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anni 70-80, caduta muro di berlino e crisi della cecoslovacchia, Appunti di Storia Contemporanea

Mito e realtà degli anni '60: Negli Usa la presidenza Kennedy (durata dal '60 al '63, quando Kennedy fu assassinato) fu improntata a un indirizzo riformistico. In politica interna, lo slancio riformatore kennediano si tradusse in un forte incremento della spesa pubblica, assorbito in parte dai programmi sociali, in parte maggiore dalle esplorazioni spaziali.

Tipologia: Appunti

2016/2017

Caricato il 24/08/2017

valentina.muratore
valentina.muratore 🇮🇹

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Scarica anni 70-80, caduta muro di berlino e crisi della cecoslovacchia e più Appunti in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! CAPITOLO 14: Distensione e confronto Mito e realtà degli anni '60: Negli Usa la presidenza Kennedy (durata dal '60 al '63, quando Kennedy fu assassinato) fu improntata a un indirizzo riformistico. In politica interna, lo slancio riformatore kennediano si tradusse in un forte incremento della spesa pubblica, assorbito in parte dai programmi sociali, in parte maggiore dalle esplorazioni spaziali. In politica estera, all'inizio della sua presidenza, Kennedy tentò di soffocare il regime socialista a Cuba, sia boicottandolo economicamente, sia appoggiando i gruppi di esuli anticastristi che tentarono, nel 1961, una spedizione armata nell'isola. Lo sbarco, che ebbe luogo in una località chiamata Baia dei porci e che, nei progetti americani, avrebbe dovuto suscitare un'insurrezione contro Castro, si risolse però in un totale fallimento. Quando, nell'ottobre 1962, le basi furono scoperte da aereispia americani, Kennedy ordinò un blocco navale attorno a Cuba per impedire alle navi sovietiche di raggiungere l'isola. Per sei drammatici giorni (16-21 ottobre) il mondo fu vicino a un conflitto generale. Ma alla fine Kruscev cedette e acconsentì a smantellare le basi missilistiche in cambio dell'impegno americano ad astenersi da azioni militari contro Cuba. Il primo incontro fra Kennedy e Kruscev, avvenuto a Vienna nel giugno '61 e dedicato al problema di Berlino Ovest si risolse in un fallimento. Gli Stati Uniti riaffermarono il loro impegno in difesa di Berlino Ovest. I sovietici risposero innalzando un muro che separava le due parti della città e rendeva pressoché impossibili le fughe, fin allora molto frequenti, dall'uno all'altro settore. Il muro di Berlino sarebbe diventato da allora il simbolo più visibile della divisione della Germania. Nel 1963 Stati Uniti e Unione Sovietica firmarono un trattato per la messa al bando degli esperimenti nucleari nell'atmosfera, al quale però non aderirono Cina e Francia, entrambe impegnate nella sperimentazione di un proprio armamento atomico. In Urss Kruscev accentuò i caratteri pacifici del confronto con l'Occidente. Ma nel 1964 fu destituito anche per il fallimento dei suoi piani economici. Il 22 novembre 1963, Kennedy fu ucciso a Dallas, nel Texas, in un attentato di cui non si giunse mai a scoprire i mandanti: il primo di una serie di misteriosi omicidi politici (nel '68 furono uccisi Robert Kennedy, fratello di John e probabile candidato democratico alla presidenza, e il pastore negro Martin Luther King, leader del movimento antisegregazionista). La Cina di Mao: il contrasto con l'Urss e la "rivoluzione culturale": In Cina, l'insuccesso della politica di sviluppo agricolo lanciata nel '58 ("grande balzo in avanti") favorì sul piano internazionale la definitiva rottura con l'Urss, mentre sul piano interno diede spazio alle componenti "moderate" del gruppo dirigente comunista. Fra il '65 e il '68, per scalzare il potere di queste ultime, Mao stimolò un movimento di contestazione giovanile (la rivoluzione culturale) che portò alla defenestrazione di molti dirigenti, finché nel ‘68 fu frenato dallo stesso Mao. In politica estera, soprattutto per opera del primo ministro Chou Enlai, la Cina attuò, all'inizio degli anni 70, un clamoroso avvicinamento agli Stati Uniti. Nell'autunno 1971 il maresciallo Lin Piao, protagonista della rivoluzione culturale e delfino designato di Mao, scomparve in un incidente aereo e fu successivamente accusato di aver tentato di fuggire in Urss dopo un fallito complotto antimaoista. Con questo misterioso episodio, il periodo della rivoluzione culturale si chiudeva definitivamente. Cominciava una fase di transizione destinata a sfociare, dopo la morte di Mao e di Chou Enlai (1976), in un radicale mutamento di rotta anche sul piano interno. La guerra del Vietnam: La guerra che si combatté per oltre dieci anni - fra il '64 e il '75 - nel Vietnam rappresentò uno degli strascichi più drammatici del processo di decolonizzazione, ma anche uno dei momenti di scontro più acuto fra gli Stati Uniti, coinvolti direttamente nel conflitto, e il mondo comunista. Gli accordi di Ginevra del '54 [§23.2] avevano diviso il Vietnam in due repubbliche: quella del Nord era retta dai comunisti di Ho Chiminh (protagonisti della lotta per l'indipendenza); quella del Sud era governata dal regime semidittatoriale del cattolico Ngo Dinh Diem, appoggiato dagli americani che cercavano di sostituire la loro influenza a quella francese. Contro il governo del Sud, inviso alla maggioranza buddista della popolazione, si sviluppò un movimento di guerriglia (il Vietcong) guidato dai comunisti e sostenuto dallo Stato nordvietnamita. Preoccupati dalla prospettiva di un'Indocina comunista, gli Stati Uniti inviarono nel Vietnam del Sud un contingente di "consiglieri militari" che, durante la presidenza Kennedy, si ingrossò fino a raggiungere la consistenza di 30.000 uomini. Sotto la presidenza Johnson, la presenza Usa in Vietnam compì un vero salto qualitativo, trasformandosi in aperto intervento bellico. A partire dall'estate del '64, il corpo di spedizione americano fu continuamente rinforzato, fino a contare, nel '67-68, oltre mezzo milione di uomini. Nel febbraio '65, senza che vi fosse stata una dichiarazione di guerra, ebbe inizio una serie di violenti bombardamenti contro il territorio del Vietnam del Nord. La svolta della guerra si ebbe all'inizio del '68, quando i vietcong lanciarono contro le principali città del Sud una grande offensiva (l'offensiva del Tet, ossia il Capodanno buddista), che, pur non ottenendo risultati decisivi sul piano militare, mostrò tutta la vitalità della guerriglia proprio nel momento del massimo impegno militare americano. Nel marzo 1968 Johnson decise la sospensione dei bombardamenti sul Nord e annunciò contemporaneamente la sua intenzione di non ripresentarsi alle elezioni di quell'anno. Il successore di Johnson, il repubblicano Richard Nixon, avviò negoziati ufficiali con il Vietnam del Nord e con il governo rivoluzionario provvisorio, espressione politica dei Vietcong, e ridusse progressivamente l'impegno militare americano. Solo nel gennaio 1973, americani e nordvietnamiti firmarono a Parigi un armistizio, che prevedeva il graduale ritiro delle forze statunitensi. Dopo il ritiro americano, la guerra continuò per oltre due anni: fino a che, il 30 aprile 1975, i vietcong e le truppe nordvietnamite entrarono a Saigon, capitale del Sud, mentre i membri del governo, assieme agli ultimi consiglieri e al personale dell'ambasciata Usa, abbandonavano precipitosamente la città. Pochi giorni prima, i guerriglieri comunisti (khmer rossi) avevano conquistato Phnom Penh, capitale della Cambogia, cacciandone il governo filoamericano del generale Lon Nol. Tre mesi dopo (agosto 75) era il Laos a cadere nelle mani dei partigiani del Pathet Lao. Tutta l'Indocina era così diventata comunista. L'Urss e l'Europa orientale: la crisi cecoslovacca: La segreteria Breznev, subentrata a Kruscev, (1964-82) mutò più lo stile che la sostanza della politica sovietica; si accentuò, in particolare, la repressione dei dissidenti. Solo la Romania, sotto la guida di Nicolae Ceausescu, riuscì a conquistare una certa autonomia, sia sul piano delle scelte economiche sia su quello della politica internazionale. I dirigenti sovietici tollerarono la dissidenza rumena, che peraltro non metteva in discussione le strutture interne del regime. Ma si mostrarono intransigenti nei confronti del più ampio e interessante esperimento di liberalizzazione mai tentato fin allora in un paese del blocco sovietico: quello avviato in Cecoslovacchia all'inizio del '68 e culminato nella cosiddetta primavera di Praga. I sovietici tentarono invano di indurre i dirigenti di Praga a bloccare il processo di liberalizzazione. Poi, il 21 agosto 1968, truppe dell'Urss e di altri quattro paesi del Patto di Varsavia (Germania Est, Polonia, Ungheria e Bulgaria) occuparono Praga e il resto del paese. I dirigenti cechi rinunciarono all'opposizione armata, ma promossero un'efficace resistenza passiva, che isolò politicamente e moralmente gli occupanti. In una fabbrica di Praga si tenne un congresso clandestino del Partito comunista che riaffermò la sua fiducia a Dubcek. In Polonia nel dicembre 1970, gli operai di Danzica e Stettino, per protestare contro la politica di austerità e di aumento dei prezzi decisa da Gomulka, diedero vita a una vera e propria insurrezione. La crisi fu risolta con la concessione di aumenti salariali e con l'allontanamento di Gonulka, sostituito da Edward Gierek. L'Europa occidentale negli anni del benessere: Per le democrazie dell'Europa occidentale gli anni '60 e i primi anni '70 furono un periodo di stabilità economica e di mutamenti politici. In Italia, Germania federale e Gran Bretagna entrarono al governo i socialisti. In Germania il socialdemocratico Brandt inaugurò una politica estera di conciliazione con i paesi dell'Est. Nel 1972 la Cee si allargò con l'ingresso di Inghilterra, Irlanda e Danimarca. Il Medio Oriente e le guerre araboisraeliane: Nel 1967 il presidente egiziano Nasser chiese il ritiro delle forzecuscinetto dell'Onu che presidiavano il confine del Sinai, proclamò la chiusura del golfo di Aqaba e strinse un patto militare con la Giordania. Gli israeliani risposero sferrando, il 5 giugno, un attacco preventivo contro Egitto, Giordania e Siria. La guerra durò appena sei giorni, ma il suo esito fu deciso fin dalle prime ore, con la distruzione al suolo dell'intera aviazione egiziana, e fu disastroso per gli arabi. L'Egitto perse la penisola del Sinai, la Giordania tutti i territori della riva occidentale del Giordano, inclusa la parte orientale di Gerusalemme. La disfatta della "guerra dei sei giorni" segnò il declino di Nasser e della sua politica; determinò il distacco dei movimenti di resistenza palestinese, riuniti nell'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina). Guidata, a partire dal 1969, da Yasir Arafat, l'Olp pose le sue basi in Giordania, creandovi una specie di Stato nello Stato. Il re di Giordania Hussein, esposto alle rappresaglie israeliane a causa degli attentati terroristici dei feddayn (combattenti) palestinesi, reagì con una sanguinosa prova di forza. Nel settembre 1970 (il cosiddetto settembre nero) mobilitò le sue truppe contro i feddayn e i profughi palestinesi, che furono costretti a riparare nel vicino Libano. Da allora l'Olp avrebbe esteso la lotta terroristica sul piano internazionale, con una serie di dirottamenti aerei e di attentati clamorosi, come quello attuato a Monaco contro gli atleti israeliani, durante le Olimpiadi del 1972. Nel 1970 Nasser morì. Il suo successore, Anwar Sadat, procedette a una cauta ma decisa revisione della politica egiziana. Deciso a recuperare il Sinai, preparò accuratamente il confronto con Israele. Il 6 ottobre 1973, giorno della festa ebraica dello Yom Kippur, le truppe egiziane attaccarono di sorpresa le linee israeliane, dilagando nel Sinai. Ma Israele riuscì a capovolgere le sorti del conflitto, grazie anche ai massicci aiuti americani, e a respingere gli attaccanti. Al momento del cessate il fuoco, la "guerra del Kippur" aveva ottenuto scarsi risultati sul piano territoriale. Da un lato fu scosso il mito dell'invincibilità israeliana, dall'altro ci fu la chiusura del Canale di Suez Augusto Pinochet, che diede vita a un regime dai tratti duramente autoritari. Non meno drammatiche furono in questo periodo le vicende attraversate dall'Argentina. Nel 1972, il regime militare che aveva assunto il potere sei anni prima, si accordò con l'ex dittatore Perón. Eletto trionfalmente alla presidenza della Repubblica nel settembre 73, Perón fallì completamente nel compito di riportare l'ordine nel paese, mentre sul piano economico non fece che ripetere l'esito disastroso della sua precedente esperienza di governo. La situazione precipitò ulteriormente quando, dopo la sua morte (luglio 74), la presidenza passò alla sua seconda moglie Isabelita. Nel marzo 76, in presenza di una guerriglia di sinistra sempre più aggressiva e di un'inflazione crescente, i militari decisero di deporre la presidentessa e di riprendere in mano il potere. Nel 1982, anche per distogliere l'opinione pubblica dai problemi interni, il governo argentino procedette all'occupazione delle isole Malvine (o Falkland). Le libere elezioni del 1983, videro la vittoria del radicale Raùl Alfonsin. Nel 1988, in Cile, il regime di Pinochet fu sconfitto in un referendum indetto dallo stesso dittatore; le elezioni presidenziali, tenutesi nel dicembre '89, videro la vittoria del candidato delle opposizioni, il democristiano Patricio Aylwin. Nel 1989 fu rovesciata anche la dittatura del generale Stroessner in Paraguay. In Brasile un'inflazione inarrestabile fece da sfondo a una seria crisi istituzionale, che vide il presidente Vernando Collor de Mello, eletto nel 1989, messo sotto accusa per corruzione e costretto a dimettersi alla fine del '92. Nello stesso anno il Venezuela fu teatro di due falliti tentativi di colpo di Stato militare. In Perù, dove un movimento di guerriglia di ispirazione maoista (Sendero luminoso) si era reso protagonista di una serie di azioni sanguinose e spietate, fu lo stesso presidente Alberto Fujimori a farsi promotore, sempre nel '92, di un colpo di Stato incruento, sospendendo la costituzione ed esautorando il Parlamento. In Colombia la minaccia più grave era costituita dalla strapotenza dei grandi trafficanti di droga, che raffinavano ed esportavano sui mercati statunitensi ed europei la cocaina ricavata dalle foglie della coca. Ancora più complessa e travagliata, dal punto di vista politico, era la situazione dei piccoli Stati dell'America centrale, dove la fine delle ultime dittature personali (Somoza in Nicaragua nel 79, Duvalier a Haiti nell'86) non si tradusse in una stabile affermazione della democrazia. Israele e i paesi arabi: All'indomani della "guerra del Kippur", il presidente egiziano Sadat si convinse della necessità di trovare una soluzione politica al conflitto con Israele e dunque di avvicinarsi agli Stati Uniti. Nel 1974-75, con un clamoroso rovesciamento di alleanze, espulse i tecnici sovietici dall'Egitto, congelò i rapporti con l'Urss e impresse alla sua politica estera un segno filooccidentale. Nel novembre 1977 il presidente egiziano compì un clamoroso viaggio a Gerusalemme e formulò personalmente, in un discorso al Parlamento israeliano, la sua offerta di pace. Si giunse quindi, con la mediazione del presidente americano Carter, agli accordi di Camp David del settembre 1978. L'Egitto ottenne la restituzione del Sinai e stipulò con Israele un trattato di pace (marzo 79). La tensione si accrebbe ulteriormente quando, a partire dalla fine dell'87, i palestinesi dei territori occupati diedero vita a una lunga e diffusa rivolta (detta intifada, in arabo "risveglio") contro gli occupanti, che reagirono con una dura repressione. Dal 1975 il Libano entrava in uno stato di cronica e sanguinosa guerra civile, in cui tutte le fazioni si fronteggiavano con le loro milizie armate e si combattevano a colpi di attentati e di massacri ai danni soprattutto della popolazione civile. Il mondo islamico e la rivoluzione iraniana: In Iran, nel 79, una rivoluzione portò alla caduta del regime dello scià e alla nascita di un regime integralista islamico guidato da Khomeini. Il nuovo regime, violentemente antioccidentale, entrò subito in contrasto con gli Stati Uniti e fu coinvolto in una lunga e sanguinosa guerra con l'Iraq (1980-88). I conflitti nell'Asia comunista: Negli anni successivi alla vittoria dei comunisti in Vietnam (1975) e alla morte di Mao Tsetung in Cina (1976), l'Asia comunista attraversò una fase di profonde trasformazioni e di drammatici conflitti. Dopo la conquista di Saigon, ribattezzata "città Ho Chiminh", i nordvietnamiti ignorarono tutte le promesse di autodeterminazione e di riconciliazione fra le due metà del paese e attuarono una politica di puro e semplice assorbimento del Sud nel Nord. Ancora più tragiche furono le vicende della vicina Cambogia, dove i khmer rossi, sotto la guida di Pol Pot, misero in atto, fra il 76 e il 78, uno dei più radicali e sanguinari esperimenti di rivoluzione sociale mai tentati nella storia. Templi buddisti, biblioteche e istituzioni d'ogni genere furono materialmente distrutti, in omaggio all'utopia di uno spietato comunismo agrario. Nel dicembre 1978, 200.000 soldati vietnamiti invadevano il paese e vi installavano un governo "amico" rovesciando quello dei khmer rossi, i quali, col sostegno della Cina, avrebbero continuato per parecchi anni a dar vita a un'ostinata guerriglia. Poche settimane dopo (febbraio 79) i cinesi effettuarono una spedizione punitiva nel Vietnam del Nord, infliggendo notevoli danni al paese, senza però raggiungere lo scopo di costringere il governo vietnamita a ritirare le truppe di occupazione dalla Cambogia. Solo nel '91 si giunse - dopo lunghissimi negoziati - a un precario accordo di pacificazione fra tutte le fazioni in lotta (compresi i khmer rossi) e alla formazione di un "Consiglio nazionale supremo" col compito di convocare libere elezioni. La Cina dopo Mao: In Cina l'ascesa di Deng Xiaoping portò a un processo di riforme interne e liberalizzazione economica che diede buoni risultati in termini di sviluppo produttivo, ma non si accompagnò alla democratizzazione. Proprio il contrasto fra una modernizzazione economica per molti aspetti traumatica e il mantenimento della struttura burocraticoautoritaria del potere fu all'origine, alla fine degli anni '80, di un nuovo e spontaneo fenomeno di protesta. Protagonisti di quest'ultima furono gli studenti dell'università di Pechino, che diedero vita, nella primavera dell'89, a una serie di imponenti e pacifiche manifestazioni di piazza per chiedere più libertà e più democrazia. L'intervento dell'esercito nella piazza Tienanmen (giugno '89) si risolse in un vero e proprio massacro, che suscitò reazioni sdegnate in tutto il mondo democratico. Il miracolo giapponese: Il Giappone, già protagonista, nel secondo dopoguerra, di un "miracolo economico", divenne all'inizio degli anni '80 la seconda potenza industriale e finanziaria del mondo, senza peraltro svolgere in campo internazionale un ruolo adeguato alla sua forza economica. CAP 16: L'Italia dal miracolo economico alla crisi della prima repubblica. Il miracolo economico: Alla fine degli anni '80 si era sviluppato nell'opinione pubblica e nelle convinzioni dei singoli il rifiuto dei criteri che fin allora avevano regolato la vita politica in Italia e si era nel contempo accentuata l'aspettativa del nuovo. La domanda di riforme era da troppo tempo disattesa. E i reiterati impegni dei partiti a favore di modifiche istituzionali si scontravano con gli interessi conservatori di un ceto politico pago delle posizioni raggiunte e garantite dai rapporti di potere vigenti. Un insieme che si sarebbe rivelato, ancor più di quanto non fosse già noto, poggiare su una diffusa commistione di privilegi e di corruzione. Le trasformazioni sociali: Al di là dei difetti permanenti di un costume, era il sistema politico nel suo insieme ad essere ora messo sotto accusa. Con l'ausilio anche degli strumenti propri della scienza politica, più che nelle manchevolezze di singoli o di singoli partiti, si cominciarono a individuare nel meccanismo elettorale marcatamente proporzionale, nella debolezza dell'esecutivo, nell'impossibile alternanza al governo di schieramenti politici contrapposti i limiti strutturali posti alle radici della crisi. Le grandi migrazioni interne e la rapida urbanizzazione erano indubbiamente il segno di un progresso economico del paese, ma furono segnate da pesanti costi umani e sociali. L'espansione delle città avvenne spesso in forme caotiche, senza piani regolatori e senza un adeguato intervento dei poteri pubblici nel campo dell'edilizia popolare. I primi apparecchi televisivi comparvero in Italia alla metà degli anni '50, con l'inizio di regolari trasmissioni da parte della Rai, l'ente di Stato che già deteneva il monopolio dell'emittenza radiofonica. Ma il boom della televisione cominciò alla fine del decennio, in significativa coincidenza con l'avvio del miracolo economico. Altro simbolo dell'Italia del miracolo fu l'automobile, che ebbe una diffusione di massa. Il centrosinistra: I mutamenti economici e sociali si accompagnarono, all'inizio degli anni '60, a una svolta politica, con l'ingresso dei socialisti nell'area della maggioranza. L'inserimento fu graduale e molto contrastato. Nell'estate '60, dopo la crisi del ministero Tambroni (che aveva tentato, suscitando violente proteste, di governare con l'appoggio determinante del Movimento sociale), si formò un governo Fanfani che si reggeva grazie all'astensione (poi trasformata in appoggio parlamentare) dei socialisti. La nazionalizzazione dell'industria elettrica fu portata a compimento, pur fra molte difficoltà, nel novembre '62, con la creazione dell'Ente nazionale per l'energia elettrica (Enel). Nel dicembre '62 fu approvata la legge di riforma che istituiva la scuola media unica, abolendo gli istituti di avviamento professionale. Nel '63 si formò il primo governo di centrosinistra "organico", presieduto dal leader della Dc Aldo Moro. A partire dal '63, il centrosinistra venne esaurendo la sua spinta riformatrice, anche per le preoccupazioni suscitate nella Dc dal peggioramento della congiuntura economica e dall'ostilità dei gruppi moderati. Nelle elezioni del '63 e in quelle del '68, sia la Dc sia il Psi ottennero risultati deludenti. Il '68 e l'autunno caldo: Nel '68 esplose anche in Italia la contestazione studentesca, con caratteri di particolare radicalità dovuti alla forte tradizione marxista presente nella cultura italiana. Nacquero, fra il '68 e il '70, i gruppi extraparlamentari. Il '69 fu segnato da acute agitazioni operaie (l"autunno caldo"), protagonisti delle quali furono soprattutto i lavoratori immigrati al Nord. Le lotte operaie si conclusero con forti aumenti salariali e con un rafforzamento delle confederazioni sindacali. A queste agitazioni la classe dirigente non seppe rispondere in modo adeguato. Furono approvati tuttavia alcuni importanti provvedimenti (Statuto dei lavoratori, istituzione delle regioni, divorzio che fu introdotto con la legge FortunaBaslini). La crisi del centrosinistra: Gli anni '70 furono segnati dalle manifestazioni del terrorismo di destra e di sinistra, cui il governo non seppe reagire adeguatamente. Il 12 dicembre 1969, in pieno "autunno caldo", una bomba esplosa a Milano, in piazza Fontana, nella sede della Banca nazionale dell'agricoltura, provocò 17 morti e oltre 100 feriti. L'incapacità di risolvere il caso, di cui dettero prova gli apparati dello Stato, fu messa sotto accusa dall'opinione pubblica e dalla stampa di sinistra, che individuò nell'estrema destra fascista la matrice politica dell'attentato. Nell'estate '70, scoppiò la rivolta a Reggio Calabria, che vide un'intera città, esasperata per non essere stata designata come capoluogo dell'appena istituita regione, esplodere in una serie di violente dimostrazioni. Né il governo centrista composto da democristiani, socialdemocratici e liberali e guidato da Giulio Andreotti (72-73) né i successivi governi di centrosinistra presieduti da Mariano Rumor (73-74) furono in grado di compiere scelte politiche di ampio respiro e di affrontare con efficacia una situazione economica che presentava nuovamente sintomi preoccupanti. Gli equilibri politici cominciarono a modificarsi dopo il successo del referendum (1974) che confermò il divorzio contro le posizioni della Chiesa e della Dc, testimoniando i profondi cambiamenti della società. La nuova politica del compromesso storico, annunciata dal segretario del Pci Berlinguer (1973), favorì le vittorie elettorali dei comunisti ('75-76).I mutamenti intervenuti nella società italiana trovarono ulteriore riscontro in due leggi approvate nel 75: la riforma del diritto di famiglia, che sanciva la parità giuridica fra i coniugi; e l'abbassamento della -maggiore età, cui era legato il diritto di voto, da ventuno a diciotto anni. Tre anni più tardi (giugno 78), dopo un lungo e acceso dibattito che vide ancora una volta la Dc opposta alle sinistre e ai partiti laici, il Parlamento approvò la legge che legalizzava e disciplinava l'interruzione volontaria della gravidanza. Il terrorismo e la solidarietà nazionale: Dopo la strage di piazza Fontana, vi furono le bombe in piazza della Loggia a Brescia, nel maggio 74, e quelle sul treno Italicus nell'agosto dello stesso anno, l'attentato alla stazione di Bologna (con oltre 80 morti) nell'agosto '80. L'immagine di uno Stato debole e minato dalla corruzione politica, la presenza di un terrorismo di destra e la psicosi di un colpo di Stato furono tra i fattori che contribuirono alla nascita del terrorismo di sinistra. Ai primi isolati attentati incendiari, seguirono, fra il 72 e il 75, sequestri di dirigenti industriali e di magistrati (il più clamoroso fu quello del giudice Sossi, avvenuto nell'aprile 74). Nel 76, con l'uccisione del procuratore generale di Genova Coco e dei due uomini della sua scorta, si giunse all'assassinio programmato. Gli autori di queste azioni appartenevano alle Brigate rosse, il primo e il più pericoloso gruppo terrorista di sinistra, attivo fino al 1988. Ad esso si affiancarono, fra il 75 e il 76, i Nuclei armati proletari e Prima linea. Dopo il distacco dei socialisti dal governo (75) si giunse al governo di "solidarietà nazionale", nel 1978. Nel 1978 le Brigate rosse, consapevoli di disporre di una più diffusa rete di consensi, misero in atto il loro progetto più ambizioso. Il 16 marzo - il giorno stesso della presentazione in Parlamento di un nuovo governo Andreotti- un commando brigatista rapì Aldo Moro, presidente della Dc e principale artefice della nuova politica di "solidarietà nazionale", uccidendo i cinque uomini della sua scorta. A quella giornata, vissuta dal paese con sorpresa e sgomento, seguirono 55 giorni di attesa e di polemiche di fronte alla sofferta decisione del governo di non trattare il rilascio di Moro con i terroristi. Il 9 maggio Moro fu ucciso e il suo cadavere abbandonato in una strada del centro di Roma. Nonostante alcune leggi di contenuto sociale (equo canone e riforma sanitaria) il programma riformatore del governo di solidarietà nazionale non riuscì a realizzarsi, mentre si accentuarono le divisioni tra le forze politiche. Gli scandali giunsero a toccare la presidenza della Repubblica, costringendo alle dimissioni, nel giugno 78, il capo dello Stato, il democristiano Giovanni Leone (eletto nel 71 da una maggioranza di centrodestra), accusato di connivenze con gruppi affaristici. Al suo posto fu eletto, col voto di tutti i partiti dell""arco costituzionale", il socialista Sandro Pertini, ottantaduenne, figura di indiscusso prestigio morale, che seppe conquistarsi in breve tempo una vastissima popolarità. Politica, economia e società negli anni '80: Negli anni '80, esauritasi l'esperienza della solidarietà nazionale, si ebbero per la prima volta governi a guida non democristiana (con Spadolini e poi con Craxi). Fra gli atti più significativi del governo Craxi, va ricordata la firma, nel febbraio '84, di un nuovo concordato con la Santa Sede, che ritoccava gli accordi del '29 lasciandone cadere le clausole più anacronistiche. Tra i problemi maggiori affrontati dall'esecutivo vi furono quelli dell'espansione abnorme della spesa pubblica e della malavita organizzata (mentre il terrorismo, dopo la legge sui "pentiti", risultava sostanzialmente sconfitto). Il fenomeno mafioso, in particolare, conosceva sviluppi abnormi, traducendosi spesso in aperta sfida ai poteri dello Stato. L'episodio più drammatico in questo senso fu, nel settembre '82, l'assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, già protagonista della lotta al terrorismo, inviato come prefetto a Palermo per coordinare la lotta alla mafia. Più grave per il numero delle vittime (15 morti) fu l'attentato del dicembre '84 su un treno nella galleria "direttissima" fra Firenze e Bologna, attribuito inizialmente alla destra eversiva e rivelatosi poi
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