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Antigone parafrasi e commento, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Antigone parafrasi e commento a.a 2010

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 20/07/2023

SevenEleven711
SevenEleven711 🇮🇹

9 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Antigone parafrasi e commento e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! ATTO I Riepilogo della scena prima e seconda: La scena prima e seconda sono occupate per intero di monologhi di Argia ed Antigone, in questi monologhi vengono esplicitati gli scopi delle loro azioni; Argia (atto primo scena prima) si reca da Argo a Tebe per riportare a casa le ceneri del marito, che non può avere la tomba al fratello crudo (al verso 12, risiede nell’insanabile odio esistente tra Eteocle e Polinice, un odio che perdura anche dopo la morte) Argia, infatti, ai versi 11 e 13 dice: in vendicata ancora tua squali d'ombra si aggira intorno a queste mura e niega averle tomba al fratello crudo appresso nell’empia tebe L’impossibilita di Polinice di giacere anche da morto accanto al fratello è espressa proprio dall'uso del verbo niega al verso 13, il cui soggetto è squallido min dalla squallida ombra, la misera ombra di Polinice. L'odio tra i due fratelli perdurante anche dopo la morte è un tema estratto dalla tradizione antica. Un esempio famoso è l'inferno di Dante, il canto 26 dell'inferno il verso 54: nel momento in cui Dante e Virgilio si accosta alla duplice fiamma di Diomede e Ulisse, rievoca il mito di Eteocle e Polinice, una fiamma della doppia duplice lingua bruciava congiuntamente i due fratelli, manifestava la divisione dei fratelli anche dopo la morte. Argia volle tornare ad Argo con le ceneri di Polinice; dunque, pensò che quest’ultimo fosse già stato arso e dunque volle riportare la “gelid urna” del marito a casa in modo da averlo accanto anche da morto, per poterlo piangere non lasciando le sue spoglie a giacere accanto al fratello Eteocle. All’inizio Argia non è a conoscenza dell’editto di Creonte, Antigone nella scena seconda dell’atto primo esprime un differente scopo rispetto ad Argia; infatti, quest’ultima volle infrangere la legge di Creonte. La scena seconda termina con la presa di conoscenza da parte di Antigone di una presenza che la seguiva. La scena terza La scena terza è interamente occupata dal lungo dialogo fra Antigone e Argia, caratterizzate da frammentazioni dell’endecasillabo, producendo l'effetto di un dialogo serrato ed incalzante. Esempi i versi 6162656870, il 72 e l’84 sono addirittura divisi in tre battute. Il dialogo tra Antigone e Argia è strutturato in quattro momenti strettamente collegati fra loro, partendo dal riconoscimento reciproco delle due donne, lʼesternazione del timore di Antigone per Argia e la motivazione di questo timore, lo sgomento di Argia per la sorte del cadavere del marito insieme al racconto di Antigone sulle sorti di Giocasta ed Edipo che occupa i versi dal 124 al 175; infine una vera e propria gara tra le donne e la risoluzione fi Antigone di avere Argia come compagna in questa missione. Antigone non rivela subito chi è, prima indaga sull'identità e le intenzioni della sconosciuta, la quale si definisce una infelice. verso 60: Argia: una infelice io sono Pressata dalle domande di Antigone, Argia subito confessa il primo obiettivo del suo viaggio: trovare Antigone che non conosce, le due donne infatti non si erano mai viste verso 60: Antigone cerch’io. Antigone è molto cauta, le sue domande stringenti formulate con una certa durezza sembrano manifestare una sorta di irritazione verso 60: Ma tu chi sei? Antigone conosci? A lei se’ nota? Ch’hai seco a far? Ch’hai di comun con Essa? parafrasata voleva dire che hai tu da spartire con Antigone che non conosci Argia accenna al dolore e alla pietà come sentimenti comuni con Antigone, come la risposta alla domanda di Antigone, Argia non può non conoscere seppure non di persona Creonte verso 65: Pietà? Qual motto Osi tu in Tebe profferir? Creonte, Nol sai? Quì regna. Oh! Non t’è noto forse Creonte? debole e impacciata risposta di Argia: Or dianzi io quì giungeva. Per Antigone, Creonte è una mostruosa empietà non può essere ignota ad alcuno Versi 65-68 sono importanti per due motivi: 1, per Antigone non c'è pietà a Tebe, in realtà esiste ma giace dentro lei stessa; infatti, nella scena precedente aveva descritto come “pietosa” la missione che lei stessa era in procinto di intraprendere. Tuttavia, è certo che sotto il dominio del tiranno la pietà non è né sentita né a messa né tollerata. 2, qui si pronuncia per la seconda volta il nome di Creonte, dopo il monologo di Antigone, nel verso 44 entra sulla scena in maniera indiretta cioè evocato dalle parole altrui (da quelle di Antigone). Creonte entra materialmente in scena nel secondo atto ma la sua apparizione è sempre preparata dalle parole degli altri personaggi dette nel primo atto in maniera ellittica (indiretta). La tirannide e Creonte che la rappresenta, sono per definizione “empi”: del tutto alieni a qualsiasi sentimento di rispetto e riverenza nei confronti di ciò che viene considerato sacro. Antigone e Argia si sono riconosciute reciprocamente, e induce in Argia un cambiamento di condizione dalla infelicità iniziale alla ‘’felice me ti trovo’’ al verso 92. Seppure questa felicità sia dovuta alla possibilità di poter finalmente condividere il dolore con qualcuno, quindi, è una felicità limitata. Alla gioia di Argia contrasta però lo sgomento di Antigone che vede nella cognata una vittima di Creonte, il timore di Antigone si accresce quando Argia è pronta a lanciarsi nella sua ricerca essendo a conoscenza del fatto che il corpo del marito giaceva ancora sul campo di battaglia. verso 120: Antigone: Creonte fero, Tumido già per l’usurpato Trono, Leggi, Natura, Dei, tutto in non cale Quell’empio tien; e non che ’l rogo ei nieghi A’ Figli d’Argo, Ei dà barbara morte A chi lor dà la tomba. Nei versi 119-124 Antigone rivela il contenuto del decreto di Creonte, Argia è incredula, non può concepire che il corpo di Polinice morto ormai da sei giorni sia stato abbandonato 251: Antigone: Sommessamente piangerem.... Il pianto rumoroso avrebbe potuto contribuire alla cattura delle due donne ma nella realtà vi è un’ulteriore ragione per cui le due donne trattengono il pianto: l’avvenenza del tirano è tale da imporre la negazione dei sentimenti (che è impossibile quando l’anima è nobile). Soffocare le lacrime è un atteggiamento eroico (sotto un certo aspetto un atteggiamento eroico maschile, vi è tutta una tradizione eroica ed etica nella quale si piange, per esempio il pianto di Achille per la morte di Patroclo), la repressione del pianto è un segno della capacità del tiranno di incidere la vita degli individui e la loro espressione. Il tema del legame famigliare: come tema ha un’importanza fondamentale perché è dal conflitto tra i legami familiari ed il potere che nasce il tragico, in Antigone i legami familiari sono gravati dal peso della maledizione. I figli di Giocasta ed Edipo (Antigone, Polinice, Eteocle) sono frutto di un incesto seppur consapevole, anche Creonte in quanto fratello di Giocasta fa parte di una famiglia maledetta. Creonte in più approfitta delle situazioni drammatiche della stirpe di Polinice fomentando l’odio tra i fratelli Eteocle e Polinice, il tiranno decise di colpire l’unica erede al trono: Antigone. L’editto emanato da Creonte che proibisce di celebrare le esequie degli argivi e di Polinice venne appositamente emanato per indurre Antigone a reagire potendosi quindi liberare di quest’ultima legittimamente; con la condanna e la cattura di Antigone la legge cesserà di essere in vigore. Anche Creonte ha dei legami famigliare come il figlio Emone che entrerà in scena insieme al padre all’inizio del secondo atto. Atto II Scena primo Nella prima scena avviene un dialogo/colloquio tra Creonte e suo figlio Emone, è un colloquio in cui il legame familiare si scontra con la concezione del potere tirannico. Emone fa appello alla pietà del padre ritenendo che un trono conquistato, come è stato conquistato dal padre, potrebbe portare solo dolore e rovina. Creonte sarà in totale disaccordo 1-5: Creonte: ma che? o figlio soltanto tu sei triste quando io gioisco? finalmente vedi tuo padre a scendere sul trono di tebe (ovvero diventare re di tebe) e vedi (sottointeso) questo mio scettro diventare la tua eredità da dove nascono i lamenti? (perché i lamenti?) provi dolore forse per Edipo, o forse per la sua stirpe(血统) colpevole(rea)? 6-11: Emone: e ti parrebbe un delitto provare pietà per Edipo e per la sua stirpe? nel giorno funesto in cui tu sali sul trono il trono non è per me di augurio così felice da sbarrare la strada a ogni sentimento di dolore (da impedirmi di provare dolore) tu stesso un giorno potresti piangere, pentito il regno conquistato All’inizio Creonte si rivolge al triste figlio, nonostante il padre abbia conquistato il trono di Tebe che sarà ereditato da lui. Il tiranno chiede la ragione di questa afflizione del figlio, la domanda di Creonte non è una vera e propria interrogativa in quanto lui stesso quando la pone è già a conoscenza della risposta. In tutto il colloquio Creonte cercherà di mostrare al figlio di aver agito in maniera giusta, Emone prova pietà per la stirpe di Edipo e descrive la mancanza di pietà paterna funesta e ne teme le conseguenze. 10: Tu stesso un dì potresti Pentito pianger l’acquistato Regno. Questa battuta di Emone sembra già preannunciare il finale della tragedia. 12: io piangerò se si deve piangere il lungo periodo che ho obbedito ai nipoti, figli infami del delitto (colpevoli figli di Edipo) ma se hanno emendato (corretto)la loro orribile nascita con una morte più orrenda, eterno oblio (dimenticanza) gli copre non appena si sarà compiuto il loro destino, il sole in Tebe sarà più puro, l'aria è più tranquilla, gli dèi torneranno a essere più miti ora si può sperare di avere giorni più lieti Secondo Creonte la ragione del pianto sarebbe quella per cui Tebe è stata sottoposta al regno della famiglia empia di Edipo; una volta che la stirpe di Edipo sarà sterminata tale stirpe dovrà essere completamente dimenticata. La totale scomparsa della stirpe di Edipo potrebbe aprire un periodo di serenità e di letizia per la città. 21-32: Emone: fra le rovine e il sangue dei parenti più stretti non c’è altra speranza che il dolore Edipo un re di Tebe (tale è pur sempre), lui esile ramingo cieco, si accinge a offrire uno spettacolo inusitato a tutta la Grecia due fratelli che si uccidano; fratelli del loro padre; figli di una madre incestuosa, a te sorella che si è uccisa di sua propria mano guarda ora quale orribile mescolanza di nomi di morti e di lacrime: ecco la strada, ecco gli auspici con i quali tu sei asceso al trono ah, padre come puoi essere lieto? Emone ritiene che un trono conquistato attraverso un bagno di sangue consumato da persone legate non soltanto da vincoli familiari non può essere motivo di gioia e ben augurante, ma il padre attribuisce la responsabilità di tutto questo alla stirpe di Edipo. 32: Creonte: solo Edipo ha esposto lira degli dèi su questa terra contaminata (città contaminata, Tebe) Creonte definisce Tebe contaminata in quanto è già stata contaminata dall’assassinio da parte di Edipo del padre Laio e successivamente dall’incesto consumato da Edipo e Giocasta. fea segno: faceva bersaglio, la responsabilità è di Edipo si era ostinato a voler rimanere a Tebe se l’ira degli dèi si era scatenata sulla città. Secondo Creonte quindi Edipo era colpevole dell’ira degli dèi scagliatasi sulla città, dell’empietà della sua stessa stirpe ed infine anche della morte del figlio Meneceo. L’esilio era quindi una pena misera nei confronti dei delitti da lui commessi. 36-45: tu non racconti interamente le nostre disgrazie a Edipo scellerato! quanto dolore mi costi? io piango ancora (anche) la morte di un figlio: il tuo fratello maggiore Meneceo, che ha creduto alle frodi empie e ai vaticini bugiardi e sciocchi di un Tiresia Meneceo ucciso dalla sua propria mano, suicidatosi per salvare Tebe, ucciso mentre ancora vive Edipo! (morto mentre ancora Edipo) ai suoi delitti il perpetuo esilio è una vendetta sproporzionata Meneceo aveva creduto secondo il mito all’indovino Tiresia che aveva predetto che sarebbe stato necessario il sacrificio dell’ultimo discendente della stirpe di Edipo, per evitare alla città di incorrere all’ira degli dèi si tolse la vita. Creonte pone davanti all'altro figlio Emone il fatto di avere perduto un figlio per colpa di Edipo e quindi i provvedimenti presi nei riguardi del padre di Antigone caiano al tiranno ancora troppo lievi se commisurati ai crimini connessi. 46: ma con sé Edipo porti da qualche altra parte quella maledizione del cielo, che lo segue ovunque egli vada continuare a piangere non elimina ciò che si è fatto oggi si deve dimenticare il passato e afferrare saldamente la fortuna per i capelli Il tiranno invita a dimenticare ciò che è stato fatto afferrando la possibilità che la fortuna sta porgendo a lui e ai suoi eredi, le azioni compite non possono essere rifatte; perciò, Creonte con realismo politico e disincanto invita il figlio a passare oltre, bisogna essere pronti a cogliere l’occasione sempre se si vuole ottenere il potere. In questa concezione espressa da Creonte vi è un evidente lascito machiavelliano per cui saper sfruttare l’occasione è una capacità politica primaria. Inoltre, Alfieri fu lettore di Shakespeare, nella battuta richiama la necessità per chi vuole conquistare il potere di sapere afferrare la fortuna per i capelli (al volo) 51: Emone: dea instabile (mutevole), non sarà lei a vincere i miei sentimenti bisogna piuttosto tenere lo sdegno del cielo, padre, permetti che io ti parli con franchezza: il tuo divieto crudele che non lascia (non permette) oltrepassare l’Acheronte alle fiere ombre dei greci i cadaveri rimasti insepolti, grida vendetta al cielo (declama la vendetta del cielo) o che cosa fai? eccitato e immediato dal potere e dalla sorte favorevole, non pensi che Polinice è un discendente di sangue reale, e figlio di una madre che è tua sorella? eppure, egli giace nudo nel campo di battaglia: almeno lascia che il cadavere di tuo nipote venga arda(brucia) concedi il cadavere del suo amato fratello all' infelice Antigone, che ha visto morire tutta la sua famiglia Emone nota come sia inumano ed empio negare ad Antigone la possibilità di celebrare le esequie del fratello 58: E di prospera sorte ebro Creonte gli risponde imputando a un'altra ragione del fatto di avere emanato questa legge e di volerla far rispettare a ogni costo 99: l’amor di te: soltanto quello mi ha costretto a emanare questa legge, tu raccoglierai il frutto di quanto ora te preghi e biasimi il cittadino è abituato a vedere consumarsi ben altri delitti a Tebe, e che altro può fare ormai se non obbedirmi e tacere Emone: spesso la vendetta sta chiusa nel silenzio… Secondo la logica di Creonte i sudditi non possano fare altro che obbedire al re, tacere senza alcuna obiezione. Emone cercare di instillare nel padre la paura per i sudditi, sostiene il fatto che i sudditi tacciono non vuol dire che essi non vogliono vendicarsi, perché la vendetta non si rivela e non si manifesta 104: Creonte: (senza lasciarlo finire) nel silenzio di pochi, ma nel silenzio di tutto un popolo si può nascondere soltanto paura e servitù Quindi Creonte può tenere il silenzio di pochi che però (farà con Antigone) possono essere facilmente eliminati anche il silenzio di molti. Il silenzio di tutto un popolo non è nient'altro che il segno della paura e della schiavitù di quel popolo 107: smetti di opporti, figlio mio, ai paterni disegni (ai progetti paterni). non ho affetto preoccupazione maggiore se non quella per te, (non ho affetto più dolce se non ne quello nei tuoi riguardi), mi vesti soltanto tu, e tu solo un giorno potrai godere il frutto delle mie fatiche. Vuoi forse farti ingrato a tuo padre prima del tempo? Ma quale suono sento di soldati e di catene? Emone: Chi mai viene? donne sono trascinate legate strettamente con lacci, che cosa vedo? Antigone Creonte: L’incauta cade dentro la mia rete, male potrà uscirne i versi 96 97 si riferisce ad Antigone perché lui sa che ella avrebbe infranto la legge, anche se per ora con il figlio non lo dice chiaramente. Questa ambiguità delle parole di Creonte già nasconde il vero scopo di questo editto, un fine tutto diretto contro Antigone per farla cadere nella trappola che Creonte stesso le ha teso. Infatti, alla fine della scena Creonte usi l’incauta cadde entro la rete; uscirne Mal ne potrà Creonte ha predisposto una trappola, e nella battuta finale il tiranno ha definito Antigone incauta, imprudente, perché si è infilata nella trappola, la scena si chiude con la cattura da parte delle guardie di Antigone ed Argia. Ma Antigone sin dall'inizio del primo atto aveva messo in conto di essere presa e uccisa, come dice Argia nella scena seconda: la figlia di Edipo vuole morire. Dunque, Antigone non teme per sé ma teme per le sorti di Argia Nel colloquio tra Emone ed il padre entrano in gioco tre temi: il mondo degli affetti, lʼetica e lʼopportunità politica. Il legame familiare condiziona i due personaggi e continuerà fino allʼatto quarto, Creonte veste ancora i panni del padre; il padre ama suo figlio Emone di un amore distorto, lo ama in quanto erede al trono. Il trono sarà in futuro del figlio Emone, questo amore paterno è una proiezione dellʼamore di Creonte per il potere. Il figlio viene visto come un prolungamento di sé stesso; confrontandosi con l’orrore del figlio si spoglierà dai panni del padre mostrandosi tutto re. I due volti di Creonte (quello del padre e di re) si mostreranno in maniera alternata nella tragedia in cui il volto del tiranno si farà sempre più evidente. Ad Emone appartiene il mondo degli affetti, lʼetica; il figlio prova pietà per la stirpe di Edipo, ama Antigone ed il padre è angosciato per il suo comportamento. Il confronto tra Emone ed il padre diventa sempre più aspro per esplodere poi nellʼatto quarto, il confronto è giocato sulla tensione del mondo degli affetti, lʼetica e la logica dellʼopportunità tirannica. Emone per distogliere il padre dai suoi propositi utilizza una spregiudicatezza politica non di lui tipica, introduce nel suo tentativo argomenti di politica. Cerca di convincere il padre attraverso lʼutilizzo del mondo degli affetti e dei valori etici ma anche attraverso piano dellʼinopportunità delle sue scelte politiche. Legami con il trattato “Della Tirannide” *leggere il file Scena seconda Nella scena seconda si consuma con colloquio tra 4 personaggi: Creonte, Emone, Argia ed Antigone Il dialogo è molto concitato come può dimostrare la frammentazione dei versi, una frammentazione che restituisce la drammaticità della situazione in cui viene rivelato il nome della sconosciuta catturata con Antigone. 116-153: Creonte: Che è successo? Quale delitto hanno commesso queste fanciulle? Antigone: io voglio dire Creonte: si lascino avanzare(portatele) più avanti Antigone: Ecco, sono davanti a te; ho infranto(violato) le tue leggi, e te lo dico io (confesso): ho acceso il rogo di mio fratello Creonte: E tu avrai la pena guiderdon=ricompensa/promessa! (rivolto a Argia) Ma tu chi sei, donna? vedo che indossi abiti stranieri(vedo che sei straniera) Argia: Una emula=seguace della sua virtù. Emone: Frena/modera il tuo sdegno, padre, il coraggio femminile non merita l'ira di un sovrano Creonte: Ira? che cosa dici? le ascolto da giudice imperturbabile. la morte è già con loro: prima costei rivela il suo nome, poi entrambe avranno la pena che si sono cercate Emone invita al controllo delle passioni rivolgendosi al padre, dicendogli che il suo sdegno non dovrebbe essere sprecato nei confronti di una “donnesca audacia”, questa espressione è un tentativo di Emone di sprezzare la missione delle donne per poter placare il padre. Antigone: io voglio la ricompensa, io sola la voglio: io la trovai nel campo di battaglia, io le mostravo il corpo del fratello, guidata dal cielo, eludevo la cattiva sorveglianza delle tue guardie, io le chiese di partecipare alla mia Santa impresa, e lei mi ha prestato un piccolo aiuto con le sue mani. Chi lei sia non lo so, non l'ho mai vista in Tebe; forse è di Argo e si è recata sul campo di battaglia non a ardere/bruciare, ma spinta dalla pietà a abbracciare per l'ultima volta qualcuno dei suo, nel campo Argia: ora sì che davvero io sarei colpevole, ora sì che sarei degna di ogni più crudele punizione, se per timore, mi permettessi di negare di avere commesso un opera così santa. Re ingiusto e spregevole, sappi qual è il mio nome, Godine, esulta Io sono la figlia di Adrasto, io sono la moglie di Polinice, Argia Le due donne cercando di difendersi a vicenda dirottando la punizione di Creonte su di sé, Antigone si attribuisce la responsabilità di aver infranto il divieto, interrompendo Emone che cerca di moderare il padre. Antigone cerca di difendere Argia non facendole rivelare la sua identità ma ciò non ebbe successo in quanto la cognata dichiara chi è; le figure retoriche usate da Alfieri nella battuta di Argia rendono le sue parole rafforzate, la non paura di dichiarare la sua identità attraverso lʼuso di unʼepanalessi con chiasmo “io son.. son io”. Creonte: o che degna coppia! oggi il cielo vi ha consegnato (vi ha messo) nelle mie mani, oggi il cielo ha scelto me quale ministro/esecutore per la sua vendetta. Ma tu, sposa affettuosa, non porti con te il dolce frutto del tuo amore breve? Sei ancora la madre di un erede ancora bambino, erede di Tebe, dov'è? anche in lui scorre il sangue di Edipo, Tebe lo aspetta Uso di un tono sprezzante di Creonte nei confronti delle donne catturate a cui si aggiunge anche lʼironia e la minaccia; nella battuta del tiranno da “Ma tu tenera sposa..” Si può notare la vena ironica utilizzata da Creonte per rivolgersi alla sposa di Polinice, sottolineando il fatto che questʼultima aveva ancora un figlio dal marito e quindi un legittimo erede al trono di Tebe. “Tebe lo aspetta”: ha qualcosa in più rispetto alla velata minaccia, il figlio di Argia discende dal sangue di Edipo e quindi appartenete alla stirpe maledetta e quindi anche lui risulta empio e colpevole e meritevole di essere meritato. In questa maniera tutta la stirpe risulterebbe estinta. 153-173: Emone: Inorridisco...fremo...o tu, pure tu hai perso un figlio, (Emone allude al fratello Meneceo) osi esasperare con le tue parole, il dolore di una madre? una piange la morte del fratello, l'altra la morte del marito: tu le deridi oh cielo! Antigone: o tu figlio indegno di un simile padre, (meriti di essere figlio di un tale padre) ma taci: non avvilirci ormai con le tue prediche(non c'è miliare ancora di più con le tue suppliche), costituisce una prova indiscutibile di assoluta innocenza, essere messe a morte dove regna Creonte Creonte: esprimi pure tutta la tua rabbia impotente, non mi offendi, disprezza pure la morte purché tu l’abbia (purchè tu muoia) Argia: In me, rvolgi il tuo furore in me. Io venni qui sola, sconosciuta, di nascosto: sono entrata di notte dentro le mura per beffare la tua legge. È vero che Antigone aveva il cuore gonfio, di sdegno velenoso, è vero! aveva dentro di sé mille progetti, ma pure soffriva in iniziano da tempo fin da quando alimentò la diffidenza reciproca dei fratelli. Rilievo sullʼambizione come fondamentale per la presa del potere. Creonte continua a riferirsi allʼempietà della stirpe di Antigone affermando che la sua ascesa al trono e lʼestromissione della stirpe di Edipo al trono è unʼopera che sana lʼempietà della stirpe di Antigone. 238-247: Emone: Vuoi perdere te stessa a viva forza, Antigone? Antigone: sì, lo voglio, voglio che il tiranno almeno per una volta senta la verità. Non vedo intorno a lui alcuno che osi dirgliela. O Creonte, se tu potessi mettere il silenzio ai tuoi rimorsi, così come metti a tacere la lingua altrui, o come sarebbe completo allora la tua gloria/trionfo! Ma odioso a te stesso, più di quanto tu lo sia a tutti, hai scolpito nello sguardo sfuggente e inquieto la prova/il segno del tuo delitto e pena Emone interviene angosciato ma Antigone non tace e riafferma la sua volontà Questo è un punto molto importante della scena seconda, Antigone vuole che il tiranno ascolti il vero. La tirannide secondo quanto scritto nel trattato eponimo da Vittorio Alfieri è la negazione della natura e della verità. Oltre all’ambizione che risulta essere la molla spingente per il recupero del potere, c’è poi anche un’ambizione di riflesso che riguarda coloro che non sono nelle condizioni di riprendere il potere ma aspirano a ottenere i favori del tiranno, in un regime tirannico l’ambizione ha questo doppio aspetto. Nel regime tirannico è la menzogna a regnare, si mente per paura o per ambizione; Creonte nella scena precedente (verso 82) aveva parlato di “mentita pietade”, la pietà come finta falsa, quindi la tirannide è un mondo alla rovescia: la menzogna è verità e la verità menzogna. Nel trattato “Della Tirannide” Alfieri ammette che sta agli uomini integri mentalmente di diffondere il vero con prudenza, che va deposta quando le offese del tiranno diventano umanamente insopportabili. Antigone non è più disposta a sopportare le ingiurie di Creonte sulla sua famiglia, le offese mortali in quando Creonte spinse i due fratelli alla morte. Antigone è quindi decisa a morire; Emone vuol ammettere che se Antigone rimarrà della sua posizione non ci sarà più modo di salvarla “A viva forza vuoi perder te stessa, Antigone?”. Antigone risoluta a dire il vero e obbligando Creonte ad ascoltarla ne tocca le corde profonde in quanto il tiranno non mostra di vacillare, anche se nessuno osa dire a Creonte il vero è lo stesso suo atteggiamento a rivelare l’iniquità del tiranno, nel suo sguardo Antigone vede paura e timore delle conseguenze delle sue azioni La paura dove regna la tirannide è una paura doppia, cʼè la paura dei sudditi ma anche del tiranno stesso non solo nei confronti dei sudditi, in Creonte la paura è una paura interiorizzata che sta nel fatto di essere consapevole dentro di se che egli non sta agendo nel nome degli dei e secondo giustizia. 247-257: Creonte: non erano necessari i miei tradimenti per fare morire voi, abominevoli fratelli di vostro padre, tutti i numi (Dei) irati a gara lo volevano Antigone: come osi nominare gli dèi? tu che non hai altro Dio che il tuo utile, per cui fai presto/sei pronto a sacrificare sia gli amici sia i figli sia la fama/deputazione, se tu l'avessi Creonte: Ti resta altro da dirmi? Divinità diverse richiedono sacrifici/vittimi diversi. Sarai tu la vittima degna, già sacra alle divinità infernali, ultima di una genia infame Creonte utilizza per giustificarsi delle sue azioni la volontà degli dèi; Emone cerca di prendere tempo facendo utilizzo al mondo degli affetti, rivolgendosi a Creonte come al padre in primo luogo. Il tentativo di prendere tempo è sfruttato per compiere un tentativo per distogliere il padre dai suoi obiettivi. Oltre al rilevamento della paura nello sguardo di Creonte nella battuta di Antigone possiamo anche rilevare unʼaccusa nei confronti di Emone che era intervenuto prima di questa battuta. Emone è il più vicino al tirano di tutti e Antigone indirettamente gli rinfaccia di non dire la verità al padre, non dice il vero al tiranno. 258: Emone: padre, ti chiedo di concedere prima una breve udienza. Sospendi per poco la tua decisione, ti devo riferire/narrare molte cose importanti Emone si rivolge al padre con l'uso di una lingua degli affetti, con il tentativo di prendere tempo per compiere ancora un tentativo per distogliere Creonte. Antigone non sa che Emone si era rivolto al padre con franchezza (anche se nello stesso tempo continua un po anche ad essere frenato dal legame affettivo nei riguardi del padre), anche il figlio si pone e si porrà dalla parte di chi osa dire la verità al tiranno. 260: Creonte: rimane ancora da trascorrere un po' della notte turbata da loro (la tranquillità della notte con la loro azione sconsiderata conseguita dalla loro cattura). ho già deciso l'ora della sua morte, ti ascolterò fino al sorgere del sole (fino all'alba) Nella battuta di Creonte la frase “fin che rinasca il sole” segna il tempo della tragedia stessa che si svolge in una sola notte ma non solo; ha però anche unʼaltra valenza simbolica: nel mondo tirannico cʼè sempre un rovesciamento tra menzogna e verità, lʼapparire del giorno che è simbolicamente associato alla rinascita e la luce del giorno torna ad alimentare la speranza. Nella reggia di Creonte lʼapparire del giorno sarà invece portatore di morte. 264: Argia: Parli di lei sola? Ora si che tremo/ho paura. non manderai a morte anche me? Creonte: basta indugi, tutti e due dentro a una orrenda buia prigione Argia: Insieme a te, sorella Creonte: siano divise. Antigone venga con me, io sono il custode di una garanzia così preziosa, andiamo guardie si trascini/si porti l'altra (Argia in un'altra cella) Antigone viene definita un “pegno” da Creonte, una garanzia per il suo trono in quanto quest’ultima essendo ultima erede al trono, la sua eliminazione porterebbe alla stabilità del suo trono. Creonte concede il colloquio al figlio ma nel concedergli questʼultimo svela le sue intenzioni sulla morte di Antigone (vv 260-264) “il suo morir”. Questa frase del tiranno getta nella disperazione Argia che per tutta la durata del colloquio aveva creduto che Creonte intenda uccidere entrambe ma da questo momento il suo stupore emerge quando comprende che solo la cognata verrà punita. Argia adesso comprende come lʼobiettivo reale del tiranno fosse solo la cognata, tanto che questʼultimo fa separare le due donne. Atto terzo Scena prima 1-28: Creonte: eccomi pronto ad ascoltarti, o figlio, hai detto che devo udire da te cose importanti, e nello stesso tempo forse potrai ascoltare cose altrettanto importanti da me Emone: vengo a supplicarti, non dovevo affrontare il primo feroce sfogo del tuo sdegno ardente, ora che esso lascia il posto alla ragione, io benché sia solo io a farlo, a nome anche di tutta Tebe, io ti scongiuro, o padre, di essere pietoso. Me la negheresti? le due donne spinte dalla pietà hanno infranto la tua legge, ma chi non l'avrebbe infranta? Creonte: chi altro se non tu, oserebbe intercedere求情/pregare per chi la infranse Emone: neppure tu stesso, nel tuo pensiero giudichi la loro Santa impresa degna della pena di morte. No, non credo che tu sia, e nemmeno lo sei così ingiusto e snaturato/disumano Creonte: la città/i cittadini/Tebe e mio figlio mi definiscono pure crudele, quanto volte quanto vogliono, mi è sufficiente essere giusto. tutti sono allo stesso modo devono obbedire a tutte le leggi, quali che esse siano! i re rendono conto delle loro azioni soltanto agli dèi, e non c'è né età né posizione sociale né sesso che possano giustificare il grave crimine di non obbedire. Pochi impuniti danno la licenza ai molti. Emone: emanando la tua legge, avresti mai potuto credere che a infrangerla per prime sarebbero state due donne di quel genere? una moglie, una sorella, in competizione l'una con l'altra, molto più animose di quanto lo siano? Emone depone ogni atteggiamento che possa essere interpretato come mancanza di rispetto e si scusa per aver affrontato di petto prima il padre esacerbato. Egli si presenta come supplice chiedendo la grazia di essere ascoltato, quando asserisce di aver commesso lʼerrore di aver affrontato lʼira del padre, bisognerebbe analizzare così lʼira: ʼira è un sentimento che implica mancanza di controllo delle proprie emozioni ma l’ira del tiranno in questo caso è lucida e complessa. Tale ira è simulata in quanto Creonte ha emanato la legge facendo un preciso calcolo politico dove vengono tenute presenti le conseguenze dell’emanazione della legge, ovvero lʼattrazione di Antigone in una rete. Lʼira di Creonte ha quindi un duplice aspetto: da una parte ha quellʼira che un tiranno prova quando le sue leggi sono violate ma dallʼaltra parte è unʼira che non esprime lo stato dʼanimo del tiranno in quanto ha elaborato un progetto per neutralizzare Antigone. Emone non puo sospettare lʼintento del padre, ritenendo che il tiranno non avrebbe potuto sapere che a violare la legge sarebbero state due donne della levatura morale di Antigone ed Argia. Creonte mostra noncuranza e disprezzo per lʼopinione di Tebe e del figlio asserendo che tutto il popolo avrebbe dovuto rispettare la legge dal re emanata, tutti devono obbedire alla legge tranne lo stesso re che deve tener conto solo agli dei. La sostanza del potere dispotico, secondo quanto asserito in “Della Tirannide”, risiede nel fatto che il re posto al vertice non sottostà ad alcuna legge potendo però eludere le leggi da lui stesso emanate. Il potere tirannico è arbitrario, proprio perché Creonte ha questa concezione di potere risulta essere un tiranno. 29-42: Creonte: Ascolta, figlio, non ti devo nascondere niente, o sia che tu non lo sappia, sia che tu non lo voglia, sia che tu finga di non avere capito il mio pensiero, desidero parlare 84-114: Emone: Ti inganni. giuro che lei non nutre alcuna ambizione/pensiero al trono. In te invece nessun altro pensiero attecchisce. perciò non conosci, né puoi conoscere per tua esperienza quale e quanto sia potente l'amore e quanto debole freno ne sia la ragione. quando tu ancora non giudicava Antigone tua nemica, io già l'amavo, non potevo poi smettere di amarla, potevo tacere il mio amore e ho taciuto, ne avrei parlato se tu non mi avessi costretto. o padre, se tu non mi avessi costretto. O cielo, porgerà il collo alle scure infame, ed io vederlo? Soffrirlo? Se tu potessi rimirare, con uno sguardo meno superbo e offuscato, il suo nobile cuore, l’alto giudizio, le sue rare e sublimi doti , saresti un padre che l’ammira al pari e più di me. Chi, sotto la crudele tirannia di Eteocle, ardì mostrarsi a Tebe amico di Polinice? Solo lei. Il padre cieco, respinto da tutti, in chi trovò pietà se non in lei? Infine Giocasta, già tua sorella, (dicevi allora "cara"), da chi ebbe conforto al suo dolore immenso di madre afflitta? Quale compagna nel piangere? Quale altra figlia, oltre Antigone? E’ figlia d’Edipo, dici tu! Ma la sua virtù è ampio riparo alla sua... non colpa. Te lo ripeto: il regno non è nei suoi pensieri. Non sperare di vedermi felice a suo danno; lo fosse lei a danno mio! Per lei darei il trono del mondo, nonché di Tebe. Emone risponde al padre negando che Antigone aspiri al trono, accusando il padre di non riuscire a provare amore non conoscendo quindi gli effetti che esso produce. Cʼè da notare un citazione da una parte dal “Canzoniere” di Petrarca, più nello specifico dal sonetto uno quando Petrarca dice di rivolgersi a coloro che possono capire quello che lui dice perché lʼhanno provato per amore. Inoltre abbiamo anche una citazione al sonetto dantesco “Tanto gentile tanto onesta pare” al vv 11 quando viene affermato che non è possibile capire i sentimenti che suscita Beatrice al suo passaggio e lʼamore da parte di chi non ha mai provato amore. Cʼè una citazione da testi molto antichi e una concezione dellʼamore stilnovista per cui lʼamore può essere compreso solo da colui che lʼha provato. Emone ama Antigone per la sua virtù fatta di coraggio, di amore fraterno e filiale. La mente del padre è offuscata dal potere e non riesce quindi a vedere la virtù impenetrabile al tiranno; anche qui ci sono collegamenti a “Della Tirannide” per cui questʼultima è una condizione che offusca la mente e i sentimenti del tiranno stesso, tutto bramoso di potere ha una vita interiore annichilita. Per la visone per cui la tirannide rappresenta un mondo distorto si afferma che la vera virtù sotto il regime tirannico non è virtù. La virtù di Antigone è ammenda della colpa originaria di appartenere alla stirpe maledetta di Edipo secondo Emone, mentre per la stessa Antigone la virtù non basterà; essa eserciterà la sua virtù fino al limite estremo della morte. 114-132: Creonte: Ora dimmi? Sei amato da lei allo stesso modo? (di come la ami tu) Emone: Non c'è amore pari al mio, lei non mi ama e non può amarmi. se non mi odia è già sufficiente per me, non spero niente di più. sarebbe già troppo per lei, che pure mi dovrebbe odiare Creonte: Dimmi, Potrebbe acconsentire ad essere tua sposa? Emone: una fanciulla figlia di re, alla quale sono stati strappati in maniera tanto orribile tutti insieme, i due fratelli, la madre, il padre, si sposerebbe a chi nasce da una stripe ostile a lei e alla sua famiglia? come potrei osare tanto sposarla, io che sono tuo figlio Creonte: Osa, il matrimonio con te le restituì sia la vita sia il trono Emone: la conosco troppo bene e la amo troppo, è cresciuta sempre nel dolore, ed ora, più di prima, nel pianto trascorre i suoi giorni. forse in futuro tornerà a esserci un tempo meno triste per le, e meno stile al mio amore. tu poi lo potrai fare (sottinteso potrai rendere un futuro meno stile) Creonte avanza quindi una proposta: il matrimonio del figlio con Antigone; il tiranno per salvare il figlio da lui amato avanza tale proposta. Con il matrimonio Antigone potrà salvarsi, la reazione di Emone è complessa: conoscendo Antigone sarò sicuro che essa non accetterà, ma nello stesso tempo esprime la speranza che Antigone in futuro potrà accettare di sposarlo. Eʼ una speranza vera che cerca di sfruttare per prendere tempo sperando che il padre decida di risparmiare la vita alla sua amata. Creonte impone però una forzatura con una conseguente risposta del figlio Emone 133-147: Creonte: Dovrei affidare il nostro destino al tempo e ai suoi dubbi eventi? Tu lo speri invano. (Alle guardie) Ehi là! Subito si porti davanti a me Antigone. (Al figlio) Ella è colpevole e la pena di morte posso dargliela in virtù della legge, sarebbe certo una decisione a me più utile, ma mi sei così caro (ma ti voglio così bene, Creonte usa una formula attenuata per dichiarare davanti al figlio il suo amore) che io voglio lasciarla in vita e accoglierla come figlia, se acconsente ad essere tua (se accetta di sposarti). Ora sarà dubbia la scelta fra la morte e le nozze reali? Emone: Dubbia?no! Sceglierà la morte. Creonte: Ti detesta dunque? Emone: Ama troppo la sua famiglia Creonte: Ti capisco, figlio, Vuoi che risparmi la vita a chi mi ucciderebbe, qualora potesse? tu osi chiedere tanto a un padre che ti ama tanto Creonte richiama fortemente il legame affettivo con il figlio. Di fronte alla proposta di razionare tempi e quindi di risparmiare Antigone aspettando che magari in futuro e la si possa decidere a sposarlo, il tiranno non accetta di rinunciare al proprio potere decisionale per affidarsi al tempo dubbio; impone quindi il suo potere attraverso una forzatura: non impone ad Antigone la morte che merita se sposerà subito il figlio Emone, è la massima concessione che il tiranno può fare in quanto re e in quanto padre. Creonte non può accettare che Antigone rinunci alla proposta se non perché essa detesta il figlio. In questo punto ritorna il concetto per cui secondo il tiranno Antigone è ben colpevole e quindi meritevole della morte infame; emerge lʼimpossibilità per Creonte di vedere Antigone capace di calcolo politico; infatti, non riesce a capacitarsi del fatto che Antigone preferisce morire piuttosto che accettare la condizione da lui offerta. Creonte nelle ultime battute fa notare al figlio come esso stia chiedendo un grande sacrificio al lato di Creonte padre, un sacrifico che comprende lʼaccettazione di Creonte di Antigone come nuora nonostante la condizione matrimoniale debba essere accettata subito. La controproposta di Creonte è ispirata allʼamore per il figlio che continua ad essere declinato come un amore politico, quando il figlio afferma di voler morire in caso la sua amata morisse Creonte pur di non perdere il proprio erede formula la proposta del matrimonio che deve essere celebrato in maniera imminente. Antigone supererà la stessa previsione di Emone. Scena seconda Dopo la rivelazione di Emone dellʼamore per Antigone nella scena precedente, il padre/re Creonte decise di proporre ad Antigone una decisione: le nozze immediate con il figlio o la morte. Antigone scortata dalle guardie viene portata davanti al tiranno e a Emone, sullʼarrivo di Antigone abbiamo lʼapertura della scena seconda. 148-158: Creonte: Vieni Antigone. Mi trovi assai diverso da come ero prima, con una più favorevole disposizione d'animo nei tuoi confronti. Non che io valuti meno grave la tua colpa, o perché io ritenga che tu sia meno meritevole di ricevere la pena prevista. È l'amore paterno, più forte dell'amore per la giustizia, a spingermi a tanto. Mio figlio mi chiede la grazia per te, e la ottiene se tu fossi pronta Antigone: pronta a che cosa Creonte: a dargli in mia presenza, come meritata ricompensa (in cambio) la tua mano Emone: Antigone perdonami, io non ho mai chiesto una ricompensa così grande, lui vuole darti a me (come sposa), io voglio solo salvarti, null’altro. Nellʼesordio di Creonte il tiranno mostra lʼaspetto di un re benevolo affermando subito che la sua scelta è stata dettata dallʼamore per il figlio, riconoscere infatti la non colpevolezza di Antigone sarebbe come disconoscere lʼautorevolezza del suo potere. La proposta del matrimonio viene presentata come una grazia, Creonte non può rifiutare alla richiesta del figlio; il tiranno si sente un Dio che può esaudire le preghiere supplici di chi si è rivolto a lui, in questo caso del figlio. Emone puntualizza di non aver mai chiesto al padre il matrimonio con Antigone come ricompensa, anzi nellʼatto precedente lui stesso aveva espresso la sua convinzione sul fatto che la sua amata non avrebbe mai accettato di sposarlo. Abbiamo quindi lo scontro di due volontà: quella di Creonte che vuole presentare la sua concessione ad Antigone come una grazia, e quella di Emone che non vorrebbe che il padre ponesse la questione sotto questa luce. 158-168: Creonte: (rivolto ad Antigone) Ti voglio perdonare... Antigone: Creonte mi offre la grazia? Quale altra grazia puoi fare a me, se non uccidermi? Solo la morte può togliermi dai tuoi occhi: fai felice solo chi non ti vede. Emone chiedi la grazia della mia morte, solo questo mi dimostrerà il tuo amore. Pensa che il miglior dono di un tiranno è la morte, che spesso la nega a chi davvero ardentemente la desidera nel cuore. Alla clemenza Creonte fa seguire il perdono, rappresentandosi come un sovrano- Dio che può concedere grazia e perdono; la risposta di Antigone è bipartita: se Creonte quando risponde si rivolge esclusivamente ad Antigone “Io, perdonar ti voglio”, Antigone nella sua risposta si rivolge prima al tiranno e successivamente al figlio Emone. La risposta di Antigone è netta: lʼunica grazia del tiranno è la morte; ciò va confrontato con ciò che Alfieri scrive in Giunge quindi ad invitare i due a vendicarsi del loro odio su di lui, la sua morte per mano di Antigone sarebbe la vera vendetta che potrebbe ottenere in quanto renderebbe Creonte orbo, cieco come Edipo (in senso simbolico in quanto privato dei figli); Edipo fu colpito da una doppia cecità in quanto fu privato della vista e dei suoi stessi figli ma anche della moglie Giocasta. La cecità a cui Creonte andrebbe in contro sarebbe la cecità metaforica di un padre che perde il suo unico figlio ed il tiranno avrebbe quindi una buona ragione per uccidere la donna e questʼultima sarebbe realmente soddisfatta in quanto priverebbe Creonte del suo unico bene, suo figlio. 219-230: Creonte: Non disperare ancora del tutto (non perdere ancora del tutto la speranza). In lei parla lo sdegno, più che il dolore. Ragiona, donna, il tuo destino è nelle tue mani, soltanto da te dipende la sorte di quell’Argia, che tu ami così tanto, per la quale provi tanta pena più di quanta ne provi per te stessa. Tu puoi decidere del destino di Emone, che non detest,i e del mio destino che seppure mi odi più del dovuto (più di quanto io meriti), dovresti riconoscere nei tuoi confronti più pietoso del dovuto. Ti concedo di pensarci l'intero giorno che sta per sorgere, alla sera dovrai scegliere fra la morte e Emone. Creonte nella sua ultima battuta della scema seconda si rivolge al figlio dicendogli di non perdere ancora la speranza che Antigone possa cambiare idea, dopodiché si rivolge alla donna cercando di sminuire la fermezza di Antigone paragonandola ad una indignazione irragionevole, non si astiene poi dalle minacce in cui tocca il punto debole di Antigone: il mondo degli affetti; ovvero il sentimento nutrito per Emone e quello nutrito per Argia delle cui sorti può decidere. Antigone può decidere anche del destino dello stesso re, nel senso che essa non può decidere del suo destino di re in quanto tale ma può decidere del destino di Creonte “uomo”, rendendo infelice il figlio questa infelicità ricadrebbe anche su di lui. Questa pietà di Creonte è una pietà mentita perché questo è un sentimento estraneo al tiranno, in realtà quelle mostrata da Creonte non è vera pietà. Creonte in questa battuta mostra spregiudicatezza quando crede che la stessa Antigone avrebbe cambiato idea, quanto messa veramente davanti alla morte, e dallʼaltro lato minaccia Antigone sul mondo degli affetti lanciando un vero ultimatum alla donna: le concede un giorno per riflettere sulla sua grazia, ma alla sera dovrà scegliere tra la morte ed Emone. Questa scena è importante in quanto possiamo capire come lʼamore possa entrare nelle tragedie alfieriane, in questʼultime lʼamore entra in una modalità tragica. Scena terza Creonte dopo lʼultimatum dato ad Antigone esce dalla scena e rimangono quindi soli i due figli: Emone ed Antigone 231-247: Antigone: Perché sei il figlio di Creonte? O perché almeno non gli somigli? Emone: A tu mi odi, questo momento che ben sento essere per me l'ultimo istante della vita, voglio darti con sincerità i miei veri sentimenti, prima la presenza del duro padre me lo impediva. Ora sappi, a mia discolpa, che io per primo lodo e apprezzo e ammiro, il tuo risoluto rifiuto e il tuo sdegno ancora più risoluto. Preferirei bruciare a fuoco lento questa mia mano prima che possa osare offrirtela, che mi sembra più indegna di te, più di quanto non sembri a te. Se ti amo lo sai, se ti stimo lo saprai, ma intanto, o quale orribile condizione sono! La mia vita non basta, no a salvare la tua. Potessi almeno ottenere per te una morte non infame. Per Antigone la rinuncia ad Emone è una rinuncia che costa, dolorosa: “perché figlio di Creonte nasci?”. Nella prima parte della battuta lʼidea della sofferenza viene data meglio, sarebbe più semplice se Emone fosse più simile al padre tiranno. Invece è totalmente diverso dal padre ed è per questo che Antigone lo ama ed è per questo che la rinuncia, in quanto accettare la grazia di Creonte è una decisone sofferta. Nella risposta di Emone si nota tutta la nobiltà di questo personaggio che è il degno innamorato di Antigone, Emone decide di rivelare pienamente i suoi sentimenti nei riguardi della donna per cui prova amore ma anche stima. L’amore per Antigone porta Emone a cercare di salvarla a tutti i costi ma abbiamo comunque l’ammirazione per la fermezza di Antigone nella sua scelta. La fermezza di Antigone ed il fatto di non volere piegarsi alla rinuncia di questi suoi affetti; per Antigone accettare la proposta di Creonte vorrebbe dire venire meno alla sua profonda umanità oltre che piegarsi al tiranno. Alla fine della sua battuta, Emone avendo capito che la proposta di Creonte del matrimonio non sarebbe mai stata recepita dalla donna, vorrebbe fare un ultimo tentativo per evitare ad Antigone la morte infame. Anche se la legge di Creonte è ingiusta Antigone viene condannata in base a quella legge e quindi viene messa a morte in virtù della colpevolezza, ed Emone vorrebbe almeno tentare di sottrarre Antigone all' infamia di una morte. 247-258: Antigone: A Tebe i miei fratelli e mia madre ebbero una morte ancora più infame. La scure sarà per me quasi un trionfo. Emone: O che cosa dici? A che spettacolo, che atroce spettacolo! Io non lo vedrò, non sarò vivo. Ma ascoltami Antigone, forse ancora si potrebbe eludere/ingannare il re, ma non ne parlo perché non voglio che la tua reputazione venga offesa. Antigone: Io non inganno i tiranni, li affronto e tu lo sai. Soltanto la pietà/compassione per i fratelli poté indurmi all' inganno (ad agire di nascosto). Dovrei ora usare la frode/l'inganno per salvarmi? ah forse potrei usarla se servisse a farmi morire prima La morte data da Creonte è un trionfo secondo Antigone, Emone allora avanza una proposta: egli cerca di convincere la donna proponendole qualcosa che non danneggi la sua integrità e la sua fame. Le propone di aggirare il tiranno, di prendere tempo ingannando Creonte; importante nella battuta di Emone lʼuso del verbo “deludere” usato da Alfieri nel tiranno proprio nel significato di “eludere”, la possibilità del tiranno stesso di eludere una legge da lui emanata; lo stesso verbo viene usato da Emone che cerca di usare le stesse armi del tiranno per una giusta causa. Antigone risponde con unʼaffermazione perentoria affermando di affrontare e non eludere i tiranni, con la battuta “e il sai tu.”mette in luce la sua umanità e la sua fragile fermezza; dal punto di vista stilistico abbiamo questo caso degli accenti deboli che rendono più intimo il tono rispetto al tono della prima espressione “io non deludo, affronto i tiranni”. Nellʼaffermazione “e tu il sai” si ha unʼAntigone che cerca di pregare Emone di non mettere alla prova la sua fragile fermezza proponendo delle condizioni di vita inaccettabili. 258-264: Emone: Se è tanto forte in te questo desiderio di morire, sospendilo un momento. (non chiede ad Antigone di rinunciare alla morte ma almeno di sospendere la pena, quindi le chiede di rinunciare a morire subito) Non ti chiedo di fare qualcosa indegno di te, ma pure se puoi, soltanto ritardando la tua decisione, essere utile/giovare ad altri. Se puoi vivere senza disonore/vergogna, e che potrai essere così crudele con te stessa e con me. Emone non chiede ad Antigone di rinunciare alla morte ma di fermare questo suo desiderio almeno per un pò; la volontà di morte della donna sta conficcata dentro di lei, è molto forte e quindi la richiesta di Emone non lederà lʼintegrità di Antigone. Emone cerca di puntare che dalla decisone di Antigone dipende il destino anche di altri in cui non è compreso solo lui ma si allude anche ad Argia che rimane nelle mani del tiranno. 265-276: Antigone: Emone non posso farlo, non sono crudele con me, sono figlia d’Edipo. provo dolore per te, eppure... Emone: Io lo so, non posso essere per te ragione/causa di vita, bensì posso esserti compagno di morte. Ma non tutte le persone degne del tuo pietoso affetto hanno oltrepassato le nere onde dello Stige (morte), ma restano in vita, sia pure a condurre una vita infelice, Edipo, Argia e il suo figlioletto che sembra immagine vivente di Polinice, per il quale un giorno forse tu vorresti libera la strada per ascendere a questo trono, per te inutile. Antigone essendo figlia di Edipo e quindi appartenente ad una stirpe maledetta si offre di morire, Emone cerca di convincere Antigone con la mozione del mondo degli affetti che la sua stirpe potrebbe ritornare sul trono che lei aveva rifiutato nella scena precedente, cioè quando Creonte dice ‘’io ti do mio figlio e il trono ti do’’. Il trono che Antigone ha rifiutato meriterebbe di essere preservato rimanendo Antigone in vita, per il figlio di Argia e Polinice. 276-296: Emone: Devi solo fingere di arrendere alle mie preghiere e che vuoi essere mia sposa, purché venga concesso un po' di tempo per sfogarsi al tuo giusto e lungo dolore. Io farò finta di essere soddisfatto di ciò (del tuo impegno di sposarmi a tutti i costi), otterrò una dilazione dal padre ad ogni costo (convincerò il padre ad attendere), intanto è lecito aspettarsi tutto dal tempo (aspettare che qualcosa intanto succeda nel frattempo), non credo proprio che Adrasto voglia abbandonare sua figlia prigioniera, da dove si aspetta meno talvolta giunge il difensore. Rimani in vita! Non lo chiedo per me, te lo ripeto: io sono deciso a seguirti, e non provo pietà per me, né tu devi provarne per me, te ne prego a nome del tuo padre cieco e di Argia, tu potresti liberarla e consentirle forse anche di rivedere suo padre, e forse potresti giovare anche a lui (liberando Argia, Adrasto potrebbe rivederla e riabbracciarla). Devi provare pietà per loro, per quella pietà che tu non senti. Ed è Emone a ricordartelo e amaramente piangente, si inchina ai tuoi piedi, e ti scongiuro. Per indicare come Argia sia ancora nelle mani del tiranno, Emone utilizza lʼespressione “infami lacci”, infami perché è una prigionia voluta da Creonte che sta agendo in maniera infame, si ha quindi unʼenallage per cui si ha un trasferimento di una qualità che andrebbe riferita a qualcuno a qualcosʼaltro che simboleggia la qualità di quella persona. “Onde si aspetta meno sorge talora il difensore”: con questa frase Emone fa riferimento al padre di Argia, Adrasto; che essa stessa aveva ritenuto incapace di attaccare Tebe in quanto stremato dalla guerra precedente che aveva visto come protagonisti Polinice ed Eteocle. Lʼaiuto puo giungere dal padre di Argia anche se essa stessa aveva affermato il contrario; viene frenato dallʼimpossibilità ( non solo per il rifiuto di Antigone ma anche per un rifiuto che lui ritiene giusto ) di salvare Antigone. Emone comprende le ragioni di Antigone in quanto lui stesso conosce la virtù per esperienza; “per prova” che lo stesso Emone aveva usato nel colloquio con Creonte riferendosi al fatto che lʼamore poteva essere compreso solo se provato. In questo caso nel colloquio tra padre e figlio viene stabilita la divergenza tra i due con lʼuso di questa espressione, la linea di separazione. Nel caso di Antigone essendo che Emone conosce la virtù in quanto lui stesso virtuoso può comprendere Antigone; non è quindi più una separazione ma è un punto di congiunzione. I due sono uniti nella virtù in quanto entrambi la provano; Emone da lʼidea della sua impotenza nel salvare Antigone, ne prende atto e quindi Emone sa che qualsiasi tentativo di salvataggio è escluso in quanto la volontà di morte di Antigone non è modificabile, ne capisce le ragioni e le condivide. Emone propone lʼultimo segno del suo amore: morire con lei. In questo modo si aprirebbe la vendetta completa per Antigone nei confronti di Creonte. Emone utilizza nella sua battuta il nome proprio del padre e non lʼappellativo stesso, abbiamo qua un senso di allontanamento e si pone una distanza. Emone non può accattare la controproposta dellʼamata di non morire, ma dovrebbe secondo lei continuare a vivere. “morire” e “vivere” sono due parole diverse ma sovrapponibili di espiazione: Antigone espia la colpa che pesa su di lei con la morte; Emone invece espierà la sua colpa di essere figlio di Creonte con la vita. Antigone espierà il suo sentimento di amare Emone, il figlio del tiranno, con la morte. Emone espierà la colpa di amare Antigone con la vita. Antigone ama Emone ma non vuole altro che la morte e ormai il suo amato non vuole altro che morire com Antigone; Emone farà vedere quale sarà la sua decisone di fronte allʼaddio dato dalla sua amata. Antigone con la scena quarta volta le spalle alla vita e ad Emone e va incontro alla morte. Nel momento in cui Antigone afferma che la sua espiazione delle colpe avverrà con la morte e quella di Emone Alfieri esprime come Antigone abbia ripreso il controllo della sua volontà che era messa duramente alla prova in questʼultimo dialogo con Emone; anche questʼultimo è pronto a morire. La decisione irrevocabile e premi non più oggetto di discussione vene espresso con il verso della scena quarta: Emone è andato, la donna non può più fare niente: chiude le porte alla vita, cerca di accelerare il momento della sua morte. Vv 317-338: Antigone non vuole che Emone si ribelli al padre che lui stesso aveva definito come disumano e come re sanguinario; Antigone ritiene che la ribellione l padre sia uno dei crimini più orribili, proprio in nome della sacralità dei vincoli familiari che lei stessa prova. Antigone ritiene inviolabile il vincolo affettivo tra padre e figlio e per questo non può permettere che Emone si ribelli al padre seppur in nome di un nobile atto. Alla domanda di Emone “Or, nulla piegar ti può dal tuo fero proposto?” Antigone risponde “Nulla; se tu non puoi”. Questa battuta è da mettere in relazione alla stessa battuta di Antigone in riferimento ad Emone “e che tu non puoi in me?”, di cui “Nulla; se tu non puoi” è la risposta indiretta, il sentimento amoroso viene con questa ultima battuta di Antigone ricacciato dentro di se per cui la donna cerca di ridurre definitivamente Emone allʼimpotenza. Emone ha lasciato Antigone affermando di volere salvare a suo malgrado anche se la donna si oppone strenuamente. Antigone decise quindi di chiudere le porte alla vita scegliendo di essere scortata dalle guardie al cospetto di Creonte. Atto quarto scena prima La scena prima dellʼatto quarto si apre con il verso a gradino, è uno scambio di battute di estrema sintesi ma anche di estrema pregnanza che viene raggiunta da Alfieri dividendo un intero endecasillabo tra le battute di Creonte ed Antigone. Si ha un botta e risposta dove nessuno dei due personaggi presenta esitazione. 1-14: Creonte: Hai scelto? Antigone; Ho scelto. Creonte: Emone? Antigone: Morte. Creonte: L’avrai, ma guardati bene, quando sulla tua testa spenderà alta le scure (a non mutare parere il tuo pentimento): allora sarà sia tardivo, sia inutile pentirti allora. Forse non saprai sopportare tanto bene dal vicino il volto feroce della morte (in punto di morte Antigone avrà paura). Il pianto di Argia, se tu la ami, perché dovrà morire anche lei insieme a te, e tu soltanto, tu sei la causa della sua morte. Pensaci, sei ancora in tempo, te lo chiedo ancora ora che cosa rispondi, non parli? Mi guardi fisso e senza paura? Superba, avrai da me ciò che tu chiedi, con il tuo silenzio. Già mi dispiaceva averti concesso la facoltà di scegliere fra la tua morte e la mia vergogna. A questo verso a gradino abbiamo poi una risposta più lunga di Creonte, il quale dà ad Antigone ancora unʼestrema possibilità di cambiare opinione mettendo in dubbio la fermezza di Antigone, mettendo in dubbio tale di fronte alla morte imminente. Creonte fa balenare di fronte agli occhi di Antigone tutta la sua responsabilità, la responsabilità anche della morte di Argia che dovrà morire a causa sua; Antigone si è chiusa in un impenetrabile silenzio in quanto la donna dirà ancora qualcosa ma ormai la sua scelta è compiuta, la sua decisione si esprime attraverso lo sguardo fisso. Il silenzio è sia una forma di resistenza nei confronti di Creonte ma anche nei confronti di se stessa: Antigone che è sembrata essere tormentata dal dissidio interiore nel colloquio precedente con Emone qui invece deve mantenere anche con se stessa la risolutezza della sua decisione. Da una parte è una sfida nei confronti del tiranno al quale non cede, ma anche una forma di resistenza interiore per avere la forza di non cedere allʼamore di Emone (che vorrebbe che Antigone rimanesse viva) Come già la fine del terzo atto, anche nel corso di questo atto ingaggerà vera e propria corsa verso la morte, cercando di accelerare il più possibile il momento capitale per riuscire a mantenere la saldezza della sua decisione 14-21: Antigone: Hai finito/parlato? perché tardare/inducere ancora? Taci e fai Creonte: Faccia pure sfoggio di coraggio a tuo piacere, vedrai quanto è "tra poco", benché non sia ancora giunta l'ora fissata per la tua esecuzione, ti voglio compiacere/accontentare anticipato. Vai Eurimedonte, trascinala subito al palco predisposto. Eurimedonte è un personaggio che Alfieri ricava dalla “Tebaide” di Stazio che è una delle fonti della tragedia alfieriana, questo personaggio era accorso in aiuto di Tebe durante la guerra contro Argo. Eurimedonte rimane muto nella scena, non è un vero e proprio personaggio in quanto non possiede battute; la scarsità dei personaggi rappresenta uno dei punti del teatro alfieriani. Antigone nella risposta a Creonte cerca di accelerare ancora una volta il momento della sua morte; Creonte assume nella sua risposta con un tono irrisorio, dicendo alla donna che essa sfoggia un grande coraggio che potrebbe svanire nel momento in cui viene posta di fronte alla morte vera e propria. Creonte concede quindi la grazia che la stessa Antigone aveva richiesto: accelerare il momento della sua morte. La scena prima si chiude con lʼordine di Creonte di trascinare Antigone al patibolo. Scena seconda Nella scena seconda irrompe Emone che tenta ancora una volta di fermare le due volontà, quella di Creonte ed Antigone che sono divergenti negli intenti ma convergenti: Creonte vuole dare la morte ad Antigone e la donna vuole morire. Emone ancora una volta cerca di introdursi nello scontro tra queste due volontà, cercando di scongiurare e la morte e della donna amata. 21-45: Emone: Al patibolo? Aspetta Antigone: Oh che cosa vedo! Affrettatevi guardie, portatemi a morte. Lasciami Emone, addio Emone: Nessuno di voi si provi a condurla oltre Creonte: E che? Minacci in mia presenza? Emone: Padre, mi ami così? Spendi/usi così il giorno che le hai concesso? (non mantenendo la parola data con lui) Creonte: Vuole precipitare/morire subito, posso negarglielo? Emone: Ascolta, non sai nulla? un ben diverso pericolo inaspettato ti sovrasta. Si dice che il re di Atene, l’eroe Teseo, stia marciando in armi verso Tebe a vendicare gli insepolti. Sono andate da lui le vedove sconsolate, piangendo di sdegno e di pietà (sottinteso per i loro congiunti morti), il re ascoltava le giuste lamentele dei congiunti e ha promesso loro le urne dei mariti estinti/morti, e teseo non promette alla leggera (è uomo che mantiene ciò che promette). Padre previeni le loro ire e la nostra vergogna/disonore. Non ti chiedo di cedere alla paura, ma pensi che la pietà per la tua Tebe ti costringa, che appena cominciato a respirare aria della pace (appena uscita da una guerra, tra Polinice e suo fratello). Ammesso che qualcuno voglia correre per una guerra ingiusta, quanti uomini valorosi rimangono ora a Tebe? Lo sai, i più abili giacciono, chi è estinto nella tomba, chi è sopravvissuto è ferito nel letto (sono in parte morti, in parte feriti a malapena vivi) Emone che ha fatto irruzione nella scena cerca di fermare il trascinamento di Antigone verso il patibolo, Creonte reagisce in maniera stizzita chiededo al figlio quale coraggio abbia per osare minacciare alla presenza del re/padre. Emone da una parte si rivolge al padre, cʼè la componente del tentativo di fare appello ai sentimenti del padre richiamandolo al suo dovere (Creonte ha detto che non avrebbe dato la morte ad Antigone prima del calare della notte), e invece adesso si appresta a farla condurre al patibolo. Creonte nella risposta sembra giustificarsi con il figlio, affermando ironicamente che un re non può negare lʼultima grazia di un condannato a morte: “negargliel posso?”. Emone fa balenare davanti agli occhi di Creonte ancora una volta un argomento politico, Emone: Mi giova farti/renderti infelice, e lo meriti e lo sarai, spero. Questo trono ingiusto e l'infamia (il potere acquisito con l'ingiustizia) non ti fa ormai più tenere in alcuna considerazione ogni sacro dovere di re, di padre, di uomo; ma più tu pensi che il trono sia saldo, più cede e crolla sotto al tuo piede (è la tua stessa ingiustizia a minare il tuo potere). Tebe distingue bene Emone da Creonte. Vi è chi ad un cenno può toglierti lo scettro, rubato con l’inganno. Regna. Io non lo darò (quel cenno), ma trema se a lei. Antigone: Creonte adesso sì che ti supplico, ah mandami subito e rapidamente a morte, ho potere fatale di un destino avverso/nemico alle mie tante sventure e alla mia nascita colpevole, mancava solo questo, che io fossi istigatrice dell’ira atroce del figlio contro il padre. (che io fossi la ragione dello scatenarsi dell'ira del figlio contro il padre). Emone: Ascolta ora me, solo me, Creonte! Non devono muoverti le armi (non ti spingano ad agire nella minaccia), né il re di Atene, non le preghiere delle donne, né i lamenti della folla/popolo. Ora scenda in fondo al tuo cuore duro, la voce tremenda di un figlio disperato, al quale tu stesso togli ogni freno, al quale sarebbe stato meglio che tu non gli avessi mai dato la vita, ma che può oggi farti pentire di un tale dono. Creonte si rivolge al figlio ancora come padre “un infelice padre di me farai”, lʼopposizione di Emone non può avere nessuna conseguenza pratica ma lʼunico risultato sarà quello di rendere infelice Creonte, cerca di fare appello alla mozione degli affetti ma il figlio risponde che lʼinfelicità è tutto ciò che Creonte si merita. Il potere che acceca Creonte e gli fa disprezzare tutto ciò che è da ritenere più sacro sia per un re, per un padre e per un uomo. Questo rappresenta un climax ascendente, tale se consideriamo l’importanza dell’umanità, il ruolo di re, di padre e quello di essere uomini; può essere considerato anche discendente se considerato il ruolo politico da re, da padre e da uomo. Creonte per conservare un potere ingiusto e non importato alla vera giustizia, dimentica la vera essenza dellʼumanità. Emone dice che il padre tiranno si rifugia in una falsa sicurezza in quanto dimenticando tutti i sacri doveri il potere viene indebolito, più Creonte si sente sicuro più egli dovrebbe temere per la sua insicurezza. Il popolo sa distinguere tra il padre tiranno e suo figlio, basta che a Tebe qualcuno abbia il coraggio di guidare una rivolta e così il potere di Creonte crollerà. Aggiunge però che non sarà lui a fomentare la rivolta, in quanto non interessato al trono Antigone interviene per cercare di sviare Emone supplicando Creonte per impedire che lʼamato si ribelli al padre, in questa scena Antigone è più passiva che attiva e interviene pochissimo e solo per evitare in ogni modo la ribellione di Emone a Creonte. Questo costituire per Antigone un ulteriore peso perché la sua colpa diventa più grande: la sua colpa originaria è stata aumentata dalla responsabilità della ribellione del figlio contro il padre. Emone qua taglia fuori Antigone rivolgendosi solo al padre richiedendone le attenzioni, dicendo di trascurare le minacce di Teseo o ribellioni che lui stesso aveva preso in causa nel tentativo di convincimento. ma di tenere soltanto le parole del figlio; Emone qua rinnega suo padre e non soltanto attribuisce a Creonte di aver fatto di lui un figlio rispettoso del padre ma lo rinnega: il figlio dice al padre che sarebbe stato meglio se non l’avesse mai fatto nascere, rifiuta il dono di essere stato Emone, il figlio del padre. Ciò può diventare il motivo di dolore di Creonte, e può fare pentire di avere dato la vita. 108-120: Creonte: Non esiste voce al mondo, sufficiente/che basti ad imporre legge a Creonte Emone: Dunque, al mondo c'è una spada, che può troncare le leggi ingiuste di Creonte Creonte: E quale sarebbe? Emone: La mia spada Creonte: Perfido, minaccia la mia vita, uccidimi, osa, impossessati del Regno, sconvolgi il tuo piacere. Io rimango sempre il padre di colui che ormai non è più mio figlio, non sono capace di punirti, e non lo posso, non sono capace di fare altro che amarti e compiangere il tuo errore. Ora dimmi, che cosa intraprendo, che non torni a tuo vantaggio? Ma tu sordo a ogni parola, fin troppo ingrato, osi anteporre un folle e sconsiderato e sgradito amore, alla alta/importante e nobile ragione di Stato, ai diritti sacrosanti del sangue. La prima risposta di Creonte è sprezzante “non cʼè nessuno al mondo che possa imporre legge a Creonte”, nessuno tuo imporre a lui la legge essendo il re assoluto, sciolto da ogni vincolo. Emone afferma esserci una spada che può spezzare le leggi di Creonte, la sua; ovviamente Creonte interpreta come una minaccia alla sua propria vita dal punto di vista del tiranno, come la volontà di Emone di impossessarsi del suo trono. Il suo trono era destinato ad Emone, giustificando le sue azioni in nome del proseguimento del suo potere nella figura del figlio. Creonte afferma di rimanere sempre il padre di Emone, di colui che non è più suo figlio in quanto non si riconosce più come tale; il tiranno non comprende Emone e torna sulla sua distorta mozione degli affetti, tutto ciò che Creonte sta facendo lo fa per consegnare ad Emone il potere, però questʼultimo accecato dallʼamore per Antigone ha preferito privilegiare unʼamore folle per la donna alla ragione di stato e ai diritti del sangue. Secondo la ragione di stato Emone avrebbe dovuto rinunciare a questo amore in nome del potere, anche lʼobbedienza di un figlio dovuta al padre viene meno. 121-133: Oh! di quali diritti parli? Tu sei interamente Re, non puoi amare tuo figlio, cerchi solo un appoggio/sostegno per la tua tirannide, nient'altro. Io, nato da te/tuo figlio, dovrei considerare sacro un diritto di sangue? Tu sei per me soltanto regola e maestro di crudeltà (puoi soltanto insegnarmi a essere crudele, non rivesti in nessun altro modo il ruolo di padre, come osi appellarsi ai diritti sacronati di sangue familiare). In questo mi fai da guida. Seguo te e, se mi sforzo/se mi costringerai, ti avanzerò/supererò in crudeltà, lo giuro. Esiste una ragione di Stato, che possa intraprendere azioni così ingiuste, come tu progetti? Bada bene, che io non ricambi allo stesso modo, l'amore che tu mostri di avere per me. Dei delitti che si compiono, è il primo a essere il più difficile/ a costare di più, al primo ne vengono/seguono dietro mille, e crescono sempre di più, e tu lo sai bene Nella risposta al padre Emone disconosce completamente Creonte come padre affermando che questʼultimo è tutto re, perchè cerca solo un punto per il suo potere, cerca in Emone solo quello. Emone ha intuito la natura dellʼamore di Creonte, ha compreso quale specie di amore il padre prova per il figlio. Rinnegare il padre in quanto questʼultimo non ha niente da insegnargli se non essere crudele, e proprio le virtù di questo Emone tuo fare capire al padre che lui sa essere crudele, prende un impegno su questo. La domada di Emone “Havvi di stato ragion, che imprenda iniquitade aperta, qual tu disegni?”è una domanda retorica in quanto la risposta la si conosce, la risposta è si: il tiranno commette azioni ingiuste, essendo Creonte tiranno cʼè una ragione di stato che permette di commette azioni ingiuste; questa domanda ha una duplice risposta in base a quale punto di vista si fa riferimento: per quel che riguarda Emone la risposta è no, mentre per il padre tiranno è ovviamente sì. Lʼostacolo più duro da superare sono i primi eletti secondo Emone, e Creonte ha già commesso i primi delitti impossessandosi del trono in maniera ingiusta; Emone si allontana sia da Creonte in quanto padre ma anche dalla visione che esso ha del potere tirannico. 134-150: Antigone: Io già ti odio, se continui/prosegui ancora. Prima di amarmi, eri figlio di Creonte, un legame forte che non si può rompere, inviolabile e sacro, il più importante di tutti. Pensa Emone, pensa che io pure sono vittima di un tale vincolo familiare. Sai il cielo se ti amo, eppure rifiuto di sposarti, solo per non oltraggiare le ombre/fantasmi invendicate dei miei congiunti. Io scelgo e voglio la morte, perché l'infelice mio padre non debba udire notizia di me per lui insopportabile. Sii figlio ossequioso, di padre scellerato/colpevole. Creonte: Riesco a sopportare meglio il suo furore, che non la tua pietà. La si porti via da qui, vattene finalmente, vattene, la tua sola presenza/aspetto corrompe/travia mio figlio. Nell'ora che ti ho ordinato/prefissato, Eurimedonte, portala/conducila al campo, e abbia prima della morte la sua tomba. Lʼintervento di Antigone ribadisce quanto la protagonista ha già detto, ribadisce la scarsità del legame padre-figlio che deve essere rispettato più di qualsiasi altro legame; la ribellione di Emone rende lui indegno del suo amore trasformandolo addirittura in odio perchè Antigone ha un rispetto sacro nei confronti del rapporto filiale. Antigone non spinge Emone ad amare il padre però a non infrangere il vincolo familiare; ancora una volta viene specificato il motivo vero per cui lei è una vittima, vittima della concezione sacra del rapporto familiare: nonostante lei fosse figlia di incesti non hai rinnegato il padre Edipo e la madre Giocasta. Accettare il matrimonio con Emone avrebbe causato un dolore mortale per Edipo, la volontà di morte è motivata da queste ragioni. Creonte fa allontanare Antigone in quanto influenza Emone; la scena terza è stringata: Antigone è stata portata via e quindi padre e figlio rimangono soli sulla scena. Scena terza 152-159: Emone: Prima dell’ora fissata/stabilita, si avranno notizie di me al campo. Creonte: Molto prima di quell'ora, Emone sarà inserito/tornato in te. Potrei prevenire le tue minacce, ma voglio darti la più grande dimostrazione del mio amore, voglio fidarmi di te e del tuo grande affetto/della tua grande nobiltà d'animo, idarmi della tua virtù originaria, che io non credo sia in te estinta/spenta. Emone: Vattene ora, sarà degno del della mia virtu originaria ciò che io farò. Emone lascia la scena affermando che prima dellʼora stabilita per la morte di Antigone sarà sul campo dove tutto dovrà avvenire, ma Creonte è convinto che Emone non farà nulla in pratica di ciò che dice; Creonte non prende molto sul serio le minacce del figlio. Creonte si vuole fidare della virtù che Emone ha, e il congedo è comunque minaccioso affermando Emone che il padre avrà modo di conoscere la sua virtù attraverso le azioni che compierà. Scena quarta Creonte: Non confondo l’errore del altra con il tuo. Argia che ha augurato già il bene a Creonte non ha compreso la reale situazione, tanto che la donna parla al plurale “la nostra impresa”. Per Creonte entrambe le donne sono colpevoli ma il tiranno riconosce un diverso peso di responsabilità ma anche diverse motivazioni. Argia agisce istigata da Antigone, e spinta dall'amore coniugale; Antigone agisce perché odia Creonte, e perché vuole ritornare in possesso del trono. 216-224: Argia: Oh Cielo, che sento! Soffre ancora la prigionia? Creonte: Devi chiedere altro? Affrettati/preparati a partire. Argia: Che io possa partire? che io possa lasciare in pericolo mia sorella? Lo speri inutilmente, io potevo accettare/giovare il perdono, solo se anche lei fosse stata perdonata/se era esteso anche a lei. Ma lei è reclusa, forse le si prepara la pena più crudele? Io voglio le catene, io voglio una pena ancora più crudele Creonte sembra infastidito dalle continue rimostranze di Argia, sembra quasi suggerirle indirettamente di non approfittare della sua clemenza. Argia però non cessa in quanto si sente legata ad Antigone da un legame profondo di lealtà, si è stabilito un legame familiare infrangibile. Argia quindi rifiuta la concessione di Creonte di tornare a casa con le ceneri del marito; vuole anche lei essere fatta prigioniera, subendo una pena anche più crudele di quella data alla cognata. Anche in questa fase finale mostra di essere un personaggio allʼaltezza di Antigone per la sua fermezza. 224-231: Creonte: In Tebe comando io, non altri, e ciascuno si piega/obbedisce al mio volere. Hai violato/infranto la mia legge eppure ti assolvo. Volevi bruciare sul rogo tuo marito e lo facesti, volevi portare con te le sue ceneri ad Argo e io te lo concedo, ora che cosa vuoi di più? vuoi che io ti renda conto delle mie azioni? A Tebe conta solo ciò che Creonte vuole, solo Creonte può dire io voglio e tutti devono obbedire al suo volere. Ad Argia chiede che cosa voglia di più, vuol dire: come osi chiedere di più, un tiranno non deve rendere conto a nessuno, il tiranno è al di sopra di tutto. 231-248: Argia: Ti supplico, concedimi almeno la grazia di rivederla ancora Creonte: Vuoi forse cercare in lei un nuovo coraggio che tu non hai? Prima che scende la notte, devi andartene/uscire da Tebe. Nel caso in cui tu non voglia andartene libera in Argo, ci andrai con la forza. Argia: Il tuo perdono è più crudele/duro di ogni morte, perché neghi soltanto a me la morte che dai ad ogni altro? Non ti trattiene certo l'orrore per gli spargimenti di sangue, sono meno innocente di Antigone da non meritare il tuo furore? Creonte: Il tuo partire sia o una pena o una grazia, li tieni pure a tuo piacimento, non me ne importa nulla purché te ne vada. Guardie, l'affido a voi, all'imbrunire sia fatta scendere alla porta Emolòida, (da una delle 7 porte di Tebe) e sia portata al confine dell’Argo. Se la si rifiutasse di andare là, si trascini a forza. Nel frattempo, sia riportata nella sua cella/carcere Argia: Ascoltami.Abbi pietà. Creonte: Esci. Argia tenta di supplicare Creonte mantenendo un atteggiamento dignitoso, cerca di chiedere una grazia: quella di rivedere Antigone ancora una volta, ma il tiranno nega questʼultima. Le impone quindi di ritornare ad Argo e nel mentre viene trasferita nella cella dalle guardie. Nulla può scalfire Creonte a cui non importano le parole di Argia, che afferma ( proprio come Antigone ) che il tiranno nega la morte solo a lei, questa sua affermazione va confrontata con lʼaffermazione di Antigone per cui il tiranno nega la morte a chi la desidera. Scena sesta Creonte: Devo trovare tutti ribelli al mio comando, che sia pietoso o crudele? Ma obbediranno tutti. Lʼultima scena dellʼatto quarto consiste in due soli versi pronunciati da Creonte rimasti soli in scena: in tutto questo atto si è scontrato con dei personaggi a cui ha imposto degli ordini che però non vengono eseguiti; qui Creonte è ancora convinto che tutti alla fine obbediranno ( le guardie, il popolo, Emone ed Argia ). Questa certezza di Creonte che tutti gli obbediranno sarà smentita. Atto quinto Lʼatto quinto volge rapidamente alla catastrofe, nelle tragedie Alfieriane di solito molto compatto. Nella scena prima, seconda e terza di questo atto Antigone compare in scena da viva per lʼultima volta. Scena prima 1-8: Antigone: Su affrettatevi, andiamo; non conviene un passo così lento a chi arriva alla meta, al fine sospirato. Voi forse avreste pietà di me? Andiamo. (Ad una guardia) Ti leggo/vedo in volto l’intenzione di dare la morte, eppure non ho paura di te. Mi dispiace solo per Argia, dica, chi di voi sa il suo destino? Nessuno? Misera/povera Argia piango solo per te. Si vada. Antigone in apertura dellʼatto, sta per essere condotta al campo di battaglia dove si svolse lo scontro tra i fratelli, e dove dovrebbe essere sepolta viva; anche qua la donna vuole affrettare la sua morte mentre le guardie procedono lentamente. Durante questo spostamento incontrerà per l’ultima volta la cognata, Antigone si rivolge alla morte rispondendo involontariamente a Creonte, che aveva sfidato Antigone, a mostrare lo stesso coraggio anche in punto di morte. Lʼultimo pensiero è per la sorte di Argia, in quanto Creonte aveva affermato di voler punire anche lei, e domanda alle guardie se essi hanno notizie della cognata. 8-39: Argia: Dunque, sono scacciata da Tebe? È vero che porto con me quest’urna, principio e fine di ogni mio desiderio, ma neppure un ultimo addio, alla mia fedele compagna. Antigone: Che voce sento prodotta dal pianto? Argia: Oh, Cielo! Chi vedo? Argia Sorella. Oh, quanto sono felice! Che dolce incontro! Che cosa vedo? hai le mani in catene/sei incatenata Antigone: Dimmi subito, dove ti portano? Argia: Ad Argo, dal padre, a forza. Argia: Creonte mi giudica così/ mi ritiene così vile, che vuole che io sia salva. Ma di te Antigone: Guardie, se in voi è ancora rimasto un briciolo/ombra di pietà, siano concessi pochi istanti/momenti alle mie parole. Vieni sorella, abbracciami, perché non posso stringerti al mio petto, a me legato orribilmente dalle robuste catene, viene impedito di abbracciarti. Avvicinati e stringimi, ma che cosa vedo? quale prezioso oggetto stringe il petto con così grande e gelosa attenzione/cura? un'urna? oh cielo, ceneri di mio fratello, pegno amato e prezioso, ah sei proprio tu, avvicina quest’urna sacra alle mie labbra. Mi è consentito prima di morire bagnati con le mie calde lacrime, io non speravo tanto, oh fratello, ecco il mio ultimo pianto, proprio a te io lo dovevo. Oh Argia, questo è un gran dono/regalo. Creonte ti fu assai benevolo, devi essere soddisfatta/lieta. Ora torna subito in Argo, porta quest’urna al padre, solo e sconsolato, e vivi per tuo figlio, per piangere sopra di essa, e mentre piangi ricorda anche Antigone Nella scena seconda le due donne si incontrano: questo incontro casuale desta uno stupore nelle due donne, Argia viene vista da Antigone recare con sé l’urna del fratello. Come accade nelle tragedie alfieriane, nelle battute di Argia ed Antigone sono contenute delle didascalie teatrali, nell’insistenza di Antigone di rilevare il fatto di essere incatenata, poggia una didascalia teatrale. Ad Antigone è vietato esimie il dolore e l’addio alla cognata; Antigone chiede alla cognata di avvicinarsi e stringerla in un abbraccio e proprio in questʼultimo che Antigone si rende conto che Argia porta in seno stringe al petto l’urna di Polinice. Questa è la vera grazia che poteva sperare, di rivedere la cognata e vedere che la ragione per cui ha affrontato la morte è in salvo. Antigone afferma la benevolenza di Creonte nel permettere alla cognata di portare con sé lʼurna con le ceneri del marito. La raccomandazione di Antigone alla cognata che conclude la sua battuta muove il mondo degli affetti, attribuisce ad Argia un ultimo compito da portare a termine dopo la sua morte: di continuare a vivere per il mondo degli affetti che gli è rimasto: il figlio ed il padre; questa raccomandazione sembra quasi colmare quel mondo degli affetti che viene sottratto ad Antigone. Quindi, quasi come una sorta di compensazione per Antigone stessa, di quella perdita del mondo degli affetti. 39-51: Argia: Mi strappi il cuore... la mia voce (le mie parole)... rotta/spezzata dai sospiri... Io viva, mentre tu a morire... Nella battuta di Argia i tre puntini (…) segnano la sua voce rotta dal pianto, i ... indicano il moto con cui questi versi andrebbero recitati. Antigone: Io vado ad una morte orribile. Il campo, dove la scorsa notte ci recammo a compiere pietosamente la nobile impresa, ora deve essere la mia tomba. Creonte vuole che io sia sepolta là viva. Antigone: Egli sceglie la notte per fare questo perché ha paura del popolo, frena/decesso di piangere, va, lasciami! Avranno così la loro fine, in me, la discendenza di Edipo. Io non ne sono addolorata/io non me ne dolgo, bastasse/fosse sufficiente almeno la mia lunga morte, ad espiare i tanti orribili delitti della mia stirpe! unʼaltra nefandezza che sarà messa in atto, ma non affermata da Creonte neanche nella scena quinta. Nel monologo della scena quinta il tiranno non afferma in cosa consiste il suo mutamento di parere in merito alla sua condotta, lo scopriremo quando tornerà in scena Emone. Nella scena quinta Creonte è rimasto solo, dopo aver detto ad Ipseo delle cose sconosciute anche alla stessa Antigone, questʼultima viene riportata nella sua cella. 88-108: Creonte: Io spero di avere tolto così ogni pretesto agli scontenti, ho pensato bene (ho avuto una bella idea), non dovevo cambiare altro che così, così ho salvato tutto contemporaneamente. Il delittuoso mormorio di scontento del popolo nasce dalla naturale intolleranza verso ogni freno, ma spesso essa si riveste di pietà. La pietà della plebe, vera o finta che sia, deve essere sempre temuta, ancora di più adesso che mio figlio se ne fa istigatore. Purtroppo, è vero! Per ingannare la sua natura mortale, chi regna crede invano, o finge di credere, che il potere di un re sia sovrumano, il potere di un re invece sta nella volontà di chi obbedisce, e trema sul trono colui che fa tremare i sudditi. Ma chi è esperto non si lascia sorprendere e anticipare, un suo colpo abbatte l'idolo del volgo, e insieme a questo abbatte il suo ardimento, la sua speranza, e la sua forza indomabile e inconsapevole. Ma quale fragore suona tutto attorno? Di armi, quali lampi vedo? che vedo? Emone circondato da uomini armati? Contro di me? Ben venga, giunge proprio in tempo. In questo monologo Creonte esordisce auto-compiacendosi, l’improvvisa idea che ha avuto e che è stata comunicata solo ad Ipseo, idea di cui non sappiamo al contenuto. Ai suoi occhi era la decisione risolutiva del problema. Nel monologo precedente aveva affermato che dopo la morte di Antigone tutto avrebbe avuto una soluzione, ma non aveva ancora deciso come affrontare e risolvere il resto dei problemi dopo la morte di Antigone. (le minacce che lo stesso figlio Emone gli aveva presentato, le reazioni di Adrasto, le reazioni di Teseo, il malcontento popolare) Ora invece, con questa nuova decisione che lui ha preso in merito alla sorte di Antigone, risolve tutto quanto, e soprattutto ha rimediato con questa nuova idea, la minaccia fatta presente da Emone, e la minaccia di una possibile rivolta del popolo. L’uso dell’aggettivo “delittuoso” viene usato dal punto di vista del tiranno, lo scontento dei sudditi è per Creonte un delitto in quanto vorrebbe minacciare la sua assoluta autorità. Secondo Creonte il popolo è scontento in quanto questʼultimo è intollerante a qualsiasi regola che possa trattenerlo; questa intolleranza viene spesso rivestita come se fosse una nobile causa dalla pietà verso qualcuno che è direttamente macchiato dal tiranno. Questa pietà popolare, vera o finta che sia, deve sempre essere temuta soprattutto quando è lo stesso figlio di Creonte a fomentarla; colui che regna non può credere che il potere di un re sia sovrumano, il potere di un re è sovrumano in quanto alla forza di coercizione che esercita il tiranno stesso. Non è sovrumano in quanto non può tutto: di fronte ad una rivolta generale il potere del tiranno può cadere. A questo punto il tiranno che sa che il suo potere non è sovrumano, deve sapere prevedere le azioni anticipandole: bisogna quindi in questo caso eliminare lʼidolo del volgo, in questo modo il coraggio fasullo viene meno e viene spenta anche la stessa forza che il popolo fino in fondo non sa di avere perchè se il popolo fosse consapevole della propria forza non si lascerete schiacciare dal fatto che venga ucciso colui/colei che potrebbe guidare la ribellione. La paura è un sentimento radicato nella tirannide sia per chi esercita il potere e e sia per chi lo subisce, quindi il tiranno può avere paura ma se sa avere una certa capacità politica può prevedere le conseguenze compiendo le mosse necessarie per mantenere il suo potere. Antigone è lʼidolo del popolo tebano, il modo di tacitare ogni malcontento è eliminare la donna e dopo di ciò la fiamma che avrebbe portato avanti la rivolta si spegnerà: verrà meno la speranza di cacciare il tiranno dal trono. Ma soprattutto quello che conta è che la plebe non è consapevole della forza che ha, ed è per questo quindi che la scintilla accesa dalla rivolta di Antigone non può attecchire una volta che viene a mancare la fonte di questo fuoco. Questo ragionamento di Creonte viene interrotto da un nuovo evento: irrompono sulla scena Emone e dei suoi seguaci armati e Creonte anziché temere questo arrivo conclude il suo monologo affermando che il figlio è arrivato proprio in tempo. Accoglie con piacere lʼarrivo di Emone in quanto è convinto che con la sua decisione avrebbe disinnescato qualsiasi pericolo che poteva correre avendo dato la morte ad Antigone, e allo stesso tempo avrebbe anche riavuto il controllo sul figlio Emone. 108-119: Creonte: Che cosa fai, figlio? Emone: Che figlio? Io non ho un padre, io vengo a disfare/ distruggere le leggi ingiuste/ scellerate di un re tiranno. Ma non devi temere per la tua vita, perché io non vengo a punirti dei tuoi crimini, la punizione spetta agli dèi. Tengo in pugno la spada per risparmiare a Tebe altri delitti. Creonte: Tu, in armi contro tuo padre, contro il tuo Re? Trascinare il popolo a una rivolta certo è un singolare/nuovo mezzo per evitare delitti. Ah, figlio cieco e ingrato, eppure tuo malgrado è caro al padre! Ma dimmi, che cosa cerchi? Lo scettro prima del tempo? Emone aveva già precedentemente disconosciuto il padre e questo lo si vede in maniera chiara in questa sua prima battuta della scena terza, Creonte richiama Emone con il sostantivo “figlio” cercando di ricondurlo al mondo degli affetti; la risposta di Emone però è sdegnosa, ha completamente rinnegato il padre. Il motivo dellʼarrivo di Emone accompagnato da armati è quello di disfare le leggi del tiranno ( vuole disfare lʼassoluta autorità del tiranno, vuole modificare lʼesito di quella legge ingiusta annullata da Creonte ). Emone non vuole attentare il padre/re, non vuole vestire le vesti del giustiziere punendo i crimini di Creonte, in quanto la punizione spetta solo agli Dei. Emone vuole evitare che Tebe subisca altri delitti, ovvero che venga compiuto il delitto della morte di Antigone condannata ad essere seppellita viva. Creonte nella sua battuta si mostra in bilico tra la volontà di padre e la volontà di re, chiede al figlio come osa presentarsi contro il suo re e lo accusa di fomentare la rivolta e ironicamente fa notare come questo non sia il modo di non fomentare nuovi delitti a Tebe, fomentare una rivolta è un modo ben strano di non fomentare altri delitti. Emone è considerato da Creonte un figlio cieco, ritorna il tema della cecità che tocca tutti i personaggi della tragedia; il tiranno definisce i figlio ceco in quanto non riesce a vedere come tutto quello che lui ha fatto è per il figlio stesso, per garantirgli il potere. Lʼingratitudine di Emone deriva dal fatto che esso non ha alcuna riconoscenza per questa preoccupazione paterna di consolidare il trono per poi garantirlo a lui stesso; Emone è un figlio dal punto di vista di Creonte cieco ed ingrato che però ama sempre di un amore distorto. 120-134: Emone: Regna, prolunga i tuoi giorni/la tua vita. Non voglio nulla del tuo; ma chiedo e voglio il mio, e saprò prendermi ciò che è mio, con questi miei (riferito ai seguaci), con questo mio braccio, a forza. Strappare dalle mani Antigone e Argia. Creonte: Che dici? È una pretesa erronea e folle! Tu osi impugnare la spada, perfido, contro tuo padre, per togliere le catene a chi è già libero! Argia è libera, e sta tornando in Argo ripercorrendo il tragitto fatto. La mando in dono/ generosamente a suo padre. E non mi ha spinto a farlo, come vedi bene, il terrore della tua spada. Emone: Quale fu la sorte di Antigone? Creonte: Anche lei è stata tolta fuori/portata via dallo squallore del suo carcere orrendo. Emone: Dov’è? Voglio vederla! Creonte: Non desideri altro? Emone nega il fatto di essere li per detronizzare il tiranno, non gli importa della vita del suo stesso padre; è venuto invece ad esigere ciò che è suo: la liberazione di Antigone ed Argia. Creonte quindi ironicamente risponde dicendo che questo atto del figlio contro di lui è vana in quanto Argia è già stata liberata e in cammino verso Argo. Quindi una parte dellʼazione di Emone non avrebbe ragione di essere ma a lui preme sapere la sorte dellʼamata. Creonte a questo punto non afferma la morte di Antigone, ma da una risposta ambigua: dice che anche Antigone è stata portata via dalla sua cella. Il padre tiranno insiste a dichiarare il suo amore per il figlio ma al contrario inscena una grande crudeltà, in quanto la battuta di Creonte nutre lʼillusione di Emone che anche Antigone possa essere liberata. Il tiranno agisce quasi come un regista nella scena, sta preparando il colpo di teatro: alla domanda di Emone su dove si trovi Antigone Creonte risponde: “non desideri altro?” E si appresta a fare vedere Antigone. 135-148: Emone: Ciò dipende solo da me. Che te lo chiedo a fare? In questa Reggia, anche se non è mia, posso e voglio dettare legge anche per pochi istanti. Andiamo, coraggiosi guerrieri, andiamo, si sottragga a un potere empio/iniquo la principessa, alla quale Tebe vede solo pena. Creonte: I tuoi guerrieri sono inutili, per questo basti tu solo; e chi oserà, a te, vietare il passo? (chi oserebbe non farti entrare?) Entra, vai, libera/prendi chi vuoi. Io, padre offeso, ti aspetto qui umilmente, tra i tuoi forti (seguaci), finché (ironico) finché il coraggioso liberatore non sarà uscito trionfante. Emone: Forse tu parli per deridermi/scherzarmi, ma io dico davvero. Guarda, guarda bene se io basto da solo a farlo Creonte Vai, vai! Non basti a terrorizzare Creonte. (Nota di autore: Creonte apre la scena e si vede il corpo di Antigone) Emone alle parole ambigue di Creonte ricava lʼillusione che lʼamata sia ancora viva e che possa essere liberata; nella reggia del padre (Emone qua afferma che la reggia non è in suo possesso, sottolinenando il suo rifiuto verso di essa). Adesso anche Emone può permettersi di “volere” nella reggia di Creonte quando prima solo questʼultimo era capace di tale atteggiamento; Emone vuole esercitare il potere assoluto per quel lasso di tempo utile per poter salvare Antigone.
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