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Antropocene o capitalocene, Sintesi del corso di Antropologia Sociale

Riassunto del libro Antropocene o Capitalocene di Jason Moore per l'esame di Antropologia sociale

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 09/12/2020

francesca-gallone-1
francesca-gallone-1 🇮🇹

4.6

(39)

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Scarica Antropocene o capitalocene e più Sintesi del corso in PDF di Antropologia Sociale solo su Docsity! Antropocene o capitalocene? Antropocene→ La proposta di Crutzen e Stoermer, coniata negli anni Ottanta del XX secolo e resa celebre a partire dal 2000, si basava su considerazioni principalmente ecologiche quali: l'estinzione accelerata di un gran numero di specie, la progressiva riduzione della disponibilità di combustibili fossili e l'incremento delle emissioni di gas e effetto serra. Determinanti nella classificazione geologica delle scale temporali sono, infatti, le trasformazioni globali dello stato della Terra. L’esistenza o meno dell’Antropocene non è una questione meramente scientifica, ma implica una serie di considerazioni di natura etica e politica. Antropocene non è solo il nome di una nuova epoca geologica ma anche quello di governance dell'ambiente globale. Il concetto di Antropocene deve essere politicizzato (non sottovalutando l’ambiguità della tesi secondo cui l’umanità dovrebbe assumersi la responsabilità del degrado ecologico) e Moore in questo testo avanza l'ipotesi del Capitalocene. Quando comincia l'Antropocene?  Una prima opzione è quella caldeggiata da Morton il quale ritiene di poter datare l'origine dell'Antropocene all'epoca della diffusione delle prime pratiche agricole. Elemento centrale della riflessione riguarda ciò che l'autore definisce agrilogistica, cioè un'attitudine volta all'imposizione di un ordine umano alla natura esterna.  Una posizione alternativa è quella di Lewis e Maslin, secondo la quale la data di inizio dovrebbe coincidere con l’Orbis spike, cioè con la drastica riduzione della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera dovuta al cosiddetto columbian Exchange (scambio e miscuglio profondo di organismi vegetali e animali-ma anche di oggetti e di idee- tra l’emisfero orientale e quello occidentale).  Per Crutzen dovremmo far coincidere l'origine dell’Antropocene con l'emergere della Rivoluzione Industriale in Inghilterra. L'idea è quella di utilizzare come simbolo l'invenzione da parte di James Watt della macchina a vapore nel 1784.  Un'ultima opzione quella che enfatizza il ruolo della cosiddetta grande accelerazione. Questa ipotesi registra il cambio di marcia dell'impresa umana dopo la Seconda Guerra Mondiale. Secondo Steffen sarebbe connessa a tre fattori concomitanti: intensificazione dei processi di industrializzazione; tendenziale urbanizzazione del pianeta; diffusione di nuove tecnologie. Questa considerazione è uno dei punti di partenza del ragionamento di Moore. In primo luogo le cause storico-sociali del degrado ecologico vanno cercate nel regime di accumulazione emerso dalle temperie del Lungo XVI secolo descritto da Braudel. In secondo luogo il sociologo americano parte dal presupposto che l'idea di una natura esterna affondi le proprie radici in un duplice riduzionismo: ora l'ambiente visto come risorsa infinita gratuita, ora l'ambiente percepito come discarica per rifiuti altrettanto infinita e gratuita. Il capitalismo come totalità non ha un regime ecologico bensì è un modo di organizzare la natura nella sua dimensione storica più fondamentale. In terzo luogo Moore all'espressione produzione della natura un significato inedito. E’ stata Infatti Intesa nel duplice senso del genitivo: da un lato come esito di un processo di messa in forma del naturale, dall'altro come parte attiva che costringe il rapporto di capitale a rimodellarsi lungo il proprio profilo. Moore mette in luce la dimensione ecologica della teoria del valore-lavoro. Per capire lo sfruttamento capitalistico all’analisi del lavoro sociale astratto va affiancata quella della natura sociale astratta. La creazione di valore si dà attraverso la natura, cioè dentro i rapporti socio-naturali che emergono nell’articolazione di capitale, potere e ambiente: non ci troveremmo, dunque, nell’Antropocene, ma nel Capitolocene. Un passo importante nell’eleborazione di una strategia di evasione dall’Antropocene è quello di riflettere più in profondità sul concetto di lavoro nell’epoca della sua rilevanza geologica. L’emergere del lavoro- conoscenza schiude la possibilità di pensare e organizzare una forma di lavoro neghentropico, diverso dal lavoro salariato di matrice industrial-fordista, e di trovare delle linee di intervento per avviare una de- capitalizzazione. PREFAZIONE Antropocene indicherebbe il cambiamento climatico antropogenico, ma si tratta di una colossale falsificazione perché il cambiamento climatico non è il risultato dell’azione umana in astratto, esso è la conseguenza più evidente di secoli di dominio del capitale. Il cambiamento climatico è capitalogenico. L’argomento Antropocene esclude dall’analisi proprio quella prospettiva storica che potrebbe fornire una reale forza esplicativa alle loro importanti ricerche quantitative. Il Capitalocene è un tentativo di pensare la crisi ecologics, che contesta il modello dei Due Secoli dell’Antropocene alla moda perché nega la disuguaglianza e la violenza multi-specie del capitalismo. Il Capitalocene adotta un approccio relazionale (che incorpora i processi geobiologici e la storia-economia) e critica l’idea secondo cui il cambiamento climatico sarebbe creato dalla Società. CAPITOLO 1 L'Antropocene è divenuto oggetto di un ampio spettro di interpretazioni. Quella dominante ci racconta che le origini del mondo moderno sono da ricercare in Inghilterra, all'alba del diciannovesimo secolo e che le forze di questo cambiamento epocale sono state il carbone e il vapore, e quindi l’Anthropos (come umanità omogenea, astratta e unitaria). Con questa teoria si pone il problema Un Sistema/Due Sistemi, per cui l’umanità è inserita nella rete della vita, ma è considerata come separata e indipendente, è una forza geofisica che opera all’interno della natura. In realtà ci sono due dimensioni principali della teoria dell'Antropocene. La prima è una forte enfasi sul cambiamento atmosferico, l'altra è un’argomentazione sulla storia. Il tema dell'Antropocene opera due scelte metodologiche: incarna il pregiudizio consequenzialista del pensiero verde rispetto alle due culture, costruisce l’umanità come attore collettivo. Quest’ultima posizione ha portato a importanti misconoscimenti: una visione neo-malthusiana, il cambiamento storico come trainato dal nesso tecnologia- risorse, la rimozione dei rapporti esistenti di capitali, di classe e di imperi, l’attribuzione della responsabilità all’umanità come intero. Questi due dispositivi di inquadramento derivano da una posizione filosofica che potremmo definire dualismo cartesiano. Come sostiene Descartes la separazione degli umani dal resto della natura appare una realtà autoevidente. Nella sua forma più semplice questa filosofia colloca l'attività umana in una scatola e il resto della natura in altra. L'attività umana non produce soltanto un cambiamento biosferico, piuttosto sono le stesse relazioni tra esseri umani a essere prodotte dalla natura. Il pensiero dominante dell'Antropocene oscura i rapporti effettivamente esistenti attraverso cui gli uomini e le donne fanno la storia con il resto della natura: i rapporti di potere, di riproduzione e la ricchezza nella rete della vita. Invece, collocare le origini del mondo moderno nell’ascesa della civiltà capitalistica a partire dal 1450 significa dare la priorità ai rapporti di potere, sapere e capitale che hanno prodotto il mondo moderno. Il capitalismo come modo di organizzare la natura Bisogna interrogarsi sulla moderna relazione dell’umanità con il resto della natura, spostando l’attenzione dalle conseguenze ai rapporti che le determinano. Sia gli approcci centristi che sia quelli radicale riguardo la teoria dell'Antropocene sono confluiti su un accordo ontologico: la coproduzione della società con la natura, come se queste fossero due entità indipendenti. Moore critica il dualismo natura società→ l'insieme delle trasformazioni raccolte nell'energia a vapore degli ultimi decenni del XVII secolo fu co- prodotto dalle nature umane ed extra-umane. Questa prospettiva vede il capitalismo come allo stesso tempo produttore e prodotto della rete della vita. Le regole di riproduzione sono incarnate nei rapporti di valore, civiltà diverse hanno differenti rapporti di valore. L'Europa feudale privilegiava la produttività della 14. Il regime energetico olandese basato sull'estrazione domestica della torba come carburante a buon mercato raggiunge il suo punto più alto nel XVII secolo. 15. Nel sud est asiatico gli olandesi nuovo regime coloniale assicurandosi il monopolio del Commercio di chiodi di garofano. 16. A partire dagli inizi del XVII secolo le cose del mondo Atlantico iniziano essere bonificate. 17. Le grandi espansioni iberiche e italiane produssero un esaurimento relativo ma diffuso delle foreste del Mediterraneo 18. Localizzazione dei cantieri navali spagnoli a Cuba. 19. Importanti centri navali in Nord America 20. Espansione geografica dei prodotti delle foreste e dei centri navali erano legate alle crescenti e vaste flotte di baleniere e di navi per la pesca di aringhe e merluzzi che divorarono le fonti marittime di proteine del Nord Atlantico. 21. La ricerca di pesce fu integrata con la ricerca di pellame. 22. La costante crescita della domanda di zucchero favorì una serie di rivoluzioni produttive nelle Indie occidentali. 23. Cerealizzazione diete contadine e carnificazione di quelle aristocratiche e borghesi 24. Ripresa della produzione di argento in Messico e conseguenti disboscamenti 25. Rivoluzione nella produzione inglese di carbone 26. Epocale scambio colombiano Si considera l'industrializzazione come risultato di due momenti decisivi della tecnica e del capitalismo. Uno è l'industrializzazione come crescita della massa di macchinari e degli input e relativi al tempo-lavoro, ovvero la meccanizzazione. L’altro è l’industrializzazione come sinonimo di standardizzazione razionalizzazione che prefigurerebbe la catena di montaggio e il taylorismo. Ovunque si diffuse la produzione di beni primari, il ritmo di trasformazione ambientale accelerò. Le origini del Capitalocene. Queste trasformazioni hanno rappresentato sia una rivoluzione moderna nella produttività del lavoro sia una rivoluzione globale nella zona di appropriazione. La rivoluzione della prima moderna produttività del lavoro nella zona di mercificazione fu resa possibile da un rinnovamento delle tecniche di appropriazione. Il nuovo imperialismo della prima fase della modernità non sarebbe stato possibile senza un nuovo modo di intendere e ordinare la realtà. Da qui la rappresentazione della natura come esterna e di spazio e tempo astratti. La prima fase del capitalismo contava sull’espansione globale come mezzo per aumentare la produttività del lavoro e questa procedura permise al primo capitalismo di superare l’alternanza di rapide espansioni e brusche frenate. La tecnica del capitalismo era organizzata per gestire l’appropriazione dello spazio globale come base per l’accumulazione di ricchezza ossia di capitale. Le tre rivoluzioni indicate (della trasformazione ambientale, della produttività del lavoro e delle tecniche di appropriazione globale) suggeriscono una revisione della legge del valore, che si cristallizzò nel XVI secolo. La natura a buon mercato comprende le varie attività di esseri umani ed extra umani necessaria allo sviluppo capitalistico. La decisiva e storica espressione della natura a buon mercato è quella dei 4 cheaps (4 fattori a buon mercato), di forza lavoro, cibo, energia e materie prime. Questi quattro fattori sono i principali mezzi attraverso cui il sistema impedisce che la massa di capitale aumenti troppo rapida in relazione alla massa di natura appropriata a buon mercato. La centralità della natura a buon mercato nell’accumulazione infinita di capitale può essere interpretata solo intendendo il valore come modo di organizzazione della natura. Moore propone un’interpretazione post-cartesiana del valore che definisce ecologia-mondo. . In questi secoli ci sarebbe una trasformazione della legge del valore espressa da due movimenti epocali: una proliferazione di conoscenze che costruiscono la natura come esterna, lo spazio come piatto e geometrico e il tempo come lineare; una configurazione dello sfruttamento e appropriazione. CAPITOLO 2 Consideriamo il capitalismo come una civiltà co-prodotta dagli esseri umani e dal resto della natura. Questa co-produzione si sviluppa attraverso una doppia combinazione del cambiamento storico: umanità nella natura e natura nella umanità. La critica al dualismo Natura/Società coinvolge non una, ma diverse strutture binarie. Alcuni dei dualismi più utilizzati in questi secoli sono: natura/società, struttura/sovrastruttura, locale/globale. Tuttavia rimangono ancora come capisaldi degli studi globali queste concezioni: 1) L'umanità continua ad agire sulla natura piuttosto che svilupparsi attraverso di essa. 2) I processi materiali del capitalismo sono concettualizzati come precedente rispetto al pensiero come se le idee e la prassi simbolica non contassero. 3) i processi sistemici non sono mai elaborati storicamente attraverso l’interazione tra gli agenti socio- ecologici e i processi su diverse scale Moore, invece, vuole descrivere il capitalismo come un’ecologia-mondo, che unisce accumulazione di capitale, ricerca di potere e co-produzione della natura, attraverso l’ottica dei rapporti di valore. Moore privilegia quattro proposizioni dialettiche: l’accumulazione del capitale è la trasformazione della terra, i rapporti di valore comprendono e unificano la produzione di merci e la riproduzione socio-ecologica, la riproduzione dei rapporti di valore richiede sempre nuove frontiere di natura non ancora capitalizzate, queste frontiere sono costruite tramite prassi simboliche e trasformazioni materiali. Egli sostiene che i rapporti di valore siano un fenomeno sistemico. L’accumulazione di lavoro sociale astratto è possibile solo nella misura in cui il lavoro non retribuito possa essere appropriato. La condizione della trasformazione storica del lavoro in valore è la svalutazione della maggior parte del lavoro, che non viene retribuito. L’accumulazione per appropriazione è la premessa della natura sociale astratta. Le condizioni storiche della natura buon mercato vanno trovate non soltanto nel rapporto capitale-lavoro, ma anche nella produzione della conoscenza necessaria per identificare e appropriarsi del lavoro non retribuito. Rapporti di valore nell'ecologia mondo capitalista. Nella modernità i rapporti di valore rappresentano un modo estremamente peculiari di organizzare la natura. La legge del valore permise una transizione storica senza precedenti dalla produttività della terra alla produttività del lavoro come misura della ricchezza e del potere. Si trattò di una ingegnosa strategia di civilizzazione in quanto consentì la realizzazione della tecnica capitalistica per appropriarsi della ricchezza della natura non mercificata al servizio dello sviluppo della produttività del lavoro. Questa unità di misura strategica orientò l'intera Europa nord occidentale verso un altrettanta strana conquista dello spazio. Questa conquista fu quella che Marx definisce “la distruzione dello spazio per mezzo del tempo”, il tempo considerato come astratto prende piede in questo periodo. Successivamente al tempo astratto sarebbe arrivato lo spazio astratto, concezioni indispensabili al lavoro sociale astratto. Le origini della strategia capitalistica della natura a buon mercato vanno ricercate nel lungo XVI secolo. La questione non è quella delle cause antropogeniche (che presuppongono una fittizia unità umana), ma quella dei rapporti di capitale e di potere. Il problema non è l'Antropocene ma il Capitalocene. L'era del capitale si è fondata sul rapporto che consente grandi balzi nella crescita della produttività del lavoro e ancor più nella produzione delle nature a buon mercato. Questa visione di una natura come oggetto esterno è stata un momento fondamentale per l'ascesa del capitalismo. Il capitalismo è connesso con nature storicamente specifiche in cui si trovano anche le sue specifiche fasi di sviluppo. Ogni lunga ondata crea una natura storica che offre un nuovo, specifico insieme di vincoli e opportunità. Rivoluzione cartografica, scientifica e quantificante furono i momenti dell’accumulazione originaria che comportò un nuovo sistema intellettuale basato sulla separazione fra esseri umani e resto della natura. Per il materialismo moderno delle origini il punto non era soltanto interpretare il mondo ma controllarlo, diventare padrone e possessore della natura. L'estensione del potere capitalistico a nuovi spazi non ancora mercificati divenne la linfa vitale del capitalismo. Moore sottolinea due assi relazionali di queste frontiere. In primo luogo, i movimenti delle frontiere delle merci non miravano semplicemente all'estensione dei rapporti di mercato, ma riguardarono l'estensione territoriale e le forme simboliche che si appropriarono del lavoro non retribuito per metterlo al servizio della produzione di merci. Questo lavoro non pagato poteva essere eseguito dagli esseri umani oppure dalle nature extra umane come foreste, terreni e fiumi. In secondo luogo questi movimenti delle frontiere erano essenziali per creare le forme della natura buon mercato ovvero i 4 Fattori. Il capitalismo può essere compreso attraverso il cambiamento della configurazione dello sfruttamento della forza-lavoro e della propria azione delle nature a buon mercato- una dialettica di lavoro pagato e non pagato che richiede una spropositata espansione del secondo rispetto al primo. Il calcolo quantitativo del lavoro umano non retribuito varia tra il 70% e il 80% del PIL mondiale. Il contributo del lavoro non retribuito non è un dato originario, ma attivamente il prodotto dai complessi rapporti di potere, riproduzione e accumulazione. Le nature a buon mercato sono attivamente prodotto dall’attività umana unita al resto della natura. La natura è troppo spesso considerata come un substrato passivo, ma è il campo nel quale si svolge tutta la vita. Il capitale vive e muore in base alla riproduzione allargata del capitale: valore nel movimento. La sostanza del valore è il lavoro sociale astratto o tempo di lavoro socialmente necessario, coinvolto nella produzione di plusvalore, che si basa su una serie di svalutazioni. La maggior parte del lavoro non viene considerata come preziosa: si tratta del lavoro invisibile svolto dagli esseri umani, in particolare dalle donne, ma anche del lavoro svolto dalle nature extra umane. Tutte queste forme di lavoro de e non valorizzato non producono direttamente lavoro, ma il lavoro sociale astratto è possibile solo attraverso il lavoro non retribuito.Il lavoro astratto non può essere prodotto se non attraverso il lavoro non retribuito. L’implicazione geografica che deriva dalla tensione fra lavoro non retribuito e retribuito è la necessità di trasformazione delle frontiere: ondate ricorrenti di esaurimento socio-ecologico implicano ricorrenti ondate di espansione geografica. La legge del valore trova le sue necessarie condizioni di auto-espansione nella creazione e nella successiva appropriazione di nature umane e extra-umane a buon mercato. Il sistema capitalistico si basa sul lavoro sociale astratto, sulla natura sociale astratta e sull’accumulazione originaria che hanno il compito di produrre natura a buon mercato, cioè di estendere la zona di appropriazione. I rapporti di valore incorporano un doppio movimento di sfruttamento e appropriazione. La generalizzazione della produzione di merci è storicamente proceduta attraverso una rete espansiva dei rapporti di valore. Una delle cose che sapeva fare il capitalismo era quello di sviluppare tecnologie e saperi eccezionalmente appropriati per identificare, codificare e razionalizzare le nature a buon mercato. Da qui il nuovo modo di vedere il mondo che condiziona in maniera decisiva la nuova tecnica di organizzazione dell'ecologia-mondo capitalistica, manifestatasi nella rivoluzione cartografica e nella cantieristica navale della prima modernità. L'appropriazione rappresenta un'attività produttiva tanto quanto lo sfruttamento. Ciò che produsse un sostrato affidabile per la nuova civiltà fu l’impostazione di pratiche appropriative combinate con il mercato mondiale e le innovazioni tecnologiche orientate verso l’espansione globale. Queste pratiche comportarono l'aumento della produttività del lavoro all'interno della sola zona di interesse del capitale, ovvero l'area della mercificazione. Non importava quanto orribili fossero i livelli di mortalità che accompagnavano la crescita della produttività del lavoro fin tanto che i costi di capitale formano un tutto organico, plasmato da un duplice imperativo: semplificare le nature ed estendere il campo dell’appropriazione più in fretta rispetto all’espansione delle zone di sfruttamento. Dall’Antropocene al Capitalocene. La rivoluzione industriale fu un punto di svolta all’interno di un processo storico già in movimento, non la fine di uno schema di sviluppo premoderno. Non segna una rottura, bensì un’amplificazione della logica della frontiera della prima fase del capitalismo fondata sulla strana configurazione del valore dello sfruttamento e dell'appropriazione. Certamente i combustibili fossili hanno avuto un significato importante, ma se questo deve essere il punto di partenza, possiamo trovarne l'origine nel XVI secolo e non nel XVIII secolo. Il lavoro svolto dal carbone è stato l’aumento della produttività del lavoro nel punto di produzione. L'accumulazione per capitalizzazione, per esempio nelle fabbriche tessili di Manchester, fu accompagnata da una rivoluzione veramente epocale nell’accumulazione per appropriazione. La strategia della frontiera delle merci fu spinta verso nuove vette dal nesso di potere carbone/vapore, nesso che divenne maturo con l’ondata di espansione delle ferrovie. Per la prima volta nella storia umana la civilizzazione su scala planetaria è stata possibile attraverso la produzione di una ferrovia che circonda il Globo e una rete di nave a vapore. Furono poste così le basi per alcuni sviluppi: l’egemonia globale dei rapporti di valore, la riduzione della produzione di merci a livello sistemico, innovazioni che aumentarono la produttività. Tutto ciò costruì le basi per una nuova era di accumulazione del capitale. Le straordinarie trasformazioni materiali e le rivoluzioni scientifico-culturali del primo capitalismo non corrispondono alla visione neo-malthusiana del preindustriale. Il pregiudizio del materialismo green ci dice che il carbono cambiò il mondo, ma secondo l’autore sarebbe più opportuno asserire che nuovi rapporti di mercato trasformarono il carbone, attivandone il potere epocale. Verso una sintesi: Il capitale come limite ecologico mondiale. La riluttanza a spiegare la modernità come costituita attraverso la natura è comune alla versione stilizzata della Rivoluzione industriale adottata dalla teoria Antropocene. La teoria dell’Antropocene appartiene al materialismo green forgiato in un’epoca in cui la natura non contava molto. Bisognerebbe, invece, iniziare a considerare il capitalismo nella natura, come co-prodotto da e attraverso gli esseri umani con il resto della natura. La differenza di prospettiva tra l’Antropocene e l’ecologia-mondo è una differenza sul come inquadrare la storia dei cambiamenti geologici e biosferici. È una differenza che riguarda la geobiosfera come costitutiva del cambiamento storico, e non semplicemente come insieme dei limiti naturali esogeni. Le argomentazioni dell’Antropocene troppo spesso espongono i limiti senza costruirli storicamente. In realtà il limite ecologico del capitale è il capitale stesso. Gran parte della turbolenza di oggi si deve all’incapacità di ripristinare i quattro fattori a buon mercato: la fine della frontiera oggi è la fine dei beni gratuiti della natura. L’accumulazione del capitale è la proletarizzazione del lavoro e l’appropriazione delle nature globali. L’accumulazione infinita del capitale e l’appropriazione senza fine della terra sono due facce della stessa medaglia. È così a causa dei rapporti di valore, che mediano la relazione tra l’accumulazione del capitale e la riproduzione della vita attraverso la creazione della natura a buon mercato. La turbolenza globale di oggi ha le sue radici nell’esaurimento di quegli stessi rapporti che inizialmente fungevano da propulsore per le trasformazioni epocali della modernità. Oggi la dialettica di capitalizzazione e appropriazione ha raggiunto un punto di rottura, è la strategia della frontiera a portare sempre meno frutti e questo spiega il surplus di capitale del XXI secolo. La sfida interpretativa posta dagli straordinari cambiamenti biosferici deve assumere i rapporti di potere e riproduzione che hanno determinato i cambiamenti ambientali, quegli stessi rapporti che attivano le condizioni e i meccanismi necessari per trasformare il lavoro, retribuito e non, in plusvalore. I rapporti di valore costituiscono un metodo storico per indagare la storia dell’ecologia-mondo capitalistica, raggruppando i rapporti di accumulazione, potere e natura attraverso il grande arco della modernità. Conclusione Il capitalismo è, prima di ogni altra cosa, uno specifico modo di produzione teso all’ infinita accumulazione di capitale. E cosa è il capitale? Marx lo definirebbe valore in movimento. Il valore è una cristallizzazione specifica delle fonti di ogni ricchezza: il lavoro umano e non umano. Marx dedicò una cura particolare al fatto che il lavoro non potesse essere astratto dalla natura: “il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è tanto la fonte dei valori d'uso quanto il lavoro, che è esso stesso solo l'espressione di una forza naturale, della forza lavoro”. Il lavoro è sempre lavoro nella natura. Il capitalismo non potrebbe sopravvivere un giorno senza un terzo momento del lavoro: l'appropriazione dell'attività umana non retribuita. Per questo una politica rivoluzionaria della sostenibilità deve riconoscere una divisione tripartita del lavoro nel capitalismo: la forza lavoro, il lavoro umano non retribuito, e il lavoro della natura nel suo complesso. Questa è la trilettica del lavoro nell’ecologia-mondo capitalistica. Per il Capitalocene il deterioramento della natura è espressione specifica dell’organizzazione capitalistica del lavoro. Una visione rivoluzionaria deve essere in grado di articolare una politica che connetta la crisi della biosfera e la crisi del lavoro produttivo e riproduttivo.
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