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Antologia Letteratura Italiana, Sbobinature di Letteratura Italiana

antologia e analisi su alcune delle poesie e documenti assegnati dal professore

Tipologia: Sbobinature

2017/2018

Caricato il 24/09/2018

gianni-guacci
gianni-guacci 🇮🇹

3.8

(3)

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Scarica Antologia Letteratura Italiana e più Sbobinature in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! DECAMERON, PROEMIO - Il Proemio del Decameron è il testo introduttivo che Boccaccio antepone al suo capolavoro letterario. Il Proemio, con uno stile assai elaborato e letterario, presenta le caratteristiche della sua opera, identifica il pubblico di riferimento del testo e ne sottolinea la novità rispetto alla tradizione novellistica precedente. - Il Proemio si apre innanzitutto con una sezione che presenta il libro, ne spiega il nome e si concede un rimando letterario assai esplicativo: DECAMERON--→ 100 NOVELLE, 10 GIORNI, 10 PERSONAGGI - Boccaccio nel Decameron ha essenzialmente una funzione di intrattenimento piacevole e di alleviamento delle sofferenze private: tema amoroso è introdotto sfruttando la propria autobiografia, l’autore non si presenta più come “vinto d’amore”, ma come un sopravvissuto della passione (AMBIENTE RAFFINATO ED ALTO MERCANTILE) -A fianco di questa “confessione” corrisponde l’individuazione del proprio pubblico privilegiato, quello femminile, che per Boccaccio ha bisogno di letture piacevoli e di svago che allevino le pene del cuore o facciano dimenticare il ruolo sottomesso all’interno della società trecentesca. - Tono leggero (lontana dalla tragedia della peste), che sviluppi la tematica amorosa in tutte le sue manifestazioni e tutte le sue sfaccettature ma che possa servire anche come “utile consiglio” per le lettrici. -Lo stile del Proemio è assai elevato ed elaborato, ricco di periodi subordinati, costrutti latineggianti con il verbo posto alla fine. -Nel Proemio Boccaccio va a spiegare la struttura dell'opera che seguirà. Dà quindi un'indicazione per quanto riguarda il pubblico (le nuove lettrici della classe borghese), la composizione (cento novelle), la durata della finzione (dieci giorni), i personaggi della brigata (sette donne e tre uomini) e il tono (leggero e narrativo). DECAMERON, X Riassunto della novella Griselda del Decameron di Giovanni. Boccaccio Griselda. Riassunto: Il giovane Gualtieri, marchese di Saluzzo, non aveva né moglie né figli, ma i suoi sudditi insistevano perché lui si maritasse e promisero inoltre di accettare qualsiasi donna lui scegliesse. Così controvoglia prese in sposa Griselda, figlia di povera genta ma assai bella, dolce e gentile. Dopo non molto tempo nacque una bambina e Gualtieri diede una grande festa... ma decise di mettere alla prova la pazienza della moglie dicendole che i suoi uomini non erano contenti di loro figlia e parlavano male di lei, per la sua condizione sociale di provenienza. Griselda rispose al marito di fare ciò che riteneva essere meglio per il suo trono e la sua immagine di marchese, dimostrando la sua mancanza di superbia e compiacendolo. Poggio fiorentino segretario apostolico saluta il suo guarino veronese -In una lettera all'amico Guarino Guarini (1374-1460), Bracciolini, impegnato nel Concilio di Costanza, al quale è totalmente disinteressato, racconta il ritrovamento nell'Abbazia benedettina di San Gallo di importanti documenti, fra cui l'Institutio oratoriadi Quintiliano. -La lettera esprime continuamente lo spirito che animava la ricerca; autori passati visti come contemporanei, chiamati per nome, personificati, come si evince dal processo e dalla figura del carcere. I testi antichi sono anima del mondo che va fatta rivivere e, per questa missione, devono adoperarsi gli umanisti. -Alla fine dell'epist9ola, Poggio confessa d'aver personalmente copiato i testi per spedirli agli amici più cari, quetso è indizio del carattere collettivo della ricerca umanistica, ogni scoperta doveva essere condivisa per rivivere nel patrimonio in tellettuale contemporaneo. -Esempio essa stessa di artifici retorici, l'epistola è costruita con un'abile e elegante forma del discorso, che rivela la destinazione ad un pubblico altamente elitario. -Lettera scritta in latino. POGGIO FIORENTINO Poggio Bracciolini nasce a Terranova, vicino Arezzo, nel 1380. E' a lungo segretario apostolico e in questa veste partecipa al Concilio di Costanza (1414-1418), durante il quale ha modo di riportare alla luce alcuni dei manoscritti dell'Abbazia di San Gallo. -RItrovamento di due orazioni: CICERONE E QUINTILIANO. -Oltre al ritrovamento e all'attività di copista, Bracciolini si distingue per la sua produzione di Lettere, in latino, secondo la tradizione classica. - Rime, che rappresentano uno dei momenti più alti nella lirica cinquecentesca. RIME: -Nelle sue Rime Della Casa mantiene sempre un tono sostenuto e solenne, che concilia la poesia petrarchesca con le "rime petrose" di Dante. -Raggiunge la più alta intensità nelle liriche in cui, messa da parte la tradizionale tematica amorosa, affrontano temi esistenziali, soffermandosi su inquietudini e questioni morali. -Le Rime hanno una particolare importanza nella lirica cinquecentesca, soprattutto per l'innovativa tecnica del cosiddetto "legato dellacasiano". Questa consiste nell'infrazione della struttura ritmica del sonetto: il verso è dilatato, ma allo stesso tempo franto dall'enjambement (per Tasso si parli di "rompimenti" o "inarcature"), che lo inarca nel verso successivo. In questo modo il verso non si conclude alla fine dell'endecasillabo, ma a metà di quello successivo, acquistando così una maggiore estensione e una musicalità nuova. Questo metodo ebbe grande influenza sui lirici del Cinquecento, su Tasso e più tardi su Foscolo. ARIOSTO, Orlando Furioso POEMA CAVALLERESCO OTTAVE 46 canti -Il primo canto del poema cavalleresco di Ludovico Ariosto, l’Orlando furioso, introduce le linee fondamentali della vicenda e presentando, nel Proemio (ottave 1-4), i temi e i dedicatari dell’opera. -Il proemio (ottave 1-4) del poema è un luogo fondamentale che Ariosto sfrutta per sottolineare tanto la continuità quanto l’originalità del suo lavoro rispetto alla tradizione cavalleresca, sia in relazione all’Orlando innamorato di Boiardo sia ai cicli bretone (o arturiano) e carolingio. -Il poema si apre con la protasi, cioè appunto la parte d’apertura dei poemi classici in cui era esposta la materia del canto. - (3 OTTAVA) Il primo verso espone, con disposizione a chiasmo, la tematica amorosa (collocata agli estremi del verso: “Le donne [...] gli amori”), che costituisce uno dei grandi motori dell’intreccio, e la tematica guerresca (individuata dai due termini centrali: “i cavallier, l’arme”). Entrambi i temi sono ripresi al v. 2 da analoghe espressioni (“le cortesie, l’audaci imprese”), dove il poeta sottolinea che è lui il responsabile della composizione (“io canto”). L’ottava successiva rappresenta poi una sintesi rapidissima della vicenda e della sua originalità (v. 2: “cosa non detta in prosa mai, né in rima”), cui si associa l’invocazione alla Musa (vv. 5-8), che per il poeta assume la fattezze della donna amata, Alessandra Benucci. -( 4 OTTAVA) Le ultime due ottave del proemio dedicano le fatiche letterarie dell’autore a Ippolito d’Este, di cui il poeta si dichiara “umil servo” e che è proclamato, non senza un filo di ironia, “ornamento e splendor del secol nostro” 6; chiude poi il motivo encomiastico, che indica in Ruggiero e Bradamente i fondatori della stirpe estense. RIASSUNTO CANTO I: Il celebre proemio espone la materia del poema, insieme amorosa e guerresca, rivendicando in particolare l’assoluta novità di uno dei temi trattati: la follia di Orlando. Alla protasi seguono l’invocazione semi- scherzosa del poeta alla sua donna, affinché non lo riduca come il paladino, e la dedica ad Ippolito d’Este. La scena inizia con Angelica che incontra Rinaldo, il quale era rimasto a piedi dopo la sospensione del duello con Ruggiero: Angelica volta il cavallo e corre via verso un fiume, dove trova Ferraù che ha appena perso l'elmo che fu di Argalia. Si offre quindi di difendere la dama contro Rinaldo, ma questa durante il duello fugge via. Accortisi di ciò, i due decidono di sospendere il duello per cercare Angelica, e salgono insieme sullo stesso cavallo. Giunti ad un bivio decidono di dividersi: Ferraù si perde nella selva, si ritrova al fiume di prima e quindi cerca di riprendersi l'elmo, ma il fantasma di Argalia gli ricorda la sua promessa di restituire l'elmo dopo quattro giorni. Ferraù allora promette che prenderà l'elmo di Orlando. Angelica, fermatosi presso un ruscello, scorge Sacripante che si lamenta per amore della stessa ragazza, la quale non sa se manifestarsi e avere il cavaliere come guida o rimanere nascosta; alla fine protende per la prima alternativa. All'improvviso giunge un cavaliere che facilmente fa cadere Sacripante con tutto il cavallo, ricoprendolo di vergogna: questa raddoppia quando il cavaliere scoprirà di essere messo al tappeto da una donna, Bradamante, che dopo lo scontro fugge via. Angelica e il suo accompagnatore trovano poi nella selva Baiardo, il cavallo di Rinaldo, che subito si mette al servizio della dama. Ma dopo poco giunge anche Rinaldo. TRAMA: La trama del Furioso si presenta come un organismo assai complesso ed articolato, per voluta scelta dell’autore; sulla vicenda principale della guerra tra Franchi e Mori e della follia di Orlando si innestano infatti una molteplicità di vicende secondarie, che sviano, dilatano e ritardano il corso naturale degli eventi. Il tutto è però sempre controllato con abilità dal narratore, che incastra una storia nell’altra in un “gioco” tanto sfaccettato quanto affascinante. Orlando Furioso CANTO XXXIV Metro: ottave di endecasillabi (ottave 69-92). -Il Canto XXXIV dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto è incentrato sulla figura bizzarra del paladino Astolfo, il cui intervento è provvidenziale, nell’economia della vicenda, per la vittoria dei cristiani. Astolfo è protagonista delle vicende del poema che più tendono al fantastico e, se nella precedentetradizione epica cavalleresca la sua figura era legata a episodi di spacconeria e disonestà, Ariosto ne fa un bislacco personaggio delle vicende più avventurose del poema 1. -Il capolavoro storiografico di Francesco Guicciardini è la Storia d’Italia, scritta fra il 1537 e il 1540. -Storia d’Italia fu pubblicata in edizione parziale nel 1561 e poi completa nel 1564 a Venezia. Fu inserita all’inizio del Seicento nell’Indice dei Libri Proibiti, per il suo spirito laico e spregiudicato. -I fatti narrati nella Storia d’Italia vanno dal 1492 (anno della morte di Lorenzo il Magnifico) al 1534 (anno della morte di Clemente VII). Gli avvenimenti sono esposti in ordine cronologico, anno per anno, e suddivisi in venti capitoli. Originariamente i libri dovevano essere diciannove, ma lo scrittore rimaneggiò il manoscritto in modo da farli diventare venti, poiché giudicava questo un numero perfetto. -Guicciardini considerava l’Italia diversa dalle altre nazioni europee per la sua superiorità culturale, ma non la vedeva come un’unità politica, né credeva che fosse destinata a unirsi. -Soggetto della Storia d’Italia non è l’Italia come unità politica, ma gli avvenimenti svoltisi nella penisola italiana. -L’opera Storia d’Italia presenta due novità assolute: - Sul piano dei contenuti, l’orizzonte storico si amplia: non abbiamo più la storia di una singola città, ma per la prima volta si esamina a fondo tutta la storia d’Italia in un determinato periodo e si tiene presente, nello stesso tempo, la storia europea, la politica internazionale. Nel leggerla ritroviamo il Guicciadini dei Ricordi: cauto, accorto nell’osservare e nel giudicare ogni aspetto degli avvenimenti, caso per caso. -Sul piano metodologico, viene inaugurato un criterio moderno di ricerca storiografica, basato sulla scrupolosa verifica delle fonti e dei document. STILE: Narrazione scorre sciolta, ampia, fluida ma lenta, articolandosi in periodi complessi. La sintassi è dunque di tipo classico, stratificata in varie subordinate sottoposte a una proposizione principale. Non mancano tuttavia brevi sentenze e rapidi giudizi. TASSO, GERUSALEMME LIBERATA POEMA EPICO 1559-1561 20 CANTI, 116 OTTAVE RIASSUNTO Tasso si rivolge al lettore esponendo l’argomento dell’opera: narrerà delle armi pietose e del capitano Goffredo il quale, grazie alle sue doti e all’aiuto divino, riuscì ad espugnare Gerusalemme. Segue l’invocazione alle muse: prima il poeta chiede un’ispirazione divina, poi si scusa perché nel suo poema si intrecceranno storia e fantasia, in modo che i lettori, attirati in primo luogo dal diletto, vengano poi a conoscenza del vero. Per ultimo Tasso dedica lo scritto ad Alfonso d’Este, chiedendogli di accettare con benevolenza il proprio libro. PRIMA OTTAVA Le armi sono definite pietose perché consacrate ad una causa religiosa, cioè la liberazione della Terra Santa dai musulmani. Il condottiero Goffredo di Buglione si diede molto da fare per conquistare Gerusalemme, egli andò in guerra e soffrì fisicamente e moralmente, e le forze infernali si opposero invano perché nonostante tutto il cielo gli fu favorevole e riportò alla missione i compagni erranti che divagarono dal loro compito. Sono presenti alcune figure retoriche: l’ossimoro in armi pietose, l’anastrofe in gran sepolcro, l’enjambment in santi segni e l’anafora in molto…molto. In questa prima ottava notiamo già i principi dell’opera e quindi che nel poema è in atto un triplice scontro svolto su tre piani diversi: cielo contro inferno, cristiani contro pagani, il capitano contro i compagni erranti. Il rapporto tra questi tre piani è un processo di riduzione dal molteplice all’uno, da qui possiamo distinguere due fazioni che sono quella del bene e quella del male: le parole del testo che ci riportano al male sono inferno, popolo misto e compagni erranti, mentre al bene sono cielo, armi pietose, liberò il sepolcro, molto oprò, Senno, glorioso acquisto e santi segni. SECONDA OTTAVA L’invocazione alla musa è inizialmente alla musa classica e quindi pagana infatti il poeta nomina il monte Elicona sacro alle muse e i caduchi allori di cui le muse cingono il capo ai poeti, poi la musa si trasforma nella Madonna e lo capiamo dalle parole “su nel cielo” e “di stelle hai un’aurea corona”, quindi troviamo la figura retorica dell’allegoria alla madonna. Negli ultimi versi Tasso chiede perdono alla Vergine perché per ottenere l’attenzione del lettore è costretto ad adornare la sua opera con un margine di finzione e sempre nella fine troviamo il climax in tu spira, rischiara, perdona. Queste contraddizioni costituiscono il bifrontismo spirituale e culturale di Tasso: alla base del bifrontismo c’è l’aspirazione del poeta ad un’opera sublime negata da note idilliche e forze che dal centripeto tendono al centrifugo, come Tancredi e Rinaldo che si allontanano per seguire le loro passioni, quindi la struttura unitaria è sul punto di dissolversi come accadeva nei poemi cavallereschi, queste contraddizioni però non riguardano solo Tasso ma tutta un’epoca che sta vivendo un periodo di transazione. QUARTA OTTAVA Le ultime due ottave costituiscono la dedica al principe, in questo caso Alfonso d’Este. Il poeta ringrazia Alfonso per avergli dato un posto sicuro, con le parole del testo un “porto”, quando si sentiva quasi absorto, dal latino “sommerso”. Il poeta si sentiva un pellegrino errante e quindi sommerso tra gli scogli e le onde, quasi inghiottito dal mare e Alfonso lo guidò in questo porto. Questa è un’esemplificazione della lotta tra il bene e il male che si combatte nell’animo umano. In più chiede al signore di accettare l’umile opera e gli augura che nel caso di una nuova crociata ne ottenga il comando. COMMENTO Tasso vuole incuriosire il pubblico ravvivando l’interesse con l’uso di intreccio tra fantasia e realtà, infatti alla materia storica aggiunge un margine di finzione per aiutare il lettore ad assimilare agevolmente la lezione morale di cui il testo è veicolo, ciò è spiegabile con una similitudine che fa l’autore latino Lucrezio: i medici cospargono la coppa di miele per rendere la medicina amara meno detestabile. In più ci vuole far capire che nella nostra interiorità c’è un campo di battaglia fra il bene e il male, seppure in scala, identico a quello raccontato nell’opera. La Gerusalemme liberata Genesi e poetica AMORE / TORMENTO → AMORE / MORTE Giambattista Marino Fu il poeta-guida del primo Seicento e fu il caposcuola del movimento chiamato marinismo. Fra i suoi principali poemi ricordiamo l’Adone, poema in venti canti che celebra l’amore tra Venere e Adone; e la Lira, una raccolta di poemi d’amore. PIETRO METASTASIO, LA LIBERTA’ Poesia Arcadica. - l’obiettivo dell’Arcadia è quello di estirpare il cattivo gusto, e riportare la poesia alla naturalezza e alla semplicità proprie della tradizione classica rinascimentale: ordine, misura, regolarità, chiarezza. - Ne venne fuori un classicismo ‘minore’: la poesia arcadia è per la stragrande maggioranza delle volte poesia d’occasione, finalizzata ad un intrattenimento sociale garbato, oppure subordinata alla musica (nel Melodramma) non ci sono: 1) né la profondità dei temi toccati dal classicismo rinascimentale; 2) né il forte impegno sociale, politico, morale del classicismo illuminista; CANZONE: 14 STROFE SETTENARI Nelle prime sette strofe: Il poeta capovolgendo la consuetudine della lirica d’amore, che vedeva nei contrasti, nell’impossibilità dell’innamorato di comunicare con la donna amata la sua più adeguata espressione, celebra l’indifferenza e la soddisfazione dell’amante che è riuscito a liberarsi dalla passione amorosa. Nelle seconde sette strofe: Amore contravvenendo ai canoni delle poesie petrarchesche, anziché esaltare la sofferenza che è costata per liberarsi dalla passione amorosa, celebra ancora una volta la soddisfazione per non aver raggiunto la libertà da Nice, la donna amata. - In questa canzonetta il poeta canta la sua felicità nell’essersi finalmente liberato di una passione d’amore per una certa Nice, che lo stava consumando. Tra le cose di cui il poeta si rallegra ci sono il fatto di non essere più schiavo della Donna; e il fatto di poter vedere lei anche nei suoi difetti. Stile: simmetrie: ricerca ossessiva di corrispondenze lessicali, sintattiche, metriche: ésprit de geometrie; - Sintassi/metro.C’è assoluta coincidenza tra metro e sintassi: ogni strofa è in sé conclusa ed è divisa esattamente in due quartine, che contengono ognuna un periodo sintattico; no enjambemoent; - Ritmo. C’à assoluta continuità ritmica in tutte le strofe: i versi 2-3 di ogni quartina cambiano ritmo rispetto al primo, in modo regolare per tutte le strofe; - Figure retoriche. Le figure retoriche dominanti: 1) chiasmo: scandito già dallo schema di rime ABBA, è ripreso anche da altri elementi, ad esempio la strofa 1, 1° quart.: v.1 > gli inganni; vv.2-3 > versi scanditi da «al fin»; v.4 > la pietà degli dèi; 2) anafora: es. strofa 1, 2° quart: sento/sento; non sogno / non sogno; Significato. Questa struttura metrica e stilistica così calcolata e simmetrica chiaramente fa da pendant a ciò che viene detto nella poesia: cioè la liberazione dal furor d’amore, e il ritorno alla padronanza di se stessi; - è un modo per celebrare il recupero della capacità di controllare il reale, affrontarlo con sguardo razionale, di riprendere il controllo della situazione. - Leopardi si ispirerà a questo stile nella poesia il Risorgimento (torna a scrivere poesia dopo anni di silenzio); PIETRO VERRI, CHE COS’E’ QUESTO CAFFE’? Cos’è questo “Caffè”? “E’ un foglio di stampa che si pubblicherà ogni dieci giorni. Cosa conterrà? Cose varie, disparatissime, inedite, fatte da diversi autori, tutte dirette alla pubblica utilità. Con che stile? Con ogni stile, che non annoi. Perché un tal progetto? Per una aggradevole occupazione per noi e per spargere utili cognizioni ai nostri concittadini, divertendoli. Perché chiamiamo questi fogli “Il Caffè? Un greco, mal soffrendo l’avvilimento e la schiavitù, in cui i Greci tutti vengono tenuti dagli Ottomani conquistatori, son già tre anni che si risolvette d’abbandonare il suo paese, e molto si trattenne in Mocha, dove cambiò parte delle sue merci in caffè del più squisito che si possa dare al mondo. Indi prese il partito di stabilirsi in Italia, a Milano, dove son già tre mesi che ha aperta una bottega addobbata con ricchezza ed eleganza somma. In essa bottega primieramente si beve un caffè che merita il nome veramente di caffè, vi sono comodi sedili, vi si respira sempre un’aria tepida e profumata che consola, vi si trova sempre i fogli di novelle politiche…Il nostro Greco adunque si chiama Demetrio…vi è nel caffè una virtù risvegliativi degli spiriti animati”. sotto la copertura dell’ossequio formale. Simplicio, pur essendo stato uno dei più celebri commentatori di Aristotele, manifesta nel nome la chiara allusione alla semplicità di spirito. Galileo utilizza i due scienziati come portavoce dei due massimi sistemi del mondo, cioè delle due teorie che in quel periodo andavano scontrandosi. Il terzo interlocutore rappresenta invece il discreto lettore, l’intendente di scienza, colui a cui è destinata l’opera: interviene infatti nelle discussioni chiedendo delucidazioni, contribuendo con argomenti più colloquiali, comportandosi come un medio conoscitore di scienza. Nel proemio, indirizzato al discreto lettore, il tono moderno usato da Galileo, unito all’uso della lingua italiana, testimonia un modo di comunicare ben più sciolto di quello in uso nel mondo accademico tradizionale. Ritorna in esso un argomento già utilizzato precedentemente: “… E’ mio consiglio nella presente fatica mostrare alle nazioni forestiere, che di questa materia se ne sa in Italia, e particolarmente in Roma, quanto possa averne immaginato la diligenza oltremontana …” Questa frase punta sull’orgoglio nazionale, coniugato, però ad un’accorta allusione alle idee del pontefice. Nell’opera viene abbandonata la forma tradizionale di impianto scientifico e, scegliendo la forma del dialogo, si dà vita ad una vera e propria vivacissima “comedia filosofica”, in cui la tesi copernicana si nasconde e si vela sapientemente per sfuggire ai sospetti dell’Inquisizione. D’altra parte però, l’ironia generata dal confronto e dallo scontro tra i tre interlocutori mette in luce il suo vero scopo: la salda e razionale coscienza scientifica di Sagredo e Salviati contrapposta all’ingenuità ed all’ostinazione del personaggio quasi comico di Simplicio, “filosofo peripatetico, al quale pareva che niuna cosa ostasse maggiormente per l’intelligenza del vero, che la fama acquistata nell’interpretazioni Aristoteliche”. CESARE BECCARIA, Dei delitti e delle Pene ILLUMINISMO LONGOBARDO Basi fondamentali del diritto moderno. L’opera, si sviluppa come un’articolata riflessione sulla natura e i principi della punizione inferta dalla legge a chi abbia commesso qualche reato: Beccaria tematizza quindi non sul rapporto causale tra “delitto” e “pena”, ma sulla natura filosofica e sul concetto stesso di “pena” all’interno di una società umana. Beccaria ritiene infatti che la vita associata sia rivolta al conseguimento della felicità del maggior numero di aderenti al “contratto sociale” e che le leggi siano la condizione fondante di questo patto; dati questi presupposti è evidente che le peneservano a rafforzare e garantire queste stesse leggi, ed è sulle pene e sulla loro applicazione che si concentra quindi l’opera di Beccaria. Le pene sono dunque finalizzate sia adimpedire al colpevole di infrangere nuovamente le leggi, sia a distogliere gli altri cittadini dal commettere colpe analoghe. Le pene vanno allora scelte proporzionatamente al delitto commesso. -Il tema si lega strettamente al decadimento della giustizia al tempo dell’autore. Cesare Beccaria -Particolare risalto per l’Illuminismo italiano ha l’esperienza letteraria, culturale e politico-economica. CARLO GOLDONI, prefazione commedie I principi della riforma goldoniana: Il teatro comico era caratterizzato dalla commedia dell’arte (diffusa negli ultimi decenni del 600, forma teatrale di grande successo), che contava sulla bravura dell’attore che improvvisava a partire da un canovaccio; gli attori avevano ruoli fissi (“maschere”: Arlecchino, Panatalone, Colombina) e sulle abilità fisiche degli attori (performance atletiche sulla scena). Era una situazione di relativa fissità, monotonia a cui si cercava di rimediare con battute maliziose e oscenità aperte. - Goldoni nella “Prefazione dell’autore alla prima raccolta delle commedie” (1750) dice che il teatro comico italiano è ormai corrotto e oggetto di disprezzo, questo stato provocava gravi conseguenze morali e sociali. Era un teatro “cattivo”: le opere erano scritte, costruite e recitate male e questi difetti avevano una ricaduta dal punto di vista dei contenuti e della morale. - Goldoni voleva riportare la commedia al suo scopo originario: mettere in scena i vizi,. -Riforma goldoniana: 1. Continuo confronto tra il libro del mondo (per restituire un carattere “naturale” a vicende, personaggi, situazioni e ambienti) e il libro del teatro (per consentire di mettere in scena nel modo più adatto a catturare l’attenzione del pubblico). 2. Ricorso al testo scritto e non più al canovaccio (più naturalezza). 3. Passaggio dalla maschera al “carattere” (il personaggio, che doveva essere naturale e realistico, questi effetti erano ottenuti attraverso la caratterizzazione linguistica, ambientale e sociale. 4. Il compito essenziale della commedia era di condanna del vizio attraverso la sua rappresentazione, e quello di dare ai comici un’onorevole ruolo nella società.
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