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antropocene erle c. ellis, Sintesi del corso di Storia Moderna

antropocene storia dell'ambiente

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 30/06/2022

mari-bianca
mari-bianca 🇮🇹

4.3

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Scarica antropocene erle c. ellis e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! 6 OIKOS Il rimodellamento dell’ecologia ha guidato il passaggio all’epoca dell’antropocene sin dai suoi primissimi inizi. Estinzioni di massa e invasioni di specie aliene, emissioni di gas serra, cambiamento climatico, alterazione dei suoli e dei cicli idrici, intensa conversione degli habitat naturali in paesaggi antropici: tutto deriva dal cambiamento ecologico di origine antropogenica. L’ecologia e le scienze ambientali sono state fondamentali per descrivere queste alterazioni, ma hanno anche avuto qualche difficoltà a intenderle come qualcosa di più di un semplice disturbo temporaneo di un mondo altrimenti naturale. A causa dell’Antropocene, per esempio, coloro che lavorano per conservare e ripristinare gli habitat naturali si trovano a dover affrontare sfide ancor più difficili. Ma cosa significa «habitat naturale» in un pianeta ormai trasformato dagli esseri umani? In un discusso saggio del 2011 intitolato Conservation in the Antropocene, Peter Kareiva, allora capo scientifico di The Nature Conservancy, una delle più grandi organizzazioni di conservazione ambientale del mondo, lo ha riassunto così: “ la portata globale di questa trasformazione ha rafforzato la nostra forte nostalgia di conservazione delle lande selvagge e di un passato di natura incontaminata. Ma il continuo focalizzarsi da parte dei conservatori sul salvaguardare le isole degli ecosistemi dell’Olocene durante l’Antropocene non solo è anacronistico ma anche controproducente”. Anche se i suoi risultati hanno contribuito a delineare l’Antropocene, l’ecologia come disciplina è stata rimodellata dalla necessità di nuovi approcci per studiare le caratteristiche di una terra trasformata dalle società umane. Sono emersi nuovi paradigmi che ridefiniscono non solo il valore della natura, ma anche il ruolo svolto dall’uomo nel modellare e curare l’ecologia di una biosfera sempre più antropogenica. LA DIVISIONE DELLA NATURA L’ecologia, dal greco oikos, che significa “casa”, è una disciplina scientifica abbastanza nuova e integrativa che studia le interazioni fra gli organismi viventi e l’ambiente in cui vivono, incluse le catene alimentari che collegano carnivori, erbivori e piante, a distribuzione geografica delle popolazioni animali e vegetale e i flussi biogeochimici fra gli organismi e i loro ambienti abiotici. Sviluppatasi alla fine del 19esimo secolo, l’ecologia affonda le sue radici nella storia naturale risalente ad Aristotele e ai suoi predecessori. Darwin, come la maggior parte degli altri naturalisti non avevano alcun problema a includere l’essere umano nel loro lavoro, o per lo meno gli uomini preistorici e i loro contemporanei non europei. Tuttavia, le cose iniziarono a cambiare alla fine del 18esimo secolo, quando il conte di Buffon operò una distinzione tra natura originaria e natura civilizzata dagli esseri umani. Questa divisione in paesaggi umani e non umani venne approfondita con lo sviluppo delle scienze naturali, fra cui l’ecologia. Gli ecologi iniziarono a studiare le zone e le regioni più piccole in cui le interazioni locali e globali tra uomo e natura avrebbero potuto essere considerate esterne alle loro ricerche. La prima persona a nominare l’Antropocene non fu Paul Crutzen, ma l’ecologo delle acque dolci Eugene Stoermer. IL MITO INCONTAMINATO Per studiare gli habitat e gli ecosistemi non influenzati dall’uomo, molti ecologi, specialmente nell’America del Nord, hanno cercato luoghi senza una prova chiara dell’attività umana. La paleontologia, considerata la stratigrafia dell’ecologia, ricostruisce i cambiamenti ecologici avvenuti nell’antichità mediante i resti materiali dei passati ecosistemi. Insieme ad archeologi, paleontologi, storici ambientali e altri, il loro lavoro ha stabilito che la trasformazione umana degli ecosistemi ha prodotto delle eredità ecologiche che hanno resistito dal Tardo Pleistocene fino ai giorni nostri. L’estinzione dei grandi erbivori, come per esempio il mammut lanoso, trasformò le praterie in boschi, mentre la gestione della vegetazione mediante l’uso del fuoco modificò i terreni e alterò i livelli di nutrienti. Anche la primissima forma di agricoltura riorganizzò le sostanze nutritive in tutte le zone, aumentando la fertilità del suolo in alcuni punti e diminuendola in altri; in questo modo alterò permanentemente la chimica e le altre caratteristiche del terreno. Dopo secoli e persino millenni, queste eredità antropogeniche presenti nel suolo possono ancora plasmare la composizione delle specie e la produttività delle comunità vegetali. Gli esseri viventi sono anche stati ridistribuiti dal commercio, dalle migrazioni e dagli sforzi deliberati dai cacciatori-raccoglitori, dagli agricoltori e dei commercianti. Anche in molte regioni in cui sembra non ci sia alcuna traccia delle attività umane, le prove paleoecologiche dimostrano regolarmente che i modelli e i processi ecologici contemporanei sono plasmati dalle precedenti società umane. Perfino nelle lontane foreste pluviali dell’Amazzonia l’uomo ha modificato la distribuzione degli alberi nel tentativo di diffondere le specie più vantaggiose, per esempio la noce del Brasile, che è stata coltivata per migliaia di anni e che viene ancora raccolta principalmente da piante selvatiche. Un numero sempre maggiore di prove conferma che le foreste pluviali tropicali dell’Amazzonia e del Congo hanno subito l’influenza dell’uso del fuoco e di tutte le pratiche di sfruttamento del terreno impiegate dai cacciatori e dai primi agricoltori. Eppure molti ecologi e conservazionisti tendono a pensare che negli habitat disabitati non ci sia alcuna traccia delle attività umane. Tuttavia i discendenti dei coloni europei presenti nelle Americhe e in Australasia hanno regolarmente confuso i fitti boschi per habitat ancora incontaminati quando in realtà si stanno tuttora riprendendo dalla presenza delle società precedenti. Il mito dell’incontaminato, secondo il quale le zone disabilitate rappresentano oggi un’ecologia senza una precedente influenza umana, costituisce un serio ostacolo alla comprensione dei modelli e dei processi ecologici contemporanei. DISTURBO Le carote estratte dai sedimenti lacustri forniscono alcuni dei più robusti record di cambiamento ecologici a lungo termine. Una delle carote provenienti dal lago Crawford in Ontario, Canada, è stata portata come primo esempio delle complessità dei mutamenti ecologico antropogenici durante i dibattiti fra l’AWG e gli archeologi e i geologi critici verso l’ufficializzazione dell’antropocene. Per esempio il kudzu, un tipo di vite rampicante originaria dell’Asia, venne introdotta intenzionalmente nell’America settentrionale per utilizzarla o come mangime per il bestiame o come pianta ornamentale. Nel giro di pochi decenni fu chiamata “la vite che divora il Sud”: ricopriva foreste e causava ogni anno danni superiori a 100 milioni di dollari. Molti parassiti e molte malattie tipiche delle colture, del bestiame e della fauna selvatica sono specie introdotte che causano danni stimati per più di 100 miliardi di dollari all’anno, e sono ritenuti responsabili di quasi il 40 percento delle estinzioni di animali di cui si conosce la causa. Ovviamente, non tutte le specie introdotte provocano danni di questo genere, molte rimangono in disparte o sono persino le benvenute. Per esempio, in Europa, le specie che si sono stabilite al di fuori del loro habitat naturale prima del 1942 vengono chiamate arche ofite e sono considerate più autoctone delle successive. Oltre ad un evidente testimonianza del cambiamento climatico ecologico trasformativo che si è verificato sulla Terra, queste sequenze possono anche rientrare fra i marcatori più complessi e diacronici delle alterazioni globali antropogeniche. LINEE GUIDA VARIABILI Il metodo classico di conservazione e ripristino delle specie è sempre stato quello di mantenere o ripristinare le popolazioni, gli ambienti e gli habitat al loro stato “naturale”, definito in termini di una storica condizione di riferimento o linea guida. Supponendo che queste indicazioni possano essere stabilite mediante prove paleoecologiche o altre evidenze storiche, rimangono due sfide: la prima è selezionare il parametro di riferimento più appropriato e la seconda è gestire gli ecosistemi in modo che rimangono o tornino all’interno di questo stato. Entrambi questi sforzi sono messi a dura prova dai cambiamenti ecologici antropogenici a lungo termine. Voler scegliere per forza una linea guida specifica è più una questione di principio che di scienza. Da un punto di vista pratico, le pressioni antropogeniche hanno reso quasi impossibile ripristinare e mantenere le condizioni storiche in moltissime zone del mondo, se non addirittura nella maggior parte. Le comunità biotiche vengono contemporaneamente trasformate dalla perdita di alcune specie e sopraffatte dall’invasione di altre. Quindi a livello globale, nonostante le specie si estinguano, l’Omogenocene continua. Nell’Australia meridionale, per esempio, la gestione dell’irrigazione ha causato un accumulo di sale in alcuni terreni. Tale fenomeno ha favorito l’invasione di piante non autoctone che riescono a tollerare bene il sale, ma allo stesso tempo ha ridotto la biodiversità nel suo complesso. Secondo l’ecologo Richard Hobbs e altri colleghi aderire alle linee guida in queste nuove condizioni potrebbe ostacolare i tentativi di conservazione e ripristino più di quanto non li aiuti. Gli ecosistemi ibridi, ovvero quelli in parte storici e in parte nuovi, potrebbero effettivamente essere riportati ai loro stati precedenti, ma per quanto riguarda il ripristino tradizionale è davvero molto improbabile che abbia successo ed è troppo costoso per essere impiegato in ecosistemi nuovi, dove le condizioni biotiche e abiotiche si sono allontanate troppo dai livelli storici. IL GIARDINO INDISCIPLINATO Nell’antropocene, le linee guida per la conservazione e il ripristino delle specie sono variabili, perché vengono modellate da valori e condizioni ecologiche antropogeniche altrettanto mutevoli e soggette all’attività dell’uomo. Le specie stanno imparando a vivere negli ambienti umani e alcune lo stanno facendo molto bene. ( es piante che spuntano nelle città ecc) Le società umane stanno attivamente ripristinando e imparando a convivere con specie che i loro antenati uccisero impunemente: in Europa si assiste alla ricompensa dei lupi nei loro antichi terreni di caccia. La vita prospera ancora in quello che la scrittrice Emma Marris ha definito il giardino indisciplinato dell’Antropocene, in cui i nuovi ecosistemi formano nuove specie selvatiche. In una biosfera sempre più antropogenica come quella in cui viviamo oggi, si stanno formando nuovi rapporti: società, persone e fauna selvatica si stanno evolvendo insieme e creano nuove forme di vita, oltre a preservare e ripristinare quelle già esistenti. SISTEMI SOCIOECOLOGICI Gli scienziati sono sempre più impegnati a indagare le cause e le conseguenze del cambiamento ecologico antropogenico e a sviluppare nuovi modelli che includano la relazione fra sistemi umani e naturali. Alla fine degli anni Settanta, gli ecologi hanno iniziato a occuparsi sempre più approfonditamente degli esseri umani nelle loro ricerche e a collaborare con scienziati sociali per studiare le connessioni tra processi ecologici e quelli sociali. Negli anni Novanta, Carl Folke ha sviluppato un famoso modello per i sistemi socio ecologici, accelerando le collaborazioni tra ecologi e scienziati sociali per risolvere problemi che coinvolgevano sia la gestione ambientale che il cambiamento sociale. L’economia ecologico, l’economia ambientale e altre discipline affini hanno introdotto nuovi strumenti per affrontare le sfide della gestione ambientale. Gli ecologi hanno anche ampliato il loro lavoro, fornendo alle simulazioni del sistema terrestre realizzate negli anni Novanta i modelli di una biosfera attiva: modelli per un’ecologia globale attivamente influenzata dalle società umane, il che include anche le variazione dello sfruttamento umano dei suoli, che costituiscono il più grande motore del cambiamento della biodiversità e delle emissioni di carbonio antropogenico nell’atmosfera fino al 1950. BIOSFERA ANTROPOGENICA I modelli globali degli ecosistemi terrestri sono stati a lungo plasmati dal clima, dal terreno e da altri vincoli degli ambienti abiotici a cui le specie si sono adattate. I deserti sono popolati da piante che si sono adattate ad ambienti secchi, quelle presenti nelle foreste pluviali tropicali amano il clima caldo e umido e in montagna la vegetazione cambia a seconda che ci si trovi alle pendici o sulla cima. Questo modello ambientale globale degli organismi viventi venne descritto per la prima volta da Alexander von Humboldt agli inizi dl 19esimo secolo, favorendo lo sviluppo della biogeografia. Un secolo dopo, verso la metà degli anni Trenta, gli ecologi definirono questi modelli globali come «biomi», o modelli «ecosistemici su scala globale», un gradino sotto la scala più grnade di tutti: la biosfera. Poiché gli ecologi si trovavano di fronte a una biosfera sempre più antropogenica, si tentò di comprendere i modelli alterati dall’uomo. I modelli di trasformazione umana dell’ecologia, stimati per una copertura di oltre l’80 percento delle terre emerse, diventano sempre più chiari. Dal momento che la maggior parte della biosfera terrestre era stata rimodellata dall’uomo, diventò evidente la necessità di comprendere i modelli ecologici globali prodotti dalle interazioni umane con gli ecosistemi. Nel 2000 oltre il 75 percento della biosfera terrestre era stato trasformato in antromi, lasciando zone completamente selvagge in meno di un quarto di biosfera. Un risultato chiave nelle stime della trasformazione umana della biosfera terrestre è che persino nelle aree più densamente popolate e sfruttate in modo intensivo alcune zone considerevoli vengono lasciate libere dall’uso intensivo. Di conseguenza, gli antromi sono di solito dei mosaici di terre utilizzate intervallate dai rimanenti ecosistemi meno sfruttati e in via di recupero. Mentre gli umani continuano a costruire la loro nicchia in tutto il pianeta, la terra funziona sempre più come un sistema socio ecologico con un proprio metabolismo sociale orientato a mantenere popolazione sempre più ricche ed esigenti. Nel più del 90 percento dei mammiferi presenti oggi sulla terra è composto da uomini e animali domestici. Quando ci si può spingere oltre? Non c’è un limite al numero di persone e cambiamenti che può tollerare l’ecologia terrestre? CRESCITA LIMITATA Quante persone può sostenere la Terra? Molti studiosi hanno mediamente dato delle risposte, come per esempio Antoni van Leeuwenhoek calcolò questa cifra in 13,4 miliardi. Negli anni Venti, gli ecologi definirono questo numero “capacità portante” (K), ovvero i limiti ambientali alla crescita di una popolazione in un determinato habitat. Si sosteneva che quando le popolazioni crescevano oltre la loro capacità portante un disastro era immanente. Ci si iniziò a preoccupare dei limiti della capacità portante umana nel 1968, quando l’ecologo Paul Ehrlich di Stanford pubblicò un libro che prevedeva che negli anni Settanta centinaia di milioni di persone sarebbero morte di fame a causa del sovrappopolamento. L’attuale popolazione terrestre, che ammonta a più di 7 miliardi è molto più nutrita, sana e longeva che in qualsiasi altro momento della storia dell’uomo. A partire dagli anni Settanta, i tassi di crescita della popolazione sono notevolmente rallentati e continuano a diminuire, principalmente a causa della transizione demografica, in cui le popolazioni più urbane e meglio istruite tendono ad avere piccoli nuclei familiari. L’uomo sta continuando a urbanizzare i paesaggi, ma parallelamente calano i tassi di crescita della popolazione. CONFINI PLANETARI Sebbene la crescita della popolazione stia rallentando, la domanda di cibo, acqua, energia e altre risorse ambientali continua ad aumentare, poiché le popolazioni più ricche utilizzano maggiori risorse. Per esempio, un gruppo di ecologi ha affermato che l’uomo attualmente usa l’equivalente di 1,6 risorse del pianeta per il proprio sostentamento, il che costituisce un insostenibile superamento della capacità portante della terra. Per di più, molti scienziati, e non solo, temono che anche gli attuali livelli della popolazione e della domanda di risorse potrebbero contribuire in futuro al Le disuguaglianze nella trasformazione umana degli ambienti riflettono semplicemente le diseguaglianze all’interno e tra le società, che nascono da processi sociopolitici ed economici. Stando alle parole di Jason Moore del 2014, il capitalocene iniziò con un punto di svolta nella storia del rapporto tra uomo e natura, maggiore di qualunque altro si sia verificato a partire dallo sviluppo dell’agricoltura e delle prime città. Il capitalismo causò la trasformazione della terra, creando enormi disuguaglianze sociali che appoggiavano audaci strategie di conquista globale, mercificazione senza fine e incessante razionalizzazione. I sostenitori del capitalocene hanno criticato le teorie antropoceniche derivanti dalle scienze naturali definendole antistoriche e apolitiche. Descrivere il cambiamento ambientale globale come prodotto di un’umanità indifferenziata nasconde le realtà politiche che stanno alla base di questi cambiamenti, compreso chi trae beneficio e chi perde. Coloro che temono un complotto del capitalocene sono ancora più preoccupati per le teorie antropoceniche con le quali, se l’intera umanità aprisse gli occhi sui rischi ambientali dell’antropocene, verrebbero inevitabilmente istituiti nuovi sistemi di governante ambientale controllati da una tecnocrazia al servizio delle classi elitarie. Queste teorie non solo coprono i reati ambientali di un’ élite capitalista egemonica, ma equivalgono ad una vera e propria strategia politica. GOVERNANCE Jedediah Purdy nel suo libro del 2015, ha anche sottolineato che non vi è alcuna politica chiara o infrastruttura di governance pronta ad affrontare le sfide estremamente perfide e complesse dell’antropocene. Le sfide dell’antropocene sono “malvagie” poiché sono caratterizzate da assenza di soluzioni concordate, dalla tendenza a proporre soluzioni che producono ulteriori problemi (es assenza agricoltura), soluzioni per generare sia vincitori che vinti e dalla difficoltà di definire anche quali siano i problemi. A prima vista sembrerebbe che la governance ambientale sia necessaria per far fronte ai problemi ambientali mondiali. Tuttavia, gli sforzi per affrontare il cambiamento climatico globale attraverso quadri di governance internazionale hanno finora generato più fallimenti che soluzioni. Ciononostante, lo scienziato politico Frank Biermann, presidente dell’Earth System Governance Project, e altri hanno sostenuto che l’antropocene richiede nuove strategie di governance che riconoscano che i tassi, le scale e i processi di cambiamento ambientale recenti sono senza precedenti e sorprendentemente interconnessi, e che affrontino le complesse disparità che caratterizzano sia le popolazioni umane,, sia i cambiamenti ambientali. CHTHULUCENE Forse la risposta più provocatoria all’antropocene è il chthulucene, introdotto nel 2014 dalla teorica femminista e filosofa Donna Haraway. Con il chthulicene Haraway porta molto più avanti il suo ragionamento utilizzando Cthulhu, il mitico, cosmico, tentacolare alieno divino tratto dalla penna di Lovecraft. Tutto ciò per simboleggiare l’impenetrabile intreccio e interconnessione di quelli che sembrano solo individui. Per costruire questa visione, Haraway attinge alle recenti prove scientifiche secondo cui gli individui della maggior parte della specie, stanno effettivamente funzionando come gruppi di specie diversa. Per esempio, l’uomo contiene più cellule microbiche che cellule umane, localizzate principalmente all’interno della biodiversità del microma del suo sistema digestivo. Per Haraway, l’individualità è solo un’illusione. Immaginare un mondo controllato dall’uomo significa, secondo la filosofa, abbracciare il modello estinzionista che ha trasformato in primo luogo il pianeta. Reinventare invece l’uomo come un essere immaginario ingarbugliato inserito in un mondo più ampio composto dal raggruppamento multi specie codipendenti può invertire le teorie distruttive che hanno giustificato e guidato la trasformazione umana sulla terra. 8 PROMETEO Nel 1999 Hans Joachim Schellnhuber pose la domanda cruciale dell’Antropocene: se gli esseri umani stanno davvero trasformando il pianeta, cosa si deve fare? Gli uomini possono aiutare a indirizzare la Terra verso risultati migliori per l’umanità e per la natura? La scienza è chiara. Il benessere umano sta generalmente migliorando a mano a mano che le nostre società stanno rapidamente producendo un pianeta più caldo e più inquinato, meno prevedibile e con meno biodiversità. L’intero sistema terra viene spinto con forza in uno stato di cui non esistono analoghi nella sua storia, introducendo la possibilità molto reale di cambiamenti ambientali tanto rapidi e potenti che persino le società più ricche di risorse potrebbero non sopravvivere. Continuare su questa strada significa giocare d’azzardo con il futuro stesso delle società umane e del resto della vita sulla terra. L’intera umanità descrive in mille modi diversi il ruolo che ricopriamo sulla terra, e non è mai riuscita a mettersi d’accordo su un’unica versione. L’Antropocene potrebbe stimolare l’uomo ad agire in vista di un futuro migliore? Inoltre, l’Antropocene continua a essere un argomento controverso tra le molte comunità accademiche che studiano il cambiamento sociale e ambientale, compresi non solo archeologi, antropologi, sociologi, geografi e storici ambientali, ma anche ecologi e scienziati della terra. Una preoccupazione piuttosto diffusa riguarda semplicemente la misurazione del tempo. Numerose prove della trasformazione umana della terra risalgono a molto tempo prima del xx secolo, si può tornare indietro anche fino al Tardo Pleistocene. Tuttavia, ciò che più di tutto sta allarmando gli studiosi è quello che l’archeologo Andrew Bauer ha chiamato «divario antropocenico». Gli stratigrafi dividono il tempo geologico in intervalli discreti per ragioni puramente pragmatiche, non perché credono che le dinamiche terrestri non siano continue. L’archeologo Karl Butzer ha definito l’Antropocene un «paradigma in evoluzione». TECNOSFERA L’antropocene ha richiesto ai geologi di abbracciare nuove forme di osservazione e analisi. I soli materiali di plastica ora superano di gran lunga la biomassa umana, passando dai 2 milioni di tonnellate prodotti annualmente nel 1950 ai 300 milioni nel 2015. La produzione totale storica, che ora ammonta a 5 miliardi di tonnellate, è sufficiente per avvolgere l’intera superficie terrestre in un sottile strato di pellicola trasparente. I geologi hanno anche iniziato a esaminare la formazione di tecno fossili, fra cui città, strade e piattaforme petrolifere, per non parlare dell’incredibile varietà di prodotti fabbricati in plastica, componenti elettroniche, bottigliette e microfibre. I tecno fossili adesso orbitano anche attorno alla terra, riposano sulla luna e su altri pianeti,e hanno raggiunto persino lo spazio interstellare. La varietà di tecno specie degli artefatti culturali potrebbe anche consentire di osservare negli strati futuri sequenze temporali ad alta risoluzione riguardanti il cambiamento sociale da parte degli archeologi. Ormai, la diversità delle tecno specie potrebbe superare persino quella di circa 10 milioni di specie viventi sulla terra. Le tecno specie di gadget elettronici, articoli per la casa e componenti industriali quasi certamente ammontano attorno a molti milioni. I geologi potrebbero benissimo iniziare a usare in futuro dei marcatori tecnostratigrafici per identificarne il tempo geologico. ANTROPOSFERA
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