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Antonio Vivaldi guida al testo, Appunti di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea

sintesi di Egidio Pozzi su Antonio Vivaldi

Tipologia: Appunti

2016/2017

Caricato il 08/05/2017

antony776
antony776 🇮🇹

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Scarica Antonio Vivaldi guida al testo e più Appunti in PDF di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea solo su Docsity! Antonio Vivaldi Guida al testo di Egidio Pozzi – Antonio Vivaldi Obiettivo del presente testo è di porsi come un’utile e valida sintesi per ripercorrere il ben più valido e ampio testo monografico “Antonio Vivaldi”, scritto dal professor Egidio Pozzi. La presente sintesi non ha pretesa di esaustività e per tal ragione si consiglia caldamente di utilizzare il seguente come una valida guida per comprendere sommariamente il testo da cui si muove. Si augura al lettore la migliore lettura. 2 Introduzione Antonio Vivaldi (1678-1741), violinista e compositore italiano, è stato riscoperto solo “recentemente”. Risale infatti al ‘900 una ripresa delle sue opere. Da quel momento vi fu una lunga ricerca tesa a riscoprire la storia della sua vita e della sua musica. Furono rinvenuti numerosi documenti, i quali hanno permesso di giungere ad una delineazione della storia biografica e musicale del compositore veneziano. La riscoperta di Vivaldi fu prima relativa alla sola musica strumentale (concerto solistico in primo piano), ma si spostò poi anche su altri generi (avendo Vivaldi composto musica sia sacra che profana). Esistono tuttavia ancora numerose lacune. Molto andrebbe scoperto e detto a proposito del rapporto esistente tra Vivaldi e le famiglie nobiliari della Venezia dell’epoca, il ruolo del padre nella sua carriera, la storia della misteriosa Anna Girò (probabilmente vera e propria convivente di Vivaldi) e infine un approfondimento sul teatro Vivaldiano. Il testo quindi, pur con le lacune del caso, si propone di ripercorrere le vicende biografiche della produzione di Vivaldi (tenendo in considerazione i più recenti studi sull’argomento). 5 - Ospedale della pietà (in cui lavorò anche Vivaldi) Questi ospedali trovarono nei propri musicisti una vera e propria fortuna economica, in quanto questi attiravano l’attenzione dei gentiluomini interessanti alla musica, con conseguenti donazioni. Gli assistiti degli ospedali erano divisi tra maschi e femmine. I primi ricevevano un’educazione fino all’età adolescenziale (circa 14 anni), dopo la quale venivano rilasciati per permettere loro di cercare un lavoro o di dedicarsi all’attività ecclesiastica. Diversa era invece la sorte delle fanciulle, che ricevevano un’eccellente educazione musicale. Le ragazze più brave, chiamate “figlie del cor”, avevano poi dei privilegi rispetto alle altre assistite dell’ospedale, “figlie del comun” (alimentazione migliore, vestiti più caldi nei periodi invernali, permessi speciali ecc) ma di contro era difficile per loro lasciare l’istituto ospedaliero, che contava sulle loro voci per ricavare dei guadagni capaci di finanziare le strutture. Era difficile che un governatore concedesse il permesso di matrimonio a una delle sue più brave allieve. A ciò si aggiunga il divieto, in caso di matrimonio, di esercitare la pratica musicale pubblicamente (in caso di trasgressione, questa avrebbe causato la perdita della dote e il conseguente fallimento del matrimonio). Spesso gli ospedali si aprivano al pubblico per alcune esibizioni di canto. Ma le cantanti venivano tenute nascoste dietro a una grata. Ciò era dovuto sia alla volontà di accrescere il mistero creando fascino intorno a quelle figure e sia per motivazioni estetiche: tante delle ragazze che cantavano erano affette da deformazioni e malattie. Su tal argomento si espresse anche Rousseau (nelle Confessiones), che riuscì a incontrare quelle fanciulle che avevano deliziato il suo udito ma si erano rivelate poi scarsamente gradevoli al suo sguardo. L’ospedale della pietà era quello più numeroso e in tanti lo consideravano una spanna sopra agli altri, per la perfezione dell’orchestra e il rigore dell’esecuzione. Gli insegnanti venivano scelti tra i musicisti più famosi. E tra questi troviamo anche Vivaldi. Un ruolo speciale era occupato dal maestro di coro, vertice più alto della gerarchia interna della Pietà. Doveva essere competente ma anche integro moralmente. Vivaldi non fu mai ufficialmente un vero maestro del Coro, ma ne svolse le funzioni dal 1713 al 1719 e in altri periodi successivi, dopo che il maestro precedente, Francesco Gasparini, si allontanò per alcuni incarichi a Roma. Altra manifestazione musicale era quella operistica. Questo era un genere musicale nato nel primo Seicento per soddisfare le esigenze politico-culturali delle corti e della nobiltà. A Venezia si trasforma, modificando il proprio target di riferimento fino a estenderlo a una platea molto più ampia e variegata di spettatori. Erano 8 i teatri pubblici Veneziani, tutti di proprietà dei nobili. E ognuno di questi poteva essere gestito da un impresario (anche Vivaldi svolse questo ruolo in alcuni teatri veneziani). 6 La scoperta dei manoscritti vivaldiani del fondo Foà-Giordano; la famiglia, la formazione di Vivaldi e i primi impegni all’ospedale della pietà La riscoperta di Vivaldi è avvenuta recentemente, nei primi anni del XX secolo. Tale scoperta si mosse attraverso tre direttive principali: - la ricerca degli storici unita alle considerazioni estetiche di critici e musicologi - la preparazione di edizioni a stampa unita all’impegno editoriale e discografico per la loro diffusione - la rilevanza di alcuni eventi che funzionarono quasi come dei catalizzatori (il ritrovamento di centinaia di manoscritti e la prima Settimana Vivaldiana, a Siena nel 1939) Ricerca storica: Il primo studioso italiano che riprese le opere di Vivaldi esaltandone la qualità dei concerti fu Luigi Torchi nel 1899. Ricchezza armonica, struttura formale e abilità compositiva erano secondo Torchi gli elementi di maggior rilievo. Successivamente Fausto Torrefranca ricondusse l’opera Vivaldiana alla nascita del romanticismo musicale italiano. Torrefranca riteneva di aver fatto una vera e propria scoperta, in quanto vedeva in Vivaldi l’antesignano di una musica che si sarebbe sviluppata nel romanticismo tedesco fino a culminare in Beethoven. I liberi svolgimenti tematici condotti da Vivaldi erano la cifra che lo rendeva simbolo di una “libertà nuova dello spirito”. Giannotto Bastianelli cercò poi di individuare il fascino della musica Vivaldiana nel carattere “improvvisativo”. Gabriele D’Annunzio pubblicò poi una riduzione per piano forte a quattro mano delle Stagioni, inserita in un volume dei Classici della musica italiana (1919). Tale rivisitazione aveva come principale obiettivo la riscoperta di un mitico passato musicale, capace di render merito alla storia musicale italiana. Impegno editoriale: Altro elemento fondamentale nella riscoperta del prete rosso fu il ritrovamento dei manoscritti di Torino, grazie all’impegno profuso dal professor Alberto Gentili. Il prologo di questo ritrovamento sposta l’attenzione su tutt’altre problematiche: Monsignor Emanuel, rettore di un collegio Salesiano piemontese, aveva delle necessità economiche per sistemare una cappella e alcune stanze del suo collegio. Per tal ragione chiese a Luigi Torri, direttore della Biblioteca di Torino, di valutare alcune stampe per poi venderle con l’obiettivo di ricavare il denaro necessario alla risistemazione della cappella. Torri si rivolse a Gentili, nel 1926. Insieme, i due trovarono, con sorpresa, moltissimi manoscritti 7 di Vivaldi, in gran parte autografi. Per evitare vendite immediate che avrebbero portato una divisione nella vendita dei volumi, si trovò un privato che acquistò tutti i volumi (Roberto Foà, che dedicò il fondo al proprio figlio deceduto). Tuttavia gli scritti rinvenuti costituivano solo una parte di tutto il corpus (la numerazione non era infatti continuativa e risultava evidente la presenza di altri volumi). I testi mancanti erano in possesso della famiglia Durazzo. 2 Dopo svariati tentativi, Flavio Durazzo accettò di vendere i manoscritti. Si trovò perciò un altro compratore, Filippo Giordano (anch’egli dedicò il fondo al proprio figlio prematuramente scomparso). I manoscritti vennero poi pubblicati dall’editore Ricordi, sebbene poco noti e con un alto rischio di insuccesso editoriale, “per doverose finalità artistiche e civili”. Gli eventi catalizzatori Altro evento importante e scatenante interesse per Vivaldi fu la Settimana Vivaldiana, tenuta a Siena nel 1939 come occasione di incontro tra tutti gli interessati alla produzione del compositore Veneziano. Lo scoppio della guerra ridusse notevolmente le possibilità di partecipazione degli interessati, ma rimase un incontro fecondo che diede grosso impulso alla diffusione della musica Vivaldiana. La famiglia Di particolare importanza nello studio di Vivaldi è lo studio della famiglia del compositore veneziano, e più in particolare lo studio della figura paterna (ancora poco sviluppato). Sebbene i primi biografi riducessero spesso il talento e l’estro di Vivaldi ad avi altrettanto valorosi, si è riusciti oggi a scoprire una biografia più veritiera e documentata, che propone in misura molto maggiore lo studio dei fattori ambientali, determinanti per le sorti del piccolo Antonio Lucio, che offrono allo stesso tempo un taglio meno eroico e romanzato alla storia del compositore. La famiglia di Vivaldi proveniva da Brescia (allora provincia della Repubblica veneziana) per quanto riguarda il ramo paterno, e da Matera per quanto riguarda il ramo materno. Entrambi i nonni erano dei sarti (sebbene quello paterno doveva aver avuto tra i suoi progenitori alcuni proprietari di immobili). Dal matrimonio tra Giovanni Battista Vivaldi e Camilla Calicchio (sposati nel 1736) nacquero nove figli (il primogenito fu proprio Antonio Lucio), secondo alcuni studiosi tutti dotati dello stesso temperamento sanguigno e tutti spericolati (due fratelli di Vivaldi furono allontanati dalla città per azioni violente o ingiuriose non tollerabili dalla Serenissima). Il giorno della nascita di Vivaldi, il 4 marzo 1678, vi fu un violento terremoto, che probabilmente costrinse a un parto d’urgenza la madre e a un battesimo d’emergenza. Probabilmente il pericolo di morte passato nel momento della nascita (unito a un problema fisico del neonato), spinse la madre a prometterlo agli ordini, in caso si fosse salvato. E così fu. 2 I manoscritti erano andati prima a Jacopo Soranzo (1686-1761), proprietario di un’enorme biblioteca. Gli eredi di Soranzo vendettero poi a Giacomo Durazzo 27 volumi di composizioni vivaldiane, poi ereditati dalla famiglia Durazzo fino a giungere a Giuseppe Maria che li divise tra il proprio figlio (Marcello Durazzo) e suo fratello (Flavio Ignazio Durazzo). I volumi ereditati dal primo finirono al Collegio San Carlo, mentre quelli ereditati dal secondo furono poi rintracciati e acquistati grazie al fondo Giordano. 10 Le prime pubblicazioni a stampa, il successo europeo, le caratteristiche stilistiche e formali dei concerti vivaldiani Le prime pubblicazioni All’epoca di Vivaldi si era soliti fare il proprio ingresso nel mondo della musica con l’opera prima. Questa era un saggio che aveva il compito di mostrare le capacità del compositore al grande pubblico, quando questo aveva già raggiunto grandi capacità in materia. Spesso le opere prime venivano scritte sul modello nazionale delle sonate a tre (sviluppato esemplarmente da Corelli). L’opera prima di Vivaldi venne dedicata nel 1705 al conte veneziano Annibale Gambara, con toni e argomenti di dedica molto convenzionali: vi è un elogio al dedicatario, l’umiltà reverenziale che si doveva prestare nei confronti delle figure più nobili e la speranza di esser approvato. Sulla stesura dell’opera c’è qualche dubbio. Sembra infatti che la prima pubblicazione sia la ristampa di un’edizione più antica. Probabilmente Vivaldi la preparò già tempo prima, nel periodo precedente all’incarico alla Pietà (e quindi nel 1703) 12 ; ed è altresì probabile che l’opera ebbe un peso specifico nell’affidamento dell’incarico presso l’Ospedale. La seconda raccolta venne invece pubblicata nel 1709: dodici sonate “a Violino e Basso per il cembalo”. Questa opera è probabilmente collegata all’insegnamento presso l’Ospedale della Pietà. E’ probabile che queste sonate provenissero dal repertorio didattico del compositore: ideate come esercizi per le ragazze della pietà vennero poi raccolte e pubblicate in dedica al re di Danimarca e Norvegia Federico IV. Altri studiosi sostengono invece che le opere abbiano seguito un percorso inverso: prima scritte per il soggiorno veneziano del re e poi utilizzate come composizioni d’esercizio per le allieve. La terza e più importante opera è sicuramente L’estro armonico, del 1711. Questa ebbe un enorme successo, imponendosi come nuovo modello stilistico e formale, influenzando le successive produzioni strumentali. Venne dedicata al figlio del granducato di Toscana, Cosimo III. Si tratta di un’opera che ebbe numerosissime ristampe (circa 20) e che fece il giro d’Europa, giungendo a Londra, Amsterdam e Parigi oltre che ovviamente in terra teutonica. Particolare importanza rivestì il ruolo dell’editore olandese Estienne Roger. Costui favorì l’ascesa di Vivaldi, da una parte grazie alla possibilità di maggior diffusione europea delle opere, dall’altra grazie a un’innovativa tecnica di stampa messa in atto attraverso incisioni su lastre di rame 13 . L’opera IV, intitolata La Stravaganza, venne pubblicata nel 1714 (o forse nel 1716) e dedicata a un nobile veneto chiamato Dolfin. Considerata una continuazione dell’opera III (poiché Vivaldi aveva promesso nella prefazione dell’Estro Armonico che ci sarebbe stata una continuazione) ha però notevoli differenze con la precedente. Vi è una forte predilezione per il concerto solista del violino, arricchito da interventi (sempre solistici) di altri strumenti. Probabilmente i costi della pubblicazione vennero sostenuti dallo stesso compositore (e non dall’editore Roger), e forse sostenuti in parte anche dal nobile Veneziano, cui l’opera è dedicata. Il reperimento dei fondi potrebbe essere uno dei motivi che spinsero editore e autore a ritardare di molto la pubblicazione dell’opera: tre (se non cinque) anni erano davvero molti, soprattutto considerando il successo che aveva ottenuto l’opera III, e che quindi l’opera IV avrebbe potuto ottenere sulla scia dei già ottimi consensi. 12 Infatti Vivaldi si presenta nel frontespizio come “Musico di violino, Professore veneto”, quando avrebbe potuto benissimo dichiararsi Maestro presso l’Ospedale della pietà, titolo ben più prestigioso. 13 Questa offriva una maggiore definizione e quindi una migliore lettura. Vivaldi fece menzione di ciò anche nel frontespizio. 11 Altra motivazione del ritardo potrebbe essere la pubblicazione dell’editore Roger dell’opera IV di Corelli, che costò molta fatica, sottraendo tempo prezioso (circa due anni) per dedicarsi al lavoro di Vivaldi. L’opera V venne pubblicata nel 1716. Dovrebbe essere intesa come un’ideale continuazione dell’opera II (e infatti le sonate contenute sono numerate come 13, 14, 15, 16, 17, 18). Ma vi sono notevoli divergenze tra le due. L’opera V contiene infatti solo sei sonate, rispetto alle dodici dell’opera II, e anche i generi sono diversi (la 17 e la 18 sono sonate a tre), cambiano gli stili e gli aspetti formali. Sembra essere un’opera progettata per un pubblico maggiormente dilettantistico, ispirandosi a un ideale di piacevolezza piuttosto che di virtuosismi. L’opera VI venne pubblicata nel 1719. L’opera VII nel 1720 è composta da dodici concerti, divisi in due libri. Secondo lo studioso Rasch quasi la metà dei concerti mostra dei dubbi di autenticità, suggeriti da condotte stilistiche non tipicamente vivaldiane. L’idea maggiormente in voga è che Roger possa aver aggiunto altri lavori per raggiungere 12 sonate. Da ciò emerge come esista un problema di autenticità di queste opere (fatta eccezione per la III e la IV, rispettivamente estro armonico e stravaganza). Sembra infatti che l’editore Roger si sia mosso autonomamente nella ricerca dei brani da inserire, spesso aggiungendo composizioni di dubbia autenticità. Tuttavia è lecito pensare che vi fosse un accordo fra editore e autore, in quanto quest’ultimo non si lamentò mai di tali problematicità e continuò il rapporto lavorativo. Probabilmente le pubblicazioni di Roger avevano la funzione di portare la musica vivaldiana nelle cappelle delle corti europee, mentre i manoscritti vivaldiani venivano venduti come pezzi pregiati o souvenir d’alto livello: differenti prodotti per differenti target di riferimento, il tutto teso ad ampliare e affermare la diffusione della musica vivaldiana a Venezia e in Europa. Mentre tra i compositori italiani a lui coevi Vivaldi non fu preso subito come modello, ciò avvenne in alcune zone d’Europa. Molti viaggiatori provenienti dall’estero apprezzarono le innovazioni Vivaldiane. Alcuni parlarono di vera e propria Febbre vivaldiana. Tra chi ha studiato e ammirato Vivaldi c’è da segnalare anche Johann Sebastian Bach. Il compositore tedesco trascrisse dieci concerti vivaldiani. Secondo alcuni studiosi la motivazione di tali trascrizioni va ricercata nella volontà di Bach di studiare le composizioni del Prete Rosso. Altri sostengono che Bach si sia approcciato alle opere vivaldiane non tanto con la voglia di apprendere qualcosa da esse, ma con l’intento di migliorarle (si trattava infatti di un Bach ormai 25enne e maturo musicalmente). Infine vi sono altri che hanno formulato l’ipotesi che non si tratti di trascrizioni didattiche ma di opere commissionate a Bach con l’intento di adattarle per cembalo e organo. Vi furono poi molti allievi di Vivaldi, tra questi se ne possono ricordare i tre più importanti: - Stolzel: uno dei più famosi teorici e compositori tedeschi della prima metà del secolo - Treu: cantante, violinista e compositore prodigio - Pisendel: musicista tedesco con cui Vivaldi intrattenne uno stretto rapporto, tale da ricevere in dono molte opere del compositore veneziano. La raccolta di Pisendel è inoltre molto utile poiché in uno sono presenti delle diminuzioni, probabilmente scritte dal violinista tedesco, ma sicuramente ispirate alla tecnica improvvisativa utilizzata da Vivaldi. Quando Pisendel tornò poi alla corte di Dresda portò con sé i nuovi tipi di musica appresi da Vivaldi, aiutando a diffondere il nuovo stile. 12 Caratteristiche stilistiche e formali Lo stile di Vivaldi è noto per l’espressione di estro e invenzione. La sua musica è dotata di grandissima vitalità, ottenuta attraverso grandi doti creative 14 . Tuttavia a questo furor concerticus faceva da contraltare una ragguardevole attenzione nella struttura formale delle sue composizioni, spesso elaborate in maniera razionale e rigorosa. Altra innovazione vivaldiana è stata quella di un’elaborazione della scrittura sempre più centrata sulle idee musicali e sul loro logico sviluppo. Prima le idee e poi la partitura con le sue regole. Basti ricordare a tal proposito un evento della tipica aneddotica vivaldiana, che ci racconta di come il Prete Rosso, durante le celebrazioni liturgiche, spesso si allontanasse (con la scusa dei presunti malori al petto) per andare in sagrestia ad annotare le idee musicali che aveva in mente, per scongiurare il rischio di perderle. Dal punto di vista formale si può rintracciare lo stile vivaldiano muovendosi prima di tutto sui concerti (la parte più numerosa dell’intero corpus delle sue composizioni 15 ). Negli anni giovanili manca ancora una struttura compositiva rigorosa e il compositore sperimenta soluzioni formali diverse e alternative. E’ in questa fase che Vivaldi pensa all’alternanza “tutti-solo”, che sfrutta ottenendo varie soluzioni. A ciò si aggiunga la tipica “forma-ritornello”, diventata poi un modello di portata storica. L’idea di Vivaldi era quella di mettere a punto un’idea formale basata sull’alternanza di ritornelli ed episodi stilistici. Vi sono quindi parti opposte e in contrato: estro, stravaganza, invenzione da una parte; razionalità, comprensibilità, razionalità dei percorsi armonici e della trama contrappuntistica dall’altra. In questo carattere ambivalente si può riscontrare la cifra della musica vivaldiana. 14 Vivaldi si vantava di “comporre un concerto, con tutte le sue parti, più rapidamente di quanto impiegherebbe un copista a trascriverlo”. 15 Si contano più di 450 concerti, un centinaio di sonate e sinfonie A lezione non sono state trattate alcune considerazione riguardo lo stile propriamente musicale di Vivaldi. Tali considerazioni si ritrovano a pagina 540/547, come segnalato sulle dispense. 15 completa preparazione da parte di Vivaldi, probabilmente anche grazie all’aiuto del padre, un vero e proprio manager capace di valorizzare il talento del figlio. Probabilmente una parte importante della produzione sacra di Vivaldi è stata redatta nei primi anni di vita del compositore. E’ inoltre intuibile che spesso fu invitato insieme al padre per suonare in occasioni sacre e liturgiche. Il 1711 parteciparono insieme a una festività bresciana (uno dei rari eventi documentati). Nel 1712 Vivaldi portò, sempre a Brescia, e forse in virtù di un’ottima performance ottenuta l’anno prima, uno Stabat Mater.16 Della produzione sacra Vivaldiana conosciamo oggi solo dodici mottetti 17 , tutti scritti per una voce sola, con basso continuo, con un testo in latino (non tratto dalle sacre scritture) e basate sull’uso dell’aria col da capo. Non si conoscono dettagli precisi sulle composizioni sacre vivaldiane, ma da una delibera del 1715 sappiamo che Vivaldi compose “una Messa intiera, un Vespero, un Oratorio, più di trenta Mottetti t altre fatiche. 18 Viaggi in Italia e ritorno a Venezia Fino al suo 40esimo anno di età Vivaldi svolse la gran parte del suo lavoro a Venezia. Acquisita una gran fama di compositore, si spostò successivamente in altre città italiane e in vari paesi europei. Vi fu un primo periodo mantovano, un impegno presso la corte che durò due anni, dal 1718 al 1720. Il ruolo di Vivaldi era quello di maestro di cappella da camera e aveva da comporre musica per il teatro. Scrisse sette opere. 19 In aggiunta a ciò Vivaldi fu anche impresario del teatro della città, “il Comico”. In questa seconda funzione i suoi spettacoli venivano finanziati dal principe. I guadagni che Vivaldi ottenne da queste sue attività teatrali furono notevoli: più di un doppio di un intero anno di lavoro alla pietà. Successivamente Vivaldi terminò la propria attività teatrale per dedicarsi all’attività di maestro di cappella, rappresentando a volte opere fuori dalla città di Mantova. Nel 1720 Vivaldi tornò a Venezia, probabilmente per prendere in mano uno dei teatri della città e diventarne impresario. Tuttavia la situazione al suo ritorno era radicalmente diversa da quella che aveva lasciato: un gruppo di compositori poco più giovani di Vivaldi aveva preso il totale possesso dei teatri della città. Inoltre lo stile di tali compositori era molto simile a quello vivaldiano (che cominciava a diffondersi in quel periodo). Perciò Vivaldi perse la propria specificità musicale, essendo stato ormai 16 Utile per farci comprendere alcune interessanti particolarità. L’opera sembra tener a mente alcune prescrizioni. Probabilmente vi era penuria di viole, e infatti sullo spartito sono presenti annotazioni riferite a possibili sostituzioni strumentali. Questo ci fa notare come a ben vedere Vivaldi non fosse solo il puro genio ribelle, alieno da qualsiasi forma di metodo. Anzi, la figura che emerge è quella di un compositore attento al proprio ensamble e capace di modificare le sue opere in base alle situazioni contingenti (pratica usuale per quei tempi). 17 Tra ‘600 e ‘700 il mottetto a voce sola era un tipo di composizione molto usato: poteva infatti diventare sia motivo di esibizione per le virtuose cantanti, sia occasione di richiamo per un pubblico numeroso e affezionato. 18 Ulteriori dettagli si trovano a pagina 215 19 Armida al campo d’Egitto (1718), Teuzzone e Tito Manlio (1719), Candace (1720), L’Artabano (1725), Semiramide e Farnace (1732) Anna Girò Si tratta di una delle figure più interessanti e discusse riguardo alla vita di Antonio Vivaldi. Si trattava di una cantante-attrice (meglio dotata nella recitazione) con cui Vivaldi intrattenne un lungo e proficuo rapporto lavorativo (e secondo alcuni anche sentimentale). Secondo alcuni i due avevano una vera e propria relazione e si dice che lei abitasse in casa sua (informazione poi smentita prima da Vivaldi e successivamente da alcuni studiosi, sebbene ciò non scongiuri eventuali dubbi a riguardo). L’identità di Anna Girò è probabilmente quella di Anna Madalena Teseire (o Tessieri), nata probabilmente nel 1710 e forse, secondo alcuni, da ricondurre alla nota figura di “Annina della pietà”. Sebbene si possa immaginare che Vivaldi la scelse perché sua ipotetica compagna, bisogna costatare che la Girò ebbe molti estimatori e il suo talento (specialmente recitativo più che canoro) era ampiamente riconosciuto. Goldoni disse di lei che non era bella, ma aggraziata e delicata, dotata però di un temperamento agitato e grintoso, che la faceva rendere al meglio in tipi di opere affini al suo carattere. I due lavorarono insieme dal 1728 circa, fino al termine della carriera del compositore veneziano. 16 raggiunto nello stile musicale dai suoi concorrenti. Il compositore veneziano non si diede però per vinto e nel giro di poco tempo riuscì a riprender possesso del Sant’Angelo e a rappresentare nell’ottobre del 1720 “La verità in cimento”, ultima opera capace di incarnare perfettamente lo stile del compositore, che ormai, per necessità, era alla ricerca di un nuovo tipo di stile musicale, per mantenersi “alla moda” tra i contemporanei. Nel 1721 fu invitato a scrivere un’opera per il Teatro Regio Ducale di Milano, in occasione del compleanno dell’imperatrice, per il quale Vivaldi presentò il dramma pastorale “La Silvia”. Nel 1722 Vivaldi rientrò a Venezia. Nel 1723 intraprese un viaggio a Roma, data la difficile situazione veneziana. Il soggiorno presso la città eterna durò per tre stagioni del Carnevale. Probabilmente si trattava di quelle del 1723, 1724 e 1725. Sull’ultima data si è però incerti, potendo far risalire la data al 1720. A Roma Vivaldi portò il suo “gusto lombardo”, conquistando i romani, che dopo averlo udito, non sopportavano più nulla che almeno si avvicinasse a quello stile. Contemporaneamente alla composizione e all’attività teatrale in genere, Vivaldi fu occupato anche a comporre musica sacra per il cardinale Pietro Ottoboni (anche mecenate di Corelli e protettore del Teatro Capranica). Nel 1725 Vivaldi tornò a Venezia, prendendo la guida del suo amato Sant’Angelo per i successivi tre anni. Probabilmente con il suo ritorno Vivaldi aveva intenzione di prendere il controllo del San Giovanni Grisostomo, ma non riuscì nell’impresa (forse anche a causa della reputazione di “arrampicatore sociale” che gli derivava dall’essere un impresario a tutto tondo). Non abbiamo notizie certe dell’attività tra il 1724 al 1725. A riguardo si sprecano le ipotesi: qualcuno dice che fosse stato a Roma, altri sostengono abbia soggiornato a Venezia, alcuni che fosse tornare a Mantova per una rappresentazione, altri ancora che abbia lavorato per un conte boemo. Successivamente Vivaldi riprese la sua attività operistica al Sant’Angelo, riuscendo nelle due stagioni del 1726 e del 1727 a ottenere un maggior controllo sull’attività teatrale, che gli consentì di chiamare per le sue opere i cantanti a lui più graditi. Tra questi vi era la famosa Anna Girò. Tra il 1727 e il 1728 Vivaldi lavorò a Firenze, mettendo in scena tre opere, al Teatro di Via della Pergola: - Ipermestra (1726) - L’Atenaide (1727) - Ginevra principessa di Scozia (1725) 17 Nuove pubblicazioni, viaggi in Europa e sviluppo dell’attività operistica Il Cimento dell’Armonia e dell’Invenzione Nel 1725 venne pubblicata la raccolta il Cimento dell’Armonia e dell’Invenzione op. VIII, comprendente due libri. La raccolta, con il suo titolo allusivo, rinvia a un ampio progetto compositivo, in grado di attrarre e soddisfare gusti e aspettative di un pubblico molto vario. Il termine “armonia” dovrebbe essere inteso come sinonimo di arte razionale, costituita da buone regole compositive, mentre “invenzione” rappresenta la fantasia, la stravaganza, l’estro, ciò che non è tradizione acquisita ma innovazione e produzione individuale. “Cimento” invece potrebbe significare “sfida”, nel riuscir a mescolare Armonia e Invenzione, anime in lotta tra loro ma allo stesso tempo complementari. Alcuni dei concerti presenti nell’opera (e in particolare le quattro stagioni) erano già noti prima della pubblicazione. Ed è possibile che la raccolta comprendesse anche lavori realizzati per l’Ospedale della Pietà. Vi è inoltre una palese asimmetria dei due volumi costituenti la raccolta: il primo comprende concerti con titoli allusivi, mentre il secondo ha un solo concerto con titolo allusivo e altri 5 senza titolo. Probabilmente le due raccolte non vanno considerate come un’opera sistematica e unificata, ma piuttosto come un’antologia. Con il secondo volume Vivaldi si trovò di fronte a una difficoltà: non poteva completarlo con concerti muniti di titolo perché non ne esistevano altri esempi inediti. Le uniche possibilità che aveva arano quelle di comporre concerti nuovi o di impiegare opere prive di titoli. Vivaldi preferì la seconda possibilità. Vi sono dubbi e questioni anche riguardo alla pubblicazione, ritardata di ben cinque anni rispetto al periodo della compilazione (1720). Probabilmente Vivaldi aveva inviato i lavori nel 1720 ma la casa editrice si trovò ad affrontare notevoli problemi, che allungarono i tempi di stampa. 20 La diffusione della musica di Vivaldi negli ambienti francesi Le stagioni furono accolte con particolare entusiasmo a Parigi e dintorni. Il re stesso aveva ordinato un’esecuzione della Primavera e anche dopo la morte di Vivaldi furono realizzati dei riadattamenti. Le stagioni contribuirono quindi ad accrescere notevolmente la reputazione del compositore veneziano, che avrebbe avuto occasione di lavorare oltralpe. - La prima si presentò nel 1725, al matrimonio di Luigi XV. - La seconda occasione fu la celebrazione per l’insediamento del conte Languet come ambasciatore di Francia. Per tale occasione Vivaldi compose La Senna festeggiante. I festeggiamenti si svolsero nel 1726. Probabilmente venne eseguita all’aperto e per un pubblico francese. - La terza occasione fu nel 1727 quando nacquero le gemelle dei reali francesi. 20 Estienne Roger era morto e aveva lasciato l’attività alla figlia Jeanne, che con l’aiuto di un dipendente di fiducia cercò di salvare l’attività. Successivamente anche la stessa Jeanne si ammalò e il controllo dell’attività passò a sua sorella e a suo marito, Le Cène. Costui, alla morte degli ultimi proprietari, proseguì l’attività imprenditoriale, ma poté iniziare a lavorare solo nel 1723. Vivaldi nel frattempo cercò nuovi fondi, forse perché dubbioso della volontà e delle possibilità del nuovo editore di pubblicarlo. L’editore decise poi di finanziare in proprio la stampa. 20 fine Gualtiero richiama Griselda a corte, tra l’entusiasmo della popolazione. La trama tuttavia aveva qualche punto debole, dato che il comportamento di Gualtiero resta sempre molto immotivato e quello di Griselda fin troppo passivo e privo di slanci. Vivaldi lavorò su quest’opera insieme a un giovanissimo Carlo Goldoni, all’epoca 28enne, chiedendo più volte di modificare le arie di Zeno in modo da renderle più cantabili per la Girò. Probabilmente queste richieste erano dovute sia a un’incapacità della Girò di esprimersi bene con parti più cantate e meno recitate e sia alla volontà di voler realizzare un lavoro di revisione della Griselda: attraverso lo spirito combattivo della Girò il personaggio avrebbe acquisito maggior spessore e forza espressiva, superando la piattezza del personaggio per come era stato pensato. 21 Vita veneziana e fama europea, il carteggio ferrarese e l’ultimo viaggio a Vienna Nell’ultimo periodo della sua vita, la posizione di Vivaldi a Venezia cominciava a indebolirsi. Dal 1737 addirittura il compositore veneziano iniziò a incontrare numerose difficoltà nella sua attività d’impresario. La ragione contingente che portò Vivaldi a perdere fama e prestigio fu la pessima rappresentazione del Siroe tenuta a Ferrara, che analizzeremo nelle prossime pagine. Ma il singolo evento doveva, secondo molti, essere lo specchio della minata e indebolita posizione del compositore, inviso a molte famiglie nobiliari (sia a Ferrara che poi a Venezia) e non più di tendenza in un panorama musicale che era profondamente mutato. La ripresa delle attività all’ospedale della pietà E’ difficile accertare l’attività di Vivaldi presso la Pietà negli anni successivi al 29, tuttavia secondo alcuni recenti studi nel 1732 Vivaldi compose un salmo, il Dixit Dominus per l’Ospedale della pietà. Questa composizione è stata attribuita a Vivaldi solo recentemente (nel 2005), grazie all’intuizione della musicologa australiana Stockigt. L’opera infatti era stata venduta sotto il nome di Galuppi (così recita il frontespizio). Probabilmente i due nipoti di Vivaldi, non avendo un numero sufficiente di composizioni di Galuppi da inviare alla corte sassone, hanno falsificato alcuni lavori di Vivaldi aggiungendo frontespizi dell’altro autore. La scoperta è avvenuta grazie all’analisi del tipo di composizione, registrante le tipiche impronte vivaldiane. L’opera propone una forma spesso usata dal compositore veneziano: si associa a ogni versetto un singolo movimento; inoltre la struttura formale è assicurata da movimenti corali, mentre quelli per voce sola contribuiscono a creare varietà (quasi come si trattasse di un lavoro operistico). Altre notizie dei rapporti tra Vivaldi e la Pietà si hanno nel 1735, quando viene proposta la riassunzione di Vivaldi come “maestro dei concerti”. La Congregazione della Pietà approva la nomina a maggioranza, sottolineando l’esigenza di un rapporto didattico più continuato per quanto riguarda le ragazze da istruire. Tale contratto fu confermato per i due anni successivi (fino al 1738 quindi). La mancata riconferma per gli anni successivi va ricercata forse maggiormente nella situazione di ristrettezze economiche dell’Ospedale 22 che nelle presunte riserve sul piano morale (visione biografica ormai tramontata). Nel 1738 alla votazione annuale per la conferma degli incarichi, Vivaldi non ottenne la maggioranza e quindi la riconferma. La produzione operistica e l’epistolario ferrarese Come già esposto precedentemente, episodio centrale di questo periodo della vita di Vivaldi fu l’esperienza ferrarese. Le fonti utili per rintracciare gli eventi di questo periodo sono i circa tre anni di corrispondenza (per l’equivalente di 32 lettere) che furono scambiate dal 1736 al 1739 tra Vivaldi e il marchese Bentivoglio 23 . 22 Occorre anche osservare che Vivaldi non fu poi mai effettivamente sostituito come maestro di violino, se non dalle maestre che egli stesso aveva formato. 23 Guido Bentivoglio era un marchese ferrarese che Vivaldi potrebbe aver incontrato a Venezia, o forse proprio a Ferrara quando nel 1736 Vivaldi venne chiamato per alcune celebrazioni matrimoniali, occasione nella quale molta della musica celebrativa potrebbe essere stata scritta proprio dal Prete Rosso. 22 Vivaldi venne invitato a mettere in scena due opere da un parente del Bentivoglio, l’abate e impresario Giuseppe Maria Bollani. Inizialmente Bollani e Vivaldi si erano accordati su due opere: la Ginevra e l’Olimpiade. Tuttavia in un secondo momento Bollani chiese a Vivaldi che fossero rappresentate il Demetrio e l’Alessandro nelle Indie (entrambe opere di Hasse su libretto di Metastasio), con la precisazione che quest’ultima arrivasse direttamente da Venezia senza subire modifiche da parte di Vivaldi; cambio di programma questo che non teneva conto del fatto che Vivaldi aveva già speso del denaro per la preparazione delle prime due opere. Il Prete Rosso fu estremamente critico a riguardo, e in una lettera inviata al Bentivoglio asserì “Questo Signore non sa far l’Impresario e non sa dove si spende e dove si risparmi”, rivendicando compensi che non aveva ricevuto. 24 Tale lettera di denuncia aveva però avuto un effetto di allontanamento per il marchese, che vedeva nel gesto di Vivaldi una “alzata di testa” che non poteva essere accolta o peggio ancora incoraggiata. Tant’è che Bentivoglio attese prima di rispondere al compositore. Il marchese chiese poi agli impresari ferraresi (Bollani e Lanzetti) delucidazioni in merito. La risposta fu sorprendente: delle due lettere ricevute dal Bentivoglio, la prima riconosceva la versione del compositore veneziano come vera, mentre nella seconda Lanzetti accusava Vivaldi di averlo costretto con le minacce a scrivere la prima. Bentivoglio scrisse quindi a Vivaldi (dopo 2 mesi e mezzo dall’accaduto), con un tono però molto lontano e distaccato, non dando vere risposte a Vivaldi. Successivamente il compositore tentò un nuovo approccio qualche mese dopo, sull’onda dell’entusiasmo per la rappresentazione veronese del Cantone in Utica. Tuttavia, sebbene Bentivoglio rispose subito (e da ciò si può dedurre fosse ben disposto nei confronti di Vivaldi), sconsigliò a Vivaldi di tornare a Ferrara nell’immediato. Mesi dopo Vivaldi riuscì a prendere impegni con il Bentivoglio e il teatro dei Bonacossi a Ferrara. Tuttavia, proprio quando Vivaldi si stava preparando per andare a Ferrara, accadde un imprevisto: il cardinale Tommaso Ruffo, arcivescovo di Ferrara, vietò al compositore l’ingresso in città. Il cardinale Ruffo era un attivo e severo prelato, con la fama di protettore delle arti e delle lettere, fortemente interessato a fermare il malcostume ecclesiastico per ritornare a un modello di moralità, dignità e sacrificio. Proprio per tali ragioni Vivaldi, il prete Rosso era un elemento intollerabile nella sua Ferrara: lui che secondo alcuni viveva nella stessa casa con due donne, pur avendo preso gli ordini, lui che non diceva messa, lui che veniva spesso additato come un impresario in cerca di scalate sociali e avido di denaro. Bentivoglio disse a Vivaldi che non poteva influenzare le idee del cardinal Ruffo. Propose inoltre a Vivaldi di affidare l’incarico a un impresario locale, tale Francesco Picchi. Tuttavia Vivaldi rispose negativamente a questa proposta (dopo aver tentato un accordo con Picchi, che sfumò per ragioni economiche). Vedendo la situazione a Ferrara, Vivaldi decise di ritornare a Venezia. Qui compose (probabilmente) il Mipso, rappresentazione elogiata dal principe Ferdinand Maria Innozenz di Baviera. Parallelamente Vivaldi aveva ripreso il controllo del Sant’Angelo, dove propose l’oracolo in Messenia, la Rosmira e l’Armida al campo d’Egitto. 24 Da qui (come da altri elementi) alcuni biografi hanno voluto vedere in Vivaldi un carattere particolarmente materiale, dipingendo il compositore veneziano come veniale ed eccessivamente interessato al denaro. La recente produzione bibliografica evita invece di dare giudizi di valore sui comportamenti del Prete Rosso, mostrando anzi come questo tipo di rivendicazioni fossero usuali all’epoca, data la varietà di interessi economici che circolavano intorno alle rappresentazioni e data la difficoltà di far valere le proprie ragioni. I problemi del Siroe causarono poi una disputa tra Vivaldi (che era promotore dell’opera e impresario de facto) e Antonio mauro, impresario ufficiale che fungeva da prestanome. Con l’annullamento della seconda opera si determinò una sorta di conflitto di competenze: gli artisti erano stati scelti da Vivaldi, ma i loro contratti firmati da Mauro, che volle evitare ogni tipo di responsabilità. La replica di Vivaldi fu diretta e caustica, fino al punto di accusare il suo interlocutore di aver truffato tutti ed esser scappato con il denaro della rappresentazione. La risposta di Mauro ci informa però che molte delle accuse del prete rosso erano infondate. Nel complesso questo carteggio ci offre un’immagine realistica e demistificante sugli aspetti economici e sociali della vita operistica di quel tempo. Il teatro aveva attratto il compositore con la promessa di facili e strepitosi guadagni, ma il prezzo da pagare consisteva nel sempre vivo rischio di mancati pagamenti e di stravolgimenti a lavori in corso. Inoltre, sebbene guadagnasse bene, Vivaldi non riuscì mai a conquistare una propria agiatezza che gli avrebbe consentito una vita più tranquilla. 25 opere ogni anno, ha cercato di rispondere alle crescenti richieste europee con pasticci e riprese, che ovviamente richiedevano un lavoro minore. Da ciò si può quindi dedurre che il genio creativo di Vivaldi rimase pressoché costante anche negli ultimi anni della sua carriera. Analizzando poi geograficamente i dati a disposizione si nota che vi fu in forte incremento delle rappresentazioni tenute fuori da Venezia (sia in zone limitrofe alla città e sia in città europee). Questo è secondo molti dovuto il fatto che la fama di Vivaldi si stava ridimensionando e molti appoggi erano ormai venuti meno. Probabilmente proprio questa tendenza di ridimensionamento che era allora in atto spinse Vivaldi a tentare la fortuna in Europa. L’ultimo viaggio a Vienna Su quest’ultima tappa della vita di Vivaldi c’è un’assoluta mancanza di notizie. Questa paradossale mancanza di fonti è secondo molti dovuta al fatto che Vivaldi ebbe difficoltà a introdursi negli ambienti viennesi. Probabilmente il compositore sperava di riuscire a lavorare presso la corte asburgica, o anche al teatro pubblico di Vienna, dove avrebbe potuto rappresentare le sue opere. Le difficoltà che Vivaldi incontrò a Vienna furono però dovute anche e soprattutto per via dell’improvvisa morte di Carlo VI, avvenuta nel 1740, che costrinse la figlia Maria Teresa a salire al trono, scatenando una crisi 28 che ebbe ripercussioni immediate ovviamente su tutte le attività artistiche. Viene allora da chiedersi come mai Vivaldi, pur conoscendo la situazione precaria che si era venuta a creare a Vienna, non scelse di tornare a Venezia? Le poche fonti che abbiamo oggi a disposizione non consentono di dare una risposta certa a questa domanda. Tuttavia la maggior parte dei musicologi concorda sul fatto che probabilmente fu impossibile a Vivaldi fare ritorno in patria, per via delle sue precarie condizioni di salute. Vivaldi aveva infatti 63 anni, che in quell’epoca erano già un’età considerevole, e soffriva inoltre di un problema toracico che ne aveva minato già prima gli spostamenti 29 . Il viaggio di ritorno verso Venezia era quindi impossibile. Fu così che Vivaldi morì a Vienna, il 28 luglio 1741. La gran parte dei biografi vivaldiani sottolinea in questo caso l’estrema modestia del funerale riservato al compositore veneziano, segno delle difficoltà in cui egli si era venuto a trovare dopo un anno di vita viennese priva di compensi. 30 Lo studioso Panagl sostenne invece che si tratto di un funerale comune, ma non per questo povero. Inoltre alla base della scelta di un tipo di funerale piuttosto che un altro potrebbero esserci state delle volontà personali o di qualcuno a lui vicino. A ciò si aggiunga poi che a Vienna si stava già diffondendo l’usanza di celebrare un tipo di funerale estremamente sobrio e cinquant’anni dopo vi era addirittura l’usanza di seppellire i defunti in fosse comuni. Tuttavia, pur stanti così le cose, stupisce la mancanza di commenti, lettere e riferimenti da parte di conoscenti e autorità. Il lascito di Vivaldi e la sua testimonianza didattica e professionale 28 Due mesi dopo la morte dell’imperatore, Federico II re di Prussia invase la Slesia con l’intento di estendere la sovranità prussiana su questa regione. Si riaccesero contemporaneamente aspirazione territoriali anche da parte dei governi francesi e spagnoli. Si creò quindi un’intricata rete d’interessi reciprocamente escludenti che minavano la stabilità del regno. Ovviamente questo tipo di clima non poteva in alcun modo favorire alcun tipo di attività culturale. 29 Si è molto discusso riguardo alla malattia di Vivaldi, di cui lo stesso compositore parlò in una lettera a Bentivoglio come una “strettezza di petto”. Le ipotesi oggi più valide sono rachitismo, epilessia, tisi, angina-pectoris, nevrosi provocate da un restringimento dei polmoni, ipoglicemia e sifilide. E’ inoltre possibile che Vivaldi avesse ragione quando parlava di un male che aveva a nativitate, che poi andò peggiorando nel corso del tempo, rendendogli qualsiasi spostamento faticoso. 30 Le uniche entrate dipendevano dalla vendita di alcuni preziosi manoscritti che aveva portato con sé. 26 Alla morte di Vivaldi le due sorelle Margherita e Zannetta chiesero alla magistratura veneziana il sequestro conservativo dei beni presenti nella casa. Questa mossa va intesa come una forma di tutela contro eventuali pretese da parte di eventuali creditori del compositore. Il sequestro imponeva un inventario dei beni, tuttavia è probabile che questo fu appositamente ridotto, in modo tale che le sorelle potessero portar via quanta più roba possibile. Infatti mancano nella casa del compositore sia gli strumenti musicali che sicuramente erano presente e sia le partiture. Inoltre nell’inventario non vi è traccia di alcun tipo di ritratto, caso singolare dato che anche nelle case più povere si soleva abbellire le camere con quadri appesi alle pareti, sebbene di scarso valore. C’è poi da ricordare che la stanza superiore non fu neanche presa in considerazione nell’inventario. E’ facilmente immaginabile che gli eredi cercarono poi di vendere tutto ciò che era presente nel “magazzino” musicale del compositore. Fu così che il lascito di Vivaldi giunse tra le mani del conte Durazzo e poi ai suoi eredi. La musica scritta per la Pietà rimase invece in repertorio per alcuni anni e successivamente le diverse centinaia di volumi furono trasferiti in alcuni musei per poi arrivare a esser conservati nel fondo Esposti. L’efficacia della sua attività didatti fu ampiamente testimoniata dalla qualità e quantità delle musiciste che contribuì a formare attraverso l’insegnamento. Riferimenti: c) Storia della musica - Parte monografica La vita e la produzione musicale di Antonio Vivaldi (i numeri di pagina si riferiscono al testo di E. Pozzi, Antonio Vivaldi, Palermo, 2007) \ Argomento 13. Venezia, la città e le arti; le istituzioni e la vita musicale della Serenissima - Pozzi 2007, pp. 23-97 - ASCOLTI: Cantata Amor hai vinto; Mottetto Nulla in mundo ) Argomento 14. La scoperta dei manoscritti vivaldiani del fondo Foà-Giordano;la famiglia, ° la formazione di Vivaldi e i primi impegni all'Ospedale della Pietà - Pozzi 2007, pp. 583-593 e 99-143 - ASCOLTI: La follia, in Sonate op. I n. 12 Argomento 15. Le prime pubblicazioni a stampa, îl successo europeo, le caratteristiche stilistiche e formali dei concerti vivaldiani - Pozzi 2007, pp. 145-177, 479-483, 529<535 c 540-547 > - ASCOLTI: Concerto op. II n. É (III mov. Presto) Argomento 16. La musica vocale, sacra e profana; viaggi in Italia e ritorno a Venezia - Pozzi 2007, pp. 179-222 e 223-287 - ASCOLTI: Aria Come l'onda, dall'Ottone in villa (Atto I/1), Aria Agitata, in Juditha triumphans Argomento 17. Nuove pubblicazioni, viaggi in Europa e sviluppo dell'attività operistica - Pozzi 2007, pp. 289-357, 535-540 8570-579 . - ASCOLTI: La primavera, dai-Conicerti-delle stagioni op. VIII n. 4 (I, mov.), Concerto Il gardellino op. X n. 2 (I mov.) Argomento 18. Vita veneziana e fama europea, il carteggio ferrarese e l'ultimo viaggio a Vienna » Pozzi 2007, pp. 359-442 - ASCOLTI: Magnificat, RV610 nn. 1-2, RV 611 nn. 1, 2a, 2b, 26. Bibliografia Egidio POZZI, Antonio Vivaldi, Palermo, L'Epos Editore, 2007 È % (Collana Constellazio Musica 15; http://www.lepos.it/home/php/home.php)., 27
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