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Angelo Lascioli, Educazione speciale. Dalla teoria all'azione, Franco Angeli, Milano, 2016., Schemi e mappe concettuali di Pedagogia

riassunto completo del libro di testo

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

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Scarica Angelo Lascioli, Educazione speciale. Dalla teoria all'azione, Franco Angeli, Milano, 2016. e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Pedagogia solo su Docsity! “EDUCAZIONE SPECIALE- dalla teoria all’azione” (di A. Lascioli) INTRODUZIONE Teoria e azione sono atti distinti nella riflessione, ma non nella pratica di chi educa. In educazione ogni teoria si esprime, si convalida, si genera e rigenera nell’azione e con l’azione all’interno di un determinato contesto in risposta a specifici bisogni È proprio dall’intervento nella realtà che si genera il sapere educativo speciale. Pertanto bisogna superare ogni contrapposizione tra teoria e pratica nella prospettiva di una loro integrazione al servizio delle scienze dell’uomo. L’educazione è quindi un intervento teorico- pratico attraverso il quale è possibile promuovere percorsi di sviluppo umano idonei a generare qualità di vita per ogni persona, indipendentemente da quelli che possono essere i limiti. PARTE I: L’EDUCAZIONE SPECIALE E LA SUA SCIENZA 1. IL DEFICIT, L’HANDICAP E LA DISABILITÀ. ANALISI DEI TERMINI Il termine deficit rinvia a carenza, difetto, lacuna, ecc.. e facendo riferimento all’OMS il rinvio è al termine menomazione. Il termine handicap invece significa “svantaggio” e deriva dal mondo delle corse dei cavalli; è solo per traslato che la parola handicap ha assunto il significato di condizione di svantaggio, conseguente a una menomazione o disabilità. Nel linguaggio pedagogico il termine handicap rinvia a un problema educativo che può trovare soluzione nella messa in atto di specifici interventi educativi e che diviene condizione di svantaggio solo laddove la persona che ha un deficit non sia stata adeguatamente supportata. Negli ultimi 30 anni è in atto un’importante operazione culturale volta a ridefinire e formulare il significato di handicap, disabilità e di salute. ICD , 1970 prima classificazione elaborata dall’OMS “classificazione internazionale delle malattie”: • coglie le cause delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche; • ben presto rivela dei limiti di applicazione e l’OMS elabora una nuova classificazione. 1. ICIDH, 1980 “ classificazione internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli svantaggi esistenziali”: • Non coglie la causa della patologia, ma l’importanza e l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni.; 1 • Non si parte più dal concetto di malattia, ma dal concetto di salute, inteso come benessere fisico, mentale, relazionale che guida l’individuo e la sua interazione con l’ambiente. • È caratterizzato da tre componenti fondamentali: • Menomazione perdita o anomalia permanente strutturale, funzionale, fisica o psichica; riguarda un apparato o un organo funzionale; • Disabilità qualsiasi perdita o limitazione (conseguente a menomazione) della capacità di compiere un’attività di base (quale camminare, mangiare, lavorare) nel modo considerato normale per un essere umano; si manifesta a livello di persona; • Handicap la condizione di svantaggio, conseguente a una menomazione o a una disabilità, che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento di un ruolo sociale considerato normale in relazione all’età, al sesso, al contesto socio-culturale della persona; si manifesta in seguito dell’interazione con l’ambiente. • Si rifà a un modello interpretativo di tipo medico-sanitario, secondo il quale la disabilità e l’handicap erano inevitabili conseguenze dello stato di salute deficitario del soggetto (stato patologico). 2. la presenza di limiti concettuali ha condotto l’OMS a elaborare l’ICIDH-2, 1999: “classificazione internazionale del funzionamento e delle disabilità”: • ha raggruppato in modo sistematico gli stati funzionali associati alle condizioni di salute; • in esso vengono classificati il funzionamento del soggetto e le disabilità, associandoli alle condizioni di salute da qui la necessità di guardare all’handicap non più come un problema in sé, ma come espressione di una complessità irriducibile di fattori; • si rifà a una definizione sociale di disabilità e richiama la definizione di disabilità dell’ONU (barriere!) improntata al modello dei diritti le disabilità non nascono dentro le malattie, ma dentro le società quando non rimuovono quelle barriere che impediscono una condizione di uguaglianza ai disabili; • rappresenta l’embrione del modello concettuale dell’ICF. 3. ICF, 22 Maggio 2001 “classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute”: • Questo strumento analizza e descrive la disabilità come esperienza umana che tutti possono sperimentare; 2 Il concetto di SEN rinvia al significato e alla definizione di scuola inclusiva ed è proprio dalla “Dichiarazione di Salamanca”, nel 1994, che emerge che l’educazione inclusiva richiede che i sistemi educativi sviluppino una Pedagogia centrata sul singolo bambino, rispondendo in modo flessibile alle esigenze di ciascuno. tale pedagogia si fonda sull’idea che le differenze vadano considerate come risorsa e non come ostacolo. Da tener conto che l’inclusione interessa un raggio sempre più ampio di studenti piuttosto che quegli studenti in possesso della certificazione per l’handicap. Inoltre la Dichiarazione di Salamanca ha mosso una critica alla distinzione tra bambini normali e bambini speciali: normalità e specialità non vanno intese come modi d’essere (non esistono i normali e i speciali), in quanto esprimono solo due differenti situazioni di bisogno. la realtà è che ogni persona a seguito di particolari esigenze in ordine a differenti tipologie di problemi, contesti e/ o situazioni può trovarsi nella condizione di avere bisogni speciali. Ciò che si afferma con l’introduzione del concetto di SEN è la necessità di modificare il modo di concepire il sistema di istruzione scolastica, in favore di una concezione ampia e diversificata dei differenti bisogni educativi degli alunni. DIFFERENTI TIPOLOGIE DI HANDICAP Si evidenziano due distinte categorie di handicap: • handicap connaturato: è rilevabile solo in presenza di un deficit ed è l’espressione delle forme e dei modi con cui le specifiche difficoltà date dal deficit interferiscono sui processi di sviluppo umano dell’educando; • handicap indotto: è rilevabile anche in assenza di deficit in quanto è riconducibile a condizioni esterne al soggetto, è l’espressione delle forme e dei modi con cui anche il contesto di vita, ossia la qualità delle relazioni che si sono instaurate tra l’educando e il suo ambiente di vita, possono incidere negativamente sul suo percorso di sviluppo umano, generando degli handicap le cui origini non sono né malattie, né deficit, ma le carenze della relazione educativa. -- La distinzione tra le une e le altre è fondamentale nel lavoro educativo speciale. -- Entrambi rinviano a competenze e azioni educative differenti. Pertanto il pedagogista stabilisce due diversi campi d’azione per l’educazione speciale: una mirata al trattamento educativo delle difficoltà correlate al deficit, l’altra mirata al trattamento educativo delle difficoltà indotte dall’ambiente. In entrambi gli interventi la finalità è unica: promuovere percorsi di sviluppo umano, nell’ottica di una promozione globale e integrata della persona che, indipendentemente dal deficit, può e deve divenire personalità. In questo senso viene meno la logica della frammentazione e dello scarto. 5 L’intervento dell’educatore speciale non consiste nell’agire sul deficit, ambito di competenza medico-sanitario, ma sulla specifica difficoltà connaturata al deficit al fine di promuovere nel soggetto la massima autonomia personale. Grazie alle azioni educative dunque si possono superare molte difficoltà correlate a specifici deficit e, di conseguenza, risulta possibile in molti casi porre le condizioni perché anche la persona con disabilità possa aspirare a una vita normale. 3. QUALE POSTURA INTERIORE PER L’EDUCAZIONE SPECIALE? Il termine postura fa riferimento a uno specifico atteggiamento dell’interiorità; in particolare riguarda il modo con cui l’educatore si pone interiormente d’innanzi al proprio educando. All’interno di tale relazione si definisce e si costituisce l’agire educativo in forma di intenzionalità volta a generare nell’altro il suo possibile incremento di sviluppo umano. Nella relazione educativa, la postura interiore dell’educatore si pone come sfondo di senso entro il quale l’educando può cogliere l’intenzionalità che muove l’agire dell’educatore nei suoi confronti. La conformazione della postura interiore dell’educatore speciale risulta strettamente connessa al tipo di rappresentazione che l’educatore si è dato della disabilità in generale. Il problema è che talvolta nella relazione educativa speciale l’altro è concepito in modo disfunzionale all’agire educativo. Ciò avviene quando la postura interiore dell’educatore speciale assume le forme della compassione o della pietà. Talvolta tale postura può essere contaminata da pregiudizi e da qui nasce l’esigenza di offrire all’educatore speciale una formazione attenta alla cura educativa della sua interiorità con l’obiettivo di liberare dal pregiudizio la sua postura educativa. Nello specifico del lavoro educativo speciale operano in particolare alcuni pregiudizi: 1. Il pregiudizio del “quasi uomo”il riferimento è all’opera di Victor Hugo e al personaggio Quasimodo. Coloro che sono vittime di questo pregiudizio tendono a rapportarsi alla persona con disabilità a partire da una postura interiore che in forme inconsapevoli comunica all’altro il suo stato di inferiorità e dipendenza. Non viene negato all’altro il diritto alla cura, ma l’umanità ne viene percepita come incompleta. 2. Il pregiudizio dell’eterno bambino la postura interiore si struttura a partire da una percezione dell’altro come figura immobile, in divenire apparente e senza sbocchi di adultità. Non ci si avvede così del fatto che ogni bambino, anche chi ha una disabilità per crescere e diventare grande ha bisogno di essere pensato adulto. L’adultità va esercitata fin da bambini, è un modo d’essere e di fare che richiede molta pratica, esempi e aspettative derivanti dalla comunità di adulti. 3. Il pregiudizio dell’identità speciale chi si prende cura delle persone disabili le considera come “esseri speciali”, ossia esseri umani che appartengono a una diversa categoria dell’umano, quella della specialità. Motivo per cui talvolta i disabili vengono guardati come se fossero un’etnia da proteggere e conservare. 6 Tale pregiudizio impedisce all’educatore di cogliere la continuità tra la propria umanità e l’umanità dell’altro con disabilità e quando la postura dell’educatore speciale è contaminata da questo pregiudizio avviene che nella relazione educativa l’altro sia considerato speciale e prescindere da ogni sua richiesta e/o bisogno di normalità. Essere considerati persone speciali non è sempre un vantaggio, anzi può diventare uno stigma e in particolare quello della specialità. Tale stigma è ciò per cui si può correre il rischio di essere guardati e pensati come diversi anche quando è forte il bisogno di sentirsi e venir trattati come gli altri. La specialità, se così concepita, finisce per sottrarre la persona alle normali relazioni con gli altri, a una normale vita di relazione. 4. Il pregiudizio ugualitario si fonda sul principio del siamo tutti uguali. Non è vero che chi è disabile è uguale a chi non lo è. Questo pregiudizio assume come tutti uguali senza riconoscere la differenza. È importante per un educatore riconoscere i limiti e le difficoltà che ha l’altro. Pertanto per superare i limiti bisogna prendere coscienza del limite stesso e essere capaci di riconoscere e accogliere i propri limiti. 5. Il pregiudizio della sindrome è la difficoltà di vedere l’altro disabile al di là della sindrome. La relazione educativa speciale trova la propria vitalità in una postura educativa strutturata per riconoscere che anche nell’altro , nonostante la specialità del suo bisogno educativo, è presente e viva la medesima umanità. PARTE II: METODOLOGIA DELL’INTERVENTO EDUCATIVO SPECIALE 4. METODOLOGIA DELLA RICERCA PEDAGOGICA IN EDUCAZIONE SPECIALE LA QUESTIONE EPISTEMOLOGICA l’epistemologia, letteralmente discorso sulla scienza, è quella parte della teoria generale della conoscenza che si occupa di problemi quali l’analisi dei fondamenti, della natura, dei limiti e delle condizioni di validità del sapere. Tale analisi diventa di centrale considerazione quando si tratta di valutare la scientificità di un certo tipo di sapere. In questi casi la riflessione epistemologica serve proprio a chiarire in che senso quel determinato sapere possa essere considerato valido da un punto di vista scientifico. anche l’educazione speciale, come sapere che aspira a un valore scientifico, richiede di essere visto alla luce della riflessione epistemologica. In tal senso risulta utile chiarire quali sono l’oggetto e il metodo di questa disciplina. L’educazione speciale è innanzitutto forma/modalità attraverso cui intercettare il problema del limite umano nell’ottica dello sviluppo e del cambiamento. Il termine limite ha un ampio campo semantico: • Il limes denota la linea di confine e sta a indicare una frontiera fortificata; • Il limen rimanda alla soglia, all’ingresso e racchiude in sé l’idea di un accesso a qualcosa che sta oltre, a possibilità ulteriori. 7 soggetto, che si verifica quando una condizione di salute in assenza di specifici interventi sulla persona e il suo contesto di vita, genera menomazioni alle strutture e alle funzioni, limitazioni nelle attività e restrizione nella partecipazione sociale. La disabilità in base all’ICF non è una condizione di salute ma un modo di funzionare della persona in un determinato contesto di vita. Attraverso l’approccio bio-psico-sociale le problematiche della persona con disabilità vengono viste alla luce di un modello interpretativo di tipo multidisciplinare e in grado di evidenziare le molteplici dimensioni dei problemi e le diverse prospettive di intervento. STRUTTURA MODELLO BIOPSICOSOCIALE: • l’analisi delle condizioni di salute serve per inquadrare nel contesto dei saperi che riguardano la salute le possibili patologie e/o disturbi presenti. In particolare è utile per capire se ci sono deficit, e quali sono le caratteristiche, come pure le loro possibili ricadute sul piano dello sviluppo delle autonomie di base e personali; • l’analisi dei fattori personali riguarda l’analisi delle caratteristiche personologiche del soggetto, la conoscenza della sua particolare storia di vita, delle sue particolari modalità di agire e reagire rispetto a eventi stressanti • il punto di vista ambientale serve per analizzare e comprendere il contesto di vita del soggetto. La presenza o la carenza di risorse utili a rispondere in modo adeguato alle esigenze della persona con riferimento alle difficoltà presenti. Individua le possibili correlazioni tra difficoltà personali e condizioni socioculturali e relazionali. L’OSSERVAZIONE : PRINCIPALE “STRUMENTO” PER L’EDUCAZIONE SPECIALE Principale strumento dell’educazione speciale è l’osservazione: tale termine non rinvia a una descrizione oggettiva della realtà, ma a interpretazioni di cose ed eventi. La modalità più diffusa in campo educativo per fare osservazioni è il metodo dell’osservazione partecipante che: • richiede contatto con la realtà dell’altro e coinvolge tutti gli organi di senso; • pone direttamente in contatto con la realtà che si vuole osservare, non prevede mediazioni; • implica l’inserimento nel contesto di colui che sta osservando; • avviene all’interno di una relazione tra il chi osservante e il chi osservato; • è più di un pensiero e di una teoria perché comporta partecipazione, coinvolgimento, non ci si limita a osservare; • richiede di “scoprirsi” • in essa l’osservatore modifica il sistema delle relazioni in atto; • chi fa osservazione partecipante influisce positivamente si chi osserva. 10 Gli strumenti dell’osservazione partecipante sono: 1. personalità dell’osservatore; 2. diario, che è un racconto personale eseguito su basi regolari su un preciso argomento di interesse e riporta informazioni sulla realtà così come questa è stata vista e vissuta da chi la descrive; 3. schede/griglie di osservazione che sono utili per riportare informazioni su attività, comportamenti, azioni e la loro distribuzione, durata, intensità; hanno una dimensione chiusa e consentono di annotare molte informazioni in breve tempo; 4. audio e video registrazioni che forniscono al ricercatore un quadro “veritiero” e sono utili per raccogliere informazioni verbali e non verbali delle relazioni e delle comunicazioni; 5. il questionario che può contenere quesiti aperti o chiusi; 6. l’intervista che può essere di tre tipi: libera (senza domande predeterminate); semistrutturata (vengono precisati degli argomenti o fatti da discutere anziché una lista di domande predeterminate); strutturata (prima dell’intervista viene predisposta una lista di domanda e l’ordine di queste); 7. i test, che possono essere proiettivi o strutturati. LO STUDIO DI CASO in campo educativo è oggi uno dei metodi di ricerca qualitativa più utilizzati. Risulta difficile dare una definizione precisa di “studio di caso” e questo perché con tale termine si intende al tempo stesso sia il processo utilizzato per l’indagine sul caso, sia il prodotto finale di tale percorso. Pertanto lo studio di caso si può definire come “metodo di ricerca simile a un’indagine di tipo empirico, che studia un determinato fenomeno nel suo contesto di vita reale. Ha come obiettivo lo studio di unità di analisi ristrette, come possono essere singoli soggetti, una classe, una famiglia, ecc… Il termine caso si riferisce a unità autonome con caratteristiche di unitarietà e specificità, delimitate in termini di spazio e attori. Questo modello di ricerca i caratterizza per essere : • particolaristico è focalizzato su un evento, un fenomeno, una persona,..; • descrittivo il prodotto finale dello studio è una ricca e completa descrizione dell’oggetto di indagine; • euristico vuole condurre il ricercatore alla comprensione del fenomeno oggetto di studio alla scoperta di nuovi significati. Gli studi di caso possono riguardare una sola unità di osservazione e in quanto tali vengono chiamati studi su casi singoli (utili per analizzare eventi unici) , oppure riguardare più persone o più centri di servizi educativi e allora sono definiti studi su casi multipli (consentono di analizzare un certo numero di situazioni più o meno simili tra loro per individuare fenomeni ricorrenti). 11 FASI FONDAMENTALI DELLO STUDIO DI CASO: A. DISEGNO DELLA STRATEGIA DI RICERCA: Il disegno di ricerca è la stesura del piano d’azione e le sue componenti sono 4: 1. Individuazione e definizione del problema, in cui si deve far emergere il perché dello studio; 2. Formulazione dei quesiti fondamentali dello studio ai quali la ricerca cercherà di rispondere in modo attendibile; 3. Individuazione delle unità di analisi, in cui i cerca di individuare il caso-tipo che può aiutare il ricercatore a rispondere ai quesiti della ricerca; 4. Definizione dei postulati teorici, cioè di risultati probabili che al termine della ricerca dovrà essere confrontato con quanto evidenziato dai dati e dalle prove. B. PREPARAZIONE E SCELTA DELLE TECNICHE DI RACCOLTA DEI DATI: nei studi di caso vengono utilizzate molteplici tecniche di raccolta dei dati e le più utilizzate sono: documenti e registrazioni di archivio, interviste, osservazione diretta e partecipante. È utile al ricercatore utilizzare la “triangolazione” che consiste nel ricorrere in maniera combinata a varie tecniche di raccolta con l’obiettivo di ottenere più forme di espressione. C. ANALISI DEI DATI attraverso la quale si dà significato a ciò che è stato raccolto. In questa fase prima vengono create categorie, per raggruppare i dati in determinati nuclei tematici, e poi si procede con la catalogazione e l’interpretazione dei dati al fine di elaborare un teoria. Il livello più semplice di analisi dei dati consiste nell’analisi descrittiva. D. STESURA DEL RAPPORTO FINALE che inizia già prima che si siano concluse la raccolta e l’analisi dei dati. Importante è garantire l’anonimato dei soggetti in esame. Esistono vari format per la stesura di un rapporto di studio di caso, come per esempio la pubblicazione di un libro o di un articolo nel caso di studio di caso singolo, mentre in caso di casi di studi multipli il rapporto dovrà contenere resoconti multipli. DOCUMENTI E REGISTRAZIONI DI ARCHIVIO possono assumere molteplici forme, per esempio lettere, appunti, comunicazioni ufficiali e non, progetti, programmi, verbali di riunioni, quotidiani, riviste, diari personali, ecc.. L’utilizzo di tecniche di analisi documentale porta sia vantaggi (possibilità di studiare soggetti non accessibili) che svantaggi ( rintracciabilità del documento, incompletezza dell’informazione, ecc..). IL VALORE DELLA RICERCA IN EDUCAZIONE SPECIALE La ricerca è il cuore palpitante della conoscenza. L’azione del ricercatore consiste in un’attività conoscitiva di analisi e di riflessione, che si svolge nella pratica, su un problema pratico reale e che precede un determinato intervento nella realtà. Quando si fa riferimento alla ricerca in educazione è necessario precisare che è proprio l’intervento nella realtà, ossia l’azione, che genera riflessione e ulteriore conoscenza. 12 Una volta individuate le disposizioni (disposizione= ciò che non si manifesta se non a determinate condizioni) da perseguire tramite l’intervento educativo, con l’analisi logico-disposizionale si enucleano le sottodisposizioni implicate. Per ciò che riguarda le componenti di una disposizione, le teorie disposizionali sono il risultato dell’interazione tra 3 tipi di componenti: 1. Componente scientifico-umana: fa riferimento a quelle scienze che consentono di stabilire gli specifici rapporti tra l’instaurarsi di una certa capacità e il percorso evolutivo sottostante. Tra queste assumono oggi un ruolo decisivo le neuroscienze, le cui scoperte consentono di avere un quadro più preciso del funzionamento del cervello umano. 2. Componente contenutistica: i intende l’oggetto del conoscere, del fare e dell’essere. Questo aspetto ci dice che la disposizione riguarda anche un contenuto disciplinare e che attiene a qualche ambito di sapere umano. La componente contenutistica è cioè riferita al contenuto della diposizione, riguarda il “cosa” di quella capacità di conoscere, fare o essere che si desidera far maturare nel soggetto in educazione. L’analisi della componente contenutistica comporta quindi una conoscenza approfondita della materia e della sua logica interna. 3. Componente deontica: è data dal diritto-dovere di scegliere e di fare per il soggetto in educazione tutto ciò che risulta fondamentale per garantirgli il massimo di possibilità di sviluppo umano. Ciò si esplica nel saper decidere volta per volta cosa è meglio per l’educando, per il suo percorso di sviluppo umano. Una volta costruita la mappa i suoi utilizzi sono vari , ad esempio per effettuare una diagnosi disposizionale, una prognosi disposizionale, ecc.. La mappa si considera valida se a seguito del percorso da essa previsto e al termine del lavoro educativo l’educando mostra di aver acquisito la capacità/disposizione posta al vertice della mappa. Qualora ciò non avvenisse la MLD va sostituita con un’altra consistente nella produzione di un’ulteriore micro-teoria pedagogica con cui sostituire la precedente. PARTE III: I PROBLEMI DELL’EDUCAZIONE SPECIALE: ANALII DI DEFICIT IN PROSPETTIVA EDUCATIVA 6. ANOMALI E SINDROMI GENETICHE LA GENETICA È quella parte della biologia che studia la generazione degli organismi e la trasmissione dei caratteri ereditari. Talvolta a causa di fattori diversi possono verificarsi delle alterazioni cromosomiche o difetti genetici. Le prime si dividono a loro volta in alterazioni che colpiscono gli autosomi e alterazioni che colpiscono i cromosomi sessuali (X,Y). Alcune anomalie genetiche sono causa di particolari malattie e le malattie causate da anomalie dei geni sono dette ereditarie. Un certo numero di anomalie genetiche sono responsabili di particolari problemi dello sviluppo che interessano l’educazione e che, per tale ragione, divengono oggetto di studio da parte delle discipline che si occupano di educazione speciale. Sono in particolare le sindromi genetiche a interessare l’educazione speciale. 15 Per sindrome genetica ci si riferisce a uno specifico insieme di sintomi/problemi, che si manifestano costanti in vari soggetti e sono causati da anomalie genetiche. Le mutazioni invece sono un’alterazione del materiale genetico presente all’interno di una cellula vivente conseguente a un errore nella copiatura del DNA di una cellula nelle cellule “figlie” quando la cellula si divide. Le mutazioni possono essere di vario tipo: genetiche, cromosomiche, del genoma, ecc,.. DIVERSI TIPI DI EREDITARIETÀ Le ereditarietà genetiche si possono distinguere in: • Ereditarietà autosomica che può essere: • Dominante; • Intermedia; • Recessiva: a differenza delle malattie a eredità autosomica dominante quelle a eredità autosomica recessiva possono rimanere assenti per molte generazioni finché casualmente non si avrà l’unione di due portatori. • Ereditarietà legata al sesso, che può essere a carico del cromosoma X o Y. 7. SINDROMI GENETICHE ED EDUCAZIONE SPECIALE Avere una sindrome genetica non significa essere ammalati, anche se la convinzione che le sindromi genetiche vadano trattate come fossero malattie è un’idea che purtroppo è ancora presente. Il nome e l’etichetta talvolta allontanano la realtà, possono impedire di vedere, oltre la “diversità”, le normalità che accomunano e che rendono l’altro del tutto simile a noi, animato da medesimi bisogni e desideri, e alle prese con la stessa realtà. importante è evitare di cadere nel meccanismo etichettante della sindrome! Le sindromi genetiche vanno considerate come quadri di sviluppo in cui sono presenti difficoltà e problemi che richiedono precoci e mirati interventi educativi e/o riabilitativi. A seconda della tipologia si possono evidenziare problematiche di varia natura, la cui soluzione e trattamento richiedono competenze e saperi che derivano da discipline diverse. LA SINDROME DI KLINEFELTER Si tratta di un’anomalia cromosomica scoperta da Klinefelter nel 1942 e le anomali riscontrate sono da ricondurre a una mutazione del patrimonio genetico consistente nella presenza nella presenza di un cromosoma sessuale X in più. Il cariotipo più frequente è XXY. La causa di questa associazione anomala è la mancata disgiunzione dei cromosomi sessuali che si verifica durante la meiosi materna. L’effetto principale consiste nel provocare un difettoso sviluppo delle gondi, con conseguente ridotta produzione di testosterone e aumento della gonadotropine. Questa sindrome non viene quasi mai diagnosticata prima della pubertà in quanto le manifestazioni cliniche durante l’infanzia sono 16 scarse. Le manifestazioni fenotipiche della sindrome classica sono trattate in genere con testosterone. I bambini con questa sindrome sono: alti, magri, ipoevoluti ponderalmente, presentano arti inferiori relativamente lunghi rispetto al tronco, ecc… Da un punto di vista psicologico le manifestazioni si rendono evidenti prima delle anomalie dello sviluppo sessuale. Sintomi caratteristici sono: problemi di adattamento psicosociale, antisocialità, difficoltà di apprendimento, insufficienza mentale, immaturità, irritabilità, scarsa adattabilità, ecc.. Da un punto di vista educativo ci sono problemi correlati alle difficoltà di sviluppo del linguaggio. Si possono registrare ritardi, difetti di articolazione delle parole e difficoltà nello sviluppo del linguaggio espressivo (capacità di tradurre in parole idee, emozioni, pensieri). È proprio questo che può rendere difficoltosi al soggetto i processi di adattamento sociale e il percorso educativo. Il lavoro educativo speciale deve privilegiare momenti di individualizzazione del compito ed è opportuno che l’educatore affronti un argomento alla volta. SINDROME DI WILLIAMS Si tratta di un’anomalia genetica individuata nel 1961 da Williams e successivamente nel 1993 Ewart e collaboratori localizzarono la sede dell’alterazione del patrimonio genetico su una parte (braccio lungo) del cromosoma 7. Tale sindrome si associa a particolari caratteristiche del viso e organiche: scarso accrescimento statuto ponderale, fronte ampia, strabismo, radice del naso infossata, guance cadenti, labbra grosse e caratteristico atteggiamento della bocca in posizione aperta, anomalie dentarie, mento piccolo e voce roca, collo allungato, spalle curve e andatura goffa, alterazioni cardiovascolari, iperacusia, complicazioni renali, tendenza ad anticipare la pubertà. Da un punto di vita neuropsicologico si annotano ritardo nelle tappe di sviluppo psicomotorio globale , a cui i associa un ritardo nella produzione verbale; deficit intellettivo associato a difficoltà di concentrazione e facile distraibilità; deficit di coordinazione fino-motoria e visuo- spaziale. Per quanto riguarda l’aspetto funzionale del linguaggio gravi difficoltà ad adeguarsi alle richieste specifiche dell’interlocutore e notevoli problemi nell’esposizione verbale. Dal punto di vista relazionale il loro comportamento è definito da “cocktail- party” in quanto hanno un comportamento amichevole anche con gli estranei; iperattività, eccitabilità e comportamenti ansiosi con tratti ossessivi o fobici; preferiti i rapporti con bambini più piccoli o con gli adulti, mentre ci sono difficoltà a intraprendere e mantenere rapporti con i coetanei. Dal punto di vista educativo difficoltà di autonomia personale e di adattamento. Durante la scuola primaria si manifestano alcuni problemi quali: ritardo nella coordinazione grosso e fino motoria, difficoltà nelle attività della vita quotidiana come vestirsi, spogliarsi, allacciare le scarpe, difficoltà nel grafismo e nella scrittura, nella lettura, problemi con i concetti di tempo e spazio, ecc… Questi oggetti mostrano una vera e propria predisposizione per la musica e le lingue straniere. 17 L’intervento educativo per il bambino con sindrome di Down deve essere precoce e l’azione educativa concepita come pluri-spaziale, ossia capace di mettere insieme neuromotricità, affettività e sfera cognitiva al fine dello sviluppo globale del soggetto. QUESTIONE APERTE: INTEGRAZIONE LAVORATIVA E INVECCHIAMENTO Da quanto è emerso da una ricerca svolta dal Censis nel 2011 su un campione di persone con sindrome di Down, quasi tutti i bambini e i ragazzi Down vanno a scuola, ma il problema sussiste una volta terminata questa perché solo una parte delle persona con questa sindrome riesce a collocarsi nel mercato del lavoro: 1 adulto Down su 4 sta a casa e non svolge nessuna attività. In questo senso sussiste il problema dell’inclusione sociale e il diritto di esercitare una cittadinanza attiva. in tal senso è stata scritta una legge “volta a promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocazione mirato”. Il processo attuativo di tale norma mira ad assicurare la parità economica e sociale della persona disabile secondo la logica dei diritti. 8. DISTURBI GENERALIZZATI DELLO SVILUPPO DEFINIZIONE Con l’espressione “disturbi generalizzati dello sviluppo” si intendono alcune particolari condizioni di sviluppo, accomunabili per alcune caratteristiche che, nel loro insieme, determinano una distorsione dello sviluppo di base. In particolare ci si riferisce a problemi riguardanti la comunicazione verbale e non verbale, le capacità sociali, l’attività motoria, l’attenzione, l’umore, ecc… Secondo il DSM IV si riconoscono all’interno di questa sezione i seguenti 5 disordini: 1. Disturbo autistico; 2. Disturbo di Rett; 3. Disturbo disintegrativo dell’infanzia; 4. Disturbo di Asperger; 5. Disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato. In questo libro verrà approfondito solo il disturbo autistico. IL DISTURBO AUTISTICO Con il termine autismo ( da auto=se stesso) si intende indicare lo stato di “chiusura in se stessi” che caratterizza il comportamento di certi soggetti. L’uso della parola con questo significato è stato introdotto dallo psichiatra Eugen Bleuler nel 1911 per riferirsi a un disturbo fondamentale della schizofrenia, cioè a una forma estrema di isolamento, che comporta il distacco dalla realtà e una chiusura nel proprio mondo interiore , un restringimento 20 delle relazioni con le persone e con il mondo esterno, un allontanamento dal mondo della vita sociale verso se stessi. Un momento particolarmente significativo su il 1943 quando Leo Kanner descrisse in 11 bambini il quadro da lui definito autismo infantile precoce. Questi bambini: erano incapaci di mettersi in rapporto con l’ambiente nei modi tipici dell’età e fin dai primi mesi di vita; tendevano a isolarsi e a non percepire i segnali relazionali provenienti dall’esterno; avevano problemi di acquisizione del linguaggio; erano preoccupati ossessivamente dell’immutabilità degli ambienti e delle abitudini. Successivamente negli anni ’70, M. Rutter specificò il quadro descritto da Kanner individuando alcuni sintomi tipici dell’autismo infantile (ritualità compulsiva, problemi nella capacità di costruire rapporti sociali, ecc..) e scoprì che circa i ¾ dei bambini con autismo presentavano ritardo mentale. Attualmente per la descrizione, diagnosi e classificazione dell’autismo gli esperti fanno di solito riferimento a classificazioni internazionali, in particolare il DSM IV e l’ICD 10. Risulta utilizzata in ambito clinico anche la classificazione francese, CFTMEA, sviluppata da Binet. CLASSIFICAZIONI 1. Classificazione americana del DSM IV È una classificazione diagnostica e statistica curata dall’American Psychitric Association, ora giunta alla quarta edizione, che riguarda soprattutto i disturbi mentali dell’adulto, ma che ha una parte dedicata a quelli che insorgono nell’infanzia e nell’adolescenza, tra i quali il disturbo autistico. Quest’ultimo corrisponde a quanto in altre classificazioni viene chiamato autismo infantile precoce e autismo di Kanner. I criteri diagnostici per il disturbo autistico, secondo il DSM IV, sono i seguenti: • Compromissione qualitativa dell’interazione sociale; • Compromissione qualitativa della comunicazione ; • Modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati. Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree: interazione sociale; linguaggio usato nella comunicazione sociale; gioco simbolico o di immaginazione. 2. Classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (ICD-10) È una classificazione internazionale di tutte le malattie curata dall’ OMS, che contiene una sezione, la quinta, dedicata ai disturbi psichiatrici. Le psicosi infantili vengono classificate nella categoria delle sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico, che comprende l’autismo infantile. Molte delle categorie descrittive utilizzate per le sindromi da alterazione globale dello sviluppo sono completamente sovrapponibili a quelle dei disturbi generalizzati dello sviluppo descritte dal DSM IV. Ciò vale in particolare per l’autismo infantile, descritto come il disturbo autistico nel DSM IV. 3. Classificazione Francese (CFTMEA) 21 Sviluppata al centro A. Binet nel 1968 e successivamente ulteriormente sviluppata nel 1988 da un gruppo di studio. Questa classificazione distingue la categoria generale della psicosi in 10 sottocategorie. La prima categoria, l’autismo infantile precoce tipo Kanner, corrisponde sostanzialmente al quadro omonimo descritto dallo stesso psichiatra austriaco (Kanner) nel 1943. L’APPROCCIO PSICODINAMICO include l’autismo tra le psicosi, mentre l’orientamento attuale è quello di distinguere tra le psicosi relazionali e l’autismo biologicamente determinato. Vari autori d’impostazione psicoanalitica si sono interessati, soprattutto negli anni ’50 e ’60, alle psicosi infantili. Bettelheim fu uno dei primi autori a interessarsi a questo argomento sviluppando il concetto di “madre frigorifero” per descrivere un tipo di rapporto caratterizzato da carenza di contatto fisico. Uno dei lavori riguardanti le psicosi infantili più citati in letteratura è l’opera di Margareth Mahler che interpreta la psicosi infantile come il risultato di una serie di insuccessi durante il processo di individuazione, la cui origine può trovarsi tanto nel bambino, quanto nella madre. L’autismo va ricondotto al fallimento del processo di separazione della diade madre-bambino. La Mahler descrive la primissima infanzia come una fase autistica-simbiotica a cui segue la fase di separazione-individuazione, in cui il soggetto arriva a separarsi dalla madre e a riconoscersi come una soggettività autonoma. Se anziché sviluppare la separazione dall’altro materno, il bambino vi resta legato, si produce l’autismo in senso psicopatologico. Sempre all’interno di un quadro psicodinamico più articolata è la proposta di classificazione che fanno Mazzano e Palacio-Espasa, mentre De Ajuriaguerra utilizza il criterio dell’età d’esordio per classificare le forme di psicosi infantili (distingue tra disturbi psicotici precoci e disturbi psicotici che appaiono in età scolare). MANIFESTAZIONI CLINICHE L’autismo si manifesta prima del 30esimo mesi di vita. I segni più evidenti comprendono scarso o mancato sviluppo delle capacità di comunicazione verbale e non verbale, alterazioni dei modi di parlare, ridotta capacità di sostenere una conversazione, alterazioni dell’attività ludica sociale, mancanza di coinvolgimento emotivo e incapacità di stringere rapporti di amicizia. Sono comuni anche movimenti del corpo stereotipati, un marcato bisogno di monotonia, interessi molto limitati e preoccupazione accentrata verso alcune parti del corpo. Il bambino autistico tende ad isolasti e spesso trascorre ore a giocare da solo (in questo senso sperimenta l’abbandono). Prevale un comportamento di tipo ritualistico, che riflette il bisogno del bambino di preservare la costanza e la prevedibilità dell’ambiente circostante. Il contatto visivo è assente o minimo. Se è presente il linguaggio predominano ecolalia (= l'abituale ripetizione, nel parlare, di una o più parole della frase per es. ci penso io, ci penso ), inversione pronominale, rime prive di senso, ecc.. L’intelligenza rientra nell’ambito del ritardo funzionale e da vari studi risultano presenti deficit di sequenza verbale, di astrazione, di memoria, di fissazione e di scambio verbale reciproco. Altri 22 Si tratta di porsi nella prospettiva di riconoscere di ogni soggetto le potenzialità presenti, manifeste o nascoste, per poterle trasformare in abilità da utilizzare in rapporto con l’ambiente secondo una prospettiva biopsicosociale. Da qui la necessità di avere per ogni soggetto un Progetto Educativo Individualizzato proprio perché sono diverse le caratteristiche di ciascun soggetto. Il dato preoccupante dal punto di vista educativo e sociale è che le persone con autismo in età adulta raramente riescono a raggiungere livelli elevati di autonomia funzionale e rimangono molto dipendenti dal loro contesto, soprattutto da quello familiare. 9. IL RITARDO MENTALE DEFINIZIONE Va subito precisato che fino a qualche anno fa si parlava di ritardo mentale, mentre oggi questo termine è stato sostituito dall’espressione “DISABILITÀ INTELLETTIVA” in quanto: • La terminologia viene sostituita anche perché il termine ritardo mentale tende a assumere connotati negativi e stigmatizzanti; • “disabilità intellettiva” sembra più adatto a evidenziare la molteplicità delle varie forme con cui si manifestano le disabilità che coinvolgono l’intelligenza; • Ognuna di queste forme è caratterizzata da particolari profili con punti di forza e di debolezza e questa nuova espressione richiama meglio della precedente le differenze anche qualitative e non solo quelle quantitative; • Il termine “intellettive” più specifico, è ritenuto più adeguato di quello generale “mentale”. Questo non è solo un cambio terminologico, ma anche un approccio diverso al problema, per cui i livelli di gravità vengono definiti in base ai problemi nel funzionamento adattivo (= efficacia con cui i soggetti fanno fronte alle esigenze comuni della vita e al grado di adeguamento agli standard di autonomia personale previsti per la loro fascia d’età, retroterra socioculturale e contesto ambientale) e non più sulla base del Q.I. Il ritardo mentale non è un disturbo della personalità, ma un problema inerente al generale sviluppo del soggetto. Va quindi tenuto distinto dai disturbi della personalità, a cui invece fanno riferimento i concetti di disabilità psichica o psichiatrica. Con ritardo mentale si identificano problemi e difficoltà presenti in soggetti con ritardi nello sviluppo intellettivo, e riconducibili a fattori ambientali, a condizioni mediche generali o a sindrome genetiche , il cui effetto riguarda l’alterazione del funzionamento intellettivo del oggetto rispetto all’età anagrafica. In particolare si rivelano carenze più o meno gravi del funzionamento intellettivo che appare qualitativamente irregolare e non omogeneo, specialmente per ciò che riguarda i processi di adattamento ambientale e sociale. 25 Il ritardo mentale si manifesta in modo diverso per ogni soggetto in rapporto alle cause patogene, al grado di gravità, alle condizioni di vita, all’organizzazione della personalità, agli stimoli e alle richieste dell’ambiente. Per ciò che riguarda la diagnosi, il funzionamento intellettivo è misurato solitamente attraverso la somministrazione di uno o più test generali di intelligenza (es: scala Wisc), dai quali viene ricavato un Q.I. A tal proposito coloro che registrano un Q.I.: • Compreso tra 70 e 80 sono detti “popolazione F.I.L.” cioè funzionamento intellettivo limite, dato sempre più in maggiore espansione; • Inferiore a 70 sono certificati clinicamente con ritardo mentale. Le disabilità intellettive sono: 1/3 in famiglia, 1/3 in strutture e 1/3 al lavoro. La disabilità intellettiva compromette l’intelligenza, ma non tutte le aree, solo le seguenti: il linguaggio, la memoria, la motricità e le capacità adattive, l’esame di realtà (cos’è reale) e capacità cognitive (attenzione). Le abilità adattive che possono risultare difettose in presenza di disabilità intellettiva sono: • Linguaggio recettivo ed espressivo; • Lettura e scrittura; • Calcolo; • Autonomia decisionale e di autodeterminazione; • Abilità sociali; • Abilità adattive di tipo pratico (alimentazione, igiene personale, mobilità, ecc…) Al fine di promuovere lo sviluppo è necessario che anche i problemi vengano posti tenendo in considerazione i punti di forza più che quelli di debolezza. N.B.!! Ci sono molte differenze individuali !! EZIOLOGIA Le cause del ritardo mentale possono essere: • Cause presenti prima del concepimento; • Cause che agiscono durante la gravidanza; • Cause che agiscono durante il parto; • Cause che agiscono dopo la nascita. CLASSIFICAZIONI il riferimento è ai modelli di classificazione internazionali, ossia: 1. ICD-10, secondo il quale “La disabilità intellettiva è una condizione di interrotto o incompleto sviluppo psichico, caratterizzata soprattutto da compromissione di abilità che si 26 manifestano durante il periodo evolutivo e che contribuiscono al livello globale di intelligenza , cioè quelle cognitive, linguistiche, motorie e sociali”; 2. DSM-IV, secondo il quale la caratteristica fondamentale del ritardo mentale è un funzionamento intellettivo generale significativamente al di sotto della media che è accompagnato da significative limitazioni nel funzionamento adattivo in almeno due delle seguenti aree: comunicazione, cura della persona, vita in famiglia, capacità sociali/ interpersonali, autodeterminazione, lavoro, salute, ecc… PROBLEMATICHE DI TIPO EDUCATIVO I problemi delle persone che hanno un ritardo mentale derivano innanzitutto dalle difficoltà inerenti all’assimilazione e all’elaborazione degli stimoli percettivi. Si rivelano problemi a: • processo percettivo, che può risultare insufficiente, incompleto e inesatto per un difetto di analisi, di comparazione e di integrazione delle stazioni di arrivo al cervello. • Sviluppo psicomotorio, nel quale si rivelano difficoltà di programmazione del movimento nello spazio e nel tempo, da cui possono risultare goffaggine, movimenti impacciati, rigidi, maldestri e disarmonici. • Linguaggio, i cui problemi possono manifestarsi come disturbi di pronuncia, di articolazione, di ritmo; • Difficoltà di attenzione che si manifesta in una debolezza di concentrazione legata a scarsa capacità mnemonica che gli impedisce di conservare le informazioni ricevute e comprenderne il significato generale; • Ansia profonda di fronte alle situazioni e alle esigenze della vita e questo genera insicurezza. L’INTERVENTO EDUCATIVO L’azione si deve concentrare sul superamento delle difficoltà nel comportamento adattivo, cioè sullo sviluppo delle competenze che rendono l’individuo capace di adattarsi all’ambiente, sia fisico che normativo e relazionale. Il funzionamento adattivo fa riferimento all’efficacia con cui i soggetti fanno fronte alle esigenze comuni della vita e al grado di adeguamento agli standard di autonomia personale previsti per la loro particolare fascia d’età, retroterra socioculturale e contesto ambientale. Il f.a. può essere influenzato da vari fattori che includono l’istruzione, la motivazione, le caratteristiche di personalità e le prospettive sociali. Il progetto pedagogico dovrà quindi porre attenzione a prevenire il senso di inadeguatezza sociale e per quanto riguarda l’intervento educativo è utile che questo si sviluppi su vari livelli: • Cognitivo; • Emotivo, affettivo, relazionale; • Dell’autonomia personale; 27 CLASSIFICAZIONE Esistono numerose classificazioni, ma in linea generale le varie forme di PCI possono manifestare le seguenti forme: • Spasticità, cioè la resistenza all’allungamento dei muscoli, con cedimento improvviso e presenza di ipertono; • Atetosi, cioè la difficoltà di armonia del movimento, per cui si assiste a movimenti lenti, involontari, incontrollabili, ecc.. • Atassia, cioè difficoltà di movimento e della coordinazione muscolare. L’aspetto clinico più appariscente è quindi il disturbo della funzione motoria. A esso però sono associati anche altre manifestazioni cliniche come: • Alterazioni sensoriali; • Alterazioni del linguaggio; • Alterazioni intellettive; • Alterazioni dell’affettività; • Epilessia. TRATTAMENTO TERAPEUTICO La terapia può essere di 2 tipi: 1. Medica prevede l’impiego di farmaci con lo scopo di ridurre l’insorgere di episodi che possono aggravare la salute generale del soggetto. Nei casi più gravi la terapia medica sarà sempre accompagnata da terapia riabilitativa. 2. Riabilitativa è importante che il bambino con PCI sia considerato nella sua interezza e sia coinvolto come protagonista del processo di riabilitazione. La riabilitazione motoria riveste una grande importanza. Vi sono varie metodiche che hanno caratterizzato la riabilitazione negli ultimi decenni: • Quella proposta dai coniugi Bobath e quella elaborata da Kabath fanno parte di tecniche di facilitazione neuromuscolare al fine di riattivare la funzione dei muscoli; • Quella di Vojta si fonda sul principio locomotorio detto “innato”, la cui applicazione precoce riuscirebbe a ottenere la prevenzione dei disturbi della coordinazione motoria; • Quella elaborata da Castagnini. La terapia riabilitativa per essere efficace deve concorrere alla realizzazione dello sviluppo integrale della personalità del bambino. INTERVENTO EDUCATIVO SPECIALE Compiti dell’educazione speciale: 30 • è innanzitutto quello di portare in evidenza alla famiglia e ai diversi esperti coinvolti nell’azione riabilitativa, la necessità di una progettazione educativa; • supporto del ruolo genitoriale ; come afferma il dott. Faberi attraverso l’atteggiamento pedagogico della “dolce fermezza” è possibile aiutare il soggetto e la famiglia a sfruttare ogni sua minima capacità. L’adulto che agisce con dolce fermezza è colui che si propone al piccolo come presenza su cui contare. È importante che i genitori siano quanto prima coinvolti, portati a conoscenza dello stato di salute del bambino, responsabilizzati rispetto alle azioni che anche loro possono mettere in atto. • Promuovere l’integrazione del soggetto con PCI in ambienti sociali stimolanti dal p.v. cognitivo e affettivo; • individuare modalità di compensazione delle abilità irrecuperabili per favorire la piena espressione delle potenzialità del soggetto. Il lavoro educativo speciale deve mirare verso obiettivi di crescita, sviluppo e autonomia. Di seguito ci si soffermerà su alcuni ambiti di sviluppo del bambino con PCI per i quali è importante progettare e attuare un lavoro educativo speciale. EDUCARE A MANGIARE in presenza di gravi deficit è necessario che venga attivata un’educazione-abilitazione all’alimentazione “per bocca”, che permetta pian piano di abbandonare l’uso del sondino. EDUCARE A PARLARE Un percorso verso il linguaggio orale va iniziato offrendo al bambino alcune basi fondamentali del parlare, tra le quali: la possibilità di esprimersi da sé senza essere sempre sostituito dai genitori nell’interazione con le altre persone; la possibilità di osservare e imitare la mimica facciale dell’adulto. EDUCARE ALL’ESPERIENZA In presenza di PCI e di disturbi dello sviluppo psicomotorio, le limitazioni motorie, riducendo il campo di esperienza, possono ripercuotersi negativamente sullo sviluppo globale del bambino. EDUCARE ALLA LETTO-SCRITTURA E AL FAR DI CONTO solitamente la persona affetta da PCI non presenta ritardo mentale ed è quindi in condizioni di poter seguire il programma scolastico, almeno per i contenuti di studio e di lettura. Per quanto riguarda la scrittura, sarà importante valutare quanto siano compromessi i movimenti per decidere se avviare un percorso di insegnamento della scrittura a mano, al computer, vocale o con ausili particolari. 11. LESIONI CEREBRALI DI ORIGINE TRAUMATICA DEFINIZIONE I traumi cranici sono alterazioni delle strutture nervose dell’encefalo, causate da un impatto esterno (incidente automobilistico, caduta,..) o da un movimento improvviso e violento 31 del capo, e possono determinare una perdita di coscienza e altri disturbi neurologici transitori o permanenti. Quando si vuole descrivere un trauma cranico si usano di solito tre categorie: lieve, moderato e grave. Per attribuire il grado di gravità del trauma viene generalmente utilizzata la scala di Glasgow. MANIFESTAZIONI CLINICHE Le lesioni encefaliche vengono suddivise in tre categorie: 1. Lesioni dirette, che sono alterazioni cranio-encefaliche dovute direttamente all’impatto; 2. Lesioni secondarie, che sono alterazioni cerebrali non imputabili direttamente al trauma, ma conseguenti a disturbi circolatori o metabolici o infezioni; 3. Sequele post-traumatiche, che sono gli esiti della lesione cerebrale, i quali possono manifestarsi sotto forma di disturbi motori, della sensibilità, del linguaggio delle funzioni cognitive. ESITI E INTERVENTO EDUCATIVO La storia di un soggetto con TCE e della sua famiglia passa attraverso tre lunghe fasi: la salvaguardia della vita, la riabilitazione della vita e il reinserimento sociale. Da un punto di vista educativo l’intervento può essere progettato e avere luogo già durante la “fase acuta”, quando di solito il soggetto è in coma: è importante fornirgli delle stimolazioni piacevoli che possono risultare rassicuranti come può avvenire mediante un’idonea musicoterapia. Nella fase “post-acuta”, quando inizia il risveglio vero e proprio, il soggetto riesce a mantenere la vigilanza per buona parte della giornata, dimostra un livello attentivo per alcuni minuti, risponde attivamente agli stimoli, può essere in grado di utilizzare il linguaggio verbale, ecc.. Importante è rispettare i tempi del soggetto e quindi anche la sua lentezza nell’apprendere cose che gli devono essere di nuovo insegnate. Nella “fase degli esiti” il primo problema da affrontare riguarda il fatto che il traumatizzato di solito è cambiato non solo da un p.v. fisico, ma anche psicologico. La persona che ha subito un trauma cranico è quasi sempre inconsapevole dei cambiamenti avvenuti dentro di sé e, in virtù di un meccanismo proiettivo, incolpa gli altri dei problemi che incontra. Generalmente gli aspetti problematici sono riferiti a: • Difficoltà di movimento e coordinazione; • Difficoltà cognitive; • Problemi comportamentali- neuropsicologici; • Problemi psicosociali (sensazione di non essere più quello di prima) 32 Quando si tratta di approntare un progetto educativo per un minore con deficit visivo o uditivo, è necessaria un’attenta analisi delle possibili ricadute sui processi di apprendimento. In questo caso nessuna situazione può dirsi uguale a un’altra. Ogni intervento educativo dovrà sempre fare i conti con una complessità di variabili, dall’insorgenza fino all’entità e alla tipologia del danno, compresa l’attenta analisi del contesto familiare e culturale e richiederà tempi d’azione rapidi per ridurre al minimo l’esperienza deprivante data dal deficit. Ogni progetto volto a promuovere un percorso d’integrazione scolastica e sociale piena e soddisfacente per la persona con disabilità sensoriale, rinvia sempre a un processo di collaborazione tra attori diversi e aperto al sistema dei servizi socio-sanitari rivolti al minore disabile. 14. IL DEFICIT UDITIVO DEFINIZIONE Per sordità s’intende “l’effetto di una carenza patologica nel sentire. Si tratta di un disturbo nella sensorialità, , espressione di una lesione di varia natura che raramente è totale e che può essere chiamata anche ipoacusia o audiolesione”. La sordità agisce riducendo l’input acustico utilizzabile dal soggetto. Il tipo di deficit che ne deriva è quantitativo e qualitativo a seconda della sede anatomico-funzionale della lesione si possono così avere diverse classificazioni della sordità. Per le persone sorde l’organo prevalente è la vista, che funziona da organo vicariante. EZIOLOGIA DELLE SORDITÀ INFANTILI L’interesse dell’educatore è soprattutto concentrato sullo studio della sordità infantile perché ha come estrema conseguenza il mancato sviluppo spontaneo della comunicazione verbale, con evidenti disfunzioni fonetiche, fonologiche, lessicali, morfo-sintattiche e prassiche. Le ragioni sono riconducibili a cause ereditarie e/o acquisite: 1. Fra le cause acquisite si distinguono: • Cause pre-natali: infettive (toxoplasmosi, rosolia, citomegalovirus ed herpes = complesso TORCH) e tossiche; • Cause peri-natali: ipossia e ittero; • Cause post-natali: infettive, traumatiche e tossiche. Alcune sono: la parotite, il morbillo, i traumi cranici, ecc… 2. Cause ereditarie: fanno riferimento ad anomalie genetiche e si manifestano in quadri sindromici che includono anche altre alterazioni dello sviluppo. Molti autori usano il termine sordità congenita per indicare le sordità embriopatiche, genetiche o da anoressia e da asfissia neonatale. La diagnosi di sordità ereditaria è oggi effettuata tramite l’analisi del patrimonio genetico, cioè del DNA, che ci permette di identificare la causa ereditaria in un significativo numero di casi. Viene 35 analizzato il gene denominato “Connessina 26” in quanto nei pazienti affetti da sordità presenta delle mutazioni. CARATTERISTICHE GENERALI DELLE SORDITÀ EREDITARIE le sordità ereditarie possono essere congenite o insorgere in epoca pre-scolare o nella seconda infanzia. si è soliti distinguere tra: 1. Sordità autosomica recessiva; 2. Sordità autosomica dominante , che si manifesta quando il responsabile della sordità è un solo gene; 3. Sordità legata al sesso, per cui il gene della sordità è localizzato su uno dei cromosomi sessuali della madre e colpisce solo i figli maschi. Tuttavia è utile anche accennare ai danni uditivi si entità media che generano ritardi nello sviluppo del linguaggio parlato e alterano la produzione di parole incidendo sulle capacità comunicative e relazionali del soggetto. Sen nella sordità lieve il difetto sta solo nella percezione della parola (significante), nella sordità media il danno riguarda sia il significante che il concetto sottostante alla parole, cioè il significato. La sordità media di solito viene riconosciuta più tardi delle forme gravi (intorno ai 3 anni d’età) e in questo caso non solo i suoni sono percepiti con minore intensità, ma vengono sentiti distorti e risentono dell’effetto di disturbo creato dai rumori ambientali e dalle voci di sottofondo. Il bambino colpito da sordità di media entità non diagnosticata passa spesso per svogliato e se la situazione si protrae nel tempo possono anche insorgere disturbi di ordine comportamentale. SORDITÀ NELL’ETÀ ADULTA: LA PRESBIACUSIA ( E ALTRE PATOLOGIE) Le cause di sordità nell’età adulta sono: • Presbiacusia, cioè l’invecchiamento della funzione uditiva; • Flagosi auricolari; • Otosclerosi; • La malattia di Meniere. PROBLEMI EDUCATIVI Alcuni studiosi propongono una distinzione tra: • Sentire: è un fenomeno fisiologico multisensoriale; • Udire: secondario al sentire ed è un fenomeno psicologico e mentale che si realizza in presenza di un suono; viene attivato da processi neuro-psicologici come l’attenzione e la memoria ed è favorito da capacità cognitive dell’organizzazione percettiva e logica; • Ascoltare: è un’attività mentale complessa con partecipazione di possibilità individuali uditive, di attivazione dei processi neuropsicologici di strutturazione percettiva, di 36 coinvolgimento emotivo, di ambiti sociali e l’acquisizione di adeguate mappe esperienziali e conoscitive. È importante attivare nei bambini sordi l’attesa attentiva , che si riferisce al fatto che per “saper ascoltare” è necessario attivare attesa e concentrazione perché ciò crea la situazione di silenzio attivo tale da attivare i processi di attenzione e interesse. Saper ascoltare quindi è un insieme di variabili sulle quali agiscono componenti culturali ed educative Compiti dell’educatore speciale: a. Mantenersi aggiornato rispetto all’evoluzione delle tecnologie informatiche e dei programmi utilizzabili nel lavoro educativo; b. Inserirsi come facilitatore nello scambio di informazioni tra bambino sordo e contesti di apprendimento e di relazione, contribuendo alla conquista e allo sviluppo delle autonomie comunicativo-relazionali e dell’integrazione sociale. Possedere competenze progettuali e di mediazione educativa nei confronti della famiglia e della scuola ambito specifico del lavoro educativo speciale a fianco del bambino con deficit uditivo sono le difficoltà di apprendimento derivate dalla difficoltà di comunicazione. Pertanto il compito educativo non si esaurisce a contatto con il soggetto in difficoltà, perché si deve estendere all’ambiente di vita e ai contesti di apprendimento. Educare all’ascolto implica capacità di intervenire sui processi mentali dell’interesse, della motivazione, della disponibilità all’ascolto e della ricerca di senso. PROSPETTIVE DI SVILUPPO IN CAMPO EDUCATIVO la caratteristica più importante del cervello è la PLASTICITÀ, vale a dire la capacità che esso ha di modificare la propria organizzazione strutturale (plasticità strutturale) e il proprio funzionamento (plasticità funzionale) per adattarsi alle nuove richieste dell’ambiente. Grazie alla plasticità del cervello sono possibili le dinamiche ristrutturative di una funzione deficitaria presente alla nascita. N.b.!!! LIS non è un linguaggio, ma una lingua= lingua italiana dei segni. 15. IL DEFICIT VISIVO CECITÀ E IPOVISIONE. DEFINIZIONE Sono due i parametri su cui si basano le categorie rilevanti ai fini della distinzione fra cecità e ipovisione: 1. L’acuità o acutezza visiva o visus, ossia la capacità di risolvere e percepire i dettagli fini di un oggetto; 2. Il campo visivo, cioè la porzione di spazio che un occhio immobile percepisce di fronte a sé. Pertanto: • La CECITÀ può essere di 2 tipi: 37 colori a prescindere dal loro nome, a distinguere la figura dallo sfondo, a identificare il volto delle persone conosciute in assenza di richiamo uditivo. Particolare attenzione richiedere la valutazione della scrittura (osservare come il soggetto scrive, la dimensione dei caratteri spontaneamente utilizzata, ecc…) e della lettura ( osservare come il soggette legge: con ausili o meno e valutare la qualità della lettura) , dalla cui osservazione possono emergere importanti osservazioni circa il funzionamento della visione. PROGETTO DI VITA L’intervento educativo a favore della persona con disabilità visiva assume valore in relazione a una progettazione che guardi al presente dentro l’orizzonte ampio dell’educazione all’autonomia e all’indipendenza, i cui percorsi devono essere incentivati fin da quando il proponendo esperienze compatibili con l’età. Operare in tal senso comporta d’intervenire non solo sul minore con disabilità, ma anche sul contesto familiare. L’intervento educativo speciale richiede competenze di mediazione educativa attraverso le quali aiutare i genitori a rinforzare le proprie competenze genitoriali, quasi sempre già presenti, o a renderle maggiormente evidenti ed efficaci. la cooperazione con i genitori assume rilevanza fondamentale per un programma d’intervento precoce. Fra genitori ed educatore è importante che si crei un clima di reciproco rispetto e in taluni casi può risultare utile proporre alle famiglie un percorso di parent training, per cui si interviene nel contesto familiare al fine di modificare l’ecosistema familiare. N.B!! Louis Braille fu l’inventore del sistema di scrittura e lettura a rilievo per i non vedenti. Egli stesso divenne cieco in seguito ad un infortunio. Grazie all’invenzione del codice Braille ha inizio l’educazione dei ciechi. Il codice Braille non serve solo per la lettura e la scrittura, ma anche per i numeri e la musica. 40 41
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