigionamenti e le fucilazioni e i salari bassi, la produzione russa era sì crollata ma era destinata a riprendersi, seppur lentamente. A vincere non fu solo la durezza di Stalin, gli aiuti, o l’esercito ma fu il carattere miracoloso di quella mobilitazione. La vittoria dava energia e respiro al sistema sovietico. 3. Riscatto e impero, 1943-1945 Il sistema sovietico era stato in grado di spremere risorse ovunque nonostante la miseria nella quale versasse la popolazione. Gli appezzamenti di terra privati dei Colchos, per esempio, crebbero illegalmente ma tollerati fino al 50% per far fronte alla miseria dei ​trudoden​ che non ricompensavano quasi più il lavoro nelle fattorie. Lo stato lasciò fare, concentrato sul fronte, cose che non avrebbe tollerato altrimenti come gli orti privati degli operai e reintrodusse nel ‘44 il razionamento con 74 milioni di persone nutrite solo a pane, l’importante era lavorare. Questa volta le privazioni non fecero accrescere il malconento verso il governo perché venivano per una causa esterna. Intanto il numero di uomini ai lavori forzati, sia per reclutamento che per morte, era diminuito da 2 milioni nel 1941 a 1,2 nel 1944. La corsa a Berlino, iniziata nel 1943, riempì di frenesia i soldati e Stalin decise di permettere, formalmente ma non avvenne mai, alle repubbliche che non fossero russe di avere un proprio esercito. L’alcool restava l’unica via di fuga per i lutti e aumentavano le richieste di riaprire le chiese. Esse riaprirono e fu riformato un sinodo ed eletto un patriarca, le persecuzioni non finirono mai ma la Chiesa non fu più minacciata di estinzione come prima del 1941. L’antisemitismo non era sopito ma la scoperta dei russi dei campi di concentramento sembrò sopire la cosa, almeno per il momento. Le vittorie di Stalin gli assicurarono una posizione preminente nella conferenza di Teheran alla quale egli ottenne la bocciatura del piano Churchill per aprire un secondo fronte nei balcani e il riconoscimento della linea Curzon come confine sovietico polacco ma non del baltico, non riconosciuto dagli americani. Le popolazioni piccole come nel Caucaso, giudicate colpevoli da Stalin, furono deportate in massa e solo dopo il 1956 fu concesso loro di tornare a casa, o almeno ai loro superstiti. In Ucraina tutti erano giudicati sospetti e furono discriminati per decenni per essere stati occupati dai tedeschi. Gli accordi, acceleratisi dopo l’invasione della Normandia, con i russi prevedevano una spartizione dell’Europa orientale in netto vantaggio per l’Urss, con la sola eccezione polacca. Ovviamente in molti di questi paesi nacquero organizzazioni di partigiani che cercavano di ricostruire propri stati nazionali. Stalin era convinto, dopo queste grandi vittorie, di poter instaurare un rapporto di collaborazione con gli stati occidentali, basato sulla convinzione che gli USA si sarebbero ritirati dal continente europeo come dopo la prima guerra mondiale. Alla conferenza di Jalta, la seconda, partecipò proprio con queste convinzioni. Stalin Gli accumuli caratterizzarono una nuova fase di durezza contro gli operai e nelle campagne era chiaro che la siccità avrebbe rovinato il raccolto del 1946. Intanto si apriva la fase della ​zdanovscina​, dal nome di Zdanov. Furono espulsi degli scrittori dall’Unione degli scrittori. L’attività repressiva contro gli ebrei proseguiva, ad eccezione degli scienziati che servivano, Si tornava ad applicare le regole del 1932 per prendere quanto più grano possibile mentre il popolo moriva di fame un po’ ovunque. Fu sostituito Chruscev con Kaganovic in Ucraina per combattere l’​intelligencija​, causa della carestia per Stalin. Seppur simile al 1932 la carestia fece meno morti perché non furono impedite le migrazioni o gli orticelli privati. Ma non si poteva parlare di carestia in pubblico. Il clima di tensione con gli USA crebbe anche dopo le dichiarazioni di Truman nella sua dottrina, nella quale il confronto con l’URSS era un perno. Se all’interno del paese il controllo era ripreso, infatti il 50% del raccolto del ‘47 fu preso, all’estero le cose erano diverse. Il piano Marshall fu visto come un attacco diretto al regime e scatenò l’ira del dittatore quando Ungheria e altri paesi fecero richiesta di aderirvi. La riforma monetaria fu preceduta da un grande aumento dei prezzi, molti credono artificiale, e confermò che il rublo in mani diverse aveva valore diverso, facendo aumentare il malcontento popolare. Stalin cambiava ancora idea sull’Ucraina e rimetteva Chruscev al suo posto. Mentre la morsa sugli operai fu allentata di poco nelle campagne le cose continuarono alla vecchia maniera. Parassiti erano quelli che non raggiungevano il minimo dei ​trudoden​: l’obbiettivo era obbligare i contadini solo sui campi collettivi impedendogli il lavoro in quelli privati. Il successo degli ammassi diede nuovo fiato al problema della costruzione del comunismo e nella capitale fu avviata la costruzione di nuovi grandi edifici mentre venivano ordinate 8 fasce forestali lunghe anche mille chilometri per proteggere i campi dai venti, in Asia bacini idrici artificiali rendevano coltivabile la terra. Israele fu riconosciuto stato ma questo non fece che aumentare le persecuzione sugli ebrei sovietici perché ora si pensavano in combutta con quel paese e con gli americani. Tito era stato espulso dal Kominform perché Stalin pensava di potersene sbarazzare ma non fu così e questo fu il primo momento in cui potè rendersi conto che il suo potere, anche nel settore interno, non era illimitato come credeva. 3. Un vecchio di cui è impossibile disfarsi, 1948-1953 Il posto di Zdanov nella costruzione delle campagne ideologiche del regime fu preso da Suslov e Molotov fu estromesso dopo che sua moglie, ebrea, fu mandata in Kazakistan per 5 anni. Gli ebrei andavano sradicati dai centri di potere e presero il via campagne di denigrazione degli intellettuali e furono varate delle liste segrete per capire quante etnie si trovassero dentro le dirigenze di fabbriche e non solo. Le persecuzioni agli intellettuali si estesero anche agli strati minori della popolazione che riempirono i gulag: soprattutto tedeschi ed ucraini in grande misura. Il partito leningradese subì una seconda purga dopo anni che portò al processo a porte chiuse del 1950 nel quale in molti morirono fucilati. La prima bomba sovietica esplodeva il 29 agosto 1949 e cambiava le carte in tavola, ora la guerra tornava un’ipotesi più vicina e concreta. Intanto la Cina diventava una repubblica popolare e, almeno per il momento, finiva sotto l’ala sovietica con accesso al credito facilitato e non solo. La collettivizzazione e l’industrializzazione forzata nelle repubbliche minori o negli stati satellite metteva in difficoltà i partiti locali che erano mal visti da Mosca e dalla popolazione e si trovavano in un pericoloso equilibrio mortale. Il nuovo piano per l’agricoltura che stentava a tornare ai livelli prima della guerra, fu dato in mano a Chruscev che nel 1950-1951 non ottenne grandi risultati. Allora varò la riforma dei contadini che prevedeva la creazione di grandi agglomerati che avrebbero sostituito i villaggi creando delle “città” contadine. Questo piano fu messo in discussione da tutti, Stalin stesso, che fece fare delle indagini, Chruscev temette di essere morto, ma alla fine fu soltanto ammonito e il suo piano non fu usato. L’altro fenomeno preoccupante era il lavoro forzato che stava raggiungendo dimensioni spaventose. Fu perciò depenalizzato l’assenteismo, se non recidivo, e questo fece esplodere il fenomeno nuovamente. Le diverse nazionalità presenti nei campi litigavano spesso e molti furono trasferiti altrove per spezzare organizzazioni clandestine. Stalin era però un importante freno ai tentativi di modernizzazione perché tutti avevano paura di sbagliare ed essere puniti o uccisi, come testimonia Chruscev. La Corea del nord, da tempo chiedeva di poter invadere il sud e finalemente le fu dato il permesso nel 1950 pensando che gli americani non avrebbero reagito. Essi sfruttarono l’errore di Stalin di non usare il suo veto alle Nazioni Unite e si presentarono come forza di pace, così entrarono anche i cinesi nel conflitto. Nel ‘51 la guerra mondiale sembrava vicina. Il riarmo assorbì parti sempre più consistente del PIL e depresse ancora di più industria e agricoltura. In un clima di crescente paura e paranoia fu messo in piedi “l’affare dei medici” per eliminare i medici, soprattutto ebrei, che Stalin pensava stessero collaborando col nemico e che avevano ucciso Zdanov con una diagnosi sbagliata. L’elezione di Eisenhower generò ancora più panico e si pensa che, nel 1952, Stalin fosse pronto a lanciare una grande purga in stile ‘37 ma, per qualche ragione, non avvenne mai. La guerra sembrava comunque ormai inevitabile. Mentre si discuteva di come finalmente passare al Comunismo ed eliminare del tutto la moneta prendeva avvio il XIX Congresso, dopo tredici anni dal precedente, molti erano quelli che avevano partecipato al precedente. Quando Stalin parlò disse di non calcolarlo per la nomina di Segretario generale, suscitando un velato entusiasmo. Poi, però, calò la scure su Molotov e Mikojan colpevoli di posizioni sbagliate ed errori di vario tipo. A quel punto seguirono giorni di panico perché tutti ricordavano le purghe avvenute recentemente nei paesi satellite. Non ci sono prove concrete della purga che pensava di organizzare Stalin e del regolamento di conti con gli ebrei. Sicuramente la morte di Stalin il 5 marzo fu una gioia per il paese e i dirigenti (Berija sembra sia stato l’avvelenatore del tiranno, che morì di emorragia cerebrale). All’estero in molti gli resero omaggio, anche tra rivali e intellettuali. 8. Strade nuove, mal tracciate, 1953 - 1964 1. Riforme, 1953-1956: occasioni mancate? L’eredità stalinista era pericolosa: c’era un grande esercito con poche bombe atomiche e nessun mezzo per lanciarle sul nemico principale; un’economia al collasso con prezzi sempre più irreali e arretramento tecnologico. A dividersi il potere, per ora, erano Chruscev, Malenkov e Berija. Malenkov era un erede apparente che non poteva competere con gli altri due, seppur più istruito, era il primo ministro. Chruscev guidava il partito e Berija si impegnava, da eminenza grigia, a scardinare il sistema costruito da Stalin, ormai troppo vecchio per sopravvivere. Le riforme, inizialmente accolte da tutti i dirigenti, volevano: riformare la leadership dei paesi satellite, allentare la tensione internazionale, smantellare il potere della polizia politica e restaurare la supremazia del partito e dello stato e allentare la tensione con le nazionalità non russe. Non ci volle molto prima che Berija cominciasse a demolire il sistema di lavori forzati, abolendo le opere che lo richiedevano, liberare i detenuti ingiustamente fatti, pubblicare rapporti che testimoniavano la falsificazione dell’affare medici da parte di Stalin. Propose l’abolizione del colchoz. Berija cominciava a scontentare i membri del partito che si chiedevano dove avrebbero portato tutte queste riforme, intanto le manifestazioni della gente in piazza tornavano a preoccupare. Berija fu arrestato il 26 giugno, processato e fucilato. Ora rimanevano in gioco Malenkov, che però stava perdendo molto terreno nei confronti di Chruscev che aveva ottenuto anche il ripristino della carica di primo segretario del partito. Il cambiamento, però, sembrava non poter essere fermato e furono fatti passi avanti sui passaporti per il lavoro stagionale, e furono ridotte le spese militari dal 31% al 17,4. convocato una riunione del presidium per approvare le dimissioni del leader. Bulganin riuscì a rinviarla facendo arrivare a Mosca i sostenitori di Chruscev. Il gruppo antipartito fu sconfitto e Chruscev, per il momento, conservava il suo posto e il suo potere ma si apriva una nuova fase nell’Urss. Intanto veniva sostituito il capo del KGB con Selepin che aveva guidato la mobilitazione per le Terre Vergini. Il leader si allontanava dai suoi sostenitori diventando sempre più pericoloso ed imprevedibile, anche se sul momento raggiunse traguardi come il lancio dello Sputnik il 4 ottobre 1957. Si aprirono piccoli spazi di pensiero libero con nuove istituzioni di analisi economica e scientifica mentre tutti credevano possibile un sorpasso sovietico sull’America. Le riforme dell’agricoltura furono disastrose: si abolirono le consegne obbligatorie degli appezzamenti che fu accolto con gioia ma non si comprese che lo scopo era abolirli. QUando si decise di far acquistare macchinari obbligatoriamente dal MTS si aumentò l’indebitamento dei contadini e la rovina di queste macchine. La decisione di far vendere le bestie al colchos aumentò la carne in giro (furono uccise tante bestie) ma fu il sintomo di una crisi che di lì a poco sarebbe arrivata. Le vittorie apparenti di Chruscev si trasformarono presto in sconfitte e a caro prezzo per la popolazione, migliaia di colchoz furono riuniti in entità ancora più grandi e alcuni trasformati in sovcos, interamente sulle spalle dello stato, appesantendo i bilanci. La crescita continuò fino alla crisi del 1962, anche quella tecnologica era sempre più dura e la priorità del KGB tornò lo spionaggio tecnologico. In campo culturale si ebbe una grossa stretta, come nel caso Pasternak che dovette rifiutare il Nobel. L’attacco alle nazionalità passò per una riforma della scuola che rendeva l’istruzione un fatto politico e di ceto sociale, scatenando forti proteste (per accedere all’università, infatti, si teneva conto della carriera professionale e ai criteri politici). La riforma che favoriva il russo come lingua nazionale e aboliva l’obbligo di istruzione nella lingua locale lasciando libertà di scelta alle famiglie. Sul piano dei rapporti internazionali tra comunisti Chruscev fece fucilare Nagy (1958) in Romania per mandare un messaggio a Tito e ricordargli il suo posto. Con Mao, dopo essere andato a Pechino, si rese conto che lui si credeva Dio e la sua decisione di poter sopportare un bombardamento nucleare americano se l’Urss avesse risposto, convinse il leader a non cedergli tecnologia nucleare rovinando definitivamente i rapporti. Nel 1959 Chruscev minacciò con un ultimatum per trovare un accordo su Berlino, altrimenti avrebbe ceduto alla DDR il controllo delle comunicazioni e dei confini. Ottenne un incontro con i ministri degli esteri e un viaggio in USA. Al ritorno i rapporti con Mao si sgretolarono definitvamente e questi fu accusato di cattivi rapporti con gli americani. Il peso delle donne nella crescita economica era alto perché, seppur più di 200 milioni di abitanti, le donne erano più degli uomini a causa delle purghe e della guerra. I russi erano solo il 55% della popolazione, anche se in netta maggioranza nella loro repubblica e in alcune altre. Gli ebrei erano più di 2,3 milioni e i rapporti col regime erano ancora difficile seppur migliorati. Corruzione e inefficienza erano ancora un tallone d’Achille nell’apparato statale ed il partito faceva finta di non vederle per evitare di doverci fare i conti. 3. Rilanci e fallimenti, 1960-1964 La parabola di Chruscev stava lentamente volgendo al termine, Breznev era già capo del Soviet supremo e godeva dei favori dei dirigenti, e l’abbattimento di un U-2 sui cieli sovietici fece saltare la conferenza di Parigi quando il leader sovietico chiese le scuse di Eisenhower per non perdere la Cina. Alla fine i rapporti con la Cina si distrussero per sempre con il ritiro dei consiglieri sovietici e l’inadeguatezza al ruolo cominciò ad essere evidente per molti. Nel 1960 Cuba diventava comunista e il Congo anche sotto l’ala protrettrice sovietica. Intanto molti paesi, Albania e Romania in testa, cercavano di allontanarsi dalla morsa sovietica approfittando del conflitto diplomatico tra Urss e Cina. La fuga di milioni di persone dalla Ddr in Germania costrinsero, seppur tra mille pensieri, a costruire il famoso muro di Berlino per impedirne ancora la fuoriuscita. Era un’ammissione di inferiorità incredibile e un duro colpo per il regime. Il XXII congresso si aprì con l’esplosione di una bomba termonucleare e con l’obbiettivo di arrivare al comunismo entro il 1981, superando la produzione americana in tutto e per tutto. Lo stato favoleggiato da Chruscev, nel quale si sarebbe persa la figura repressiva del governo, che però non sarebbe sparito, e un uomo nuovo lo avrebbe abitato era completa follia nella realtà nel quale era stato pronunciato. Veniva rimossa la salma di Stalin dal mausoleo di Lenin e cominciava un attacco contro le corrotte dirigenze nazionali non russe, colpevoli di aver mentito sul raggiungimento dei piani. Sulla cultura la stretta era ancora forte, Sacharov aveva scoperto che i test nucleari causavano migliaia di tumori e voleva bandirli dall’atmosfera, ma fu rifiutata la sua richiesta. La nuova crisi economica era data dal solito surplus di domanda che portava; inoltre l’agricoltura diventava sempre più costosa perché il prezzo della merce che vendeva era sempre inferiore al costo che era necessario a produrla, generando immensi problemi. La decisione di mettere dei missili a Cuba era molto pericolosa per la vicinanza dell’isola all’America, ma Chruscev pensava sarebbe servito a trattare con gli americani alla pari. L’incidente del primo giungo a Novocerkassk, nel quale morirono molte persone e ferite altre, generò paura nei vertici dell’Urss verso le fasce marginali della popolazione. Alcuni generali protestarono per la repressione e più tardi Saposnikov sarebbe stato arrestato (cinque anni dopo). La crisi dei missili di Cuba distolse, momentaneamente, Chruscev dalla questione interna. Quando Kennedy si accorse dei missili la tensione si alzò rapidamente e fu fatto un blocco navale contro Cuba, invece di attaccarla direttamente. Dopo uno scambio di messaggi televisivi nei quali il leader sovietico chiedeva il ritiro dei missili dalla Turchia in cambio di quello da Cuba le cose andarono per il meglio. Fu un grande momento rovinato dal fatto che il ritiro dei missili dalla Turchia fu tenuto segreto. Chruscev fu attaccato da molte parti per la sua scelta, soprattutto da Castro e Mao. Decise di costituire un organo per combattere la corruzione dato a Selepin che lo usò anche per cospirare contro il leader stesso. Fu approvata la mozione di dividere il partito in agricolo e industriale e l’abolizione dei comitati di partito nelle zone rurali. In politica estera gli effetti positivi di Cuba cominciarono a farsi sentire e i missili nucleari cominciarono a non essere più una concreta soluzione, anche e soprattutto perché avrebbero portato ad una guerra difficile da gestire. Fu installata la ​linea rossa tra Mosca e Washington nel 1963 e si mettevano al bando i test nucleari nell’atmosfera. La Cina metteva sotto accusa Mosca e Mao alzava il tiro accusando direttamente Chruscev, alcuni stati comunisti premevano per far ricomporre lo scisma. Mentre i tassi di crescita declinavano di continuo il leader cominciò a pensare che per rimettere in moto l’agricoltura bisognava fare qualcosa per finire il processo di “decontadinizzazione” dei colchoz. Pensò non a sterminarli, come fece Stalin, ma a migliorarne le condizioni estendendo ad alcuni il sistema pensionistico. Da più parti gli intellettuali, mentre le ​kompanye ​si politicizzavano, chiedevano a gran voce il rispetto dei diritti umani e della legislazione sovietica. Si arrivò a minacciare la chiusura dell’Accademia delle scienze perché rifiutava di eleggere un amico di Lysenko. In Ucraina il congresso sullo stato della lingua destò molte preoccupazioni e la repressione verso gli intellettuali aumentò nemmeno troppo lentamente. Nella primavera ‘64 Chruscev festeggiò il sessantesimo compleanno andando a partecipare all’inaugurazione della Diga di Assuan. Il complotto contro Chruscev era stato scoperto dal figlio Sergej ma non ottenne risultati. Alla fine il 13 ottobre fu messo sotto accusa dal Presidium straordinario da molti membri tra cui Kosygin e Selepin. Il leader, vecchio e stanco, decise di non combattere, soddisfatto della direzione che aveva impresso al corso della Storia. L’Urss lasciata era migliorata notevolmente, pur nelle contraddizioni evidenti ed ora bisognava capire in che direzione si volesse riformare. conto del fallimento del piano socialista contro il benessere occidentale che aumentava. Così si commissionarono inchieste segrete per capire l’aria dentro le associazioni giovanili comuniste. In Cecoslovacchia la situazione era sempre più preoccupante, nel dicembre 1967 era stato sostituito Novotny con l’elezione a gennaio di Dubcek. Le riforme portate avante da questo suscitarono preoccupazione tra marzo e febbraio ma egli era attento a giocare la partita. Breznev volle gestire la cosa collegialmente ma questo portò a spingere molti per la risoluzione militare della cosa. Nekric cominciò a pensare che “la cosiddetta società socialista cominciò a disintegrarsi a Praga, a causa della Parola, della glasnost’”. ​Termine che diverrà simbolo della dissoluzione insieme a ​perestrojka. Gli eventi del sessantotto in Europa non fecero che aumentare i timori che la situazione stesse sfuggendo di mano e si pensò di poter reprimere con l’esercito Ceco, guidato da Dubcek, tutto. Ma egli fu considerato inaffidabile e così si dovette fare un’invasione in prima persona. Il compromesso segreto raggiunto tramite dei negoziati fu celebrato il 3 agosto ma interpretato diversamente dalle due parti. Così Breznev si convinse di essere stato ingannato e si convinse che rimaneva soltanto un’alternativa concreta. L’intervento fu multilaterale ma sotto l’egida sovietica. Tra il 20 e il 21 cominciava l’invasione, successo militare e fiasco politico. Le trattative con i leader arrestati furono dure e portarono alla fine di molte riforme ma rimisero i leader in gioco. Dopo i funerali di Palach che si era dato fuoco per protesta, fu rumosso Dubcek e messo Husak che sarebbe rimasto lì per vent’anni. La politica di riavvicinamento agli USA fu vista in maniera più calma ora che Breznev aveva dimostrato la sua fermezza. I nuovi rapporti erano più distesi perché Johnson voleva chiudere il Vietnam e anche con Nixon furono così. Fu avviato un trattato sul controllo delle armi strategiche. La prima riunione si tenne in novembre 1969. Le reazioni non furono buone in USA e questo avrebbe dato l’avvio alla costruzione di una nuova destra in America. Gli intellettuali furono molto feriti dall’invasione della Cecoslovacchia e questo fu una frattura molto difficile da sanare che condusse l’Ufficio Politico considerare gli intellettuali nemici da abbattere. La repressione ebbe due obbiettivi: quelli a favore delle riforme e quelli che avevano solidarizzato con loro. La sconfitta nella corsa alla Luna e in quella negli armamenti convenzionali era un duro colpo da digerire per tutti mentre si tornava sulla strada vecchia abbandonando tutte le riforme. La riabilitazione in occasione dei 90 anni dalla nascita di Stalin era stata discussa a lungo e Breznev alla fine aveva deciso di far pubblicare articoli in suo onore ma senza troppe “fanfare”. 3. Segnali di crisi e affermazione internazionale, 1970-1974 L’ottavo piano quinquennale ufficalmente fu il migliore del dopoguerra ma non era vero. I dati quantitativi in aumento mascheravano la solita crisi qualitativa del sistema che si sperava di colmare con l’acquisto di tecnologia occidentale e credito. La crisi in Polonia per l’aumento dei prezzi del dicembre 1970 era molto grave e Gomulka chiedeva l’intervento sovietico, fu sostituito da Gierek e gli fu dato libero accesso al credito occidentale pur di evitare l’intervento militare. Le crisi agricole tra 1970 e ‘75, alternate da buoni raccolti, costrinsero l’URSS a spendere tonnellate d’oro in tonnellate di cereali e carne. La criminalità continuava a crescere e si legava a doppio filo alla corruzione dell’amministrazione pubblica che rendeva tutto ancora più pesante, mentre una seconda economia fatta di iniziativa privata si sviluppava su quella statale. L’ideologia moriva con la crisi e si sviluppava una sorta di neolingua ipocrita che nascondeva gli insuccessi con finti insuccessi rendendo ancora più negativa la popolazione che si sentiva autorizzata a fare tutto (se i capi rubano, ruberemo anche noi). L’​intellighencija ​si radicalizzava sempre di più e gli intellettuali cercavano nuovi modi per esprimere il loro dissenso verso il regime che non sopportavano più, questo dissenso arrivava anche in Occidente sabotando l’immagine del regime che, in alcuni casi, non agì contro gli intellettuali perché troppo preziosi. Al XXIV Congresso Breznev cristallizzò la situazione affermando che il socialismo, in quanto sviluppato, non aveva più bisogno di riforme perché ormai si erano superati gli squilibri del sistema. Questa stabilità fu perseguita anche in politica estera, soprattutto perché la distensione era vista come mezzo per ottenere più finanziamenti occidentali e risolvere i problemi. L’incontro di NIxon a Pechino con i cinesi fu un’astuta mossa che serviva a chiudere accordi con i Sovietici sperando di uscire dal pantano del Vietnam. Nella visita successiva a Mosca si firmarono i trattati sulle Armi strategiche, che le limitavano ad un tetto comune, riconoscendo Mosca come superpotenza missilistica. Successivamente si acquistò grano USA e firmò il trattato sui missili antimissili. Riprese l’emigrazione ebraica, seppur non in maniera continua ed ampia. L’​Ostpolitik e la distensione generarono malconento anche nella destra americana che non voleva favorire la pace interna del nemico, ma danneggiava nel lungo corso anche l’Urss tutta non in grado di tenere il passo con l’ovest e indebitandosi fino al collo. Furono rimossi i leader georgiano e ucraino, Mzavanadze e Selest con accuse diverse perché si temeva il crescente peso delle popolazioni non slave e degli atteggiamenti romeni e cechi sempre più lontani da Mosca. Il regime giocò per tutto il decennio con un atteggiamento ambiguo di allentamento sui processi di nazionalizzazione e, dall’altro lato, sulla russificazione sempre più forte nelle repubbliche soprattutto occidentali. Mentre i rapporti continuavano a distendersi dopo la firma della pace del ‘73 col Vietnam, si perdeva terreno in tecnologia con gli americani e l’economia, che cresceva per le esportazioni di petrolio e gas, non era comunque in buone condizioni. Le distanze con gli intellettuali aumentarono quando, dopo la traduzione in inglese di ​Arcipelago Gulag Andropov fece esiliare Solzenicyn. Anche dentro la dissidenza si formarono spaccature che sembravano vedere il trionfo del regime, ma non era così la crisi era inarrestabile e questo decennio sarebbe stato fondamentale nella caduta del regime. L’economia potè reggere quando, dopo la guerra del Kippur nel ‘73, il petrolio cominciò a salire di prezzo. In questo modo l’Urss poteva acquistare tutto quello che voleva avendo miliardi di dollari a disposizione. Inoltre i paesi sovietici non produttori di petrolio ai quali si vendeva a prezzi fissi, a causa di accordi pruriennali, erano sempre più considerati un peso di cui liberarsi. In Etiopia Menghistu conquistava il potere deponendo Selassié ed instaurando il marxismo leninismo come dottrina. 10. Tra illusioni di vittoria, crisi sistemica e tentativi di risveglio, 1975 - 1986 1. Illusioni di vittoria e degrado, 1975-1979 La morte di Mao, la distensione che sembrava definitiva con gli USA, sembravano portare ad un epocale mutamento nei rapporti di forza mondiali che Breznev espresse nel XXV congresso del 1976 che si giovava degli accordi di Helsinki del 1975. Sul piano estero si giocava su un doppio filo: distensione e scelte avventate come quella di installare missili a medio raggio in Europa senza pensare alle conseguenze. Il regime cercò di tenere a freno le tensioni interne, soprattutto in Polonia, che gli accordi avevano generato mentre la crisi non era sul punto di finire e Breznev era colto da un secondo colpo che ne riduceva l’autonomia di molto. Tutto stava degenerando, il gruppo centrale dirigente lavorava sempre meno, soprattutto Breznev che non riusciva più fisicamente e così le cose sfuggivano totalmente di mano lasciando spazio a corruzione di ogni genere. Intanto uomini come El’cin e Gorbacev lavoravano sempre più da soli e in autonomia, ciò non voleva dire che potevano infischiarsene dell’opinione e volontà di Mosca ma ormai non c’era più un controllo così stretto. La Costituzione approvata nel 1977 sanciva la preponderanza del partito sullo stato che, così, smetteva di essere illegale. Intanto le nazionalità erano osteggiate e si obbligava come lingua unica il russo nell’esercito e nei primi tre anni d’istruzione. aggravavano. Alla Conferenza sull’ideologia Gorbacev espose le tesi che avrebbero animato la prima fase della ​perestrojka. I suoi viaggi all’estero promossero l’immagine di uomo con il quale si poteva trattare. Il 10 marzo morì Cernenko. Gorbacev passò la notte con Ligacev e Cebrikov, capo del KGB. Tutti erano d’accordo sulle riforme. 3. Grandi speranze e decisioni sbagliate, 1985-1986 Il sostegno di Gromkyo fu decisivo nella nomina a Segretario del partito, anche perché lui voleva diventare presidente del Soviet supremo. Nel discorso di insediamento Gorbacev non fece mistero del suo intento riformatore e negli anni successivi in molti avrebbero seguito la scia pur non avendo un programma preciso, come ammise lui stesso poi. Il primo Gorbacev, converranno alcuni, era animato da un sincero intento riformatore ma era così impregnato della retorica sovietica da non comprendere davvero cosa avesse portato a quel punto. La riforma dall’alto fu avviata con vigore ma con procedimenti vecchi che non avrebbero portato grandi giovamenti. Ci furono movimenti diversi che portarono a riforme diverse in quei tre anni che spesso erano fatte con intenti troppo distanti tra loro per risultare in un programma unitario. La base dalla quale si partiva per migliorare la situazione fu un rinnovato investimento nell’industria pesante che non poteva portare ad un risultato diverso da quello del primo piano quinquennale. Ma questi investimenti erano incompatibili col miglioramento del tenore di vita. I risultati furono pessimi perché aumentarono il debito e la produzione industriale, che all’inizio ne giovò, non avrebbe retto a lungo. La popolarità del governo fu intaccata anche dal varo del proibizionismo. Ci fu un’ondata di criminalità a seguito del proibizionismo mentre Gorbacev pensava sempre più necessaria una riduzione degli armamenti che poteva essere data soltanto dalla fine della Guerra Fredda. Fu sostituito al Soviet supremo Gromyko con Sevardnadze che non sapeva niente di politica estera ma condivideva le idee del leader. Sul piano rapporti con USA Gorbacev promise a Reagan nel 1986 a Ginevra una riduzione della minaccia sovietica missilistica, era un’ammissione di inferiorità. Intanto i riformisti fecero un passo in avanto con la nomina di El’cin alla testa del partito della capitale che dichiarò guerra alla ​nomenklatura​ e i suoi privilegi. Al XXVIII Congresso furono presentati dati economici ottimi, depurati dai danni del proibizionismo, che convinsero di star andando nella direzione giusta. Il congresso aprì la seconda fase della ​perestrojka che cavalcava la ​glasnost’ (trasparenza, libertà di parola) e Gorbacev presentava il processo non come ristrutturazione ma riforma radicale di tutto. Dopo il congresso il Leader versò in uno stato di entusiasmo rotto da un viaggio lungo il Volga che gli ricordò i problemi del paese e lo convinse di dover riformare l’industria leggera per migliorare la condizione della gente. Intanto il disastro di Chernobyl colpiva il mondo intero. Per due mesi la questione assorbì le energie del governo. La ​glasnost apriva alle critiche al sistema, soprattutto da parte degli intellettuali e questo destabilizzava ancor di più il regime, già traballante. Mentre i progressisti conquistavano posti importanti per esporre il loro dissenso, per esempio nelle riviste. Riforme scellerate come quella contro il “reddito privato” cioè che veniva da lavori non dello stato, tipo artigianali, non fece altro che aumentare lo scontento della popolazione. Quando si cercò di porvi rimedio con una riforma in senso opposto era già tardi. Riformatori come El’cin spesso agirono senza capire che riformare un sistema amministrato con metodi amministrativi era inutile e caddero nello sconforto, nel 1986 successe anche a Gorbacev stesso. Il summit con Reagan a Reykjavik all’inizio sembrava foriero di speranze perché la proposta sovietica di ridurre subito gli armamenti fu accolta, inizialmente, e rifiutata quella di rinviare il piano del programma “guerre stellari”. Il progetto antimissile era troppo importante per lui e quindi questo portò ad un’apparente rottura tra i due che erano però rimasti impressionati l’uno dall’altro, positivamente. Il calo dei prezzi dell’energia portò alla luce la crisi dell’economia che si aggravava soprattutto perché i paesi satellite cominciavano a vedere con chiarezza che il futuro era dell’Occidente e il sistema sovietico non era più in grado di garantire niente. Le riforme utili come quella dei prezzi, però, non si volevano fare o, come disse Gorbacev, non si potevano per non screditare la ​perestrojka​. Ora che bisognava tagliare le burocrazie create per razionalizzare tutto e rendere il sistema più leggero le cose peggioravano perché, ovviamente, nessuno era disposto a cedere il proprio posto ottenuto. Per dare un esempio alle altre repubbliche fu rimosso il presidente Kunaev dal Kazachistan e sostituito da uno mai stato lì, creando disordini. L’insofferenza di Gorbacev stava aumentando e lo spingeva a scelte difficili, che andavano contro il sistema stesso. 11. Riforme, crisi, collasso, miracolo, 1987 - 1991 1. I riformisti si dividono, le nazionalità si muovono, 1987-1988 Il plenum di gennaio mise in crisi i riformisti perché Gorbacev era ormai convinto di dover “operare” un corpo malato, non riformarne uno sano. Molti non erano più d’accordo perché non riconoscevano più la riforma che avevano accettato e cominciarono ad opporvisi mentre il leader cambiava il 90% dei quadri del paese. Mentre l’economia continuava la crisi, dopo l’infelice idea di porre i beni di consumo civile ai controlli di tipo militare, che avevano ridotto la produzione drasticamente, in politica estera le cose andavano meglio. Con Reagan, a Mosca col suo uomo Shultz a farne le veci, si raggiunse un accordo sull’opzione zero e su un ulteriore disarmo di missili. Gorbacev fece poi rimuovere e arrestare i vertici militari sostituendo il ministro della Difesa Sokolov con Jazov. Le riforme per le industrie di stato e per la ristrutturazione della direzione economica erano fumose e si rivelarono disastrose. Liberare dagli indici economici centrali le industrie le incoraggiò a produrre più del dovuto accentuando gli squilibri nel paese e la decisione di far eleggere i dirigenti di fabbrica dagli operai portò alla conseguenza di aumenti di salari enormi nel paese. Le proteste di piazza, favorite dalla ​glasnost’ si moltiplicarono favorendo lo sciovinismo russo che avrebbe portato alla fine e ad una Russia sempre più isolata. Il rifiuto di usare la forza da parte di Gorbacev acuì ancor di più la situazione delle proteste. Intanto El’cin era rimosso dal suo incarico e umiliato in una seduta del comitato della capitale. Gorbacev lo nominò vicecapo dell’ente statale per le costruzioni. Fu il primo errore politico di Gorbacev che rendeva El’cin campione della vera riforma contro una ​perestrojka​ fallimentare. A dicembre si firmò il trattato di riduzione dei missili di media gittata e delle armi nucleari e quindi il Leader divenne simpatico al mondo e a Reagan. Il caos nelle repubbliche minori era sempre più forte, soprattutto quando venen fuori che le pressioni turche avevano determinato negli anni Venti l’assegnazione del Nagorno-Karabach all’Azerbaigian. Cominciarono rimpatri e accuse all’Urss incapace di reprimere. La crisi interna del partito fu acuita dalla pubblicazione di una lettera di un’insegnante che fu ripresa da Ligacev per attaccare la ​perestrojka​. Alla fine i conservatori (che pure erano riformatori) furono umiliati e questo cambiò il clima del paese. Nacque alla XIX conferenza di partito l’idea di creare un nuovo organismo, il Congresso dei deputati del popolo, eletto dal popolo e che avrebbe eletto il presidente dell’Urss. Era una mossa pericolosa che rischiava di minare definitivamente l’autorità. Gorbacev cominciò a lavorare all’elaborazione di un nuovo concetto di socialismo che ormai nessuno sapeva più cosa fosse. Intanto si convinceva che sia conservatori che radicali avessero affossato la ​perestrojka e gli effetti negativi di tutto cominciavano ad essere evidenti. Lacis e Gajdar chiesero al Leader di ridurre le spese, cominciando da quelle militari e cominciare a vendere prodotti importati a prezzi maggiorati. Egli rispose che bisognava fare gradualmente. Intanto il taglio di molti dei Comitati di partito dava l’avvio ad una crisi amministrativa perché il partito era lo stato e non si poteva farne a meno. Inoltre allontanò i brezneviani dall’Ufficio politico e cambiò presidenza al Kgb. paese e un candidato Polozkov, di Gorbacev, che non voleva riformare nulla. Vinse il primo aprendo ad un periodo di doppio potere a Mosca e doppio parlamento (quello russo e quello sovietico). La dichiarazione russa aprì la corsa alla sovranità statale di tutte le repubbliche che convergevano nell’idea di federazione di stati sovrani e non di stato partito che dominava tutto. Era l’idea, tardiva, di Gorbacev per mantenere in piedi l’Urss. Polozkov era diventato il capo dei comunisti russi ed era convinto che dovevano sposare la causa nazionalista per sopravvivere. Al Congresso del partito Gorbacev rigettò il totalitarismo e mentre El’cin attaccava il congresso e lo abbandonava, guadagnando popolarità tra i riformisti. Il tentativo di riconcigliarsi con El’cin, pur mantenendo la guida dell’Ufficio politico, fu fatto in campo economico dove si stabilì un gruppo di lavoro che lavorasse alle riforme. Le correnti di pensiero erano due: stabilizzare l’economia riducendo l’inflazione e poi riformarla (sostenuta da Abalkin e Ryzkov) oppure dare il via alle privatizzazioni subito (El’cin). Alla fine le repubbliche scelsero la seconda strada. Fu la spaccatura definitiva e l’accusa di Gorbacev di lasciare da parte il problema dell’Unione politica fu la tomba definitiva della questione. 3. Reazione e miracolo, 1990-1991 El’cin sottraeva il controllo delle risorse primare all’Urss facendo approvare una mozione al parlamento russo. Ogni repubblica in attesa di un trattato federale riconosceva le leggi più comode per lei. Il 16 novembre l’Ufficio politico fece capire a Gorbacev che era ora di difendere tutto e bisognava rafforzare la “verticale del potere” sciogliendo il Consiglio presidenziale, sostituito da un Consiglio di sicurezza che avrebbe organizzato il golpe di agosto. Per affermare la propria forza fu scelto lo scontro con il Baltico dove si occupò con la forza Vilnius. Gorbacev, però se ne lavò le mani dicendo che non aveva autorizzato niente, dopo un primo momento di sostegno, e diventando per molti il “più grande bugiardo della storia”. El’cin aveva firmato invece un accordo con le repubbliche baltiche che riconosceva la loro sovranità e faceva della Russia una sostenitrice dell’indipendenza delle altre nazioni. Il rifiuto di appoggiare l’Iraq da parte di Gorbacev, ma addirittura di condannare l’invasione del Kwait fu considerato un ulteriore segno dell’inadeguadezza dell’uomo che perse molti consensi tra i dirigenti di partito. In Armenia venivano abbattute statue di Lenin e proclamata la privatizzazione. Il referendum che chiedeva se il popolo voleva mantenere l’Unione come “unione libera di cittadini che rispettasse i diritti umani” ottenne la grande maggioranza dei consensi, pur tenutosi in nove repubbliche su quindici. Ma ottenne grandi consensi l’aggiunta in Russia e in Ucraina di due domande: eleggere un presidente russo tramite il popolo e l’indipendenza ucraina. Entrambe adottarono la prima soluzione. I conservatori decisero di usare la vittoria al referendum per destituire da presidente del parlamento russo El’cin e minarono la sua candidatura a Presidente russo. Intanto la crisi economica si aggravava sempre più spingendo Gorbacev ad abbandonare la sua alleanza con i conservatori. La vittoria del referendum convinse Gorbacev che bisognava salvare l’Unione riformandola e si riavvicinò ad El’cin facendo infuriare i suoi ex-alleati. Molti furono gli avvertimenti di una cospirazione di uomini ex-consiglieri ecc. Ma i due la vedevano in modi molto diversi sul futuro della nuova Unione. El’cin voleva un ruolo preminente della Russia e voleva essere lo stato con più poteri degli altri, mandando anche in pensione i riferimenti al socialismo. Gorbacev voleva che socialista apparisse nel nome, cosa non voluta dall’altro che fu seguito da molti. Le elezioni russe confermarono la vittoria, temuta, di El’cin e la sensazione che la popolazione incolpasse il partito di tutto quello che aveva subito negli anni. Gli avvertimenti di un complotto giungevano ancora a Gorbacev ed indicavano uomini come Pavlov, Janaev e Jazov tra i colpevoli. Ma lui non vi credette e fu più preoccupato dai risultati delle elezioni. L’ultimo plenum del Comitato Centrale vide la rimozione dei riferimenti marxisti-leninisti e l’abbandono della logica sovietica, considerata ormai fallimentare. Il 29 luglio Gorbacev, El’cin e Nazarbaev si incontrarono per decidere la spartizione di cariche della nuova Unione degli stati sovrani di cui il primo sarebbe stato presidente e il terzo capo di governo, rimuovendo elementi come Pugo, Janaev e altri che lo seppero perché avevano fatto piazzare microfoni in quella stanza. Il 30 arrivò Bush a Mosca, accolto da Gorbacev, e si firmò lo Start 1. Mentre il 4 agosto, dopo aver annunciato la prossima firma del trattato, Gorbacev partiva per Foros in vacanza, si preparava il Golpe che coinvolgeva molti uomini del partito. Il golpe non andò come sperato e molti si defilarono ancor prima che iniziasse, dopo il rifiuto del Leader di sostenerlo. Janaev firmò riluttante lo stato d’emergenza e poi si diede alla bottiglia. La mattina del 19 agosto le colonne di blindati entrarono a Mosca e nel Baltico. I sostenitori di El’cin furono solo due: il kirghizo Akaev e Nazarbaev. Gli altri riconobbero l’autorità golpista. Il golpe fallì perché organizzato male, non ci furono arresti preventivi e non si prese il controllo della tv che potè trasmettere El’cin in piedi su un carro armato che invitava i russi a disubbidire ai golpisti. Alla fine fu liberato Gorbacev e portato a Mosca su un aereo in un clima di festa. Dopo aver riaffermato la fede nel socialismo e provato a nominare vecchi dirigenti del partito Gorbacev si dimise e fu la fine di tutto. Il golpe era fallito perché l’Unione era cambiata in modo irreparabile. Seguirono suicidi di membri del partito mentr El’cin firmava la disgregazione del Pcus in Russia e Gorbacev non convocava più il Comitato centrale, sciogliendolo di fatto. Lentamente tutti gli organi di partito si scioglievano senza troppo clamore mentre le repubbliche annunciavano la loro indipendenza esercitando il diritto di secessione. La nascita del nuovo stato fu affidata ad un referendum popolare mentre Gorbacev cercava di salvare l’Unione. Andavano avanti i progetti di tenere una confederazione con uno spazio economico comune e libertà dei propri cittadini e difesa da forze armate. Gorbacev cercava di ottenere di più mettendo a rischio il poco che si poteva salvare. La Gosbank non poteva più impedire alle banche nazionali di stampare rubli e l’inflazione andava alle stelle mentre l’oro era poco e il grano ancora meno. Quando il referendum ucraino sancì l’indipendenza fu la fine di tutti i progetti di confederazione, unione o federazione. L’8 dicembre i tre presidenti slavi delle nazioni che avevano fondato l’Urss si riunirono per decretarne la morte e la nascita di una Comunità di stati indipendenti, alla quale le altre repubbliche erano invitate ad aderire. A Belovez (dove si erano incontrati i tre presidenti) fu concordato il rientro delle testate nucleari Ucraine, Kazake e Bielorusse, risolvendo un gravoso problema mondiale. Il 25 dicembre Gorbacev pronunciò un discorso in televisione nel quale salutava la popolazione augurando pace e libertà. La bandiera rossa, alle 19:30 cessava di sventolare sul Cremlino, al suo posto il tricolore russo. 12. Cos'è L'Unione Sovietica? Interpretazioni, storiografie, mitologie 1. Di fronte alla novità, 1917-1939 I primi dibattiti furono quelli sulla natura socialista. Lenin sapeva di aver fatto una rivoluzione contro “​Il Capitale​” di Marx oltre che contro il capitalismo. L’identificazione tra Urss, socialismo e comunismo avvenne dal 1919 in Europa tra i sostenitori e i detrattori. Alcuni intellettuali sconfitti cominciarono a riconoscere, quantomeno, di aver salvato la continuità statale grande russa recuperando molti dei territori originali. Il comunismo di guerra alzò il livello del dibattito diminuendone però l’eco, nei paesi come Polonia e Germania comunque diminuì il sostegno all’avventura sovietica. Molte opere di storici e non solo cominciavano già ad intravedere una continuità o affinità tra giacobinismo e bolscevismo nell’uso degli stessi metodi per perseguire scopi simili. Si apriva già tra il 1919-1921, anche in seguito alla rivolta di Kronstadt la discussione sul governo di classe sovietico. Infatti già Lenin affermava orrori del secondo. La Nep, seguendo i progressisti sovietici, era presentata come un periodo ricco di potenzialità e non una fase necessaria per preparare la rivoluzione dall’alto di Stalin. Essenzialmente la storiografia occidentale era ferma agli anni venti e solo opere come quelle di Rigby o Conquest cominciarono a porre l’attenzione su periodi successivi come le purghe del 1937-1938. 4. Una strana creatura: l’Urss di Breznev Fiorirono durante la crisi del mito sovietico studi sugli operai e sulla continuità tra il 1905, il 1912 e il 1917 che distaccava questo da fattori come la persona di Lenin e la guerra mondiale. Altri studi sottolinearono intenzioni democratiche bolsceviche sopite a causa dei nemici interni. Studi sottolineavano come la rivoluzione dall’alto di Stalin fosse anche frutto di una spinta dal basso operaia che ne aveva fornito un contenuto di promozione sociale e base popolare. Intanto Urss e Russia rimanevano termini interscambiabili. Gli storici antitotalitari erano protagonisti spesso di analisi troppo limitate per spessore interpretativo e, alcuni come Davies, si basavano solo sulle fonti ufficiali e non sulle testimonianze, fornendo immagini distorte della realtà. Lewin formulò la tesi delle due anime del paese connesse ma in contraddizione: quella dell’assalto alla burocrazia e quella dell’edificazione di una nuova. Queste due producevano il terrore periodico e dall’altra la necessità di stabilità. Nel 1978 si cominciò a parlare di stati post totalitari in cui il totalitarismo si presentava come immobilismo, conformismo, servilismo e soffocamento (Havel, futuro presidente ceco). All’Urss brezneviana, dopo l’uscita di ​Arcipelago Gulag ​di Solzenicyn, erano imputate le colpe di quella stalinista, sostenendo che era innegabile vedere tracce di stalinismo dentro l’Urss di quel tempo, soprattutto nel sistema economico. Lowenthal, parlò dello stato sovietico come uno stato moderno in attesa che un regime truce riconoscesse l’unica opzione, allinearsi alla modernità. Molti criticavano la tesi sostenendo che la modernità non portava per forza un allentamento della morsa repressiva. I sovietologi credevano ancora nella vitalità di un sistema e si dividevano tra chi riteneva che le disfunzioni sarebbero state contrastate dalla razionalizzazione interna. Una minoranza prevedeva la necessità di affrontarle e gli effetti della modernizzazione avrebbero aperto margini alla liberalizzazione. Quasi tutti erano concordi nel ritenere difficile un risveglio popolare che avrebbe imposto riforme dal basso. La tesi principale era quella che riteneva esistente un tacito accordo tra stato e popolazione dove il primo offriva occupazione e sicurezza ed il secondo acquiescenza politica. Questa era nata per spiegare la costruzione di un piccolo ​welfare​ nell’era Chruscev. In un bilancio tracciato nel 1993, Linda Cook disse che il miglioramento dei servizi sociali del 1956 fino alla fine degli anni Sessanta e la determinazione a non alzare i prezzi dei beni primari ebbe un effetto positivo sul consenso del regime, delegittimandolo quando i prezzi del petrolio in picchiata costrinsero a tagliare questi privilegi. Emmanuel Todd, durante l’era Breznev, definì l’Urss una società feudale con una nuova casta e non una nuova classe che derivava i suoi benefici dallo status gerarchico e non economico. Alcuni sostennero che la società sovietica era stata proiettata all’indietro dalla rivoluzione che aveva fatto affiorare vecchi modelli nella cultura politica a partire dal carattere autocratico. Tucker, seguendo le tesi, disse che era in dubbio la presunta modernizzazione sulla quale aveva fondato le proprie analisi. L’interpretazione neotradizionale proseguiva su questo solco definendo il sistema sovietico segnato da crescente corruzione e familismo dei dirigenti. Questo accadeva perché il carisma del partito coincideva con molti attributi culturali e sociali propri delle società tradizionali. 5. Dopo il crollo Il crollo del regime rese possibile, con molte limitazioni, l’accesso a tanti documenti che prima erano impensabili per gli storici dando un grande impulso positivo alla ricerca. Il problema dell’analisi è che si può condurre solo su fonti ufficiali, tese dall’ideologia e dalla ricerca della creazione burocratica di un mondo perfetto. Per esempio dell’immigrazione a New York possiamo farci un’idea anche da lettere private mentre qui non è possibile perché questo era un argomento scomodo per l’Urss che scoraggiava gli storici. Il segreto regnava anche all’interno del regime su molte questioni rendendo i documenti spesso falsi o inutili. Malgrado le distorsioni, le nuove fonti hanno aperto prospettive nuove consentendo agli storici di concentrarsi su questioni prima non toccate. Ci fu un grande periodo di eccitazione per le scoperte avvenute dopo il 1991. Si sono affrontate le questioni più importanti degli anni Venti e Trenta e si sono analizzati i periodi come il secondo dopoguerra, Chruscev e la Guerra Fredda. I rapporti di Danilov hanno fatto emergere la durezza del conflitto tra stato e campagne, ad esempio, questo ha spinto autori a stringere il legame tra guerra civile ed anni Trenta. In quest’ottica la Nep ha visto ridursi i confini temporali ma soprattutto ha visto diminuire la concezione di essa come uno spazio di grandi cambiamenti ed autonomie che potevano portare chissà cosa. Gli anni Trenta hanno segnato la riscoperta del conflitto negli anni iniziali tra contadini e stato e operai e stato. Sono progredite le conoscenze sull’elite staliniana ed è stata ricostruita la corrispondenza di Stalin con Molotov e Kaganovic. Quindi si è rivalutato in negativo il mito sovietico, criticato da Furet nel ‘95 ed è arrivato il successo del termine ​totalitarismo​ che è divenuto di uso universale. Il termine usato è diverso dal concetto dei primi teorici, ha perduto parte della carica interpretativa per diventare termine usato per definire i nuovi stati prodotti dalla grande guerra, uniti da caratteristiche comuni ma diversi uno dall’altro. Nuovi termini sono nati per distinguere le due parti del sistema sovietico (fino al ‘53 è totalitarismo) come sistema amministrativo di comando. Il crollo dello stato sovietico ha anche stimolato interpretazioni che vedono la sua fine in parte causata dal periodo di pace succeduto dalla guerra, in quanto il regime era nato per la guerra. Pur non negando il sangue e la repressione, questa teoria poneva l’accento sulla “parte buona” che aveva poi preso il sopravvento (diverso dal nazismo, sulla dottrina, che mirava al degrado dell’uomo e non alla sua difesa). 13. Leninismo, stalinismo e terrore 1. Lenin e Stalin, leninismo e stalinismo La storiografia su Lenin ha analizzato diverse cose. Quanto ci fosse in lui di marxista, quanto di populista. Alcuni hanno sottolineare le novità delle sue riflessioni successive al 1905 soprattutto sul ruolo della violenza e del terrore e su una rivoluzione operaia e contadina che si svolgesse nell’impero russo. Fu rivalutato anche il ruolo di Stalin nella rivoluzione, che era stato danneggiato dalla visione Trockista di un burocrate malvagio e basta. Va sottolineato che era stato scelto da Lenin già dal ‘17 per occuparsi della questione nazionale che era fondamentale. Quindi i rapporti tra Lenin e Stalin all’inizio furono di maestro e allievo, ma questo non vuol dire che l’allievo abbia poi solo applicato gli insegnamenti del primo, tutt’altro. Le tirannie dei due furono simili ma diverse per i problemi affrontati e le personalità dei due leader. 2. Stalinismo e socialismo Stalin dopo la guerra tra stato e contadini del 1918-1922 aveva già vinto perché era riuscito a portare con sè il “partito della guerra civile”. Lewin disse che quello di Stalin fu un dispotismo agrario prodotto dal passato rurale. I nuovi documenti invece dicono che è stato un dispotismo agrario perché i contadini erano quelli che più voleva controllare. Il varo di cantieri del comunismo e l’accentuarsi del titanismo non cessava di indicare che il dittatore considerava la patria non ancora compiuta e quindi imperfetta, la società doveva arrivare alla sua vera forma. La vittoria apriva la porta alla parziale sostituzione del Grande Ottobre con la Grande guerra patriottica che era il trionfo di Stalin e generava l’adesione dei dirigenti delle campagne e della gente di città. D’altra parte essa sosteneva quell’ansia di verità che segnava la nascita dell’umanesimo sovietico, inizialmente fedele al regime, che poi avrebbe segnato la seconda fase dell’Urss a livello culturale. 2. Da veicolo di riforma a strumento di stabilizzazione Le riforme fatte dopo la morte del dittatore continuavano nel solco dell’ideologia ufficiale, almeno all’inizio. Poi emerse la tendenza ad esaltare il popolo sovietico volta a contrastare la spinta all’autonomia delle repubbliche voluta da Berjia. Il rinnovamento dell’ideologia non fu mai completo ed oscillò sempre, infatti si salvò l’esperienza e la struttura del 1929-1933 che rendeva però impossibile cambiamenti radicali. Questo fu anche il grosso limite di Churscev. Da questo clima nacque forse l’innovazione ideologica più grande di fine anni Cinquanta ovvero la definizione di Urss come stato di tutto il popolo. Questo portava ad una fase nella quale il nemico era della stessa classe del popolo e, quindi, non poteva che essere un deviato o un degenerato. Inoltre si apriva la fase di necessità di costruzione del comunismo. Il fallimento di Chruscev aprì alla sua rimozione, salutata con il sorriso da chi credeva ancora in una riforma possibile del socialismo. Tentativi condotti con pragmatismo che non condussero al nulla. Ci furono due strade condussero poi alla paura delle riforme causata dalla primavera di Praga. La prima strada portava all’esaltazione del regime militare che dava ampio spazio ai veterani, ricollegandosi al nazionalismo russo con il quale strinse un patto in campo culturale. Questa strada si scontrava con le altre repubbliche, quindi non potendo portare alla completa esaltazione della Russia. La seconda fu segnata dall’elaborazione del concetto di socialismo sviluppato. Inizialmente nato nell’Europa orientale per indicare la necessità di riforme, fu utilizzato da Breznev per distinguere il socialismo sovietico da quello cinese e lo fece diventare uno strumento conservativo non riformista. Questo atteggiamento portò all’ulteriore immobilismo e alla paralisi del sistema, di cui non era causa originariamente il termine socialismo sviluppato, perché si confaceva alla visione dei burocrati desiderosi di “calma”. L’ideologia non si congelò e trovavamo all’interno del partito numerose correnti diverse. Ancora di più si trattava di correnti dei dissidenti che giocarono un ruolo fondamentale nel rinnovamento culturale ed ideologico tra anni Sessanta e Settanta. Mosca prese anche a far pubblicare e premiare opere di cui Lenin avrebbe fatto fucilare l’autore. Nella seconda metà dei Settanta, mentre in Occidente si rianimava il dibattito sul totalitarismo veniva varata la Costituzione del ‘77 sul socialismo sviluppato. Ma verso la fine la retorica ufficiale non puoi far da scudo ad una crisi di sistema, soprattutto perché i riformisti rialzano la testa con l’elezione di Andropov a segretario generale. Si mettono in luce rapporti di produzione antiquati conservati perché favorevoli ad alcuni gruppi sociali. 15. Un'economia "impossibile"? 1. Prima della Grande guerra patriottica Il primo modello economico sovietico è il comunismo di guerra, nome assegnatogli dopo la sua fine. Costruito estremizzando l’economia di guerra tedesca. Mentre si consumava il dibattito tra sostenitori della militarizzazione delle fabbriche e non, in Europa uscivano teorie come quella di Mises che poneva in dubbio l’esistenza di un’economia senza moneta e mercati. Alcuni dirigenti come Bucharin e Trockij non furono insensibili a queste critiche e, quando nel 1920-1921 questo naufragò sostennero il ritorno di un mercato e di una moneta con la Nep. L’idea dei piani nell’economia non fu però mai abbandonata. La crisi fu accelerata dal sistema che vedeva lo sfruttamento come via maestra degli ammassi. Via criticata da Novozilov nel ‘26 dicendo che avrebbe generato enormi squilibri a causa del perenne credito dello stato e dell’eccesso di domanda. L’economia staliniana dei piani fu esaltata durante la crisi del ‘29 in Occidente ma uomini come Keynes erano ancora scettici a riguardo. Il sistema staliniano riprendeva anche elementi del comunismo di guerra. Il primato dell’amministrazione diretta delle cose, la preferenza degli obbiettivi espressi in termini fisici e non di valore. La crisi del 1930-1933 costringeva i dirigenti sovietici a rinunciare ad alcuni principi in campo economico: l’idea di abolire la moneta e i mercati. Si abbandonavano i principi marxisti e il sistema sembrava reggere per il momento, con i problemi già indicati. Il fallimento dell’idea di produrre un testo di economia all’altezza dei successi economici nel 1938. L’anno dopo Stalin pose il superamento dei paesi capitalistici attraverso la crescita dell’accumulazione e la fedeltà al piano. Intanto molte ricerche testimoniavano che la produttività dei Gulag era bassissima e molti dirigenti iniziarono a chiedersi se non fossero addirittura un peso. 2. Guerra e Guerra fredda La vittoria sovietica convinse della supremazia del modello planista che ebbe una nuova stagione in Occidente, soprattutto in Francia ed Inghilterra. La riforma monetaria del 1947 provava che Stalin ormai si era arreso all’inevitabilità della moneta nel sistema sovietico e del mercato di scambio. Nel 1952 Stalin formalizzò le sue posizioni sulla moneta. Il comunismo, cioè la fine di scambio e moneta, sarebbe rimandato ad un tempo senza colcos, che ne impedivano la realizzazione. C’erano leggi economiche oggettive che giocavano in Urss un ruolo importante, a causa dei colcos, quella dello scambio per esempio. In Urss la morte di stalin aveva permesso la ripresa della discussione sulle difficoltà economiche del sistema sovietico, che attraversava il periodo più felice. I vecchi dirigenti avevano le stesse conoscenze del 1920 e ci fu uno scontro con i giovani economisti che sostenevano controproducente il meccanizzare operazioni di stoccaggio, manutenzione e contabilità perché improduttive. Secondo Mau i limiti del dibattito furono dettati anche dal clima di terrore e paura e di isolamento calato sugli economisti sovietici dal 1929. Comunque le discussioni individuarono carenze strutturali come quella degli obbiettivi di fabbrica che i dirigenti si davano al ribasso in modo da poter conseguirli agevolmente ed ottenere premi. Le innovazioni non erano viste bene perché i profitti extra erano presi dallo stato e usati per aiutare le industrie in difficoltà. Tre erani le correnti: la prima sosteneva che i piani erano un dogma da seguire e il socialismo, semmai, andava gestito meglio; i secondi che sostenevano l’idea di agire sulle direttive alle imprese per lasciarle più libere di fare meglio; i terzi che proponevano di abbandonare l’idea del piano come indicatore per le imprese. Essi preferivano riformare l’autonomia d’impresa perché era proprio il piano a costituire un freno economico. La discussione continuò con il gonfiarsi delle promesse di Chruscev. I dibatti sfociarono nel 1965 nella riforma che mescolò in modo contraddittorio gli elementi delle posizioni nate nel decennio precedente. Coloro che erano contro le riforme presero i fallimenti delle riforme per sostenere che non si poteva contaminare il sistema con qualcosa di esterno come il libero mercato perché avrebbe distrutto la centralizzazione. Il gruppo dirigente diede ascolto ai conservatori e iniziò a guardare con sospetto ai riformisti che ancora sostenevano le loro tesi. 3. Declino e crisi In Europa era arrivato il momento di fare i conti con le avvisaglie del declino dell’economia sovietica. Molti storici si rifiutavano persino di pensare possibile una cosa del genere. Il senso di colpa di alcuni dirigenti portò tra il 1964 e il 1974 a qualche concessione a favore dei colcos: fu data una pensione, un reddito agricolo garantito e anche il passaporto interno ma non il diritto di riesedere in città. L’entrata di Gorbacev nel gruppo dirigente centrale nella fine degli anni Settanta portava la speranza di sistemare il settore, ma non fu così. 3. La “scoperta della carestia e della guerra contadina Nel ‘86 Conquest pubblicò un saggio che parlava di tutta l’esperienza degli ammassi e dei contadini in generale. La storiografia sulle carestie cominciava davvero da questo libro benché altri se ne fossero già occupati. Di carestia cominciò a parlarsi anche in Ucraina dove prima era vietato usare il termine. La pubblicazione dei rapporti dei diplomatici italiani aprì un nuovo dibattito perché la situazione descritta era devastante. Lentamente le carestie entrarono al centro della storia sovietica, soprattutto quelle del 1931-1933. Il dibattito si divise in due: chi considerava le carestie volute dall’alto e chi le considerava non volute ma sfruttate una volta arrivate. La resistenza contadina, scoperta recentemente, ha aperto il dibattito sull’applicabilità del concetto classico di totalitarismo al caso sovietico. 17. La questione nazionale 1. La nascita dell’Urss La scelta di Lenin di appoggiare l’autodeterminazione dei popoli avvicinò gli ex-territori dell’impero che cominciarono a pensare ai rivoluzionari come il male minore. Lenin e Stalin avevano due visioni diverse sul nuovo stato: il primo voleva l’Unione sovietica, dove russo era bandito come aggettivo e il secondo voleva una Russia federale. Anche i tentativi di Stalin di far prevalere la Russia e quindi di ritrasformarla nello stato da lui voluto non andarono mai in porto, a cominciare dal 1919 in Ucraina. I dibattiti su quali fossero le “scatole cinesi” che componevano l’Urss si parlò molto negli anni Venti e nel 1926 portarono all’individuazione di circa 200 popoli, ridotti a 172 nel ‘27. Lo spazio dato ai popoli oppressi, specialmente agli ucraini, fino al 1929 causò non poco malumore tra i ceti urbani russi e nel partito. La questione russa non poteva essere risolta nel quadro sovietico per non turbare gli equilibri con gli altri popoli. 2. Gli anni di Stalin Negli anni dopo la svolta del 1929 che poneva la lotta contro i nazionalcomunismi, ritenuti pericolosi, si accentuò in un centrismo conservatore. In Ucraina, ad esempio, furono repressi alti dirigenti, insegnanti ecc. perché frutto di un “indigenizzazione sbagliata”, soprattutto durante la carestia. Il culmine di queste politiche fu la passaportizzazione del 1933-1934. Con la fine della guerra mondiale le cose cambiarono portando al centro il popolo russo e destando il sospetto sui popoli che potevano aver collaborato con il nemico, come gli ucraini. Si usava ogni mezzo per reprimere le nazionalità pericolose, come inghiottire le chiese nate durante la guerra in quella ortodossa. 3. L’Urss di Chruscev e Breznev La morte di Stalin allentò la presa del nazionalismo russo sul discorso ufficiale sovietico. In un primo momento la promozione del popolo sovietico da parte di Chruscev riprese l’immagine di amicizia tra i popoli. Il dibattito durante il piccolo balzo in avanti di Chruscev si concentrò, ad esempio sulla questione della lingua russa da adottare come unica lingua ufficiale, scontrandosi con le nazionalità minori. Nonostante l’emergere di un forte dissenzo nazionale, in Ucraina come nel baltico, la storiografia occidentale accentuò allora il disinteresse per la questione nazionale, considerata quasi irrilevante rispetto a quella sociale. Russo e sovietico divennero di nuovo sinonimi anche in opere famose e importanti. L’apparente ritorno della retorica del popolo sovietico in epoca Breznev non deve trarre in inganno. La sua fu una politica di russificazione delle varie nazionalità, cominciando a rimuovere dirigenti come Selest in Ucraina che ne erano ostili. Il patto con il nazionalismo russo non era solidissimo, però, infatti una corrente ne accettava l’andamento e l’altra, soprattutto in persone come Solzenicyn, si combatteva il patto e si invitava Mosca ad accantonare l’ormai morto marxismo leninimso con una ideologia nazionale. Il censimento del ‘79 mise in luce il declino demografico slavo e la crescita delle popolazioni musulmane. 4. La svolta Dopo la caduta dell’Urss ci si rese conto dell’importanza della questione nazionale dandole anche un’eccessiva importanza. La nuova stagione ha dato frutti importanti come il saggio di Kappeler ​La Russia. Storia di un impero multientico che vede il 1905 come un 1848 russo, piuttosto che come una prova del 1917. Le ricerche hanno alimentato il dibattito sulle operazioni etniche di massa tra il 1937 e il 1938 riconoscendo appunto l’importanza del criterio etnico della repressione staliniana. Sicuramente la tesi di nazionalità viste come immutabili da parte del Dittatore non regge perché già nel 1913 diceva che erano un oggetto storico e, come tale, mutabile e soggetto al cambiamento della storia. Per gli storici fu una sorpresa la preferenza russa per la Federazione di El’cin piuttosto che l’Unione sovietica. L’importanza di Stalin nella svolta della nazionalità russa e della sua importanza nell’Unione è riconosciuta da più parti. Alcuni rivalutano l’Urss come incubatore di nazionalità piuttosto che ​nation killer (come dice Conquest) ma si sottovaluta la repressione che ha fatto di questa crescita un elemento secondario e stentato. La forma federale, comunque, più che alimentare le nazionalità avrebbe alimentato le fratture tra nazionalità e tra le elite che sarebbero emerse al momento del collasso sovietico. Gli stati nati dopo il 1991 in realtà hanno un forte elemento di continuità con quelli del 1922 e questo causò un forte scontento tra i nazionalisti che speravano di seppellire l’esperienza sovietica. Fu l’Urss un impero? In alcuni momenti della sua storia sì, ma la sua natura federale sottolineava come fosse impossibile tornare alla forma degli imperi centrali europei. Anche nei territori conquistati dal 1939 l’Urss non potè far finta di niente sulle nazionalità e questo è un elemento importante che la distingue dagli imperi veri e propri. 19. I perché del collasso 1. La sfida estera Chi sostiene di una sovversione americana operata con lo spionaggio all’interno dell’Urss si scorda che il più grande agente sovietico, Aldrich Ames, era a capo del controspionaggio occidentale. Nemmeno la tesi della sfida troppo grande lanciata da Reagan a Mosca regge perché negli anni di “guerre stellari” le spese sovietiche in materia militare sono rimaste uguali. La scelta di tenere duro sulla questione euromissili e del sostegno alla guerriglia afgana è già più probabile. L’immagine dello stile di vita occidentale che penetrava in Urss attraverso molti canali finì per delegittimare il regime più di tanti altri fattori, alla lunga lo avrebbe pagato molto. 2. Il ruolo dell’elite e dell’ideologia L’azione riformatrice è stata ritenuta un elemento importante da tutti ma il giudizio a riguardo è molto vario. Non si può vedere nella scelta di fare riforme radicali un fattore esterno al sistema. L’idea che la riforma del sistema poteva essere portata avanti solo con la partecipazione dei cittadini contrastava con quella di chi vedeva la repressione come
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