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Antigone e figure di donna della storia, Tesine di Maturità di Greco

Un'analisi del prologo dell'Antigone di Sofocle, in cui vengono evidenziati i temi principali della tragedia, la personalità dei personaggi e lo stile dell'autore. Viene inoltre fornita una traduzione di un passo significativo e vengono analizzati gli aspetti formali e sintattici del testo.

Tipologia: Tesine di Maturità

2020/2021

In vendita dal 05/10/2022

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sofia-cassai 🇮🇹

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Scarica Antigone e figure di donna della storia e più Tesine di Maturità in PDF di Greco solo su Docsity! Liceo Classico Galileo Figure di donna ΑΝ. Οὔτ' ἂν κελεύσαιμ' οὔτ' ἄν, εἰ θέλοις ἔτι πράσσειν, ἐμοῦ γ' ἂν ἡδέως δρῴης μέτα. Ἀλλ' ἴσθ' ὁποία σοι δοκεῖ, κεῖνον δ' ἐγὼ θάψω· καλόν μοι τοῦτο ποιούσῃ θανεῖν. Φίλη μετ' αὐτοῦ κείσομαι, φίλου μέτα, ὅσια πανουργήσασα· Traduzione: “io non ti chiederei più di farlo, né se volessi agire, non avrei alcun piacere ad agire con te. ma sii dunque cosa ti sembra opportuno essere, io lo seppellirò. Ed è bello per me, che faccio questo, morire. giacerò accanto a lui, cara a lui che mi è caro, commettendo un delitto sacro”. Sul piano formale, nel passo è possibile identificare degli enjambement (verso 69; verso 71; verso 73), un’anastrofe e un iperbato (ἐμοῦ γ' ἂν ἡδέως δρῴης μέτα). Il verbo κείσομαι è utilizzato nelle iscrizioni funebri, “ἐνθάδε κεῖται”, “qui giace”. “ὅσια πανουργήσασα” è un fortissimo e celebre ossimoro, poiché “ὅσιος” è “santo”, mentre “πανουργία” ha valore simile alla locuzione “far qualsiasi cosa” che allude al compiere un’azione empia e scellerata. Dal punto di vista sintattico c’è una prevalenza di paratassi: il periodo infatti risulta semplice e le frasi sono unite attraverso la punteggiatura o attraverso l’uso di elementi di coordinazione. La brevità dell’espressione “κεῖνον δ'ἐγὼ θάψω” con la prolessi dell’oggetto e il θάψω in posizione di rilievo, conferisce alla frase una grande forza drammatica. Il linguaggio e lo stile sono limpidi e pacati. La grandezza di Sofocle sta proprio nella sua capacità di costruire drammi con azioni e colpi di scena e i suoi personaggi acquistano spessore e intensità psicologica. L’Antigone è una tragedia a carattere familiare e politico in cui le due sfere, entrando in conflitto, generano la καταστροφὴ. L’azione si colloca immediatamente dopo l’attacco dei Sette contro Tebe: i due fratelli, Eteocle e Polinice, si sono affrontati ed uccisi reciprocamente e il re Creonte ha deciso che solo Eteocle ottenga i solenni onori funebri che gli spettano, mentre Polinice sia abbandonato insepolto, in preda agli animali. Il passo è tratto dal prologo, nel quale troviamo Antigone e Ismene, le uniche due superstiti di una famiglia dilaniata dalle disgrazie. Antigone, dopo aver chiesto alla sorella se è stata informata del κήρυγμα di Creonte, le annuncia che non ha intenzione di lasciare il fratello insepolto e che quindi non rispetterà l’ordine del re. Ismene inorridisce a una simile affermazione, in quanto non si addice a due donne una tale ribellione, così importante da mettersi contro il volere dei potenti; per questi motivi Ismene decide di non seguire la sorella. Attraverso il confronto con Ismene, che incarna una femminilità più fragile, debole, sottomessa, conforme alla tradizione, si mette in luce l’eroismo di Antigone. Sofocle delinea l’inflessibile personalità di Antigone evidenziandone in ogni modo la superiorità: mentre Ismene non ha in sé la forza per opporsi, le azioni di Antigone rivelano un’immediata e irremovibile volontà di trasgressione, che annullano ogni pensiero, tranne quello della sacrilega ingiustizia di cui è oggetto Polinice. La certezza che Ismene non troverà mai il coraggio per aiutarla induce Antigone, fin dall’inizio del dramma, a staccarsi sdegnosamente dalla sorella, considerandola una traditrice. Dunque, nel prologo vengono subito evidenziati alcuni dei temi principali della tragedia: la solitudine e il coraggio di Antigone, la quale agisce da sola e affronta senza timore il pericolo di non rispettare la legge. Sono individuabili anche le differenze tra queste due figure femminili: Ismene rappresenta gli οἰ πολλοῖ, ovvero “i molti”, la paura di disobbedire e il timore dei potenti, mentre accanto a lei Antigone si fa più grande ed eroica. In contrasto con l’obbediente sottomissione della sorella e dei concittadini, la solitaria diversità di Antigone si delinea agli occhi del pubblico con prepotente risalto, unica nel considerare l’editto un’inaccettabile manifestazione di empietà. L’intera città di Tebe inoltre dovrebbe sapere che le esequie negate attireranno la collera divina e che tutta la comunità sarà contaminata dal sacrilegio, ma il senso del dovere individuale e collettivo è annullato completamente dalla paura che cancella la pietà e la giustizia in tutti, tranne che in Antigone. Analizzando queste due figure di donna, Ismene rappresenta la σωφροσὺνη, ovvero la prudenza, che la induce a concludere il discorso con il verbo “πεὶσομαι”, “ubbidirò”, ed è pronta ad ubbidire non in maniera eroica, ma per paura. Alla σωφροσὺνη di Ismene si oppone la μεγαλοξυχὶα di Antigone, costituita dai suoi valori e dalla sua grandezza che le fanno pronunciare “εγὼ θὰψω”, ovvero “io lo seppellirò”. Dunque, Antigone, esempio di donna eroica e al tempo stesso vittima di questa tragedia, raffigura un personaggio vivo, straziato dal dolore ma fermamente e coraggiosamente sicuro di dover obbedire alle leggi degli dèi e non ad un’autoritaria imposizione umana. La scelta che deve compiere tra la propria vita e ciò che ella sente come un dovere è estremamente dolorosa e sofferta, ma Antigone non sembra mai avere accenni di esitazione. Ciò che colpisce maggiormente di questa figura femminile è soprattutto la fermezza di principi, l’assenza di ripensamenti, la convinzione assoluta di essere nel giusto, la fierezza delle proprie idee, difese a costo della propria vita. Spostandoci nel mondo latino un’altra figura femminile dirompente fu sicuramente Livia Drusilla, terza moglie di Augusto. Mai nessuna donna prima di lei ebbe così tanto potere a Roma, infatti è considerata una delle prime vestali dei diritti femminili; il nipote Caligola, la definì addirittura "un Ulixes stolatus", “un Ulisse in gonnella”, per la sua scaltrezza e per la sua capacità di manipolare le persone secondo i propri interessi. Livia è una figura del tutto attuale anche per la sua visione del mondo, da lei guardato come scenario in cui muoversi e raggiungere le proprie ambizioni, senza timori e senza reverenza verso il potere del sesso maschile, proprio come la figura di Antigone. L’educazione di Livia, che si diceva addirittura rappresentare la quintessenza della tradizione romana, attraverso la lettura di testi antichi, la trascrizione e la ripetizione di versi poetici, fu tesa a instillare in lei qualità di donna adulta sin dalla tenera età e la resero una donna degna di affiancare un uomo importante. Svetonio, addirittura, ci tramanda che Augusto si sarebbe premurato di non imbarcarsi in discussioni serie con Livia senza aver prima messo per iscritto i propri pensieri. Nel 42 a.C. sposò Tiberio Claudio Nerone dal quale ebbe due figli, Tiberio e Druso. Tuttavia, il matrimonio con Nerone fu turbolento e nel 40 a.C. la famiglia di Livia fu costretta ad abbandonare l'Italia per evitare la proscrizione dichiarata da Ottaviano, ma quando fu decretata una amnistia generale dei proscritti, Livia tornò a Roma, dove conobbe e sposò Augusto. Dopo la morte di Marco Antonio nel 31 a.C. con la battaglia di Azio, Ottaviano non ebbe più rivali e divenne quindi il padrone incontrastato di Roma, iniziando la transizione dalla Repubblica all'Impero. Livia non indossava gioielli costosi né vestiti sgargianti, si prendeva cura personalmente della casa e del marito, con il quale fu sempre leale e premurosa. La storia tramanda che il princeps si sia innamorato subito di lei, in realtà è possibile che il loro rapido matrimonio fosse suggerito da convenienze politiche. La fiducia accordatale da Ottaviano era tale che, per la prima volta nella storia di Roma, le venne concesso di amministrare da sola i beni privati della famiglia imperiale e, addirittura, di firmare alcuni decreti con il sigillo e a nome di Ottaviano stesso. Inoltre, spinse il marito ad emanare leggi che permettessero anche alle donne di ceto alto e medio alto, di gestire gli affari di famiglia e di presenziare ad alcuni incontri tra personalità politiche di spicco, accanto ai loro mariti. Livia e Ottaviano rimasero sposati per oltre 50 anni, tuttavia Livia non riuscì a dargli eredi diretti. Il problema della discendenza era sicuramente centrale nei loro pensieri ed è proprio questa assenza di figli a rappresentare un aspetto cruciale nella storia di Livia: il mancante erede fa sì che la donna ponga le sue aspirazioni sui figli che aveva avuto da Nerone. Ma le mire del princeps, intento a creare una monarchia ereditaria, escludevano in teoria l'attribuzione di un ruolo di primo piano ai figliastri, preceduti nella linea di successione dagli eredi naturali del princeps. Dunque, le speranze di Livia erano infondate e come tali erano espressioni non d'amore materno, ma di brama di potere. Alcune voci, riportate da Cassio Dione Cocceiano, insinuarono che ci fosse Livia dietro la morte dei vari possibili eredi di Augusto, come ad esempio Marco Claudio Marcello, il nipote favorito. Il testamento dell’imperatore, morto nel 14 a.C., conteneva il provvedimento di adozione di Livia: questo atto inusuale, che la rendeva figlia del proprio marito, le permise di entrare a far parte in pieno diritto della gens Iulia e di garantirle un terzo del patrimonio di Augusto, attribuendole anche il titolo di "Augusta". Sfruttando la sua notevole popolarità, contribuì all'elezione del figlio Tiberio al
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